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Alcune riflessioni sull'innovazione, la regolamentazione bancaria e la finanza non-bancaria

Scritto da Olivier Karl Emmanuel Butzbach • dic 2019

Sintesi

L’innovazione finanziaria e la regolamentazione hanno avuto una lunga e travagliata relazione. Sulla scia della crisi finanziaria del 2007-08, l’innovazione finanziaria è stata vista come una delle cause principali di rischio sistemico, portando ad una regolamentazione più restrittiva. Le riforme regolamentari del dopo 2007 riflettono cambiamenti nel “trade-off” tra stabilità ed efficienza che ha caratterizzato la regolamentazione bancaria. Questa relazione però è stata resa ancora più complessa dall’interazione dell’innovazione finanziaria con le trasformazioni della banca. Cos’è la banca e come dovrebbe essere regolamentata? Le risposte a questa domanda hanno profonde implicazioni per la regolamentazione degli enti finanziari non-bancari e per la regolamentazione dell’innovazione finanziaria in generale.

Abstract

Financial innovation and regulation have had a long, complex relationship over the ages. In the wake of the 2007-08 financial crisis, financial innovation was seen as one of the main causes of systemic risk, thus leading to more stringent regulation. Post-2007 regulatory reform reflects shifts in the stability-efficiency trade-off that has characterized banking regulation in the past century. However, this relationship is made even more complex by the interaction of financial innovation with the transformations of modern banking. What is banking and how should it be regulated? Answers to this question have crucial implications for the regulation of non-bank financial intermediaries, and for the regulation of financial innovation in general.

Contenuto

1. Regolamentazione e innovazione finanziaria

Le innovazioni finanziarie sono spesso viste, nella letteratura economica, come frutto dei tentativi di evadere o allentare i vincoli che pesano sulla vita degli individui o delle imprese. Nel semplice modello presentato da Silber,1 questi vincoli possono essere di varia natura: vincoli regolamentari, vincoli di mercato e vincoli “auto-imposti”. Economisti e storici economici, però, tendono ad enfatizzare i vincoli regolamentari nella genesi delle innovazioni finanziarie. Ad esempio, ecco come Richard Sylla, in un saggio sulle innovazioni monetarie negli Stati Uniti a fine ’600, descrive tali innovazioni nel Massachusetts, all’avanguardia tra gli stati nordamericani in quel campo: di fronte ad una scarsità di mezzi monetari, lo stato prima sperimentò con il mais, poi con il wampum (ornamento tradizionale dei Native Americans). Poi venne creata una zecca, nel 1652, per coniare monete d’argento. Però trent’anni dopo, scrive Sylla, “la regolamentazione rialzò la sua brutta testa”: la Corona britannica fece chiudere la zecca del Massachusetts, il che, continua Sylla, ha condotto alla creazione di note di credito che evolsero presto in moneta fiduciaria.2 Similarmente, la cartolarizzazione dei crediti può essere analizzata come il frutto dell’arbitraggio regolamentare operato dalle banche commerciali a partire dagli anni 1980.3

Questa prospettiva sull’innovazione finanziaria è diventata particolarmente influente nel movimento di de-regolamentazione bancaria dagli anni 1980 in poi, negli Stati Uniti prima e in seguito nel resto del mondo, compresa l’Italia.4 Il ragionamento sottostante alle politiche di de-regolamentazione in materia bancaria e finanziaria comportava quattro sequenze: a) l’innovazione finanziaria genera benefici economici importanti; b) l’innovazione però viene impedita da numerosi ostacoli regolamentari ereditati da un’altra era; c) rimuovendo questi vincoli si libererà l’innovazione finanziaria, d) conseguendo quindi sostegno alla crescita economica. Questa politica fu appoggiata sia da Alan Greenspan, durante tutto il suo mandato al vertice della banca centrale statunitense,5 sia dal suo successore, Ben Bernanke.6 Greenspan era molto più convinto della bontà dell’innovazione finanziaria del suo predecessore, Paul Volcker.7 Infatti, la Fed di Greenspan iniziò ad appoggiare l’adozione, da parte delle banche commerciali, di attività e modelli propri alle banche di investimento, preparando il terreno per il superamento del modello regolamentare incarnato dal Glass-Steagall Act, con l’adozione dal Congresso statunitense, nel 1999, del Gramm-Leach Bliley Act, il “momento di maggior trionfo” del Presidente della Fed secondo Calomiris (2006). Greenspan fu anche il sostenitore di importanti innovazioni finanziarie come i derivati di credito e il subprime lending (Murdock, 2014). Questo sostegno delle massime autorità monetarie statunitensi alle politiche di deregulation al fine di rafforzare la flessibilità e il dinamismo del sistema finanziario non esaurisce, però, la relazione tra regolamentazione e innovazione finanziaria. Come lo hanno mostrato Funk e Hirschman a proposito degli swap sui tassi di interesse e sui tassi di cambio, l’innovazione può ugualmente diventare fonte di cambiamenti regolamentari.8

In ogni caso, l’entusiasmo per l’innovazione finanziaria è radicalmente diminuito sulla scia della grande crisi bancaria del 2007-2008,9 dato il ruolo attribuito alla prima nel provocare la seconda.10 In un modello di equilibrio generale pubblicato prima della crisi, Gai e colleghi trovavano che l’innovazione finanziaria, associata alla stabilità macroeconomica, poteva provocare crisi finanziarie più severe del passato.11 La crisi ha rivelato alcuni dei meccanismi che collegano l’innovazione finanziaria alla stabilità sistemica. Ad esempio, l’uso massiccio di credit default swaps sui mercati creditizi hannom consentito di effettuare arbitraggio regolamentare risultando in un significativo aumento del rischio sistemico nel sistema bancario.12 Col passare degli anni si è giunto ad una visione più equilibrata dell’innovazione finanziaria che, come lo hanno sottolineato Beck e colleghi ha entrambi lati positivi e negativi.13 Alcuni tipi di innovazione finanziaria, peraltro, sono esplicitamente volti a raggiungere obiettivi di progresso sociale; è il caso, ad esempio, dei social impact bonds.14

Il rapporto complesso tra regolamentazione e innovazione finanziaria, però, viene ulteriormente complicato dai mutamenti del ruolo delle banche quali fonte di innovazioni finanziarie. La logica di deregulation seguita dalla regolamentazione bancaria negli anni 1980 era in parte motivata dalla crescente concorrenza di mercati ed enti finanziari non bancari, e quindi dalla necessità di consentire alle banche di competere ad armi uguali con questi soggetti. Le riforme regolamentari del dopo-crisi (del 2007/08) invece hanno puntato a ri-regolamentare le banche, in ragione delle eccessive prese di rischio da parte degli enti creditizi associate, in parte, alle innovazioni nel campo creditizio e della cartolarizzazione. Questa tendenza pone, quindi il problema dell’adeguato monitoraggio e controllo dell’innovazione finanziaria attraverso la regolamentazione bancaria.


2. Perché la regolamentazione finanziaria? Il trade-off tra stabilità e dinamismo

Per tutto il ’900, la regolamentazione finanziaria è dominata da un doppio obiettivo: garantire la funzionalità del sistema finanziario salvaguardandone la stabilità. Il primo obiettivo si riferisce alle funzioni del sistema finanziario; secondo la classica formulazione di Merton e Bodie,15 il sistema finanziario svolge delle funzioni essenziali per il corretto funzionamento dell’economia reale, tra le quali l’allocazione efficiente delle risorse finanziarie e l’accumulazione del capitale. Il secondo obiettivo riguarda i limiti posti alla volatilità dei mercati finanziari, da un lato, e alle fragilità intrinseche degli intermediari finanziari dovute sia al business model delle banche e degli enti finanziari non bancari, sia alle condizioni storiche in cui gli enti finanziari svolgono le loro attività.

Questo doppio obiettivo costituisce un trade-off: puntare ad una maggiore efficienza del sistema finanziario può condurre all’aumento della rischiosità sistemica; viceversa, puntare alla stabilità del sistema può circoscrivere le capacità innovative del sistema finanziario, minacciandone l’efficienza. Le risposte politiche a questo trade-off sono mutate nel tempo. Tra gli anni 1930 e gli anni 1970 l’obiettivo di un sistema finanziario stabile è prevalso sugli obiettivi di performance e innovazione. Negli anni 1970 le priorità regolamentari sono cambiate, a cominciare dagli Stati Uniti. Abbiamo visto, nella sezione 1 sopra, come dagli anni 1980 in poi la Fed sotto la guida di Alan Greenspan abbia incoraggiato la deregulation per aumentare concorrenza e innovazione e, in ultima istanza, la performance del sistema finanziario. Due decenni più tardi, l’efficienza del sistema finanziario, e in particolare la sua capacità di offrire prodotti nuovi per soddisfare una domanda mutevole e condizioni di mercato favorevoli, era diventata la priorità, come illustrato da una pubblicazione della Banca Mondiale del 2002 sulla regolamentazione degli enti finanziari non bancari.16 Per alcuni osservatori, come sottolineato nella precedente sezione, questa enfasi sulla performance del sistema finanziario e sulla capacità di quest’ultimo di produrre continuamente nuovi servizi e prodotti è stata alla radice della crescita dell’instabilità sistemica culminata nella crisi del 2007/08. Si veda ad esempio, nel grafico seguente, la correlazione tra orientamento regolamentare e fragilità del sistema bancario, stabilita da Moss.17

Figura 1 Deregolamentazione, fallimenti bancari e disuguaglianze di reddito negli Stati Uniti, 1864-2009 Fonte: David Moss (2010)

Dopo la crisi, le scelte politiche rispetto al trade-off sono di nuovo mutate. La stabilità sistemica è ridiventato l’obiettivo prioritario delle politiche regolamentari, caratterizzate da notevoli rimodernamenti, sia in termini di strumenti che di obiettivi. Regolamentazione macroprudenziale, nuove regole microprudenziali, riforma dell’”architettura di vigilanza” (regulatory architecture), stress tests, regole specifiche per gli enti finanziari più grandi, sono le principali innovazioni regolamentari che hanno caratterizzato queste riforme.

Tuttavia, il nesso regolamentazione-innovazione-rischio-instabilità finanziaria non è stato definitivamente reciso. Un rapporto dell’agenzia di rating Fitch, nel maggio del 2019, sottolineava come avesse ripreso a crescere lo shadow banking, l’area più rischiosa del sistema finanziario associata alla crisi del 2008. Le riforme post-crisi hanno quindi mostrato i loro limiti. Una prima valutazione della riforma Dodd-Franck negli Stati Uniti, pur riconoscendone i meriti, come l’enfatizzare gli stress tests quale strumento regolamentare, sottolineava i limiti significativi di tale riforma sia sul piano della regolamentazione degli enti finanziari non bancari, sia nella non-eliminazione delle cause profonde dell’arbitraggio regolamentare che collega regolamentazione, innovazione e rischio.18 Secondo Thakor, invece, le riforme della regolamentazione prudenziale al centro di Basilea III sono state eccessivamente orientate verso la riduzione dei rischi di liquidità, laddove il sistema finanziario soffre di rischi di insolvenza.19 Più profondamente, le riforme regolamentari rischiano di non ridurre significativamente l’instabilità sistemica perché non affrontano il problema cruciale della finanziarizzazione delle banche.20

Quest’ultimo aspetto è fondamentale per iniziare a capire uno dei problemi centrali legati al raggiungimento, tramite la regolamentazione finanziaria, dell’obiettivo di stabilità, ovvero l’identificazione dei soggetti della regolamentazione.


3. Oggetti e soggetti della regolamentazione: Il problema dell'innovazione (extra?)-bancaria

Un classico problema della regolamentazione, sia nel campo finanziario che in altri campi, riguarda la capacità degli strumenti regolamentari ad adeguarsi alle condizioni mutevoli di esercizio dell’attività (finanziaria), mutevoli proprio a seguito dell’innovazione. Nel contesto della regolamentazione finanziaria post-crisi del 2007, questo problema si è posto, in particolare, sotto la forma di una trasformazione significativa del ruolo della banca nel sistema finanziario.

Durante il periodo precedente, infatti (cioè tra la metà degli anni 1980 e il 2007), le banche hanno gradualmente, specie negli Stati uniti, assunto un ruolo centrale sui mercati dei capitali, allora in piena crescita, tramite (a) la deregolamentazione dei mercati bancari e (b) una serie di innovazioni finanziarie (i leveraged buy-outs, la cartolarizzazione…) che avvicinavano la banca agli intermediari di mercato. La finanziarizzazione delle economie avanzate ha avuto come risultato la “mercatizzazione” delle banche.21 Lo shadow banking – ossia l’intermediazione creditizia senza accesso diretto alla liquidità – è stato uno dei canali in cui questa mercatizzazione si è sviluppata, in particolare attraverso la cartolarizzazione.

Lo shadow banking, e l’intermediazione finanziaria non-bancaria in generale, sono stati tra i principali imputati per la crisi del 2007/08;22 pongono problemi regolamentari importanti.23 Tre caratteristiche degli enti finanziari non-bancari sono particolarmente rilevanti per le autorità di vigilanza e la regolamentazione: (a) la loro complessità e natura meno visibile (rispetto alla banca “tradizionale”); (b) il loro impatto sul rischio sistemico; (c) il loro impatto sulla qualità delle funzioni espletate dal sistema finanziario a servizio dell’economia reale.24

È stato, quindi, al centro degli sforzi internazionali di ri-regolamentazione finanziaria dopo la crisi, in particolare quelli del Financial Stability Board che monitora la regolamentazione degli enti finanziari non bancari al livello globale.

Tuttavia, questi sforzi soffrono ancora di serie limitazioni che hanno a che vedere, si suggerisce qui, con la questione ontologica al cuore della regolamentazione bancaria. La questione ontologica è la seguente: la regolamentazione bancaria si è costruita storicamente – lungo secoli – attorno ad un modello di banca ben identificabile: la banca raccoglie fondi tramite depositi e trasforma quei fondi in crediti. Come fare, però, dal momento che le banche si allontanano in modo significativo da quel modello storico?

Questa questione investe pure la regolamentazione degli enti finanziari non bancari. Questi ultimi sono strettamente legati alle banche: molte “banche tradizionali”, nel corso degli ultimi due decenni, si sono trasformate in shadow banks; molti fondi di investimento appartenenti alla categoria di enti finanziari non bancari sono stati creati dalle banche; la maggior parte delle attività di cartolarizzazione sono attribuibili alle banche. Il problema qui non riguarda le attività non (precedentemente) regolamentate, ma consiste nella trasformazione degli enti regolamentati, e il loro dissolversi nella nebbia dello shadow banking. Peraltro, l’identità stessa degli enti finanziari non bancari non è facilmente afferrabile.

Il Financial Stability Board (FSB) utilizza contemporaneamente varie misure di intermediazione finanziaria non bancaria – misure “strette” o “larghe”, che hanno un incidenza evidente sulla scala del fenomeno in questione – la misura più larga, ovvero il MUNFI (monitoring universe of non-bank financial intermediation) rappresentava circa 184.000 miliardi di dollari di attivi nel 2019 (ossia il 48% del totale degli attivi finanziari nel mondo), secondo l’ultimo rapporto annuale del FSB, mentre la misura più ristretta ne rappresentava 51.000 miliardi di dollari (ossia il 13%).

Incrinare il nesso innovazione-rischio comporta la risoluzione di un problema molto complesso, il problema dell’identificazione del soggetto della regolamentazione bancaria e non bancaria. Implica, inoltre, una visione regolamentare complessiva del sistema finanziario. Così come, negli anni 1970, le banche statunitensi venivano minacciate dall’ascesa dei mercati dei capitali, oggi sembrano sotto pressione concorrenziale dal settore Fintech, una pressione cresciuta significativamente dopo la crisi del 2007.25 Il rischio è, quindi, di vedere la regolamentazione soccombere di nuovo alla tentazione degli anni 1980: la tentazione, cioè, di ri-allentare il vincolo regolamentare per evitare che le banche assistano impotenti alla proliferazione di innovazioni davanti alle loro porte, mentre la priorità per la regolamentazione dovrebbe essere quella di affrontare i rischi e le promesse dell’innovazione finanziaria nel complesso dell’intero sistema finanziario.


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1 Silber, 1983.

2 Sylla (1982), p. 24.

3 Calomiri (2009).

4 È interessante notare, a tal proposito, che il movimento di de-regolamentazione non inizia con l’arrivo al potere di governi sensibili alle tesi monetariste o neoliberisti, come Ronald Reagan negli Stati Uniti o Margaret Thatcher nel Regno Unito. Come osserva, è sotto la presidenza Carter che viene adottato il Depository Institutions Deregulation and Monetary Control Act del 1980.

5 Durante questo periodo (dal 1987 al 2005) Greenspan verbalizzò numerose volte il suo credo. Si veda, ad esempio, il discorso che tenne nel 2002 ad un pubblico di economisti finanziari, e dove spiegava: “I need hardly remind this audience that one especially potent force for enhancing overall economic flexibility and resilience arguably has been the combination of deregulation and innovation in the financial sector. New financial products have enabled risk to be dispersed more effectively to those willing, and presumably able, to bear it. Shocks to the overall economic system are accordingly less likely to create cascading credit failure.” (Alan Greenspan, discorso del 22 Aprile 2002. Fonte: Bank of International Settlements: https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjh85rU_OfpAhXWRhUIHc-4AnwQFjAFegQIBBAB&url= https%3A%2F%2Fwww.bis.org%2Freview%2Fr020423b.pdf&usg= AOvVaw14RqPSGK4cJykRPQmGJdWB).

6 “In addressing the challenges and risks that financial innovation may create, we should also always keep in view the enormous economic benefits that flow from a healthy and innovative financial sector. The increasing sophistication and depth of financial markets promote economic growth by allocating capital where it is most productive. And the dispersion of risk more broadly across the financial system has, thus far, increased the resilience of the system and the economy to shocks.” (Discorso di maggio 2007, ossia cinque mesi prima dello scoppio della crisi. Citato in Engelen et al., 2010).

7 Si veda McIntyre, 1991.

8 Funk e Hirschman, 2014.

9 Si veda, ad esempio, Gennaioli et al. (2012).

10 Kim et al., 2013; Caverzasi e Tosi, 2018.

11 Gai et al., 2008.

12 Yorulmazer, 2013; si veda pure Judge, 2012.

13 Beck et al., 2016; si veda anche Laeven et al., 2015.

14 Schinckus, 2017.

15 Merton e Bodie, 1995.

16 Carmichael e Pomerleano, 2002.

17 Moss, 2010.

18 Ludwig, 2012.

19 Thakor, 2018.

20 Ertürk, 2016.

21 Hardie e Howarth, 2013.

22 Plantin, 2015.

23 Adrian e Ashcraft, 2012.

24 Secondo Liang e Reichert (2014), gli enti finanziari non bancari hanno un impatto negativo sulla crescita economica, al contrario delle banche.

25 Saksonova e Kuzmina-Merlino, 2017.