Scritto da Emanuela Di Rauso • lug 2022
Negli ultimi decenni l’economia ha subito una trasformazione a livello globale: Internet e le nuove tecnologie hanno contribuito al fenomeno della digitalizzazione delle imprese tradizionali nonché all’emersione di nuovi modelli di business. Ciò ha avuto un forte impatto non soltanto sul modo di svolgere l’attività di impresa ma é anche “di riflesso” sulla disciplina fiscale del reddito d’impresa. Per comprendere le cause che stanno portando a ripensare le regole che disciplinano la tassazione dei redditi transnazionali, è necessario fare un passo indietro ed analizzare le caratteristiche peculiari della digital economy che la differenziano dai modelli tradizionali d’impresa. L’avvento di Internet e il rapido sviluppo delle tecnologie digitali hanno rappresentato i fattori di sviluppo dell’Economia mondiale. L’economia digitale è connotata da un alto tasso di mobilità dei profitti e flessibilità, così come emerge altresì dall’analisi dei modelli di business in cui si estrinseca. Proprio in virtù delle caratteristiche peculiari che la contraddistinguono, gli strumenti negoziali tipici della digital economy mal si prestano a rientrare nelle categorie civilistiche “tradizionali”, con conseguenze com’è ovvio anche sul piano fiscale, esasperando i fenomeni di erosione della base imponibile e della diversione dei profitti. Fiscalmente si ha difficoltà sia di determinare il quantum da assoggettare a tassazione sia di individuare il Paese cui spetta l’esercizio del potere impositivo. Le regole che disciplinano la tassazione dei redditi transnazionali poggiano su due principi fondamentali: Il world-wide taxation principle e il source-based taxation principle. Per eliminare i fenomeni di doppia imposizione che potrebbero derivare dalla combinazione dei principi anzidetti, ciascuno Stato attraverso la stipula di accordi con altri Paesi e l’adozione di norme fiscali interne prevede l’esenzione dei redditi di fonte estera ovvero il riconoscimento di un credito d’imposta per le imposte assolte all’estero. Si tratta di un sistema di imposizione “personale”, che fa prevalere la potestà impositiva dello Stato di residenza del contribuente su quella dello Stato della fonte del reddito; allo Stato estero dove è localizzata la fonte del reddito dell’impresa multinazionale, infatti, è riconosciuta una potestà impositiva limitata al reddito attribuibile alla fonte. Come è intuibile, la realtà economica attuale non corrisponde più al modello a cui si ispira il Modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni: l’impianto normativo sull’allocazione delle basi imponibili è inadatto a tassare i redditi prodotti dalle digital companies nel Paese della fonte, qualora manchi un collegamento “fisico” con il territorio di tale Paese che ne giustifichi la pretesa impositiva.
In recent decades the economy has undergone a global transformation: the Internet and new technologies have contributed to the phenomenon of digitalization of traditional businesses as well as the emergence of new business models. This has had a strong impact not only on the way in which business activity is carried out, but also, and "reflexively", on the fiscal discipline of business income. To understand the causes that are leading to a rethink of the rules governing the taxation of transnational income, it is necessary to take a step back and analyze the peculiar characteristics of the digital economy that differentiate it from traditional business models. The advent of the Internet and the rapid development of digital technologies have represented the development factors of the world economy. The digital economy, is characterized by a high rate of mobility of profits, and flexibility as also emerges from the analysis of business models in which it is expressed. Precisely by virtue of the peculiar characteristics that distinguish it, the negotiation tools typical of the digital economy do not lend themselves to fall within the "traditional" civil law categories, with obvious consequences also on the fiscal level, exacerbating the phenomena of erosion of the tax base and the diversion of profits. From a fiscal point of view, it is difficult to determine the amount to be taxed and to identify the country which is responsible for exercising taxation powers. The rules governing the taxation of transnational income are based on two fundamental principles: The world-wide taxation principle and the source-based taxation principle. In order to eliminate the phenomena of double taxation that could arise from the combination of the above principles, each country, through the stipulation of agreements with other countries and the adoption of internal tax regulations, provides for the exemption of income from foreign sources or the recognition of a tax credit for taxes paid abroad. This is a system of "personal" taxation, which gives precedence to the taxing power of the State of residence of the taxpayer over that of the State of the source of the income; the foreign State where the source of the income of the multinational company is located, in fact, has a taxing power limited to the income attributable to the source. As can be seen, the current economic reality no longer corresponds to the model which inspires the OECD Model of the convention against double taxation: the regulatory framework on the allocation of tax bases is unsuitable for taxing the income produced by digital companies in the source country when there is no "physical" connection with the territory of that country which justifies the tax claim.
1.
“Continueremo il nostro lavoro per implementare e sviluppare un sistema fiscale internazionale equo e moderno per accogliere con favore la cooperazione internazionale sulle politiche fiscali favorevoli alla crescita. L'attuazione del pacchetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) è di fondamentale importanza al fine di incoraggiare tutte le giurisdizioni pertinenti per aderire al Framework inclusivo”. Nel novembre 2015, l’OCSE e i leader del G20 ha approvato l'ambizioso piano d'azione sull'erosione delle basi e Profit Shifting (BEPS), il pacchetto BEPS di 15 misure per contrastare l'elusione fiscale. Ad oggi esso è costituito da 116 paesi membri che rappresentano oltre il 95% del PIL mondiale ed è stato progettato per impedire a paesi e aziende di competere sulla base di una mancanza di trasparenza, di localizzazione artificiale del profitto dove c'è poca o nessuna attività economica, e lo sfruttamento di agevolazioni o differenze nei paesi all’interno dei sistemi fiscali. Il progetto BEPS OCSE / G20 è focalizzato sul prevenire la doppia non imposizione senza crearne una doppia tassazione in modo tale da essere considerato il più inclusivo possibile e affinché tutti i paesi e le giurisdizioni possano trarre vantaggio da un approccio multilaterale per contrastare l'elusione fiscale e pratiche fiscali dannose, ripristinando la tassazione al luogo in cui attività economiche e creazione di valore si verificano e colmando le scappatoie fiscali transfrontaliere. È quasi banale a questo punto dire che la globalizzazione ha reso il mondo un luogo più piccolo e interconnesso in cui ciò che accade da un lato del globo ha un impatto in tutto il mondo. L'azione unilaterale è non è più una soluzione pratica efficiente: i membri dell'OCSE / G20 Inclusive Framework si uniscono per sviluppare e mettere in pratica soluzioni collettive, basate sul consenso sulle sfide fiscali che si presentano dalla digitalizzazione dell'economia nel lungo termine, che solo un approccio globale può fornire. Il progetto BEPS OCSE / G20 è la più ambiziosa iniziativa di politica fiscale internazionale multilaterale mai intrapresa. Garantire equità, coerenza, trasparenza per allineare la tassazione verso il luogo in cui l'attività economica effettivamente si svolge, dove quindi vi è la creazione di valore, richiede uno sforzo enorme e impegno. Il lavoro per trasformare queste ambizioni in realtà è iniziato e sta già avendo un importante impatto, ma un cambiamento ancora più profondo è in corso. Il Base Erosion and Profit Shifting (o BEPS) si riferisce a strategie di pianificazione fiscale che sfruttano le lacune e i disallineamenti nelle norme fiscali per spostare artificialmente i profitti in giurisdizioni a bassa o nessuna tassazione dove vi è poca o nessuna attività economica (cioè nessuna sostanza economica). Le pratiche BEPS minano l'equità, l'integrità e la fiducia nel sistema fiscale nel suo insieme, consentendo alle imprese che operano a livello transfrontaliero, di poter utilizzare questi divari e disallineamenti per ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle imprese che operano solo a livello nazionale, il rispetto. Il piano d'azione BEPS ha identificato 15 elementi di azione ritenute fondamentali per raggiungere concretamente le finalità del progetto BEPS riassunte,per quanto riguarda le azioni da 2 a 14, nei seguenti tre pilastri fondamentali: (1) dare coerenza alle regole fiscali nazionali che interessano attività transfrontaliere; (2) rafforzare i requisiti sostanziali sulla base di standard internazionali esistenti in modo che la tassazione avvenga dove si svolgono le attività economiche e dove si trova il valore creato; e (3) migliorare la trasparenza, lo scambio di informazioni e la certezza del diritto per le imprese e per i governi. Le misure BEPS partono dall’analisi29 di nuovi standard minimi ad una revisione degli standard internazionali preesistenti, verso approcci comuni che faciliteranno la convergenza delle norme nazionali in riferimento alle linee guida: standard preesistenti sono stati aggiornati, in particolare sui trattati fiscali, sui prezzi di trasferimento, in materia di informativa obbligatoria e verso le iniziative e regole delle società estere controllate (CFC). In altre aree come l'azione 11, l'attenzione è posta analizzare e misurare tali risultati. La base su cui poggiano i tre pilastri è rappresentata dall’azione 1 e 15, di carattere trasversale, che completano la strategia, affrontando rispettivamente il tema dell’economia digitale e della necessità di impiegare uno strumento convenzionale di tipo multilaterale. La relazione riguardante l’azione 1 afferma che l’economia digitale non può essere circoscritta e separata dal resto dell’economia, poiché la rappresenta in misura sempre maggiore. Le caratteristiche dell’economia digitale devono essere analizzate e implementate per costituire i presupposti dell’imposizione e della ripartizione tra le varie giurisdizioni: date le divergenze tra il luogo in cui avviene la creazione di valore(vendite di beni e servizi digitali) e dove avviene la tassazione del reddito, è necessario sviluppare forme e metodologie di imposizione che prescindano dalla presenza di una taxable presence (stabile organizzazione e concetto di nesso) e che si basino su concetti di stabili organizzazioni virtuali, utilizzando ai fini del riscontro, l’esistenza di requisiti, parametri e fattori qualificanti ulteriori o divergenti rispetto a quelli tradizionali, non adatti a intercettare e sottoporre a tassazione interamente i redditi delle multinazionali. L’azione 15 si prefigge di sviluppare uno strumento multilaterale per modificare accordi e regole ritenute non adeguate, con l’obiettivo di velocizzare e semplificare la realizzazione di misure efficaci e tempestive per affrontare fenomeni di elusione fiscale. A questo punto è possibile analizzare singolarmente le azioni (2-14) che completano il pacchetto BEPS all’interno dei tre pilastri citati precedentemente. Il primo pilastro, incentrato su una maggiore coerenza delle regole per incoraggiare le multinazionali ad adottare strutture trasparenti che porterebbero risultati fiscali in linea con la creazione di valore, è costituito dall’azione 2 il cui obiettivo è quello di contrastare tutte quelle pratiche e strategie volte a sfruttare le asimmetrie tra i diversi regimi fiscali nazionali(hybrid mismatch) al fine di determinare situazioni di vantaggio indebito: si tratta delle cosiddette “doppie non imposizioni”, deduzioni multiple in riferimento a medesime spese in paesi in cui le imposte non sono mai state corrisposte, differimenti a lungo termine del pagamento di tali imposte e l’utilizzo di “branch missmatch”, accordi di disallineamento delle filiali che offrono alle multinazionali opportunità per ridurre il loro carico fiscale complessivo attraverso una ripartizione di reddito e spese tra filiale e sede centrale,sfruttando le differenze nelle norme che disciplinano i pagamenti tra due giurisdizioni, sollevando così gli stessi problemi dei disallineamenti ibridi in termini di concorrenza, trasparenza, efficienza e equità; l’azione 3 il cui scopo è quello di dare una definizione chiara delle norme che disciplinano le controllate estere(CFC rules, controller foreign company),il concetto di controllo, delle caratteristiche e dei requisiti delle stesse: in questo senso l’OCSE detta raccomandazioni per evitare lo spostamento fittizio di redditi verso tali società che, risiedendo in paesi a fiscalità privilegiata, godono di agevolazioni e benefici, introducendo una tassa sugli utili in eccesso per le CFC, che garantisce un livello minimo effettivo di tassazione per le multinazionali con sede in quella giurisdizione; l’azione 4 il cui focus riguarda quello di limitare l’erosione della base imponibile derivante da deduzioni di interessi e costi relativi a finanziamenti di gruppi di multinazionali, attraverso l’applicazione di soglie precise per evitare l’utilizzo improprio di benefici fiscali originati da posizioni di indebitamento: gli Stati membri dell'UE hanno concordato ad adottare un limite per gli oneri finanziari deducibili (quote di interesse relative all’importo del debito complessivo) al 30 per cento dei guadagni del contribuente su interessi, imposte, svalutazioni e ammortamenti (EBITDA); e l’azione 5 che prevede una vera e propria ristrutturazione del progetto sulle politiche fiscali dannose, promotrice di una maggiore trasparenza in termini di sostanza(contenuto e effettività) delle operazioni, implementando a livello comunitario metodologie condivise per stabilire standard minimi da rispettare(basati sull’allineamento tra la creazione di valore e l’imposizione da applicare) e sviluppando un sistema di scambio obbligatorio delle informazioni tra paesi in merito alle decisioni sui regimi agevolati e le procedure ad essi collegate(ruling fiscali e identificazione dei regimi fiscali) per fornire alle amministrazioni fiscali valutazioni corrette sui rischi. Il secondo pilastro, focalizzato sui profili sostanziali del pacchetto BEPS, è costituito dalle seguenti azioni: l’azione 6 che previene alla concessione di benefici impropri attraverso clausole antiabuso e standard mini determinati dalle convenzioni contro le doppie imposizioni: tutto ciò per evitare il “treaty shopping”, ovvero il comportamento di un soggetto non residente che si appropria di benefici fiscali stipulati all’interno di trattati per i residenti, limitando la diffusione di società fittizie o shell companies, inesistenti sotto il profilo sostanziale; l’azione 7 che ridisegna e amplia l’importante concetto di stabile organizzazione, tenendo conto delle nuove e diverse dinamiche di mercato: vengono resi inefficaci i “commissionaire arrangements”, le strategie di frammentazione di attività commerciali tra imprese strettamente collegate e evitare che possano essere considerati indipendenti gli agenti che detengono in modo continuativo il potere di concludere affari in nome di un’impresa straniera. Le azioni dalla 8 alla 10 si basano sulle politiche di transfer pricing (allineamento dei prezzi di trasferimento con la creazione di valore), ovvero quelle tendenze da parte delle multinazionali di far emergere profitti dove è possibile godere di vantaggi fiscali, indipendentemente dal luogo dove l’impresa esercita la propria attività. Sotto questo punto di vista, le linee guida esistenti ispirate al principio del prezzo di mercato non risultano adeguate e sono soggette a manipolazioni: è necessario correggerle al fine di integrare le disposizioni esistenti. In particolare, l’azione 8 guarda il tema del transfer pricing in merito alle transazione di beni immateriali, mobili e di difficile valutazione; l’azione 9 interessa invece la ripartizione dei rischi(allocazione contrattuale dei rischi) in base alla capacità dell’impresa di supportare il processo strategico, prendendo decisioni di risk taking e risk management, la possibilità di esercitare un controllo e quindi incidere sull’entità del rischio stesso e far fronte alle criticità ricorrendo a risorse proprie; mentre l’azione 10 concentra la propria attenzione sempre sul rischio e in particolare su quelle aree in cui la base imponibile è minacciata, ai fini dell’erosione, da strategie aggressive finalizzate a incrementare i costi di gestione, deducibili, in maniera spropositata e ingiustificata rispetto alla loro dimensione reale. Il rapporto combinato contiene quindi una guida che risponde a questi problemi e garantisce che le regole sui prezzi di trasferimento siano coerenti con i risultati che meglio allineano i profitti operativi con le attività economiche che li ha generati. Contiene inoltre indicazioni sulle transazioni che coinvolgono transazioni transfrontaliere su merci e servizi infragruppo a basso valore aggiunto. Infine, all’interno del terzo e ultimo pilastro, il cui obiettivo è quello di garantire trasparenza e certezza del diritto, vi sono: l’azione 11, di misurazione del pacchetto BEPS e delle dimensioni del fenomeno in generale, attraverso l’uso di indicatori e l’ analisi di dati per monitorare la sua evoluzione nel lungo periodo e verificare l’efficacia delle strategie adottate: tale rapporto fornisce una guida affinché i policymakers possano stimare l’impatto e gli effetti delle diverse azioni e misure adottate a livello nazionale; il set di statistiche sulle imposte sulle società riunirà, in formato coerente a livello internazionale, una serie di dati rilevanti per l'analisi di BEPS in grado di fornire nuove proposte in materia di tassazione delle imprese e incentivi che i sistemi fiscali creano per le imprese. Migliorare la qualità delle informazioni disponibili sull'imposta sulle società rappresenta un passaggio fondamentale verso il miglioramento della qualità e dell'accuratezza degli sforzi del quadro inclusivo dell'OCSE / G20 per misurare e monitorare il BEPS e l'impatto dell’intero pacchetto. Per far ciò, è necessario analizzare tre categorie principali di dati: dati sui ricavi (data on tax revenues), sulle aliquote fiscali (data on tax rates) e sugli incentivi fiscali (data on tax incentives), comportando una serie di dati aggregati strumentali alla creazione di rapporti CBC (country by country). Gli indicatori delle entrate fiscali delle società riguarda il livello delle entrate fiscali delle società in valuta locale, il gettito fiscale aziendale30 in percentuale del PIL, e i ricavi generati dall’ imposta sulle società come percentuale del gettito fiscale totale; tra i nuovi dati corrispondenti alla Corporate Income Tax (data on tax rates), le aliquote fiscali effettive tengono conto della base imponibile definita in base alle disposizioni specifiche del paese in materia di imposta sulle società, come regole di ammortamento fiscale, limitazione della detrazione degli interessi, crediti d'imposta sugli investimenti, incentivi fiscali per la R&S e altre disposizioni come, ad esempio, il consolidamento del regime fiscale a livello infragruppo. Come parte di questo lavoro, vengono introdotte in fase di calcolo le aliquote fiscali marginali effettive (EMTR) e le aliquote fiscali medie effettive (EATR). Le EMTR quantificano la misura in cui la tassazione aumenta il tasso di rendimento ante imposte richiesto dagli investitori, influenzando l'incentivo ad espandere gli investimenti; le EATR misurano l'effetto della tassazione sugli investimenti di progetti che guadagnano rendite economiche, in grado di effettuare una valutazione complessiva sulle decisioni in merito alla scelta tecnologica adottata dal modello organizzativo di un'azienda. In questo modo, le aliquote fiscali effettive risultano essere una misura accurata degli effetti del sistema fiscale sugli incentivi verso gli investimenti che consentono il cross-country e quindi confronti riguardo analisi di settori specifici o tipi di attività. Lo sviluppo di questi nuovi dati e della ricerca empirica consentirà, nel tempo, di controllare sempre meglio i cambiamenti nella base imponibile delle società, migliorando così gli studi macroeconomici relativi al BEPS; per quanto riguarda gli indicatori sugli incentivi fiscali per la R&S implicite aliquote di sovvenzione fiscale sulle spese di ricerca e sviluppo - misurare il livello nazionale di sostegno fiscale per unità aggiuntive di R&S a verso imprese con determinate caratteristiche risulta essere importante sotto questo punto di vista: le diverse tipologie di regimi di sostegno fiscale applicano crediti d'imposta , ritenute alla fonte, contributi previdenziali e ammortamento accelerato verso i beni capitali utilizzati per la R&S. Le variabili che influiscono su tale tipo di indicatore riguardano le dimensioni e la redditività dell’impresa distinguendo: azienda grande e redditizia, PMI redditizia, impresa in perdita, e PMI in perdita. La seconda serie di indicatori di incentivi fiscali per la R&S riflette le spese fiscali per la R&S delle imprese. Queste stime di costo degli incentivi fiscali per la R&S forniscono un quadro più completo degli sforzi del governo per promuovere la R&S aziendale: la segnalazione di tale sostegno fiscale può facilitare la trasparenza nei confronti del sostegno pubblico all'innovazione. L'ultima serie di indicatori su tale set di informazioni si riferisce a Regimi di proprietà intellettuale (PI). Molte giurisdizioni hanno implementato regimi di PI che consentono entrate per via dello sfruttamento della PI tassato a un'aliquota inferiore all’aliquota dell'imposta legale sulle società principali: sono in corso revisioni per identificare le caratteristiche di tali regimi che possono facilitare pratiche BEPS, di impatto non equo nei confronti della base imponibile di altre giurisdizioni. L'FHTP (The Forum on Harmful Tax Practice) raccoglie le informazioni dettagliate e le risorse qualificanti necessarie per queste revisioni e riporterà tali sui tassi da applicare sui regimi PI. Infine, per completare l’analisi degli indicatori propedeutici e strumentali all’applicazione dell’azione 11, la raccolta e l’analisi delle statistiche menzionate in precedenza costituisce la base dei CBCR fornendo ai governi una visione più completa e specifica sulle caratteristiche e rischi delle più grandi attività globali delle multinazionali e per migliorare l'analisi economica e statistica dell’intero pacchetto BEPS. Fino ad allora, una delle maggiori difficoltà nella misurazione e l'analisi di BEPS è stata la mancanza di dati disponibili sul reddito, sulle tasse e sull'attività imprenditoriale delle multinazionali in base alla giurisdizione in cui operavano. Come evidenziato dal rapporto dell'azione 11, è stato intrapreso un lavoro continuo volto ad aggiornare gli indicatori BEPS ed analizzare nuovi dati per fornire una linea di base rispetto alla quale le valutazioni delle azioni BEPS possono essere confrontate prima a livello nazionale e poi internazionale. Diversi paesi stanno valutando l'introduzione di regole basate sull'azione 12, basata sull’ implementazione di regole di divulgazione( disclosure) obbligatorie per quanto riguarda i fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva da parte dei contribuenti: l'OCSE ha rilasciato un modello di informativa obbligatoria(Common Reporting Standard (CRS)) per fornire alle amministrazioni finanziarie dei vari paesi una struttura, modulabile in base alle varie specifiche esigenze, finalizzata alla raccolta tempestiva di informazioni utili all’identificazione di fenomeni, la loro analisi, il loro riscontro e l’individuazione di azioni di contrasto. Obbligati a fornire e dichiarare informazioni alle relative autorità di qualsiasi disposizione che progettano e commercializzano sono i vari promotori e fornitori di servizi, quali avvocati, commercialisti, consulenti finanziari e banche. Tale modello quindi consente alle giurisdizioni di ottenere in anticipo informazioni sugli adempimenti fiscali e sui rischi di policy sollevati dalla pianificazione fiscale aggressiva: l'azione 12 cerca di bilanciare la necessità di informazioni tempestive nei confronti di schemi di pianificazione fiscale aggressiva, con la necessità che l’applicazione di tali requisiti di divulgazione siano adeguatamente mirati, ad evitare una dichiarazione eccessiva o il posizionamento indebito di oneri di conformità per i contribuenti. La segnalazione e lo scambio automatico di operazioni finanziare è diventata una realtà in oltre 100 giurisdizioni e molti contribuenti che detenevano attività finanziarie non dichiarate (offshore) sono stati sanzionati dalle autorità fiscali portando all'identificazione di circa 85 miliardi di euro di entrate fiscali aggiuntive. Non mancano però individui che, con l'aiuto di consulenti e intermediari finanziari, continuano a provare a nascondere le proprie risorse offshore violando il sistema di reportistica CRS. Le nuove regole del modello forniscono uno strumento efficace per indirizzare questi soggetti e i loro consulenti, introducendo un obbligo su un'ampia gamma di intermediari nelle giurisdizioni che adottano pratiche in grado di aggirare la segnalazione CRS o finalizzate ad occultare i beneficiari effettivi di veicoli offshore passivi. L’azione 13 riguarda l’integrazione e il coordinamento verso un più ampio e articolato sistema di documentazione richiesta alle multinazionali in materia di transfer pricing: devono essere individuati standard minimi affinché i singoli contribuenti dichiarino le imposte da loro pagate, semplificando i compiti di controllo, segnalazione e monitoraggio delle amministrazioni dei paesi coinvolti, in quelle aree ritenute a rischio elusione. E’ prevista quindi l’implementazione di un master file, disponibile per tutte le amministrazioni competenti, di un local file, specifico per ogni paese, che richiede documentazioni dettagliate in merito ai trasferimenti transazionali e ai prezzi imposti, identificando operazioni rilevanti con parti correlate, gli importi coinvolti in tali operazioni e l'analisi della società sulle determinazioni dei prezzi di trasferimento che hanno effettuato; e di un rapporto country by country, strumento attraverso il quale le multinazionali sono tenute a fornire annualmente e separatamente per ogni giurisdizione in cui operano, informazioni sui redditi, sulle tasse pagate e su altre tipologie di indicatori prestabiliti. Tale modello prevede quindi un nuovo livello di informazione sulle operazioni globali dei gruppi multinazionali includendo dati qualitativi e quantitativi di parti correlate e non, l’entità di profitti ante imposta di e imposte sul reddito pagate e maturate, come così come il capitale dichiarato, i guadagni accumulati, e il numero dei dipendenti e dei beni immateriali, sempre suddivisi per Giurisdizione. Questo progetto risulta essere particolarmente utile per i paesi in via di sviluppo che potranno migliorare la valutazione dei rischi sui prezzi di trasferimento imposti da alcune multinazionali nella loro giurisdizione comportando, a livello internazionale un'allocazione più efficiente di risorse(mutua assistenza sulla rendicontazione amministrativa in campo fiscale).(Cfr. Servizio del bilancio del senato(Ottobre 2015 ), “Il progetto Base Erosion and Profit Shifting” XVII legislatura Nota breve n 13 e OECD/G20 (July 2018 – May 2019),” Inclusive Framework on BEPS Progress report”). Infine, l’azione 14 attiene alla risoluzione delle controversie (riconoscendo l'importanza di eliminare la doppia imposizione come ostacolo alle tecniche di commercio e investimento transfrontaliero), attraverso lo sviluppo di meccanismi più efficaci introdotti dal pacchetto BEPS. Tali modifiche possono determinare elementi di incertezza nel breve periodo, mentre sono considerate idonee nel lungo periodo per produrre stime e fronteggiare tali criticità: a tal fine sono state identificate 12 best practices, di promozione del rapporto tra contribuente e amministrazioni fiscali, basati su fiducia e collaborazione, orientato ad aumentare il tasso di adempimento spontaneo e prevenire il contenzioso, alle quali fare riferimento che valutano il quadro giuridico e amministrativo di una giurisdizione nelle seguenti quattro aree chiave: prevenzione delle controversie; disponibilità e accesso al MAP(mutual agreement procedure); risoluzione dei casi; attuazione degli accordi. Tutti i membri del Framework inclusivo sul BEPS si impegnano nell'attuazione dello standard minimo dell'Azione 14 che include la pubblicazione dei loro profili MAP in base a un modello concordato e trasparente (implementato da un totale di 72 giurisdizioni): tale dovrebbe fornire informazioni e altri dati utili alle autorità competente, al fine di effettuare verifiche e eventualmente correzioni. Le principali problematiche finora individuate riguardano: l’inadeguatezza di una considerevole parte dei trattati fiscali che devono essere modificati e migliorati e la risoluzione delle criticità, soprattutto per i casi di transfer pricing, in periodi troppo lunghi (24 mesi nella media) a causa di differenze giurisdizionali. Gli aspetti positivi riguardano una limitata e giusta concessione di accesso al MAP nei casi ammissibili, e l’applicazione di soluzioni chiare, disponibili, adeguate e pragmatiche in grado di contrastare gli APA (advance pricing arrangements) bilaterali, approcci amministrativi che tentano di impedire il sorgere di controversie sui prezzi di trasferimento determinando i criteri per l'applicazione del principio di libera concorrenza alle transazioni prima che tali abbiano luogo. Ciò contrasta con le tradizionali tecniche di revisione il cui obiettivo è esaminare se le operazioni che hanno già avuto luogo, riflettono l'applicazione del principio di libera concorrenza. Di difficile interpretazione è verificare l’esistenza di un accordo reciproco bilaterale: è necessario analizzare l'intero processo MAP-APA, a partire dalle riunioni di pre-deposito, per passare al deposito di una proposta, alla sua valutazione da parte delle autorità fiscali, alla discussione e conclusione del mutuo accordo, all'attuazione di tale e, infine, il monitoraggio e l'eventuale rinnovo. Sebbene l'obiettivo del progetto sia fornire orientamenti alle autorità fiscali, viene colta l'opportunità di discutere in che modo il contribuente possa contribuire al meglio al processo. Per riassumere, l’obiettivo del Pacchetto si sostanzia nel fronteggiare la necessità di assicurare che l’imposta dovuta dalle multinazionali sul territorio europeo sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati. A tal fine il Pacchetto mira a ristabilire la fiducia nell’equità dei sistemi fiscali e consentire ai governi di esercitare effettivamente la loro sovranità fiscale. Per fare ciò, alla luce delle differenze esistenti tra i sistemi fiscali di ciascuno Stato, si è ritenuto necessario fornire delle soluzioni sufficientemente ampie e generali in modo che i singoli ordinamenti possano adattarle efficacemente alla propria normativa fiscale. È stato notato come “il pacchetto di proposte contiene misure giuridicamente vincolanti idonee a “bloccare” i metodi più comuni utilizzati per eludere il Fisco: una Raccomandazione agli Stati Membri su come evitare gli abusi dei trattati fiscali, una proposta finalizzata alla condivisione, da parte degli Stati Membri, delle informazioni di natura fiscale sulle multinazionali che operano nell’UE, indicazioni ai fini della promozione di una buona tax governance a livello internazionale, linee guida per la costituzione di un elenco di Paesi terzi che non si adeguano alle norme sulla trasparenza. Affinché le normative antielusione si rivelino efficienti è necessario che queste si estendano oltre i confini dell’UE: l’elusione fiscale e la concorrenza sono problemi che necessitano di soluzioni globali. È importante che l’UE coinvolga anche i suoi partners internazionali, così da creare una rete di buona governance per la lotta sovranazionale all’elusione fiscale. L’adozione di un approccio comune, fondato su norme internazionali che garantiscano una tassazione effettiva, appare in tal modo imprescindibile”. Attualmente sono 128 i paesi che hanno aderito al pacchetto BEPS, un progetto volto a eliminare i conflitti tra regimi fiscali (e quindi anche la doppia imposizione), a prevenire e risolvere le controversie tra i vari paesi, creando un contesto di “level playing field” in cui le condizioni di equità, trasparenza, inclusività sono alla base di questo progetto: tutto ciò al fine di garantire uniformità di regole e la possibilità di raggiungere gli obiettivi che si erano prefissati. Per far ciò è necessario che tutte le multinazionali paghino le tasse nel luogo in cui le attività che le hanno generate sono realizzate e i profitti maturati, riallineando “the location of the profit” con la “value creation” ed evitando che le multinazionali in via di sviluppo, più esposte alle imposte sul reddito delle società, ne paghino le conseguenze, creando gap concorrenziali difficili da colmare. La grande sfida di oggi riguarda quindi la tassazione e la digitalizzazione: dal 2015, anno dell’accordo sulla definizione dell’action 1 report (everything is digitalising) , ad oggi, sono molte le proposte sulla digitalizzazione dell’economia31: il Pillar 1 definisce una nuova concezione di nesso su come iniziare a tassare un’impresa digitale in base alle caratteristiche di tale economia e su come effettuare stime quantitative sull’allocazione dei profitti all’interno dei mercati; il Pillar 2 che riguarda l’attuazione di una tassa minima(aliquota minima effettiva) proteggendo le singole multinazionali da pratiche dannose di profit shifting verso giurisdizioni a bassa o nulla tassazione. Esiste quindi un impegno dei vari paesi per sviluppare un programma di lavoro entro la fine del 2020 in grado di guidare l’intera economia verso un rinnovamento globale riguardo le regole sulla tassazione internazionale. Alcune delle misure del pacchetto saranno di immediata applicazione (transfer pricing) mentre altre richiederanno una revisione delle normative nazionali (verifica della compliance) e dei trattati fiscali bilaterali: il rapporto chiarisce che la fiscalità resta un ambito di sovranità nazionale con, tuttavia, l’obbligo di non alterare la competitività del mercato comune (attraverso tax deals tra multinazionali) e ponendo un limite all’implementazione differenziata, evidenziando la necessità di eseguire un’azione condivisa e comune.
2.
Per Base Erosion and Profit Shifting si intende “l’insieme di strategie di natura fiscale che alcune imprese attuano per erodere la base imponibile e dunque sottrarre imposte al fisco1; la traslazione dei profitti da paesi ad alta imposizione verso quelli a tassazione nulla o ridotta risulta essere una strategia che comporta l’erosione della base imponibile”. Tali pratiche fiscali aggressive possono essere attuate in un contesti con alti tassi di innovazione, digitalizzazione e globalizzazione, dalla rigidità dei sistemi fiscali contrapposti ad una flessibilità di trasferimento dei redditi di impresa, dalla possibilità di separare la base imponibile dalle attività che la generano, dall’assenza di coordinamento tra paesi, dalla presenza di differenze in termini di asimmetrie informative dei regimi fiscali nazionali dovuti a trattamenti difformi delle componenti di bilancio dell’impresa(interessi e dividendi su tutte) e l’assenza di criteri di valutazione equi, omogenei e conformi alle voci reddituali relative alle transazioni. Il progetto BEPS risulta essere un pacchetto di misure per definire una riforma delle regole fiscali internazionali completa, coerente e coordinata i cui risultati sono di supporto per i governi, finalizzati a fronteggiare le lacune dei regimi fiscali e in particolar modo il tema relativo ai profitti aziendali, in grado di sfuggire all’imposizione oppure essere traslati, indipendentemente dall’origine effettiva della creazione di valore dell’attività economica, in contesti nazionali con agevolazioni fiscali. Esso costituisce la prima sostanziale e ambiziosa riforma riguardante le regole fiscali internazionali da quando queste sono state introdotte, con l’obiettivo di rendere inefficaci tali strategie poste da imprese che sfruttano regole non adeguate a tale contest in cui vige uno scarso coordinamento tra i diversi ordinamenti fiscali nazionali, limitando quindi la riduzione del gettito fiscale. Secondo l’analisi e le stime dell’OCSE, il BEPS sottrae ingenti risorse alle economie nazionali verso la possibilità di impiegarle per sostenere la crescita, contribuire verso i piani di consolidamento post crisi, migliorare le politiche di welfare e delle economie in via di sviluppo, tutto al fine di creare sistemi fiscali più equi, riducendo casi di doppia imposizione e limitando distorsioni fiscali. L’importo delle perdite in termine di gettito è stimato dall’OCSE in un range compreso tra i 100 e i 240 miliardi di euro l’anno che costituiscono dal 4 al 10 % del gettito globale complessivo relativo all’imposizione societaria. Tali pratiche elusive hanno effetti e distorsioni anche sulla fiducia dei sistemi fiscali, verso scelte di investimento che si basano su strategie fiscali aggressive e non su ragioni economiche produttive, alterano le dinamiche di mercato creando vantaggi competitivi per le imprese multinazionali a danno delle piccolo-medio imprese.
2.1.
“Continueremo il nostro lavoro per implementare e sviluppare un sistema fiscale internazionale equo e moderno per accogliere con favore la cooperazione internazionale sulle politiche fiscali favorevoli alla crescita. L'attuazione del pacchetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) è di fondamentale importanza al fine di incoraggiare tutte le giurisdizioni pertinenti per aderire al Framework inclusivo”. Nel novembre 2015, l’OCSE e i leader del G20 ha approvato l'ambizioso piano d'azione sull'erosione delle basi e Profit Shifting (BEPS), il pacchetto BEPS di 15 misure per contrastare l'elusione fiscale. Ad oggi esso è costituito da 116 paesi membri che rappresentano oltre il 95% del PIL mondiale ed è stato progettato per impedire a paesi e aziende di competere sulla base di una mancanza di trasparenza, di localizzazione artificiale del profitto dove c'è poca o nessuna attività economica, e lo sfruttamento di agevolazioni o differenze nei paesi all’interno dei sistemi fiscali. Il progetto BEPS OCSE / G20 è focalizzato sul prevenire la doppia non imposizione senza crearne una doppia tassazione in modo tale da essere considerato il più inclusivo possibile e affinché tutti i paesi e le giurisdizioni possano trarre vantaggio da un approccio multilaterale per contrastare l'elusione fiscale e pratiche fiscali dannose, ripristinando la tassazione al luogo in cui attività economiche e creazione di valore si verificano e colmando le scappatoie fiscali transfrontaliere. È quasi banale a questo punto dire che la globalizzazione ha reso il mondo un luogo più piccolo e interconnesso in cui ciò che accade da un lato del globo ha un impatto in tutto il mondo. L'azione unilaterale è non è più una soluzione pratica efficiente: i membri dell'OCSE / G20 Inclusive Framework si uniscono per sviluppare e mettere in pratica soluzioni collettive, basate sul consenso sulle sfide fiscali che si presentano dalla digitalizzazione dell'economia nel lungo termine, che solo un approccio globale può fornire. Il progetto BEPS OCSE / G20 è la più ambiziosa iniziativa di politica fiscale internazionale multilaterale mai intrapresa. Garantire equità, coerenza, trasparenza per allineare la tassazione verso il luogo in cui l'attività economica effettivamente si svolge, dove quindi vi è la creazione di valore, richiede uno sforzo enorme e impegno. Il lavoro per trasformare queste ambizioni in realtà è iniziato e sta già avendo un importante impatto, ma un cambiamento ancora più profondo è in corso. Il Base Erosion and Profit Shifting (o BEPS) si riferisce a strategie di pianificazione fiscale che sfruttano le lacune e i disallineamenti nelle norme fiscali per spostare artificialmente i profitti in giurisdizioni a bassa o nessuna tassazione dove vi è poca o nessuna attività economica (cioè nessuna sostanza economica). Le pratiche BEPS minano l'equità, l'integrità e la fiducia nel sistema fiscale nel suo insieme, consentendo alle imprese che operano a livello transfrontaliero, di poter utilizzare questi divari e disallineamenti per ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle imprese che operano solo a livello nazionale, il rispetto. Il piano d'azione BEPS ha identificato 15 elementi di azione ritenute fondamentali per raggiungere concretamente le finalità del progetto BEPS riassunte,per quanto riguarda le azioni da 2 a 14, nei seguenti tre pilastri fondamentali: (1) dare coerenza alle regole fiscali nazionali che interessano attività transfrontaliere; (2) rafforzare i requisiti sostanziali sulla base di standard internazionali esistenti in modo che la tassazione avvenga dove si svolgono le attività economiche e dove si trova il valore creato; e (3) migliorare la trasparenza, lo scambio di informazioni e la certezza del diritto per le imprese e per i governi. Le misure BEPS partono dall’analisi2 di nuovi standard minimi ad una revisione degli standard internazionali preesistenti, verso approcci comuni
che faciliteranno la convergenza delle norme nazionali in riferimento alle linee guida: standard preesistenti sono stati aggiornati, in particolare sui trattati fiscali, sui prezzi di trasferimento, in materia di informativa obbligatoria e verso le iniziative e regole delle società estere controllate (CFC). In altre aree come l'azione 11, l'attenzione è posta analizzare e misurare tali risultati. La base su cui poggiano i tre pilastri è rappresentata dall’azione 1 e 15, di carattere trasversale, che completano la strategia, affrontando rispettivamente il tema dell’economia digitale e della necessità di impiegare uno strumento convenzionale di tipo multilaterale. La relazione riguardante l’azione 1 afferma che l’economia digitale non può essere circoscritta e separata dal resto dell’economia, poiché la rappresenta in misura sempre maggiore. Le caratteristiche dell’economia digitale devono essere analizzate e implementate per costituire i presupposti dell’imposizione e della ripartizione tra le varie giurisdizioni: date le divergenze tra il luogo in cui avviene la creazione di valore(vendite di beni e servizi digitali) e dove avviene la tassazione del reddito, è necessario sviluppare forme e metodologie di imposizione che prescindano dalla presenza di una taxable presence (stabile organizzazione e concetto di nesso) e che si basino su concetti di stabili organizzazioni virtuali, utilizzando ai fini del riscontro, l’esistenza di requisiti, parametri e fattori qualificanti ulteriori o divergenti rispetto a quelli tradizionali, non adatti a intercettare e sottoporre a tassazione interamente i redditi delle multinazionali. L’azione 15 si prefigge di sviluppare uno strumento multilaterale per modificare accordi e regole ritenute non adeguate, con l’obiettivo di velocizzare e semplificare la realizzazione di misure efficaci e tempestive per affrontare fenomeni di elusione fiscale. A questo punto è possibile analizzare singolarmente le azioni (2-14) che completano il pacchetto BEPS all’interno dei tre pilastri citati precedentemente. Il primo pilastro, incentrato su una maggiore coerenza delle regole per incoraggiare le multinazionali ad adottare strutture trasparenti che porterebbero risultati fiscali in linea con la creazione di valore, è costituito dall’azione 2 il cui obiettivo è quello di contrastare tutte quelle pratiche e strategie volte a sfruttare le asimmetrie tra i diversi regimi fiscali nazionali(hybrid mismatch) al fine di determinare situazioni di vantaggio indebito: si tratta delle cosiddette “doppie non imposizioni”, deduzioni multiple in riferimento a medesime spese in paesi in cui le imposte non sono mai state corrisposte, differimenti a lungo termine del pagamento di tali imposte e l’utilizzo di “branch missmatch”, accordi di disallineamento delle filiali che offrono alle multinazionali opportunità per ridurre il loro carico fiscale complessivo attraverso una ripartizione di reddito e spese tra filiale e sede centrale,sfruttando le differenze nelle norme che disciplinano i pagamenti tra due giurisdizioni, sollevando così gli stessi problemi dei disallineamenti ibridi in termini di concorrenza, trasparenza, efficienza e equità; l’azione 3 il cui scopo è quello di dare una definizione chiara delle norme che disciplinano le controllate estere(CFC rules, controller foreign company), il concetto di controllo, delle caratteristiche e dei requisiti delle stesse: in questo senso l’OCSE detta raccomandazioni per evitare lo spostamento fittizio di redditi verso tali società che, risiedendo in paesi a fiscalità privilegiata, godono di agevolazioni e benefici, introducendo una tassa sugli utili in eccesso per le CFC, che garantisce un livello minimo effettivo di tassazione per le multinazionali con sede in quella giurisdizione; l’azione 4 il cui focus riguarda quello di limitare l’erosione della base imponibile derivante da deduzioni di interessi e costi relativi a finanziamenti di gruppi di multinazionali, attraverso l’applicazione di soglie precise per evitare l’utilizzo improprio di benefici fiscali originati da posizioni di indebitamento: gli Stati membri dell'UE hanno concordato ad adottare un limite per gli oneri finanziari deducibili (quote di interesse relative all’importo del debito complessivo) al 30 per cento dei guadagni del contribuente su interessi, imposte, svalutazioni e ammortamenti (EBITDA); e l’azione 5 che prevede una vera e propria ristrutturazione del progetto sulle politiche fiscali dannose, promotrice di una maggiore trasparenza in termini di sostanza(contenuto e effettività) delle operazioni, implementando a livello comunitario metodologie condivise per stabilire standard minimi da rispettare(basati sull’allineamento tra la creazione di valore e l’imposizione da applicare) e sviluppando un sistema di scambio obbligatorio delle informazioni tra paesi in merito alle decisioni sui regimi agevolati e le procedure ad essi collegate(ruling fiscali e identificazione dei regimi fiscali) per fornire alle amministrazioni fiscali valutazioni corrette sui rischi. Il secondo pilastro, focalizzato sui profili sostanziali del pacchetto BEPS, è costituito dalle seguenti azioni: l’azione 6 che previene alla concessione di benefici impropri attraverso clausole antiabuso e standard mini determinati dalle convenzioni contro le doppie imposizioni: tutto ciò per evitare il “treaty shopping”, ovvero il comportamento di un soggetto non residente che si appropria di benefici fiscali stipulati all’interno di trattati per i residenti, limitando la diffusione di società fittizie o shell companies, inesistenti sotto il profilo sostanziale; l’azione 7 che ridisegna e amplia l’importante concetto di stabile organizzazione, tenendo conto delle nuove e diverse dinamiche di mercato: vengono resi inefficaci i “commissionaire arrangements”, le strategie di frammentazione di attività commerciali tra imprese strettamente collegate e evitare che possano essere considerati indipendenti gli agenti che detengono in modo continuativo il potere di concludere affari in nome di un’impresa straniera. Le azioni dalla 8 alla 10 si basano sulle politiche di transfer pricing (allineamento dei prezzi di trasferimento con la creazione di valore), ovvero quelle tendenze da parte delle multinazionali di far emergere profitti dove è possibile godere di vantaggi fiscali, indipendentemente dal luogo dove l’impresa esercita la propria attività. Sotto questo punto di vista, le linee guida esistenti ispirate al principio del prezzo di mercato non risultano adeguate e sono soggette a manipolazioni: è necessario correggerle al fine di integrare le disposizioni esistenti. In particolare, l’azione 8 guarda il tema del transfer pricing in merito alle transazione di beni immateriali, mobili e di difficile valutazione; l’azione 9 interessa invece la ripartizione dei rischi(allocazione contrattuale dei rischi) in base alla capacità dell’impresa di supportare il processo strategico, prendendo decisioni di risk taking e risk management, la possibilità di esercitare un controllo e quindi incidere sull’entità del rischio stesso e far fronte alle criticità ricorrendo a risorse proprie; mentre l’azione 10 concentra la propria attenzione sempre sul rischio e in particolare su quelle aree in cui la base imponibile è minacciata, ai fini dell’erosione, da strategie aggressive finalizzate a incrementare i costi di gestione, deducibili, in maniera spropositata e ingiustificata rispetto alla loro dimensione reale. Il rapporto combinato contiene quindi una guida che risponde a questi problemi e garantisce che le regole sui prezzi di trasferimento siano coerenti con i risultati che meglio allineano i profitti operativi con le attività economiche che li ha generati. Contiene inoltre indicazioni sulle transazioni che coinvolgono transazioni transfrontaliere su merci e servizi infragruppo a basso valore aggiunto. Infine, all’interno del terzo e ultimo pilastro, il cui obiettivo è quello di garantire trasparenza e certezza del diritto, vi sono: l’azione 11, di misurazione del pacchetto BEPS e delle dimensioni del fenomeno in generale, attraverso l’uso di indicatori e l’ analisi di dati per monitorare la sua evoluzione nel lungo periodo e verificare l’efficacia delle strategie adottate: tale rapporto fornisce una guida affinché i policymakers possano stimare l’impatto e gli effetti delle diverse azioni e misure adottate a livello nazionale; il set di statistiche sulle imposte sulle società riunirà, in formato coerente a livello internazionale, una serie di dati rilevanti per l'analisi di BEPS in grado di fornire nuove proposte in materia di tassazione delle imprese e incentivi che i sistemi fiscali creano per le imprese. Migliorare la qualità delle informazioni disponibili sull'imposta sulle società rappresenta un passaggio fondamentale verso il miglioramento della qualità e dell'accuratezza degli sforzi del quadro inclusivo dell'OCSE / G20 per misurare e monitorare il BEPS e l'impatto dell’intero pacchetto. Per far ciò, è necessario analizzare tre categorie principali di dati: dati sui ricavi (data on tax revenues), sulle aliquote fiscali (data on tax rates) e sugli incentivi fiscali (data on tax incentives), comportando una serie di dati aggregati strumentali alla creazione di rapporti CBC (country by country). Gli indicatori delle entrate fiscali delle società riguarda il livello delle entrate fiscali delle società in valuta locale, il gettito fiscale aziendale3 in percentuale del PIL, e i ricavi generati dall’ imposta sulle società come percentuale del gettito fiscale totale; tra i nuovi dati corrispondenti alla Corporate Income Tax (data on tax rates), le aliquote fiscali effettive tengono conto della base imponibile definita in base alle disposizioni specifiche del paese in materia di imposta sulle società, come regole di ammortamento fiscale, limitazione della detrazione degli interessi, crediti d'imposta sugli investimenti, incentivi fiscali per la R&S e altre disposizioni come, ad esempio, il consolidamento del regime fiscale a livello infragruppo. Come parte di questo lavoro, vengono introdotte in fase di calcolo le aliquote fiscali marginali effettive (EMTR) e le aliquote fiscali medie effettive (EATR). Le EMTR quantificano la misura in cui la tassazione aumenta il tasso di rendimento ante imposte richiesto dagli investitori, influenzando l'incentivo ad espandere gli investimenti; le EATR misurano l'effetto della tassazione sugli investimenti di progetti che guadagnano rendite economiche, in grado di effettuare una valutazione complessiva sulle decisioni in merito alla scelta tecnologica adottata dal modello organizzativo di un'azienda. In questo modo, le aliquote fiscali effettive risultano essere una misura accurata degli effetti del sistema fiscale sugli incentivi verso gli investimenti che consentono il cross-country e quindi confronti riguardo analisi di settori specifici o tipi di attività. Lo sviluppo di questi nuovi dati e della ricerca empirica consentirà, nel tempo, di controllare sempre meglio i cambiamenti nella base imponibile delle società, migliorando così gli studi macroeconomici relativi al BEPS; per quanto riguarda gli indicatori sugli incentivi fiscali per la R&S implicite aliquote di sovvenzione fiscale sulle spese di ricerca e sviluppo, misurare il livello nazionale di sostegno fiscale per unità aggiuntive di R&S a verso imprese con determinate caratteristiche risulta essere importante sotto questo punto di vista: le diverse tipologie di regimi di sostegno fiscale applicano crediti d'imposta, ritenute alla fonte, contributi previdenziali e ammortamento accelerato verso i beni capitali utilizzati per la R&S. Le variabili che influiscono su tale tipo di indicatore riguardano le dimensioni e la redditività dell’impresa distinguendo: azienda grande e redditizia, PMI redditizia, impresa in perdita, e PMI in perdita. La seconda serie di indicatori di incentivi fiscali per la R&S riflette le spese fiscali per la R&S delle imprese. Queste stime di costo degli incentivi fiscali per la R&S forniscono un quadro più completo degli sforzi del governo per promuovere la R&S aziendale: la segnalazione di tale sostegno fiscale può facilitare la trasparenza nei confronti del sostegno pubblico all'innovazione. L'ultima serie di indicatori su tale set di informazioni si riferisce a Regimi di proprietà intellettuale (PI). Molte giurisdizioni hanno implementato regimi di PI che consentono entrate per via dello sfruttamento della PI tassato a un'aliquota inferiore all’aliquota dell'imposta legale sulle società principali: sono in corso revisioni per identificare le caratteristiche di tali regimi che possono facilitare pratiche BEPS, di impatto non equo nei confronti della base imponibile di altre giurisdizioni. L'FHTP (The Forum on Harmful Tax Practice) raccoglie le informazioni dettagliate e le risorse qualificanti necessarie per queste revisioni e riporterà tali sui tassi da applicare sui regimi PI. Infine, per completare l’analisi degli indicatori propedeutici e strumentali all’applicazione dell’azione 11, la raccolta e l’analisi delle statistiche menzionate in precedenza costituisce la base dei CBCR fornendo ai governi una visione più completa e specifica sulle caratteristiche e rischi delle più grandi attività globali delle multinazionali e per migliorare l'analisi economica e statistica dell’intero pacchetto BEPS. Fino ad allora, una delle maggiori difficoltà nella misurazione e l'analisi di BEPS è stata la mancanza di dati disponibili sul reddito, sulle tasse e sull'attività imprenditoriale delle multinazionali in base alla giurisdizione in cui operavano. Come evidenziato dal rapporto dell'azione 11, è stato intrapreso un lavoro continuo volto ad aggiornare gli indicatori BEPS ed analizzare nuovi dati per fornire una linea di base rispetto alla quale le valutazioni delle azioni BEPS possono essere confrontate prima a livello nazionale e poi internazionale. Diversi paesi stanno valutando l'introduzione di regole basate sull'azione 12, basata sull’ implementazione di regole di divulgazione( disclosure) obbligatorie per quanto riguarda i fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva da parte dei contribuenti: l'OCSE ha rilasciato un modello di informativa obbligatoria(Common Reporting Standard (CRS)) per fornire alle amministrazioni finanziarie dei vari paesi una struttura, modulabile in base alle varie specifiche esigenze, finalizzata alla raccolta tempestiva di informazioni utili all’identificazione di fenomeni, la loro analisi, il loro riscontro e l’individuazione di azioni di contrasto. Obbligati a fornire e dichiarare informazioni alle relative autorità di qualsiasi disposizione che progettano e commercializzano sono i vari promotori e fornitori di servizi, quali avvocati, commercialisti, consulenti finanziari e banche. Tale modello quindi consente alle giurisdizioni di ottenere in anticipo informazioni sugli adempimenti fiscali e sui rischi di policy sollevati dalla pianificazione fiscale aggressiva: l'azione 12 cerca di bilanciare la necessità di informazioni tempestive nei confronti di schemi di pianificazione fiscale aggressiva, con la necessità che l’applicazione di tali requisiti di divulgazione siano adeguatamente mirati, ad evitare una dichiarazione eccessiva o il posizionamento indebito di oneri di conformità per i contribuenti. La segnalazione e lo scambio automatico di operazioni finanziare è diventata una realtà in oltre 100 giurisdizioni e molti contribuenti che detenevano attività finanziarie non dichiarate (offshore) sono stati sanzionati dalle autorità fiscali portando all'identificazione di circa 85 miliardi di euro di entrate fiscali aggiuntive. Non mancano però individui che, con l'aiuto di consulenti e intermediari finanziari, continuano a provare a nascondere le proprie risorse offshore violando il sistema di reportistica CRS. Le nuove regole del modello forniscono uno strumento efficace per indirizzare questi soggetti e i loro consulenti, introducendo un obbligo su un'ampia gamma di intermediari nelle giurisdizioni che adottano pratiche in grado di aggirare la segnalazione CRS o finalizzate ad occultare i beneficiari effettivi di veicoli offshore passivi. L’azione 13 riguarda l’integrazione e il coordinamento verso un più ampio e articolato sistema di documentazione richiesta alle multinazionali in materia di transfer pricing: devono essere individuati standard minimi affinché i singoli contribuenti dichiarino le imposte da loro pagate, semplificando i compiti di controllo, segnalazione e monitoraggio delle amministrazioni dei paesi coinvolti, in quelle aree ritenute a rischio elusione. E’ prevista quindi l’implementazione di un master file, disponibile per tutte le amministrazioni competenti, di un local file, specifico per ogni paese, che richiede documentazioni dettagliate in merito ai trasferimenti transazionali e ai prezzi imposti, identificando operazioni rilevanti con parti correlate, gli importi coinvolti in tali operazioni e l'analisi della società sulle determinazioni dei prezzi di trasferimento che hanno effettuato; e di un rapporto country by country, strumento attraverso il quale le multinazionali sono tenute a fornire annualmente e separatamente per ogni giurisdizione in cui operano, informazioni sui redditi, sulle tasse pagate e su altre tipologie di indicatori prestabiliti. Tale modello prevede quindi un nuovo livello di informazione sulle operazioni globali dei gruppi multinazionali includendo dati qualitativi e quantitativi di parti correlate e non, l’entità di profitti ante imposta di e imposte sul reddito pagate e maturate, come così come il capitale dichiarato, i guadagni accumulati, e il numero dei dipendenti e dei beni immateriali, sempre suddivisi per Giurisdizione. Questo progetto risulta essere particolarmente utile per i paesi in via di sviluppo che potranno migliorare la valutazione dei rischi sui prezzi di trasferimento imposti da alcune multinazionali nella loro giurisdizione comportando, a livello internazionale un'allocazione più efficiente di risorse(mutua assistenza sulla rendicontazione amministrativa in campo fiscale).(Cfr. Servizio del bilancio del senato(Ottobre 2015 ), “Il progetto Base Erosion and Profit Shifting” XVII legislatura Nota breve n 13 e OECD/G20 (July 2018 – May 2019),” Inclusive Framework on BEPS Progress report”). Infine, l’azione 14 attiene alla risoluzione delle controversie (riconoscendo l'importanza di eliminare la doppia imposizione come ostacolo alle tecniche di commercio e investimento transfrontaliero), attraverso lo sviluppo di meccanismi più efficaci introdotti dal pacchetto BEPS. Tali modifiche possono determinare elementi di incertezza nel breve periodo, mentre sono considerate idonee nel lungo periodo per produrre stime e fronteggiare tali criticità: a tal fine sono state identificate 12 best practices, di promozione del rapporto tra contribuente e amministrazioni fiscali, basati su fiducia e collaborazione, orientato ad aumentare il tasso di adempimento spontaneo e prevenire il contenzioso, alle quali fare riferimento che valutano il quadro giuridico e amministrativo di una giurisdizione nelle seguenti quattro aree chiave: prevenzione delle controversie; disponibilità e accesso al MAP (mutual agreement procedure); risoluzione dei casi; attuazione degli accordi. Tutti i membri del Framework inclusivo sul BEPS si impegnano nell'attuazione dello standard minimo dell'Azione 14 che include la pubblicazione dei loro profili MAP in base a un modello concordato e trasparente (implementato da un totale di 72 giurisdizioni): tale dovrebbe fornire informazioni e altri dati utili alle autorità competente, al fine di effettuare verifiche e eventualmente correzioni. Le principali problematiche finora individuate riguardano: l’inadeguatezza di una considerevole parte dei trattati fiscali che devono essere modificati e migliorati e la risoluzione delle criticità, soprattutto per i casi di transfer pricing, in periodi troppo lunghi (24 mesi nella media) a causa di differenze giurisdizionali. Gli aspetti positivi riguardano una limitata e giusta concessione di accesso al MAP nei casi ammissibili, e l’applicazione di soluzioni chiare, disponibili, adeguate e pragmatiche in grado di contrastare gli APA (advance pricing arrangements) bilaterali, approcci amministrativi che tentano di impedire il sorgere di controversie sui prezzi di trasferimento determinando i criteri per l'applicazione del principio di libera concorrenza alle transazioni prima che tali abbiano luogo. Ciò contrasta con le tradizionali tecniche di revisione il cui obiettivo è esaminare se le operazioni che hanno già avuto luogo, riflettono l'applicazione del principio di libera concorrenza. Di difficile interpretazione è verificare l’esistenza di un accordo reciproco bilaterale: è necessario analizzare l'intero processo MAP-APA, a partire dalle riunioni di pre-deposito, per passare al deposito di una proposta, alla sua valutazione da parte delle autorità fiscali, alla discussione e conclusione del mutuo accordo, all'attuazione di tale e, infine, il monitoraggio e l'eventuale rinnovo. Sebbene l'obiettivo del progetto sia fornire orientamenti alle autorità fiscali, viene colta l'opportunità di discutere in che modo il contribuente possa contribuire al meglio al processo. Per riassumere, l’obiettivo del Pacchetto si sostanzia nel fronteggiare la necessità di assicurare che l’imposta dovuta dalle multinazionali sul territorio europeo sia versata nel luogo in cui gli utili e il valore sono generati. A tal fine il Pacchetto mira a ristabilire la fiducia nell’equità dei sistemi fiscali e consentire ai governi di esercitare effettivamente la loro sovranità fiscale. Per fare ciò, alla luce delle differenze esistenti tra i sistemi fiscali di ciascuno Stato, si è ritenuto necessario fornire delle soluzioni sufficientemente ampie e generali in modo che i singoli ordinamenti possano adattarle efficacemente alla propria normativa fiscale. È stato notato come “il pacchetto di proposte contiene misure giuridicamente vincolanti idonee a “bloccare” i metodi più comuni utilizzati per eludere il Fisco: una Raccomandazione agli Stati Membri su come evitare gli abusi dei trattati fiscali, una proposta finalizzata alla condivisione, da parte degli Stati Membri, delle informazioni di natura fiscale sulle multinazionali che operano nell’UE, indicazioni ai fini della promozione di una buona tax governance a livello internazionale, linee guida per la costituzione di un elenco di Paesi terzi che non si adeguano alle norme sulla trasparenza. Affinché le normative antielusione si rivelino efficienti è necessario che queste si estendano oltre i confini dell’UE: l’elusione fiscale e la concorrenza sono problemi che necessitano di soluzioni globali. È importante che l’UE coinvolga anche i suoi partners internazionali, così da creare una rete di buona governance per la lotta sovranazionale all’elusione fiscale. L’adozione di un approccio comune, fondato su norme internazionali che garantiscano una tassazione effettiva, appare in tal modo imprescindibile”. Attualmente sono 128 i paesi che hanno aderito al pacchetto BEPS, un progetto volto a eliminare i conflitti tra regimi fiscali (e quindi anche la doppia imposizione), a prevenire e risolvere le controversie tra i vari paesi, creando un contesto di “level playing field” in cui le condizioni di equità, trasparenza, inclusività sono alla base di questo progetto: tutto ciò al fine di garantire uniformità di regole e la possibilità di raggiungere gli obiettivi che si erano prefissati. Per far ciò è necessario che tutte le multinazionali paghino le tasse nel luogo in cui le attività che le hanno generate sono realizzate e i profitti maturati, riallineando “the location of the profit” con la “value creation” ed evitando che le multinazionali in via di sviluppo, più esposte alle imposte sul reddito delle società, ne paghino le conseguenze, creando gap concorrenziali difficili da colmare. La grande sfida di oggi riguarda quindi la tassazione e la digitalizzazione: dal 2015, anno dell’accordo sulla definizione dell’action 1 report (everything is digitalising) , ad oggi, sono molte le proposte sulla digitalizzazione dell’economia4: il Pillar 1 definisce una nuova concezione di nesso su come iniziare a tassare un’impresa digitale in base alle caratteristiche di tale economia e su come effettuare stime quantitative sull’allocazione dei profitti all’interno dei mercati; il Pillar 2 che riguarda l’attuazione di una tassa minima(aliquota minima effettiva) proteggendo le singole multinazionali da pratiche dannose di profit shifting verso giurisdizioni a bassa o nulla tassazione. Esiste quindi un impegno dei vari paesi per sviluppare un programma di lavoro entro la fine del 2020 in grado di guidare l’intera economia verso un rinnovamento globale riguardo le regole sulla tassazione internazionale. Alcune delle misure del pacchetto saranno di immediata applicazione(transfer pricing) mentre altre richiederanno una revisione delle normative nazionali(verifica della compliance) e dei trattati fiscali bilaterali: il rapporto chiarisce che la fiscalità resta un ambito di sovranità nazionale con ,tuttavia, l’obbligo di non alterare la competitività del mercato comune (attraverso tax deals tra multinazionali) e ponendo un limite all’implementazione differenziata, evidenziando la necessità di eseguire un’azione condivisa e comune.
2.2. Cenni alla situazione attuale, l’impatto dell’emergenza sanitaria
Nei primi mesi del 2020 il commercio online ha visto un incremento solo in Italia di 2 milioni di nuovi consumatori, di cui 1,3 sono arrivati alle piattaforme d'acquisto digitale durante l'emergenza sanitaria. Il coronavirus ha avuto però un impatto enorme su queste società già un mese dopo l'esplosione della pandemia: Uber ha annunciato il licenziamento di 3.700 persone, il 14% della propria forza lavoro; Airbnb ne ha mandate via 1.900, il 25%. I business model delle piattaforme digitali si basano sulla necessità di bruciare molta cassa per occupare fette sempre più grandi di mercato e cercare di tornare profittevoli coi grandi numeri di clienti. È come se il mondo stesse vivendo un enorme esperimento sociale, forzando l'individuazione di soluzioni: "Il lockdown ci ha fatto capire che il mondo da remoto può funzionare. Non benissimo, ma può funzionare. E questa può essere una conseguenza che ci porteremo dietro”. “Normalmente il mondo impara e incorpora i cambiamenti, magari non sarà tutto come adesso, ma qualcosa resterà’’.
2.3. Distorsioni e ostacoli alla raccolta effettiva della tassazione: cenni all’informal digital economy e ai grey markets: paradisi fiscali vs regimi fiscali preferenziali, differenza tra evasione e elusione fiscale.
A livello generale, si possono riscontrare due trend opposti in termini di politiche per la tassazione nel settore digitale: la prima basata sulla crescita esponenziale dei flussi di cassa generati(ricavi) dalla digitalizzazione che assume quindi una funzione critica e quindi relativa alla massimizzazione dei meccanismi della raccolta del gettito imponibile, e la seconda che, in una visione diametralmente opposta, riconosce il beneficio di una tassazione più bassa verso i consumatori e i business(esternalità positiva di spillover), comportando un effetto positivo verso la crescita economica. La tassazione deve essere neutrale ed equa all’interno dei settori dell’economia: una distorsione si verifica quando il cambiamento del prezzo di un determinato bene o servizio innesca diversi cambiamenti nelle curve di offerta e domanda da ciò che normalmente si verificherebbe in assenza di tassazione. Tali cambiamenti impattano sui processi di market decision5 dei soggetti economici e riguardano: la presenza di consumatori price sensitive che devono affrontare barriere in termini di costi di accesso a tali tecnologie, la riduzione del capitale totale disponibile per la fornitura di tali servizi con una conseguente diminuzione del tasso di rendimento degli investimenti e la presenza di regimi fiscali differenti in grado di generare asimmetrie informative e disparità di condizioni. In termini di politiche fiscali quindi, i governi devono considerare il trade-offs tra la generazione dei ricavi e il potenziale impatto negativo dovuto allo sviluppo di tale settore. Nell’approccio che segue la riduzione dell’onere fiscale, i global player tendono a suddividere i ricavi soggetti a tassazione in base alle attività che le generano; essi, infatti, evitano la presenza tassabile in determinati mercati traslando i loro utili lordi verso filiali localizzate in paradisi fiscali o comunque territori a bassa tassazione, mantengono una ritenuta bassa o nulla trasferendo i loro profitti in termini di interessi o royalties verso regimi fiscali che godono di agevolazioni. Tutto ciò comporta la creazione di una concorrenza sleale che risulta essere dannosa per l’intero sistema che dovrà sopportare il peso di tale asimmetria. Un effettivo e adeguato sistema di tassazione richiede quindi un’omogeneità nella circolazione e nella ricezione di informazioni per determinare chi deve pagare e quanto: la limitata disponibilità di tali diventerebbe un ostacolo nella raccolta della tassazione e in tal senso, la globalizzazione ha esasperato tale difficoltà di identificazione e localizzazione, generando possibilità di evasione e frode nei confronti degli utenti digitali. Ci deve quindi essere la consapevolezza che in un mercato così dematerializzato, l’evasione è comunque presente. Per limitarla, la normativa deve configurare una struttura ottimale di tassazione, in grado di prevedere la facilità con cui tali tasse possono essere evase. È necessario quindi cambiare la prospettiva di focus della problematica, considerando l’impatto e gli effetti incrementali che la tassazione comporta nei confronti dei costi di distorsione e verso il costo di risk taking per la posizione del consumatore: quando l’evasione risulta facilmente applicabile e i rischi sono bassi, l’implementazione di un sistema di tassazione appropriato a tale situazione è fortemente consigliato. Il modo meno costoso e più efficiente per la raccolta della tassazione è imporre prelievi fiscali esclusivamente indirizzati verso le grandi imprese: tali, infatti, possiedono sistemi di fatturazione necessari per tracciare il flusso informativo delle operazioni da loro svolte e non sono incentivate ad avere un conflitto reputazionale nei confronti delle direttive dei pagamenti del paese in cui risiedono. Nella digital economy, tuttavia, a causa della necessità di copertura di tutto il territorio per offrire servizi base verso la totalità della popolazione, sono presenti aziende medio-piccole che conducono tale sistema verso un’informal economy nella quale i governi fronteggiano molte più difficoltà nella raccolta imponibile. Tale settore ricopre circa il 50% del PIL nazionale e, come in molti paesi con economie di mercato arretrate, le tasse sui ricavi provenienti da PMI tendono a essere limitate. L’OCSE oltre a definire un regime fiscale dannoso, fornisce un’importante distinzione tra “paradisi fiscali” e i “regimi fiscali preferenziali”, che apparentemente potrebbero sembrare la stessa cosa, ma nella realtà non è così. I paradisi fiscali sono quei paesi nei quali gli investitori si rifugiano per evitare la tassazione del paese di residenza e nei quali la spesa pubblica per i servizi non è finanziata da imposte sul reddito i nominali. I paesi con regimi fiscali preferenziali, invece, applicano una tassazione ordinaria ma offrono un regime fiscale agevolato ad alcuni soggetti non residenti, contribuendo quindi alla concorrenza fiscale dannosa. I regimi fiscali preferenziali si distinguono dai paradisi fiscali perché, mentre con il secondo termine si identificano i paesi nella loro interezza, con l’espressione “regimi fiscali preferenziali” si identificano delle anomalie presenti all’interno di un paese. I benefici concessi dai paradisi fiscali vengono inevitabilmente associati all’evasione fiscale e alla fiscalità aggressiva. È possibile affermare che l’evasione fiscale è un concetto ben distinto dall’elusione fiscale, nonostante non esista una definizione precisa dei due termini. Con evasione fiscale identifichiamo una pratica illegale volontaria (ad esempio la mancata dichiarazione di utili), che consiste nella violazione delle disposizioni tributarie per non pagare le tasse, punibile con delle sanzioni, anche penali. L’elusione fiscale, invece, non rappresenta una vera e propria violazione delle norme tributarie, ma piuttosto è un aggiramento delle stesse. I contribuenti, infatti, utilizzano degli strumenti legali per cercare di pagare meno contributi, un esempio è il trasferimento degli utili nei paesi con una fiscalità agevolata. L’elusione fiscale è una condotta scorretta, in quanto non si rispetta il vero significato della norma, ma è considerata meno grave rispetto all’evasione. Solitamente i redditi che vengono evasi maggiormente sono i dividendi, gli interessi, le royalties e i proventi derivanti da attività illecite. I paradisi fiscali conferiscono agli investitori la possibilità di eludere le imposte sui redditi generati da altri paesi, comportando ai contribuenti un notevole risparmio. Il risparmio di imposta nasce nel momento in cui è possibile imputare un’attività a un’entità presente nel paradiso fiscale o in alternativa assegnando questa attività al paradiso fiscale o ancora sfruttando il regime di segretezza previsto e nascondendo la struttura effettiva delle operazioni. Il “paradiso fiscale” offre diversi strumenti per poter eludere le imposte sul reddito, finalizzati a concludere contratti o altre operazioni infragruppo per spostare i proventi tassabili. I principali operatori nell’economia digitale possono quindi attuare politiche di arbitraggio fiscale, realizzate mediante il trasferimento dei proventi derivanti dall’attività principale verso giurisdizioni che offrono rilevanti vantaggi fiscali. La Commissione Europea ha identificato sei paesi (Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda) che, seppure non possano essere definiti formalmente paradisi fiscali, praticano politiche di tassazione aggressive, soprattutto rispetto alla tassazione dei profitti delle società, politiche che vanno a scapito degli altri paesi. L’effetto di queste pratiche genera delle perdite consistenti in termini di gettito fiscale che gli altri paesi dell’Unione subiscono: stime recenti del Fondo Monetario Internazionale, evidenziano come il nostro paese, insieme a Francia e Germania, sia tra i più colpiti in Europa da queste politiche. I problemi causati da questi comportamenti opportunistici sono stati finora affrontati, sia a livello internazionale, sia a livello europeo attraverso regole volte soprattutto a contrastare l’elusione fiscale, e il trasferimento artificiale dei profitti verso giurisdizioni fiscali a bassa tassazione. Lo sforzo si è concretizzato nel programma BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) dell’OCSE e in direttive e regolamenti dell’Unione Europea. Le problematiche scaturite dall’esistenza di livelli di tassazione effettiva molto diversi all’interno dell’Unione Europea non possono essere affrontati solo attraverso normative: le differenze nei livelli di tassazione permettono e rendono conveniente di spostare in modo fittizio i profitti e la sede dell’attività verso un altro paese incentivando comportamenti elusivi e aggirando le norme introdotte a tale scopo. “Il risparmio potenziale in termini di tassazione potrebbe essere così grande che le società potrebbero essere disposte ad allocare qualunque risorsa necessaria per passare il test di presenza sostanziale nei paesi a tassazione bassa, non importa quanto sia poco produttivo un tale spostamento.” Si deve quindi guardare non soltanto politiche anti elusione, ma coinvolgere i paesi verso politiche di tassazione, eque e omogenee. Al momento, il mancato coordinamento di tali politiche ha portato a livello mondiale a una intensa concorrenza fiscale (tax competition6) tra paesi che ha generato una progressiva riduzione negli ultimi decenni dei livelli di tassazione suoi profitti delle società (corsa al ribasso). Questo calo nel livello della tassazione ha causato perdite di entrate tra i paesi che va ben al di là della perdita dovuta alla vera e propria elusione. Risolvere questo problema a livello mondiale richiederebbe un coordinamento delle politiche di tassazione che è politicamente irrealistico. Ma almeno a livello europeo è necessario trovare una soluzione. C’è chi ritiene che la competizione tra paesi sui livelli di tassazione societaria sia vantaggiosa perché porta i paesi a un livello di tassazione più bassa, meno distorsiva, e a minori sprechi sul lato della spesa pubblica. Infatti, alcuni ritengono che i sei paesi che praticano politiche di tassazione aggressiva siano paesi in qualche modo abili nella gestione della spesa pubblica, che possono avere tasse basse perché non sprecano soldi sul lato della spesa. Il fatto che questi paesi siano tutti di dimensione medio-piccola suggerisce che essi si avvantaggino poiché, abbassando il proprio livello di tassazione sulle società, la perdita sul proprio territorio risulta essere minore rispetto a ciò che possono guadagnare attirando capitali dall’estero. Il risultato, però, è che, a livello globale, gli investimenti all’interno del mercato unico vanno ad allocarsi non sulla base di fattori oggettivi che influenzano la produttività reale degli investimenti, ma sulla base delle distorsioni create dalle diversità della tassazione tra diversi paesi. Armonizzare, almeno in parte, tali livelli di tassazione consentirebbe di rendere l’Unione Europea un vero “level playing field”, un piano livellato dove le forze della concorrenza possano esprimersi al meglio: un vero mercato unico, ispirato alla libera concorrenza e stimolo di efficienza e crescita economica. Il documento (EC. Brussels, 15.7.2020 COM (2020) 312 final COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT AND THE COUNCIL AN ACTION PLAN FOR FAIR AND SIMPLE TAXATION SUPPORTING THE RECOVERY STRATEGY) comprende 25 iniziative che la Commissione Europea intende realizzare entro il 2024 per rendere la tassazione più giusta, più semplice, equa, unanime e più adatta alle nuove tecnologie. Esso prevede:
“Per attuare l’agenda di una tassazione più giusta, tutte le leve di politica attualmente esistenti devono essere attuate. È in questo contesto che la Commissione esplorerà come utilizzare a pieno le norme del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFEU) che permettono di adottare proposte sulla tassazione attraverso procedure legislative ordinarie, incluso l’articolo 116 del TFEU.”
Tale articolo recita (Art. 116 TFUE):
“Qualora la Commissione constati che una disparità esistente nelle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri falsifichi le condizioni di concorrenza sul mercato interno e provochi, per tal motivo, una distorsione che deve essere eliminata, essa provvede a consultarsi con gli Stati membri interessati.
Se attraverso tale consultazione non si raggiunge un accordo che elimini la distorsione in questione, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le direttive all'uopo necessarie. Può essere adottata ogni altra opportuna misura prevista dai trattati.” Rinunciare al principio del criterio dell’unanimità comporterebbe una cessione di sovranità verso le istituzioni e gli organi UE: ciò risulta però essere necessario poiché nella realtà un coordinamento unanime anche a livello europeo è di difficile applicazione e implementazione. Si potrebbe ridurre l’impatto della riforma restringendo il campo delle misure limitandolo, al contrasto dei fenomeni patologici, come le frodi o alle sfide della digital economy7. Verso un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica fiscale dell'UE (COM (2019) 8 final) Con tale ragionamento però sarebbe impossibile eliminare il problema che stiamo cercando di risolvere a livello europeo, quello dei piccoli paesi che praticano politiche di tassazione caratterizzate da un livello di tassazione molto bassa, riuscendo ad attirare, investimenti sproporzionati a quello che sarebbe giustificabile in assenza di tassazione. Risolvere questo problema richiede, in conclusione, una cessione parziale di sovranità, un rafforzamento e consolidamento delle funzioni e dei ruoli delle istituzioni europee, al fine di evitare comportamenti e politiche unilaterali di singoli stati che possano danneggiare gli altri paesi europei, a beneficio dei propri interessi locali e personali.
2.4. L’insoddisfazione verso il pacchetto BEPS, le proposte contro l’erosione e il concetto di mercato unico.
A questo punto è logico domandarsi che senso abbia possedere tecnologie molto avanzate, in grado di risolvere da sole smart-contracts, se sembriamo aver bisogno di politiche non adatte che chiunque possa capire e quindi eludere. Il "sistema fiscale" è obsoleto, fa pagare di più ai cittadini normali mentre le grandi società evadono e centralizzano il controllo. Le complesse regole progettate per cogliere ogni possibile problema spesso si prestano a manipolazioni a beneficio di alcune aziende potenti a spese di tutte le altre. I sistemi di tassazione sono incredibilmente complessi ed esistono a livello internazionale in molte forme diverse. Il problema dell'evasione è spesso dovuto alla non cooperazione internazionale e alla riluttanza nei confronti degli evasori che beneficiano direttamente di tale situazione. La questione della distribuzione del valore è ancora più complessa e varia: diversi sistemi economici distribuiscono la spesa in modi radicalmente diverso per i disavanzi e il debito che supportano, richiedendo una ripartizione del gettito fiscale. E se non riusciamo a incassare entrate a causa del conflitto di interessi da parte di istituzioni e sistemi extra nazionali, allora la dura soluzione dell'austerità fatta di continui tagli alla spesa pubblica e l’aumento della tassazione sui consumatori risulta essere lo scenario che effettivamente si manifesta. La politica dell'economia fiscale digitale non è collegata a un determinato paese o a una determinata azienda: si tratta di un problema globale che dobbiamo risolvere nel contesto internazionale per guardare al benessere generale in riferimento anche ai paesi sottosviluppati. Certamente, in futuro, vedremo una sorta di accordo globale che impone una tassa equa8 sull'economia digitale perché la competitività globale stabilisce politiche di concorrenza fiscale: questa politica danneggia i bilanci nazionali per finanziare altre politiche come la lotta contro gli effetti negativi sui cambiamenti climatici globali, ridurre la povertà della popolazione, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito e la mancanza di posti di lavoro. È quindi necessario trovare un equilibrio tra un quadro adeguato a riscuotere tasse eque dall'economia digitale e consentire alle imprese di continuare a crescere e fare affari. È fondamentale in questo senso introdurre in primo luogo parametri contabili e soglie di tassazione quantitative su livelli di turnover, extra profitti e altre di tipo qualitativo, focalizzati sul tipo e le modalità con cui l’attività viene svolta, il numero di consumatori, le spese per pubblicità o marketing9 per condurre i paesi verso un sistema di tassazione equo e solido. Alcuni Paesi hanno manifestato parziale insoddisfazione per gli esiti del progetto BEPS che, pur correggendo le distorsioni del sistema fiscale internazionale, non hanno precluso definitivamente i fenomeni di erosione delle basi imponibili e di profit shifting. Ciò comporterebbe una competizione fiscale dannosa, fonte di innesco di una corsa al ribasso sulla tassazione dei redditi societari in grado di penalizzare tutti, spostando sui redditi meno mobili (lavoro e consumi) una quota sproporzionata e crescente della contribuzione alla spesa pubblica. Per fronteggiare tale crisi sistemica in modo trasversale e indipendente dal grado di digitalizzazione delle imprese, è stata ipotizzata l’introduzione di una proposta globale anti erosione(GLOBE) che produrrebbe un rafforzamento della sovranità fiscale nel panorama internazionale, lasciando a discrezione di ciascun paese la possibilità di determinare il proprio livello di prelievo, consentendo agli altri stati, comunque, in via subordinata, di esercitare una potestà impositiva secondaria o sostitutiva nel caso in cui i profitti d’impresa non vengano tassati o vengano tassati al di sotto di una soglia precedentemente stabilita a livello internazionale. Tale impostazione, volta a prevenire contro le doppie imposizioni, è costituita da due elementi distinti e complementari: una regola di inclusione del reddito per la quale il reddito di un’entità estera può essere tassato se è sottoposto nell’altra giurisdizione ad un’aliquota effettiva particolarmente bassa, funzionando quindi come una minimum tax internazionale10 applicabile pro quota a ciascun azionista qualificato e riconoscendo un credito d’imposta nel caso in cui tale imposte vengano assolte all’estero; e una regola per la tassazione dei pagamenti che provocano erosione che consenta il disconoscimento di deduzioni o comunque benefici convenzionali su alcune tipologie di pagamento in cui la relativa componente reddituale non venga associata ad un’adeguata aliquota minima.
2.5. Common Corporate Tax Base e Common Consolidated Corporate Tax Base (CCTB/CCCTB), strumenti di sostegno e sviluppo del mercato unico.
Una delle possibili soluzioni su cui l’Unione europea fa affidamento, nella ricerca delle alternative per superare le sfide poste dalla tassazione dell’economia digitale, è la proposta di una base imponibile comune per l’imposta sulla società. È stata elaborata per la prima volta nel 2011 e prevedeva un regime facoltativo di regole comuni per calcolare la base imponibile delle società fiscalmente residenti nell’Unione europea e delle filiali di società di Paesi terzi; la finalità della proposta non consisteva nel creare una normativa antielusiva, quanto piuttosto l’elaborazione di uno strumento di sostegno e promozione del mercato unico. Dopo una situazione di stallo nel Consiglio, nel 2015 la Commissione europea annunciò l’intenzione di sviluppare un nuovo modello, caratterizzato dall’ obbligatorietà di attuazione e da un approccio articolato in più fasi. Nel 2016, dunque, vengono presentate due Proposte di direttiva, ciascuna rappresentante una singola fase di una riforma, che è però unica, finalizzata a realizzare un regime di tassazione delle società a livello comunitario. La prima tappa è costituita dalla proposta di cui al COM (2016) 685, nota come Proposta CCTB (Common Corporate Tax Base), che introduce le norme per il calcolo di una base imponibile comune per l’imposta sulle società11. Le imprese che dovranno rispondere alle norme previste dalla direttiva dovranno essere soggette alle leggi di uno Stato membro e far parte di un consolidato fiscale avente un fatturato superiore a 750 milioni di euro nell’anno fiscale antecedente a quello rilevante; le previsioni si potranno anche applicare ad uno Stato extracomunitario con una stabile organizzazione in uno o più Stati membri. Inoltre, nel caso specifico dell’ordinamento italiano, si applicheranno a società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, cooperative, di mutua assicurazione ed enti pubblici o privati la cui attività sia totalmente o principalmente commerciale, soggette all’imposta sul reddito delle società (IRES) ed appartenenti ad un gruppo consolidato. La normativa sarà dunque applicabile a gruppi di imprese di dimensioni considerevoli, dal momento che, secondo le analisi, sono quelle maggiormente in grado di realizzare attività elusive. La seconda tappa, COM (2016) 683, nota come Proposta CCCTB (Common Consolidated Corporate Tax Base), definisce le regole per attribuire, ad una società consolidata, una percentuale dei profitti tassabili considerando la base imponibile unica. Secondo la Proposta di direttiva, le basi imponibili di tutti i membri di un gruppo si sommano in una base imponibile consolidata, la quale viene calcolata tralasciando profitti e perdite derivanti dalle operazioni infragruppo. La determinazione della percentuale di base imponibile associata a ciascuna società consolidata avviene considerando il lavoro, nelle sue due componenti di monte retribuzioni e numero di dipendenti, l’attività e le vendite, in funzione della destinazione. In questo modo, secondo la Proposta della Commissione, si potrà riuscire a tassare i profitti nel luogo in cui sono stati prodotti. L’imposta dovuta da ciascuna consolidata, presa singolarmente, sarà calcolata applicando l’aliquota d’imposta nazionale, non unificata come invece avviene per la base imponibile, alla percentuale assegnata. Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è posto al 31 dicembre 2020.
2.6. Global tax (corporate tax G7 - giugno 2021)
Il progetto a due pilastri dell'OCSE / G20 Inclusive Framework sulle sfide fiscali della digitalizzazione, spesso richiamato come BEPS 2.0, è in corso da più di due anni. Originariamente mirato ad aggiornare le norme fiscali internazionali per garantire che le tasse potessero essere imposte nei Paesi con mercati e compravendite reali di servizi e prodotti digitalizzati ai venditori non residenti. Il progetto è stato rapidamente elaborato ed è cresciuto fino a comprendere proposte più ampie per riallocare ai Paesi dove risiedono i consumatori reali i profitti superiori al normale, in eccesso, di grandi imprese transazionali, in particolare attive nei settori digitali chiave. Obiettivo: chiarire la tassazione delle attività di marketing e distribuzione transfrontaliere e attuare un regime fiscale minimo globale comune a tutti i Paesi. In questo quadro, uno degli scopi principali del progetto è stato, ed è, creare un unico insieme di norme fiscali concordate a livello globale. Inoltre, i 140 Paesi che partecipano ai negoziati hanno concordato, in anticipo, che se sarà raggiunto un accordo globale, tutte le "misure unilaterali rilevanti" come le svariate tasse sui servizi digitali saranno abrogate. Verso la fine del 2020, il progetto si era impantanato in disaccordi politici (causato principalmente dalla riluttanza da parte degli Stati Uniti) e confusione su come le varie proposte avrebbero funzionato, cosa avrebbero dovuto effettivamente ottenere e quali effetti economici le proposte avrebbero comportato per le singole economie. All'inizio del 2021, il nuovo Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, ha ridato vita al processo segnalando che gli Stati Uniti non sarebbero più stati riluttanti a lavorare per un accordo fiscale globale. Da ultimo il delegato del Tesoro degli Stati Uniti al gruppo direttivo del Framework inclusivo su BEPS ha presentato una nuova visione da considerare per i colleghi delegati. Le nuove proposte degli Stati Uniti hanno portato a diffuse espressioni di ottimismo (basti pensare al plauso del G7) sulla prospettiva di un accordo globale sulla maggior parte o su tutte le questioni politiche in sospeso entro l'inizio di luglio, quando si riunirà il Quadro inclusivo con relative delegazioni. Il leader della Il leader della politica fiscale dell'OCSE, Pascal Saint-Amans, prevede che la maggior parte dei dettagli di progettazione delle parti principali dell'accordo complessivo saranno chiari e concordati entro ottobre, quando si incontreranno i ministri delle finanze del G20. In realtà, prima ci sarà l’incontro di luglio del G20 a Venezia, dove la tassazione internazionale, e i Ministri dell’Economia, occuperanno la scena. Però, ciò di cui quasi nessuno parla è che lo scopo originario del progetto, aggiornare le norme fiscali internazionali per affrontare la digitalizzazione, sembra essere stato completamente abbandonato. In questo caso, infatti, gli USA sembrano aver portato a una partita completamente nuova. Tale ambiguità ha generato la reazione di Paesi come la Svizzera, l’Irlanda e l’India. Anche Londra non è completamente assorta sul progetto USA. Comunque sia, supponiamo che gli ottimisti abbiano ragione e che il quadro inclusivo annuncerà un "accordo di principio" sulle proposte degli Stati Uniti nella sua riunione di inizio luglio. Come ha fatto in passato quando ha accettato di lavorare insieme su determinate proposte, il Framework Inclusive potrebbe affermare espressamente che il suo accordo nel procedere sulla base delle proposte statunitensi è "senza pregiudizio" al diritto sovrano di ciascun Paese di adottare particolari misure fiscali non ancora concordate. L’India e la stessa Londra sono tra questi “Paesi”. E ancora, l'aliquota esatta dell'imposta minima globale verrebbe probabilmente lasciata in sospeso per ulteriori discussioni, a causa della necessità dell'unanimità tra gli Stati membri UE su tutti i dettagli dell'accordo. I membri dell'UE come l'Irlanda e l'Ungheria hanno già indicato che intendono difendere il loro diritto a mantenere le loro aliquote d'imposta sulle società relativamente basse. Dopo anni di trattative, sollecitate prima dall’Ocse e poi dal presidente americano Joe Biden, la comunità internazionale ha raggiunto l’accordo sulla tassa minima globale da applicare alle grandi imprese: L’aliquota della corporate tax, l’imposta sui profitti d’impresa, sarà del 15% e verrà applicata in ogni Paese, in proporzione ai profitti generati sul territorio nazionale. Il G7 dei ministri delle Finanze, riunito in presenza a Londra, ha dunque sciolto il nodo circa i problemi che vanno a toccare la tassazione delle imprese multinazionali, si è imposto che: Le maggiori imprese globali, con margini di profitto di almeno il 10%, vedranno così il 20% di tutti gli utili al di sopra di tale soglia riallocato e tassato nei Paesi dove effettuano vendite. L’accordo è una svolta storica, anche se al ribasso rispetto all’iniziale proposta di Biden, che avrebbe voluto una tassa al 21%, comunque inferiore all’aliquota del 25% che al momento è la più bassa tra i Paesi del G7. L’idea è dunque quella di tassare meno, ma ovunque, aggirando l’elusione fiscale e consentendo ai Paesi come l’Italia dove l’aliquota era più alta di recuperare almeno tutto il dovuto, anche se in percentuale più bassa. Proprio per questo motivo, è stata molto forte la resistenza di Paesi come l’Irlanda, dove oggi la tassa corporate è al 12,5% e permette ai grandi gruppi di pagare molto meno, in base alla sede fiscale, eludendo però di versare imposte in Paesi dove generano buona parte dei loro utili. Sul sistema delle tassazioni globali (G7) si affermano così due principi:
Le tasse si raccolgono dove i profitti vengono realizzati e non dove ci sono i quartieri generali delle multinazionali e secondo che tra paesi non può esserci una concorrenza sleale e quindi ci vuole una tassazione minima che sia di base per tutti.
L’Osservatorio fiscale europeo, fissando al 15% il pavimento fiscale per le multinazionali l’Europa riuscirebbe a raccogliere 48,3 miliardi di euro con Global corporate tax, mentre negli Stati Uniti il conto si attesterebbe a 40,7. La fetta italiana si attesterebbe a 2,7 miliardi di euro.
Mentre in USA si fa sempre più forte la proposta di una Global Minimum Tax che sta raccogliendo il consenso di molti Stati. Al termine dell’ultimo appuntamento dei Paesi del G7, è stato “formalmente” ufficializzato un ampio consenso. In realtà, si continua a trattare e i contrasti non mancano affatto. Altri Paesi, ad esempio, hanno già espresso pareri negativi: Irlanda e Ungheria intendono difendere il loro diritto a mantenere aliquote d'imposta sulle società relativamente basse. La Svizzera vede minacciata la propria attrattività per le multinazionali. Un veto arriva anche dall’India. La proposta USA prevede di fissare al 15% l'aliquota fiscale minima da concordare a livello globale, semplificando e limitando la riallocazione a fini fiscali di profitti in eccesso delle imprese multinazionali. Con un ambito di applicazione che non è però circoscritto ai soli giganti del web. L’incontro di luglio dei Paesi del G20 sarà il momento della verità e si capirà se il tragitto per l’implementazione della proposta USA sarà breve o estenuante. I negoziati di politica fiscale globale sui pilastri 1 e 2 sono da giorni in fase di profonda e ampia revisione. In sostanza, dall'8 aprile 2021, il quadro inclusivo OCSE/G20 si è di fatto concentrato su una nuova serie di proposte avanzate dagli Stati Uniti per portare avanti i negoziati sull’introduzione di un’imposta minima globale per le grandi multinazionali. Il risultato è evidente: un panorama mutato e nuove possibili discussioni. Il via libera di Parigi e Berlino, esteso ai membri del G7, è stato seguito da un’espressione di consenso ambigua prima da parte dell’Unione europea e successivamente da parte dell’OCSE, ma per questioni tecniche. Quindi, più recente, il distinguo dell’Irlanda, che ha espresso un “no” piuttosto netto e un consenso largamente sfuggente da parte di Londra. In ultimo, un ulteriore “no” da parte dell’India e un “no”, finalmente ragionato, proveniente dalla Confederazione elvetica. Dunque, la discesa in campo degli USA sul terreno della minimum tax globale ha sicuramente ravvivato il dibattito, di certo non ha ravvicinato la sottoscrizione di un accordo su basi consensuali ampie. Anzi, al contrario. E questo nonostante le prime espressione di largo consenso, prima che la proposta USA fosse realmente studiata e analizzata in tutti i suoi ambiti normativi. Un esempio delle ambiguità della scena attuale è il dissenso elvetico, misurato ma di contenuto. Le reazioni alla proposta USA Le nuove proposte degli Stati Uniti hanno portato a diffuse espressioni di ottimismo (basti pensare al plauso del G7) sulla prospettiva di un accordo globale sulla maggior parte o su tutte le questioni politiche in sospeso entro l'inizio di luglio, quando si riunirà il Quadro inclusivo con relative delegazioni. Il leader della politica fiscale dell'OCSE, Pascal Saint-Amans, prevede che la maggior parte dei dettagli di progettazione delle parti principali dell'accordo complessivo saranno chiari e concordati entro ottobre, quando si incontreranno i ministri delle finanze del G20. In realtà, prima ci sarà l’incontro di luglio del G20 a Venezia, dove la tassazione internazionale, e i Ministri dell’Economia, occuperanno la scena. Però, ciò di cui quasi nessuno parla è che lo scopo originario del progetto, aggiornare le norme fiscali internazionali per affrontare la digitalizzazione, sembra essere stato completamente abbandonato. In questo caso, infatti, gli USA sembrano aver portato a una partita completamente nuova. Tale ambiguità ha generato la reazione di Paesi come la Svizzera, l’Irlanda e l’India. Anche Londra non è completamente assorta sul progetto USA. Comunque sia, supponiamo che gli ottimisti abbiano ragione e che il quadro inclusivo annuncerà un "accordo di principio" sulle proposte degli Stati Uniti nella sua riunione di inizio luglio. Come ha fatto in passato quando ha accettato di lavorare insieme su determinate proposte, il Framework Inclusive potrebbe affermare espressamente che il suo accordo nel procedere sulla base delle proposte statunitensi è "senza pregiudizio" al diritto sovrano di ciascun Paese di adottare particolari misure fiscali non ancora concordate. L’India e la stessa Londra sono tra questi Paesi. E ancora, l'aliquota esatta dell'imposta minima globale verrebbe probabilmente lasciata in sospeso per ulteriori discussioni, a causa della necessità dell'unanimità tra gli Stati membri UE su tutti i dettagli dell'accordo. I membri dell'UE come l'Irlanda e l'Ungheria hanno già indicato che intendono difendere il loro diritto a mantenere le loro aliquote d'imposta sulle società relativamente basse.
2.7. Il nodo europeo è di difficile soluzione.
Infatti, se l'UE riuscisse a raggiungere un accordo unanime solo su un'aliquota fiscale minima relativamente bassa, gli Stati Uniti potrebbero esitare e prendere le distanze dal Framework. E questo nonostante Biden abbia già riformulato verso il basso l’aliquota, dal 21% originariamente pubblicizzato, all’attuale 15%. Gli Stati Uniti, ovviamente, hanno bisogno anch’essi del sostegno del Congresso per qualsiasi accordo. È probabile che sia i democratici che i repubblicani si opporranno a un accordo che non sembra essere vantaggioso per l'economia degli Stati Uniti o per il sistema fiscale statunitense. Sebbene i membri del Congresso concordino sul fatto che l'eliminazione di "misure unilaterali rilevanti" come le tasse sui servizi digitali sarebbe una buona cosa, non è chiaro se accetteranno in cambio un accordo quadro inclusivo potenzialmente dannoso per le multinazionali USA. Un accordo definitivo e vincolante su una serie di proposte dettagliate è ancora incerto e in ogni caso non si verificherà per molti mesi a venire, anche se il quadro inclusivo raggiungerà un accordo all'inizio di luglio per procedere sul base delle proposte statunitensi dell'8 aprile 2021. A sostegno di tale tesi è sufficiente riesaminare la posizione svizzera.
2.8. La posizione della Svizzera
In pratica, un'aliquota fiscale minima globale sulle imprese, come quella attualmente in discussione, potrebbe minacciare l'attrattiva della Svizzera per le multinazionali. Gli Stati Uniti proporrebbero che nessun Paese tassasse le società meno del 15%. Attualmente, nei Cantoni svizzeri l'aliquota media per l’imposta sui profitti è di circa il 15%. È evidente che il passaggio a un'aliquota praticamente identica scoraggerebbe gli investimenti stranieri in Svizzera. La Confederazione è una piccola realtà con modeste risorse naturali e nessun accesso all'oceano o al mare; è di fatto un piccolo Paese e come tale la tassazione è fondamentale nel quadro economico contemporaneo. L'idea di fissare una soglia fiscale minima globale per le aziende, così come avanzata, determinerebbe un effetto immediato su Berna. Un rischio che non si può correre, calcolare sì ma senza scommetterci. Peraltro, è difficile valutare l'impatto potenziale di questi provvedimenti, poiché i dettagli devono ancora essere elaborati. Ma è chiaro che la Svizzera potrebbe perdere entrate fiscali da un consistente numero di gruppi societari, all’incirca 400, che registrano la maggior parte delle loro vendite e profitti all'estero. Per scongiurare questa ipotesi, la Svizzera potrebbe rilanciare un tasso minimo ancora più basso. Ad oggi, la stima è una eventuale perdita di gettito di cinque miliardi di franchi qualora entrasse in vigore una minimum tax globale modello OCSE. Per quella formato USA non esistono ancora stime.
2.9. Ambiguità statunitensi
Secondo molti osservatori, a promuovere la riforma statunitense dell'imposta sulle imprese è stata la necessità di garantire risorse per supportare la spesa significativa destinata al rilancio dell’economia devastata dalla pandemia. Di fatto, saranno necessarie ulteriori entrate fiscali per ripagare questa somma. Se gli Stati Uniti inizieranno a tassare più pesantemente le aziende, dovranno in qualche modo spingere tutti gli altri Paesi ad aumentare le loro tasse o le aziende americane ne uscirebbero pesantemente svantaggiate. In sostanza, la mossa USA sulla minimum tax funzionerebbe come mezzo, strumento di politica fiscale che garantisca la competitività sul piano globale alle aziende USA anche in caso l’aliquota nazionale schizzasse verso l’alto, come del resto già proposto. Una sorta di paracadute globale fornito alla Corporate America per assorbire l’aumento repentino del prelievo sui profitti.
3.
I cambiamenti radicali del modello di business delle imprese indotti dalla globalizzazione, dalla digitalizzazione dell’economia e dalla prevalenza di beni immateriali nei meccanismi di produzione dei profitti d’impresa sembrano aver reso irreversibile la crisi della tassazione dei redditi societari attualmente in vigore nella maggior parte dei paesi. Quel modello era nato in un’economia caratterizzata dalla prevalenza di asset e beni materiali (e dunque più facilmente controllabile) e da scambi internazionali limitati e sviluppati all’interno di reti di rapporti bilaterali tra Stati, in un mercato in cui le transazioni intercompany si confrontavano con limitazioni stringenti alla circolazione di capitali, merci e persone. Questo principio appare inadeguato rispetto al nuovo modello di integrazione verticale delle funzioni d’impresa, contesto in cui le transazioni intercompany rappresentano la parte prevalente delle transazioni tra imprese. Con la digitalizzazione dell’economia, l’impresa globale produce profitti12 a livello globale e tali profitti non sono facilmente collegabili e quindi tracciabili, in base alle tradizionali regole di fiscalità internazionale, ai mercati sui quali l’impresa è attiva. In questo mondo anche i ricavi d’impresa diventano mobili, al pari dei flussi di dividendi, interessi o royalties, con un impatto significativo sulla fiscalità dei Paesi in cui sono realizzati. Questi cambiamenti radicali evocano riflessioni in merito a come ripensare il sistema di tassazione delle imprese in modo da renderlo più efficiente ed equo rispetto all’evoluzione dei modelli produttivi. La soluzione alle sfide da affrontare è tutt’altro che ovvia o semplice, ma possono essere delineate alcune indicazioni su come gestire la tassazione delle imprese in un mondo in cui la digitalizzazione ha modificato definitivamente il modo di produrre redditi. In primo luogo, se la tassazione del reddito d’impresa rimanesse ancorata all’utile di bilancio sembrerebbe indispensabile assumere quest’ultimo come riferimento univoco e stabile nel tempo nel tempo anche ai fini fiscali, evitando le variazioni, in aumento e in diminuzione, tipiche dei cd. “doppi binari”. Questa soluzione creerebbe un forte disincentivo a condizionare il bilancio per ragioni fiscali perché eventuali scelte valutative rivolte a ridurre il carico impositivo determinerebbero effetti negativi sui risultati di bilancio che l’impresa mostra al mercato e agli investitori. Sorgerebbe inoltre un incentivo diretto a rivelare al mercato i reali rendimenti dell’impresa derivanti da attività immateriali. In secondo luogo, nel caso in cui la riflessione si orientasse verso una soluzione più radicale che abbandoni il riferimento al Corporate income, per la tassazione delle imprese si potrebbero valutare le caratteristiche della Cash Flow Tax13 sulla base della destinazione. Questo approccio rappresenterebbe un mutamento decisivo rispetto al modello attuale e richiederebbe senz’altro opportune soluzioni per i problemi di compatibilità con le regole attuali e con la gestione amministrativa. Tuttavia, una volta introdotto, rappresenterebbe una semplificazione significativa del sistema rispetto al modello attualmente in vigore. Vi sarebbero inoltre forti guadagni in termini di neutralità ed efficienza del sistema fiscale rispetto alle scelte di investimento e di finanziamento delle imprese. Infine, abbandonate sia le tentazioni di costruire un sistema di tassazione completamente ancorato al bilancio sia lo stesso riferimento al reddito d’impresa, si potrebbe più semplicemente lavorare su una nuova ipotesi di base imponibile comune tra le diverse giurisdizioni di un sistema federale, come potrebbe essere in prospettiva l’Unione europea. Questa base imponibile, determinata su criteri uniformi e costruita sulla base di indicatori obiettivi e facilmente misurabili dell’attività d’impresa, sarebbe poi ripartita tra le giurisdizioni fiscali in modo che ciascuna di esse potesse essere autonoma nella definizione delle aliquote. La tassazione delle imprese si configurerebbe così come una tassazione alla fonte; una sorta di contropartita per i benefici di localizzazione ottenuti dall’attività di impresa in una certa giurisdizione. Non vi sarebbe alcun consolidamento, con tutti i problemi definitori che esso comporta, ma neanche una compensazione transfrontaliera delle perdite o dei trasferimenti Intercompany; i vantaggi in termini di neutralità ed efficienza sarebbero comunque notevoli. La caratteristica comune delle impostazioni fin qui delineate è che esse richiedono l’accordo (almeno) su base continentale (cioè al livello dell’Unione europea), sul nuovo sistema. Mentre un analogo accordo dell’Unione europea e degli altri Paesi avanzati con gli Stati Uniti, in sede OCSE, non appare probabile, dato il fondamentale conflitto di interessi che oppone gli Stati Uniti a tutti gli altri Paesi nella tassazione delle grandi imprese multinazionali digitali, contrari ad attuare una tassazione sui ricavi(che disincentiverebbero l’utilizzo di tali servizi e l’investimento delle grandi aziende) e pronti a reagire con l’imposizione di dazi: è necessario trovare un compromesso. Attualmente, al centro di numerosi negoziati è stata quindi evidenziata la necessità in campo fiscale di avere una digital tax14 globale, radicale e quindi avere una regola per cui non si possono spostare profitti fuori dal luogo in cui questi sono realizzati, e stabilire un livello minimo di tassazione per le imprese, scongiurando il dumping, la delocalizzazione e la concorrenza sleale. Deve essere quindi focalizzata su due pilastri: il primo incentrato sulla tassazione dei grandi colossi (digital tax) che non hanno presenza fisica significativa ma che effettivamente generano fatturato in tali paesi e conseguentemente lo sottraggono alle imprese locali, e il secondo basato su un livello minimo equo di tassazione, un floor sotto cui non si può andare, evitando corse al ribasso e lo spreco di risorse. Ogni giorno nascono nuove app, misuratore più efficace di tale trasformazione, in grado di effettuare in modo sempre più sofisticato acquisti, di collocare sul mercato prodotti attività e servizi, di implementare nuovi strumenti e piattaforme15 di pagamento: Tale rinnovazione in atto solleva molte incertezze e inquietudini ma allo stesso tempo, consente alle imprese di liberare le migliori energie creative, “le istituzioni devono fare in modo che quella che è una potenziale distruzione in realtà consegua una trasformazione, le politiche pubbliche devono in questa prospettiva coniugare modernità con inclusione. Soltanto in tale direzione si potrà godere dei benefici delle nuove tecnologie in maniera equa, diffusa, migliorando la qualità di vita dei cittadini senza sacrificare prospettive di disoccupazione, allineando gli interessi di tutti verso prospettive di crescita economica attraverso lo sviluppo di settori innovativi, strategici e processi di blockchain in grado di conferire trasparenza fiducia e afflusso di venture capital”. Parallelamente, l'UE sta mobilitando notevoli risorse per il completamento di un "mercato unico digitale" entro il 2020. Finora questo obiettivo ambizioso è risultato nell'adozione dell '"Agenda digitale" e del "Mercato unico”. Il 19 aprile 2016 la Commissione europea ha lanciato la prima iniziativa settoriale del pacchetto sul mercato unico digitale. Basandosi e integrando le varie iniziative nazionali per la digitalizzazione dell'industria16, come Industrie 4.0 e Smart Industry, la Commissione intraprenderà azioni lungo 5 pilastri principali. Questi includono l'uso di strumenti politici, sostegno finanziario, coordinamento e poteri legislativi per innescare ulteriori investimenti pubblici e privati in tutti i settori industriali17 e creare le condizioni per la rivoluzione industriale digitale. La revisione intermedia della strategia per il mercato unico digitale si concentrerà sulla digitalizzazione delle azioni orientate all'industria europea, con l'obiettivo di gestire la trasformazione digitale della nostra società e della nostra economia. Nel complesso, i piani odierni dovrebbero mobilitare fino a 50 miliardi di EUR di investimenti pubblici e privati a sostegno della digitalizzazione dell'industria. 37 miliardi di euro di investimenti per promuovere l'innovazione digitale. 5,5 miliardi di EUR di investimenti nazionali e regionali negli hub dell'innovazione digitale. 6,3 miliardi di euro per le prime linee di produzione di componenti elettronici di prossima generazione. 6,7 miliardi di euro per l'iniziativa cloud europea. “Sono convinto che dobbiamo sfruttare in maniera decisamente migliore le notevoli opportunità offerte dalle tecnologie digitali, che non conoscono confini’’. Per realizzare questo obiettivo dovremo avere il coraggio di superare i compartimenti stagni delle regolamentazioni nazionali nel settore delle telecomunicazioni, nella legislazione sui diritti d'autore e sulla protezione dei dati, nella gestione delle onde radio e nell'applicazione del diritto della concorrenza. Creando un mercato unico del digitale connesso nel corso del mandato della prossima Commissione potremo generare un'ulteriore crescita in Europa che potrà raggiungere i 250 miliardi di euro, creando centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, in particolare per i giovani in cerca di occupazione, e una società dinamica e basata sulla conoscenza.” Così Jean-Claude Juncker si esprimeva il 15 luglio 2014, in occasione della presentazione del programma di candidatura alla Commissione europea, che analizza la necessità di istituire un mercato unico digitale europeo18, indicandone le motivazioni. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono considerate il fondamento di tutti i sistemi economici moderni e stanno comportando un cambiamento veloce nei modelli di business, che può dar luogo tanto a possibilità di innovazione, crescita ed occupazione, quanto a problematiche molto complicate che le amministrazioni pubbliche devono essere in grado di sostenere; il modo migliore per affrontare queste sfide è utilizzare un approccio di tipo comunitario, con un’azione coordinata, dato che i singoli Stati membri si trovano in una dimensione troppo ristretta per poter cogliere tutte le opportunità e risolvere tutte le problematiche. Un nuovo inizio per l’Europa. Il programma per l'occupazione, la crescita, l'equità e il cambiamento democratico. Il mercato unico digitale è definito come un mercato in cui è garantita la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali ed in cui, indipendentemente dalla loro cittadinanza, nazionalità o luogo di residenza, persone ed imprese non incontrano ostacoli all’accesso ed all’esercizio delle attività online, in condizioni di concorrenza leale e potendo contare su protezione e trasparenza dei consumatori e dei dati personali. La strategia per la creazione del mercato unico esposta nella Comunicazione si basa su tre pilastri: migliorare l’accesso online ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e le imprese, con la conseguente eliminazione delle differenze tra il “mondo online” e quello offline, al fine di abbattere le barriere che bloccano l’attività transfrontaliera; creare un contesto favorevole affinché le reti ed i servizi digitali possano svilupparsi, attraverso infrastrutture e servizi ad alta velocità, sostenuti da condizioni favorevoli all’innovazione; massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale europea, che implica elevati investimenti nelle infrastrutture e nelle tecnologie delle TIC19 (tecnologie dell’informazione e della comunicazione). Per garantire la più efficiente creazione del mercato è necessaria, un’azione tempestiva e coordinata per abbattere le divergenze fiscali e impedire la costituzione di “geoblocchi” immotivati da parte di venditori online che, per motivi commerciali, impediscono al consumatore di accedere a siti web basati in altri Stati membri oppure che, pur permettendo l’accesso alla piattaforma, non rendono possibile l’acquisto dei beni disponibili. Infine, dal momento che le imprese che effettuano transazione internazionali, tanto online quanto offline, incontrano ostacoli dovuti al fatto di operare nel quadro giuridico di sistemi nazionali diversi, è necessario ridurre l’onere che devono sostenere per ampliare le loro possibilità commerciali; per questo motivo sono e saranno attuate diverse norme che tentano di armonizzare la riscossione dell’IVA, rendendola un’imposta sempre più europea. Il programma per l'occupazione, la crescita, l'equità e il cambiamento democratico, Orientamenti politici per la prossima Commissione europea, Discorso di apertura della plenaria del Parlamento europeo Strasburgo). Dal 1° aprile 2020 è entrata in vigore nel Regno Unito la digital services tax20, che prevede un prelievo del 2% sui ricavi generati nel Regno Unito da multinazionali del web (social, search, online marketplace) i cui ricavi globali sono superiori a 500 milioni di sterline, 25 milioni in UK. Sotto tale soglia le attività digitali non sono tassate. Si stima che la tassa genererà importi che partiranno da 70 milioni di sterline (anno solare 2019-2020) e supereranno i 500 milioni di sterline già primi 5 anni. Europa ma non solo, secondo l’ultimo aggiornamento del monitoraggio periodico effettuato da KPMG (Taxation of the Digitalized Economy21) su 46 Paesi, 22 hanno già adottato forme di tassazione diretta, 6 hanno una normativa in discussione / implementazione, 10 hanno fatto annunci pubblici al riguardo (gli USA sono fra questi); 5 attendono una soluzione globale, 3 (Australia ì, Cile e Germania per ora hanno rigettato una iniziativa al riguardo. Nella lettera congiunta inviata dai ministri dell’economia di Regno Unito, Francia, Italia e Spagna al segretario del Dipartimento del tesoro statunitense si suggerisce un “approccio graduale” nelle trattative su una digital tax a livello globale, limitando inizialmente la tassazione solo ai “servizi digitali automatizzati”, ossia, verso motori di ricerca e social, escludendo al momento e-commerce e altre forniture di beni e servizi online. L’obiettivo sarebbe preparare il terreno per l’accordo globale entro la fine dell’anno in ambito OCSE. Le dichiarazioni dei ministri delle Finanze e dei banchieri centrali che hanno chiuso il G20 di Fukuoka, non risolvono il tema di trovare a breve una soluzione unanime, condivisa e operativa per una digital tax22 globale. Il G20 ha votato per continuare la propria cooperazione per un “sistema di tassazione internazionale globalmente equilibrato, sostenibile e moderno”. Tuttavia, sulle modalità di calcolo del valore dell’economia digitale restano ancora in campo teorie non facilmente conciliabili. Mentre l’Ocse continua a lavorare sulla logica dei due pilastri, nel tentativo di creare un collegamento tra due universi paralleli - quello dell’industria tradizionale e quello disruptive dell’economia digitale/immateriale - alcuni Stati stanno ponendo misure unilaterali che rischiano solo di alterare il level playing field della competizione commerciale. In ogni caso, e proprio per questo, non è per nulla scontato che nel giro di un anno o poco più il G20, arrivi a un punto di equilibrio secondo due cardini: Il primo riguarda la frazionabilità e la conseguente difficoltà del diritto di tassare il reddito delle imprese multinazionali tra le giurisdizioni, compresi le tradizionali regole sui prezzi di trasferimento e il principio di libera concorrenza. Questi dogmi del diritto tributario internazionale dovrebbero essere modificati per tenere conto dei cambiamenti che la digitalizzazione ha determinato nell’economia mondiale. In particolare si sta cercando di “stressare” il concetto del cosiddetto nexus cioè le regole di connessione tra un’azienda e la sua giurisdizione “naturale”23 , e di «presenza economica significativa», in termini di regole sulla determinazione della parte di profitto che deve essere assegnata a tale giurisdizione, delle proposte basate sui concetti di intangibili (in sostanza, la valutazione economica del traffico di dati),del contributo degli utenti (piattaforme social) e su come queste possono essere utilizzate per modernizzare il sistema fiscale internazionale per affrontare le sfide fiscali della digitalizzazione. Sul primo pilastro la visione di Londra diverge da quella americana e non si è ancora arrivati a una definizione univoca di cosa sia realmente il business digitale e come debbano essere ripartite le competenze in materia di tassazione tra i diversi Paesi. Il secondo pilastro mira a risolvere i rimanenti problemi Beps (erosione della base imponibile e trasferimento dei profitti) ed esaminerà due serie di norme collegate per fornire un rimedio nei casi ormai frequenti in cui il reddito è soggetto a tassazione nulla o molto bassa. Il problema è particolarmente sentito in Europa, dove il fisco di alcuni Paesi (Irlanda, Olanda e Lussemburgo in particolare) permette pratiche di tassazione particolarmente vantaggiose, in gran parte svincolate dal luogo in cui i ricavi vengono generati. L’idea è quella di cominciare a lavorare per un sistema il più possibile armonizzato di tassazione da presentare al G20 dell’anno prossimo sotto forma di accordo finale: favorevoli per un sistema globale di tassazione dei giganti digitali sono soprattutto Francia e Gran Bretagna. Lo schema di base quindi prevede due cardini. Il primo vuole introdurre una tassazione sulla base del luogo in cui i ricavi di gruppi come Google, Amazon e Facebook vengono realizzati (localizzazione dell’utente/cliente finale) anche nel caso in cui la società non abbia una sede legale nel Paese in questione. Il secondo servirebbe ad arginare eventuali e nuove forme di elusione stabilendo una tassa minima digitale su scala globale. Ma se questo è il quadro di riferimento, in cui le differenze tra Paesi persistono, la strada verso il rapporto finale sarà lunga e difficile.
1 Si faccia riferimento a M. Finizio R SAPORITI, ”Affitti brevi, la stretta del Fisco potrebbe colpire 9mila host su Airbnb”, Il sole 24 ore, 23 febbraio 2020 pp. 13-45.
2 Si faccia riferimento a A. GOLDFARB, S. GREENSTEIN, TUCKER C., Economic analysis of the digital economy, University of Chicago Press, 2015 pp. 26-41.
3 M. SPINOWITZ Tax-Efficient Supply Chain in Shadow of the Tax Reform, Tax Executive, Washington, D.C. 12 marzo 2018 pp. 30-37.
4 Si veda M. BACACHE -BEAUVALLET, “Tax competition, tax coordination, and e-commerce”, Journal of Public Economic Theory, 2017 pp.32-54.
5 Si faccia riferimento a L. FILISTRUCCHI, D. GERADIN, E. VAN DAMME “Identifying Two-Sided Markets”, World Competition, Vol. 36, 2013 pp. 32-45.
6 Si veda A. Galimberti, “Per una digital tax globale la strada è ancora lunga”, Il sole 24 ore, 11 giugno 2019 pp. 14-40.
7 A. Rociola , ‘’L'impatto del coronavirus sulla sharing economy” AGI,2020 pp 15-50.
8 J. IMBS e I. MEJEAN “Trade Elasticities”, Review of International Economics, Vol. 25, 2017, pp. 383-402.
9 H. KIND e M. KOETHENBUERGER “Taxation in digital media markets”, Journal of Public Economic Theory, Vol. 1, 2017, pp. 31-78.
10 M. DEVEREUX S. LORETZ “What do we know about corporate tax competition?”, Oxford University - Centre for Business Taxation, 2012 pp. 33-60.
11 Si faccia riferimento a L.R DOERNBERG, L. HINNEKENS. “Electronic Commerce and International Taxation”. Nujs L.Rev. 19 2017 pp. 4-29.
12 Si faccia riferimento a E. BRYNJOLFSSON “ICT, innovation and the e-economy”, European Investment Bank Papers, Vol. 16 2011, pp. 60-76.
13 Si veda O. Oldman, A.Schenk, , Value Added Tax: A Comparative Approach, Cambridge Tax Law Series 2007 pp 18-47.
14 Si faccia riferimento a M. Olbert C. Spengel., , “International taxation in the digital economy: challenge accepted?”, World tax journal February 2017, pp. 19-31.
15 Si veda G. Smorto, ‘’Armi spuntate delle autorità locali contro le piattaforme”, Il sole 24 ore 2019, pp. 4-15.
16 L. FONTAGNÉ, A. HARRISON, “The factory-free economy: Outsourcing, servitization and the future of industry”, Nber Working Paper series, 2017 pp. 20-30.
17 O. SHY The economics of network industries, Cambridge University Press, 2001 pp. 23-51.
18 Si veda S. CINIERI “La web tax transitoria mette in regola i debiti dei non residenti”, Guida al diritto, n. 30, 15 luglio 2017, pag. 68.
19 Si faccia riferimento a E. BRYNJOLFSSON, “ICT, innovation and the e-economy”, European Investment Bank Papers, Vol. 16/2, 2011, pp. 60-76.
20 Si faccia riferimento a F. BLOCH e G. DEMANGE “Taxation and privacy protection on Internet platforms”, Journal of Public Economic Theory, 2017 pp. 4-11.
21 Si veda A. ASLAM. e A SHAH., Taxation and the Peer-to-Peer Economy, International Monetary Fund, 2017, pp. 12-46.
22 Si faccia riferimento A. Persiani, “La tassazione dell'economia digitale tra sviluppi recenti e prospettive future”, Università Europea di Roma 2018, pp. 18-29.
23 Si veda R. BALDWIN., “Globalisation: the great unbundling(s)”, Economic Council of Finland, 2006 pp.23-50.
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