Logo IeD

Editoria accademica e studi sociali

Scritto da Raffaello Lupi • giu 2024

Sintesi

Lo scritto analizza i limiti, emersi negli ultimi decenni, dell’editoria cartacea come strumento di selezione della qualità della saggistica accademica negli studi sociali. Si rileva come la diminuzione dei costi abbia alimentato il tasso di autoreferenzialità della produzione accademica rispetto agli interessati ai temi sottostanti nell’opinione pubblica. Si individuano quindi una serie di opportunità offerte dalle pubblicazioni in accesso aperto, per redazione congiunta di volumi che mettano gradualmente a fuoco i relativi temi e superino gli attuali inconvenienti della revisione tra pari.


Abstract

The article analyzes the limits, emerged in recent decades, of paper publishing as a tool for selecting the quality of academic social studies. It is noted that the reduction in costs has fueled the rate of self-referentiality of academic production with respect to people interested in the underlying themes in public opinion. The paper therefore identifies some opportunities offered by open access publications, for the joint editing of volumes that gradually focus on the relevant themes and overcome the current drawbacks of peer review. .

Contenuto


1. Valutazione universitaria ed editoria

Non ho mai avuto particolare simpatia, come ho scritto circa 7 anni or sono su questa rivista (n. 4 - 2017, Valutazione dei saperi e diritto, tra tecnica e scienza sociale delle pubbliche funzioni) per il sistema di selezione universitaria basato su pubblicazioni, senza un’adeguata interlocuzione diretta coi candidati. All’epoca le mie perplessità riguardavano la possibile redazione dei testi da parte di c.d. ghostwriters e il potere interdittivo delle redazioni e direzioni delle riviste di classe A, lo scarso coinvolgimento delle complessive comunità scientifiche nei processi valutativi, la mancanza di controllo sociale consistente in prove orali accessibili.

Altri profili, meno rilevanti visto il tema di questo scritto, sono la genericità dei titoli accademici presentati, come lo svolgimento di seminari, le relazioni a convegni, le ricerche interne ai dipartimenti. Aggiungo il carattere non comparativo della attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale, col rischio di un appiattimento al ribasso, anche per l’impossibilità di chiarire personalmente passaggi contraddittori, ambigui o oscuri dei prodotti di ricerca presentati, con tendenza a interpretazioni benevole pro bono pacis verso candidati provvisti di apprezzabili appoggi accademici.

Queste prime valutazioni si sono nel frattempo rafforzate riflettendo sull’estensione dei saperi, ormai nazionali o sovranazionali, rispetto alle entità locali rappresentate dagli atenei. Essi nacquero, ben prima della rivoluzione scientifica e industriale, quando il sapere era molto più unitario, prima della specializzazione dovuta all’avvento delle scienze fisiche e delle tecniche; teologia, filosofia e matematica potevano essere trattate in modo fortemente interconnesso. Con esso erano collegate anche la tecnica materiale rappresentata dalla medicina e quella sociale rappresentata dal diritto. L’idea stessa di Università evocava quindi un luogo fisico in cui venivano simultaneamente coltivati tutti i saperi; la vicinanza fisica suppliva alla difficoltà di altre forme di comunicazione, allora impensabili e oggi abituali, compresa la riproduzione a stampa, di cui questo scritto si occupa. Nell’Università come luogo fisico i saperi si valorizzavano a vicenda attraverso l’interazione reciproca, cui dal cinquecento si affiancò, con la riproduzione a stampa, quella editoriale.

A partire dal ’600, con le scienze sperimentali della materia, il sapere iniziò gradualmente a ramificarsi e la complessità sociale portò gradualmente all’emersione di discipline ulteriori, fino alle 14 aree presenti nell’attuale regolamentazione amministrativa dell’accademia italiana. Ci sarebbe da chiedersi in quale misura abbia senso, su queste premesse di diversità dei saperi, parlare ancora di “università”, come universalità di saperi; questi ultimi sono ormai frammentati non solo nelle 14 aree suddette, ma in centinaia di settori disciplinari, ribattezzati recentemente gruppi disciplinari; ciò è avvenuto senza cambiamenti sostanziali, anzi obliterando i tentativi di accorpamento rappresentati dai precedenti “settori concorsuali”. In questa cornice generale, da sviluppare in un più ampio prodotto di ricerca con le caratteristiche di socialità indicate al par. 6, si colloca questo breve articolo sull’editoria accademica. Di essa cercheremo di analizzare i rapporti tra forma, ai fini delle carriere e delle valutazioni lato sensu burocratiche, e utilità sociale sostanziale.


2. Letteratura, narrazioni e saperi

Dopo milioni di anni di tradizione orale, la comunicazione scritta ha consentito la stratificazione di pensieri complessi e non a caso vi si associa l’uscita dalla preistoria e l’inizio della storia. Già prima della stampa la scrittura affrontava, come anticipato sopra, temi religiosi e filosofici che, attraverso l’intrattenimento letterario, evocavano riflessioni sulla natura e la socialità, riepilogati nei primi paragrafi del mio volume in accesso aperto Studi sociali e diritto (https://romatrepress.uniroma3.it/libro/studi-sociali-e-diritto/).

Queste tematiche di fondo, ma senza risposta definitiva, erano rese interessanti in quanto collocate a margine di narrazioni romanzesche, epiche, poetiche, etc... Ne derivavano, come una sorta di sottoprodotto, mappe cognitive della realtà, sistemi di valori e indicazioni comportamentali di vita pratica. Lo stesso accade oggi, amplificato dalla comunicazione giornalistico-cartacea, cinematografica, televisiva e tramite internet. Nel frattempo però, la produzione tecnologica di serie ha innescato quella che chiamo Era aziendale in un volume disponibile in open access su Didatticaweb dell’Ateneo di Tor Vergata, dando luogo a una socialità molto più complessa. Alla piccola precedente minoranza alfabetizzata dell’era agricola, con un bagaglio culturale omogeneo, salve poche variazioni sul tema, si sostituisce un’opinione pubblica molto più numerosa e tematicamente articolata. Per comprendere l’odierna socialità non basta più la suddetta mediazione letteraria, neppure nella versione mediatico-giornalistica, ed infatti sono nati gli studi sociali. Essi hanno innescato una specifica editoria, priva però del fascino narrativo di una storia, in cui il lettore possa identificarsi. Questo non crea alcun problema per l’editoria dedicata alle scienze della materia, le c.d. scienze dure, dove il confronto di si dirige per definizione a un ristretto circuito di iniziati. Discipline come l’economia, la sociologia, la politologia, e altre prospettive di studio sociale dovrebbero avere invece impatto sulla pubblica opinione, secondo le varie curve di attenzione in essa presenti per le tematiche sottostanti. Oltre a non avere una trama narrativa che susciti il suddetto interesse generato dalla letteratura, tali discipline sono spesso vittime dell’autoreferenzialità derivante dall’ispirazione alle scienze della materia. È il c.d. monismo metodologico, che spinge a cercare legittimazione presso un ristretto circuito di cultori (par. 1.5 di Studi sociali e diritto) a danno degli interessati al tema nella pubblica opinione (Studi sociali, cit. par. 1.6). Il risultato è quindi l’autoreferenzialità dei relativi prodotti editoriali, che emarginano chi ha interrogativi sull’argomento, e circolano tra piccoli circuiti accademici, con le loro gelosie, rivalità e polemiche. Presso l’opinione pubblica hanno quindi continuato a tener banco le narrazioni letterarie e giornalistico-politiche dei mass media. Lo spazio che avrebbero dovuto occupare le spiegazioni elaborate dagli studi sociali è stato occupato da giornalisti, politici, romanzieri e registi, e varie tipologie di personaggi pubblici con le doti comunicative per rendersi visibili. Anch’essi usano di frequente i libri come strumento reputazionale, ma si tratta spesso di pamphlet, fuochi di paglia a supporto della visibilità dell’autore nel circuito mediatico. La pubblica opinione di settore, interessata allo specifico tema, resta insoddisfatta e nella discussione pubblica prevalgono la ricerca di consenso politico e di audience mediatica. L’editoria giuridico-sociale sarebbe uno strumento per creare poli di aggregazione delle suddette riflessioni, con un loro coordinamento e una loro integrazione da parte di studiosi sociali dedicati in via continuativa agli argomenti sottostanti. L’editoria sarebbe stata uno strumento fondamentale per raggiungere quest’obiettivo, che invece è stato mancato per una serie di ragioni indicate ai punti seguenti.


3. Editoria accademica e selezione dei saperi

L’invenzione della stampa meccanica su supporto cartaceo ha dato impulsi enormi alla circolazione del pensiero, avviando l’industria editoriale, nei secoli in cui la stampa ha costituito la principale forma di comunicazione. Il prestigio della stampa è un’eredità dei secoli in cui i notevoli costi fissi di composizione dei testi erano una barriera d’ingresso, quindi un indizio di qualità e legittimazione reputazionale degli autori e delle loro opere. Scrivere libri era sinonimo di autorevolezza sociale e simbolo di cultura, come confermano molteplici e convergenti indizi; si pensi all’espressione parla come un libro stampato, alla dignità di stampa con cui si elogiano le migliori tesi di laurea e alle antiche sinergie tra editori e pensiero giuridico (il Foro italiano, Giustizia civile, l’Enciclopedia del diritto etc.). Inversamente i roghi dei libri rappresentano la negazione della cultura, da quelli nazisti al distopico film fahrenheit 451, che probabilmente vi si ispirava. Anche la censura, l’imprimatur burocratico e l’indice dei libri proibiti ne confermano da una parte l’importanza culturale, evocando dall’altra mentalità ristrette e chiusura culturale. Ce n’è abbastanza per spiegare quanto dicevamo al paragrafo 1 sul ruolo dei prodotti editoriali nella selezione accademica e nella valutazione delle università. Ha ancora cioè una notevole vischiosità l’idea suddetta, secondo cui i costi di pubblicazione di un volume, nella prospettiva di un editore, erano talmente elevati da farne presupporre una qualche possibilità di vendita. Ciò indirettamente comportava una valutazione dei contenuti, non tanto nel merito, ma come possibilità di attrarre un certo numero di interessati all’argomento. Si tratta della suddetta funzione di filtro implicito dell’editore come primo valutatore della qualità dei volumi da lui pubblicati. In ultima analisi l’editore era un’espressione anticipata del possibile gradimento dei lettori e dell’individuazione del pubblico il cosiddetto target cui il testo si indirizzava. Da qui la comprensibile tendenza della burocrazia accademica, preoccupata della creazione di procedure uniformi per la valutazione di saperi molteplici, a dare molto valore ai prodotti editoriali suddetti. Questo anche a costo di rimuovere, per quanto possibile ed anche oltre, i fattori di crisi della suddetta rilevanza delle pubblicazioni che descriveremo al prossimo paragrafo.


4. Da editori a stampatori: inversione dei ruoli e perdita di impatto sociale

È stata soprattutto la riduzione dei costi editoriali legata alle nuove tecnologie a mettere in crisi il ruolo di filtro valutativo degli editori, indicato al paragrafo precedente. Anche l’elaborazione elettronica dei testi e la loro facilità di impaginazione e stampa hanno infatti enormemente abbassato i costi editoriali, fino a renderli sostenibili dagli stessi autori. È divenuto quindi economicamente possibile, per un numero crescente di autori o di istituzioni, sostenere direttamente i costi di pubblicazione, acquisendo a pagamento i vantaggi reputazionali suddetti. L’interlocutore degli editori, che ne avrebbe sostenuto i costi, è diventato sempre meno il lettore e sempre di più lo stesso autore, la sua istituzione di appartenenza o qualche benevolo finanziatore. Questi ultimi soggetti diventano così sempre di più, al posto dei lettori, i clienti degli editori, che quindi, come indicato nel titolo del paragrafo, si trasformano in stampatori. Persino i costi della suddetta dignità di stampa delle tesi sono sempre più alla portata economica degli studenti e delle loro famiglie. Diventa così possibile, caduta la suddetta barriera economica all’ingresso, pubblicare libri allo scopo di autolegittimarsi, per avere un titolo da spendere a fini professionali, accademici o di visibilità politico-giornalistica.

Già solo per questo, l’antico prestigio dei libri, descritto sopra, è diminuito nell’opinione pubblica, anche se la caduta delle barriere economiche alla pubblicazione dei testi costituisce di per sé un fatto positivo. La caduta delle barriere all’ingresso consente infatti in teoria al lettore di valutare i volumi che preferisce sia come contenuti sia come forma espositiva. Purtroppo però, rispetto all’era in cui i costi di pubblicazione erano molto elevati e gli editori potevano “fare da filtro”, qualcosa è rimasto esattamente identico. Mi riferisco al tempo che i lettori potenziali possono dedicare a scorrere, consultare, e infine leggere integralmente un determinato volume. Se sono cioè cadute le suddette barriere economiche del costo di pubblicazione, restano le barriere temporali della disponibilità di lettori. Magari alcuni libri vengono anche venduti, o come vedremo regalati dagli stessi autori, senza però che l’acquirente o il donatario abbia il tempo per leggerli. Questo inconveniente è aggravato da un altro molto peggiore, cui è dedicato il paragrafo successivo.



5. Lo scadimento della qualità e gli inutili palliativi

Sul problema della proliferazione di libri senza contenuti, strumentali ad essere spesi come titoli, non sono in proposito emerse modalità alternative di selezione e controllo sociale dei contenuti dei, sostitutive della barriera all’ingresso un tempo rappresentata dai costi editoriali. La stampa cartacea, dopo aver agevolato per secoli la circolazione del pensiero, rischia oggi di ostacolarla, proprio per la prevalenza della quantità rispetto alla qualità, e per paradossale responsabilità del publish or perish. Essa induce a moltiplicare la quantità di scritti, senza essere accompagnata da adeguate possibilità di farne rilevare anche la qualità. Quest’ultima richiede infatti impegno e capacità di distinguere, mentre l’accertamento della quantità si svolge semplicemente “a peso”, ed è quindi estremamente avvantaggiato. Si moltiplicano quindi, comprensibilmente, i libri scritti solo per far vedere di averlo fatto, protesi a fare volume con riempitivi, giri di parole vagamente in tema, esibizioni di erudizione fini a sé stesse, ma fuori contesto. La suddetta editoria sovvenzionata dagli autori finisce per essere la moneta cattiva che scaccia quella buona; le preoccupazioni degli autori di accreditarsi, ad esempio con riferimenti dottrinali o formule di economia matematica, in ristretti gruppi accademici, non fanno infatti alcuna presa sugli interessati al tema nella pubblica opinione. In questo modo si arriva al paradosso di scritti cui non sono interessati neppure i revisori della peer review, spesso effettuata per mera cortesia verso colleghi. L’editoria accademica sugli studi sociali si riduce così ad accessorio della didattica e dei concorsi universitari. Le domande degli editori agli autori si limitano a quanti volumi verranno adottati, cioè fatti comprare agli studenti, oppure acquistati direttamente dal docente coi propri fondi di ricerca o personali. Il controllo di qualità sui prodotti editoriali, per usare il linguaggio ANVUR, si indebolisce in quanto coincide con le stesse comunità accademiche, in un corto circuito di autoreferenzialità. L’esperienza dell’ASN, per quanto ho potuto constatare, conferma che, con i dovuti supporti nella comunità scientifica, questo genere letterario, intriso di fuffa, è pagante. Riprendendo quanto ho scritto a pag. 87 di Studi sociali e diritto, accostando questi scritti a quelli senza senso, è impossibile contestarli nel merito, proprio perché esso manca, o è disperso tra espressioni ambigue, paludate, tortuose e prolisse. La fatica necessaria per smascherare queste esposizioni è molto maggiore non solo a quella necessaria a redigerle, ma anche a quella necessaria a scrivere, in proprio, scritti con un senso compiuto. A che scopo quindi impegnarsi a destrutturare scritti solo apparentemente in tema, quando l’unica ricompensa per averlo fatto sono le antipatie dei relativi redattori e capiscuola? Meglio quindi lasciare che la paccottiglia letteraria si diffonda, alimentata dal preconcetto, derivante dal monismo metodologico indicato sopra, che l’incomprensibilità sia indizio di scientificità. Questi scritti sono ulteriormente legittimati dalla frequente necessità, in materia giuridico-politica, di usare giri di parole vagamente in tema come scorciatoie per gestire situazioni imbarazzanti in cui non ci si raccapezza, o si deve difendere l’indifendibile. I correttivi della classificazione delle riviste e delle peer reviews, per come sono stati concepiti, sono del tutto inadeguati a supportare il mantenimento di una sufficiente qualità, proprio perché anch’essi ispirati al monismo metodologico delle scienze fisiche, senza una riflessione sulla metodologia degli studi sociali. Quest’ultima si basa infatti sulla socializzazione e la rendicontazione, anziché sull’anonimato irresponsabile su cui purtroppo s’è assestata la prassi delle peer reviews. Chi ha avallato la pubblicazione di un determinato scritto dovrebbe infatti essere indicato, a posteriori, in calce al medesimo, sia per valorizzarne l’opera sia come assunzione di responsabilità scientifica. Si tratta di aggiustamenti minimali, tuttavia, rispetto alle possibilità fornite dalle moderne tecnologie, sia in negativo che in positivo. In negativo va formulato il caveat secondo cui ai vecchi ghostwriters potrebbe sostituirsi oggi l’intelligenza artificiale, in grado di produrre in tempo reale contenuti privi di valore anche con migliaia di pagine vagamente in tema su qualsiasi argomento. Fortunatamente però la tecnologia non offre solo problemi, ma anche opportunità, per un circolo virtuoso a vantaggio di una discussione pubblica più approfondita sui vari temi della socialità.


6. Accesso aperto, socialità di redazione e nicchie residue per gli scritti cartacei

Per superare gli inconvenienti di cui ai punti che precedono occorre superare pregiudizi sentimentali nei confronti delle pubblicazioni cartacee, razionalizzandone i limiti, ma prendendo di esse quanto di buono ancora possono dare. Ovviamente i codici e le banche dati cartacee sono obsoleti, superati dalle ricerche per parola consentite in rete. Anche le monografie sulle problematiche tecniche, più consultate a proposito di temi specifici, che lette nella loro interezza, sono più fruibili in PDF, dov’è possibile la ricerca per parola, che sui volumi cartacei; questi ultimi, anzi, che richiedono laboriose ricerche in biblioteca, sono sempre più ignorati a favore dei testi reperibili in PDF. Analoghe considerazioni valgono per commentari ed enciclopedie giuridiche.

Da quanto sopra anche l’inevitabile declino delle riviste cartacee, e un ripensamento sul ruolo delle riviste in generale, comprese quelle telematiche. Rispetto agli scritti monografici, infatti, le riviste hanno da sempre l’handicap di disperdersi su una pluralità di argomenti diversi, uniti solo dal periodo di pubblicazione sul supporto cartaceo. Passando alla rivista telematica, però, permane comunque l’eterogeneità dei contributi pubblicati, dispersi su tematiche differenti. Essendo possibile pubblicare in tempo reale qualsiasi scritto, la periodicità della rivista telematica perde di significato, e diventa, come le suddette antiche barriere all’ingresso dell’editoria cartacea, al massimo una garanzia di qualità per i lettori. Tale garanzia è particolarmente importante davanti all’enorme massa di scritti reperibili in rete sul medesimo tema.

La migliore opportunità offerta dalla pubblicazione in rete è però la facilissima sostituibilità ed integrabilità dei testi pubblicati. Ciò apre spazi per volumi tematici, che partono da un’idea iniziale, e si arricchiscono progressivamente con ulteriori precisazioni e sfumature, anche da parte di autori diversi, secondo la modalità sperimentata da chi scrive dal 2003 al 2015, coi limiti del supporto cartaceo, sulla rivista Dialoghi tributari. La pubblicazione online in accesso aperto consente infatti di lanciare organici temi di discussione, in modo già articolato, facendone un polo di aggregazione per riflessioni tematiche ulteriori, integrazioni con dati sociali, comparazioni spazio-temporali, circostanze sopravvenute, etc. Questi scritti “sociali” sarebbero pienamente compatibili con la certezza della paternità dei contenuti, rilevante sul piano della valutazione della ricerca, dell’originalità e degli altri parametri amministrativi (ANVUR e simili istituzioni). L’open access offre anzi, all’interno delle comunità scientifiche e tra gli interessati all’argomento, un controllo sociale molto superiore ai triti formalismi, commentati al par.5 delle peer reviews anonime. L’accesso aperto consente infatti una peer review generalizzata tra gli interessati al tema. La messa a disposizione preliminare degli scritti a una platea vasta di studiosi, anche indicando il nome dell’autore, consente di esprimere motivate opinioni, anche sulla presenza di divagazioni apparentemente in tema, ma prive di senso compiuto, di cui abbiamo detto al par. 5. Questa socializzazione della trattazione è particolarmente utile su tematiche troppo sfaccettate per essere affrontate proficuamente da un unico autore. Del resto, gli “studi sociali” dovrebbero chiamarsi così non solo per l’oggetto cui si dedicano, ma anche perché frutto di una dialettica tra studiosi che la formazione successiva degli scritti oggi consente. È quindi così possibile valorizzare la comunicazione scritta rispetto ad altre audio-video, più immediatamente fruibili e incisive, ma impossibili da affinare gradatamente nei modi sopra indicati; neppure un maestro di montaggio video potrebbe gestire le continue rielaborazioni e integrazioni oggi agevolmente apportabili a un testo scritto.

Questa continua contestualizzazione, e coordinamento, di spunti e riflessioni, non è incompatibile con una pubblicazione cartacea, che del resto, nelle narrazioni letterarie in senso classico, come poesie e romanzi, non soffre particolari crisi. Quando lo scritto ha raggiunto una fase avanzata di elaborazione, una fluidità espositiva che lo rende gradevole alla lettura, al testo in open access può benissimo affiancarsene uno cartaceo. Non è solo un omaggio alla tradizione secolare dell’editoria, ma una concessione al piacere della lettura, maggiore sul cartaceo, anche secondo le preferenze degli studenti. Poco importa delle vendite, in quanto negli studi sociali non rileva l’acquisto del libro, ma la sua lettura, necessaria a integrare le esposizioni letterarie e mediatico-politiche, correggendone i difetti accennati al par. 2. Visto che nessun pasto è gratis, serve un’editoria in economia, a costi fissi zero, non spinta dal suddetto bisogno degli editori di stampare qualsiasi cosa a pagamento, per tenere in equilibrio i conti. L’importante è affiancare all’aspetto sociale dei contenuti una forma espositiva gradevole, che intercetti il bagaglio culturale degli interlocutori di oggi, e possibilmente di domani.