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Gli effetti negativi impliciti all'epoca del "Covid-diritto" sui criteri di localizzazione dei redditi e gli impedimenti legati a causa di forza maggiore

Scritto da Paola Coppola • dic 2020

Sintesi

Che succede se, per l’emergenza Covid-19, si è costretti a rimanere in un luogo diverso da quello di residenza? Quali sono le conseguenze dell’impedimento sui criteri di localizzazione e determinazione dei propri redditi o se si dovesse interrompere sospendere l’attività e chiudere, ad es. lo studio professionale? Già il MEF ha suggerito l’adozione di criteri più elastici dei principi ordinariamente applicabili per neutralizzare gli effetti impliciti di obblighi o restrizioni imposti dal Covid. Tra questi potrebbe essere invocata, nei casi concreti, la causa d forza maggiore per ottenere il diritto alla remissione in termini o l’esimente dalle sanzioni (tributarie e, se del caso, penali). Ma l’Agenzia delle Entrate (MEF), allo stato, non è di questo parere. Serve un intervento urgente e rassicurante del Legislatore al tempo del Covid-diritto.

Abstract

What happens if, due to the Covid -19 emergency, one is forced to stay in a place other than that of residence? What are the consequences of the impediment on the criteria for locating and determining one's income or if you were to interrupt / suspend the activity and close, for example the professional studio? The MEF has already suggested the adoption of more elastic criteria than the ordinarily applicable principles to neutralize the implicit effects of obligations or restrictions imposed by Covid. Among these could be invoked, in actual cases, the cause of force majeure to obtain the right to remission in terms or the exemption from sanctions (tax and, where appropriate, criminal). But the Revenue Agency (MEF), currently, is not of this opinion. An urgent and reassuring intervention by the Legislator is needed at the time of Covid-law.

Contenuto

1. Premessa

Due esempi (tra i tanti) di problematiche che possono insorgere nell’applicazione delle regole di determinazione e localizzazione dei redditi e connessi adempimenti nell’anno d’imposta (horribilis) 2020 per effetto delle norme emergenziali al tempo, attuale, del “Covid-diritto”.

Uno affrontato e risolto (in parte) positivamente dal Mef, l’altro, risolto (per ora) negativamente dall’Agenzia delle Entrate (Mef) per rappresentare, con brevi spunti di riflessione, gli effetti “involontari” o “impliciti” che possono impattare, negativamente, sui criteri di determinazione, tassazione e localizzazione dei redditi o beni patrimoniali in dipendenza della infinita serie di misure, anche agevolative, in questo periodo straordinario di crisi pandemica mondiale che andrebbero “sterilizzati”, secondo coerenza, per evitare di aggravare la condizione di coloro che possono trovarsi ad incorrere, incolpevolmente, in violazioni di natura tributaria, sanzionabili in ambito tributario e penale.

L’esercizio si svolge limitando l’indagine ai redditi di lavoro dipendente ed autonomo, anche se le questioni potrebbero estendersi, ovviamente, a molte altre fattispecie, ed altri redditi.


2. Gli effetti delle restrizioni allo spostamento da e verso l'estero, sui criteri di territorialità ai fini della residenza (secondo il Mef)

Cominciamo dal primo esempio. La pandemia può aver determinato e, malauguratamente, potrà continuare a determinare l’impossibilità delle persone di trasferirsi liberamente nell’ambito dei paesi UE per effetto di eventuali restrizioni e/o divieti di spostamento da o verso l’estero e/o tra le regioni durante i mesi di lockdown, sia nel primo che secondo periodo emergenziale; e ciò sebbene, in linea teorica, sia stato sempre ammesso, secondo le direttive dei vari DPCM o di ordinanze regionali, lo spostamento o rientro per motivi di lavoro. Si pensi ai casi di quarantena, o di lavoro in smart working che molte amministrazioni, imprese o professionisti hanno imposto, o preferito rispetto al lavoro in sede.

Il problema impatta, innanzitutto, sulla libertà di circolazione e di stabilimento UE e, per ciò che riguarda i redditi dei lavoratori all’estero (dipendenti o autonomi) incide sui criteri di territorialità per la durata – maggiore o minore dei 183 giorni – della residenza dei lavoratori “bloccati” in Stati diversi da quelli di residenza e, quindi, sui criteri di calcolo e di pagamento delle imposte dovute allo Stato legittimato, a seconda dei casi, ad esercitare lo ius imperii.

Il MEF ha affrontato la questione in risposta ad un’interrogazione parlamentare (n. 5-04654 del 3 dicembre 2020), in cui ha riportato che le stesse criticità erano state valutate anche dall’OCSE (con la nota del 3 aprile 2020) che ha raccomandato agli Stati aderenti l’adozione di un “più elastico criterio” di individuazione del “luogo di soggiorno abituale” proprio per evitare di dover “modificare” lo status di residenza “precedente” del soggetto passivo ai sensi dell’art. 4 del Modello (tie breaker rules). Regole convenzionali che, com’è noto, risolvono i conflitti di residenza (positivi) tra Stati secondo i parametri di frequenza, durata e regolarità ordinati in via gerarchica su base convenzionale1.

La più che condivisibile risposta del MEF ci porta a rilevare che le regole dei Trattati andranno “adattate” al momento eccezionale e straordinario di crisi pandemica che stiamo vivendo per il fatto, oggettivo, che l’eventuale permanenza involontaria/obbligatoria in uno Stato per effetto delle restrizioni legate al Covid non potrebbe determinare quel “volontario” nesso di collegamento del soggetto passivo in più Stati che può determinare il cambio di residenza in uno Stato diverso da quello precedente, alla luce dei criteri convenzionali. Grazie a questo segnale di apertura del Mef, conformemente a quello già valutato in sede internazionale, gli uffici preposti della varie amministrazioni fiscali degli Stati, comprese le Agenzia delle Entrate in Italia, saranno tenuti ad operare una valutazione “caso per caso”, prima di contestare eventuali violazioni tassabili (e sanzionabili) dei criteri di territorialità per poter, così, neutralizzare gli effetti impliciti delle misure restrittive, anche di tipo personale, legate all’emergenza Covid e non aggravare la posizione dei contribuenti.


3. La chiusura "obbligatoria" dello studio professionale per obbligo sanitario non è causa di forza maggiore (secondo l'Agenzia delle Entrate, e quindi, il Mef)

Il secondo esempio (che si collega al primo), ma di segno inverso. Ma cosa accade sul piano dei criteri di determinazione dei redditi, obblighi strumentali, adempimenti ad un contribuente/soggetto passivo che resta “bloccato” in Stati o in regioni diversi da quella di residenza se, ad es., a causa degli obblighi sanitari fosse costretto ad interrompere l’attività e/o chiudere lo studio professionale?

E’ evidente che qui non si discute del maturare o meno del reddito del soggetto passivo (di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa) che seguirà le regole ordinarie del TUIR, ma delle conseguenze che potrebbero essere indotte dall’interruzione/chiusura dell’attività professionale/imprenditoriale “non per scelta”, ma per “obbligo (sanitario)” sul piano delle possibili violazioni che potrebbero determinarsi sui termini degli adempimenti (procedimentali/processuali) o di pagamento di tributi e/o sanzioni. Si pensi, ad es., ai casi in cui l’interruzione/sospensione di attività potrebbe aver determinato un calo “straordinario” nel volume delle attività cui dovrebbe seguire (almeno), la disapplicazione degli ISA o un adattamento degli strumenti accertativi sintetici ex artt. 38 o 39, comma 1, lett. d), (o 41-bis) D.P.R. n. 600/73 - ma anche alle possibili violazioni della lunga serie di obblighi strumentali e dichiarativi per il pagamento delle imposte/tributi propri, e/o nel caso dei professionisti, dei propri clienti/assistiti, oltre che di adempimenti processuali.

La soluzione coerente e razionale andrebbe, anche qui, cercata “di caso in caso” per neutralizzare gli effetti impliciti negativi legati alle restrizioni/ divieti/ impedimenti legati alla pandemia al tempo del “Covid-diritto” ; e ciò fermo il fatto che la soluzione potrà anche divergere a seconda di chi sarà tenuto a valutare i fatti che possono aver determinato la possibile violazione, anche ai fini delle sanzioni applicabili con buona pace di criteri oggettivi, equi e proporzionati.

Una soluzione coerente che si intravede, a sistema, a garanzia dei contribuenti/professionisti, oltre che a tutela dell’agire imparziale dell’amministrazione (ex art. 97 Cost) dovrebbe essere quella di poter invocare l’esimente per causa di forza maggiore per rivendicare il diritto alla rimessione in termini e/o alla non applicazione delle sanzioni ex art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 472/97.

Ma mentre si è acceso il dibattito sulla questione, è intervenuta l’Agenzia delle entrate - Settore coordinamento e programmazione Ufficio adempimenti e sanzioni, in risposta ad un quesito posto dall’Istituto nazionale dei tributaristi (del 23 novembre 2020)2, ha ritenuto, invece, non applicabile l’esimente delle sanzioni per causa di forza maggiore nel caso di chiusura “obbligatoria” dello studio di un professionista “in quarantena” per il fatto che, nonostante il “caso straordinario” prospettato nel quesito «il responsabile degli adempimenti tributari e fiscali resta in ogni caso il contribuente/cliente cui gli stessi si riferiscono, estraneo al provvedimento sanitario che colpisce il titolare o i suoi collaboratori».

Il che, davvero, non è condivisibile, non riuscendo davvero a comprendere come può l’Agenzia ritenere che sia il “contribuente/cliente” di un professionista in quarantena a poter adempiere, nonostante che abbia delegato (preventivamente) agli adempimenti il professionista, né come potrebbe il “contribuente” recuperare i documenti necessari per rivolgersi ad altro professionista se il suo delegato/procuratore (in quarantena) non può accedere allo studio per consegnare, se del caso, i documenti, le scritture contabili e/o ai fascicoli di interesse, perché obbligato alla chiusura.


4. Le ragioni invocabili per l’esimente per causa di forza maggiore ex art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 472/92, e 45 C.P. (trascurate dall’Agenzia delle entrate, e quindi dal Mef)

Occorrerebbe invitare l’Agenzia, vista la risposta fornita a riflettere sul fatto che nel caso eccezionale e straordinario della chiusura di uno studio professionale per effetto delle restrizioni imposte dal Covid-19, le eventuali violazioni di termini e/o adempimenti del soggetto passivo (“cliente” del professionista in quarantena obbligatoria) dipendono dall’assoluta “impossibilità e non dalla “mera difficoltà” (come assume l’Agenzia nella risposta) di «evitare l’inadempimento, per fatti a lui non imputabili», per cui ricorre in quel caso - esattamente - la causa di forza maggiore che legittima l’esimente dalle sanzioni di cui all’art. 6, comma 5, D.Lgs. n. 472/97 come, in più occasioni, è stato del resto confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (con precedenti ricordati, peraltro, dall’Agenzia stessa nella risposta).

L’esimente ricorre, invero, ai fini sanzionatori (tributari), quando è «causa esterna, imprevedibile e sopravvenuta che non dipende da un comportamento addebitabile anche solo a titolo di colpa nei vari gradi o specie»3, e quando (a fini penali) è «causa esclusiva e non concorrente dell’evento, nel senso che la realizzazione o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta – proprio come accade nel caso di chiusura obbligatoria dello studio imposta da norme sanitarie inderogabili – all’assoluta e incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando»4.

E non solo. Se questo è vero, è ancor più sorprendente la “soluzione” proposta dall’Agenzia, ovvero che «siano gli stessi contribuenti “in difficoltà” a porre in essere gli adempimenti che non può effettuare il professionista» (in quarantena obbligatoria)!

Così, come se per ogni contribuente/cliente possa ritenersi agevole superare “la difficoltà” di determinare e dichiarare redditi imponibili e/o eseguire le liquidazioni ed i versamenti dovuti, trasmettere le dichiarazioni, redigere, notificare e depositare (in via telematica) gli atti processuali e, al contempo, come se fosse agevole per il contribuente acquisire – semmai in pochi giorni - quella competenza tecnico-giuridica che è richiesta alle categorie professionali (ordinistiche) di riferimento.

Quello che scoraggia nella risposta, che appare già non conforme ai principi generali applicabili nella fattispecie concreta anche secondo i precedenti di legittimità sopra indiati, è la “derubricazione” che opera l’Agenzia nel caso prospettato dell’impossibilità ad adempiere da parte del soggetto passivo (per la chiusura obbligatoria dello studio del professionista incaricato) a “mera difficoltà” che si accompagna, per di più, allo svilimento del ruolo dei professionisti (commercialisti, avvocati tributaristi, consulenti, ecc.) impegnati “in prima linea”, sin dall’inizio della pandemia, a garantire l’assolvimento degli obblighi tributari o contributivi dei clienti/assistiti ed assicurare, in primis, le entrate allo Stato.

Di fronte al disorientamento che assale l’interprete di fronte alle recenti diverse letture e posizioni che potranno assumere gli uffici centrali (del Mef) che potrebbero dipendere dal verificarsi di uno stesso problema per affrontare e risolvere il quale potrebbero incombere gli effetti impliciti di eventuali restrizioni/impedimenti legati al tempo del Covid e, quindi, allo scenario che possano venirsi a determinare differenti soluzioni a fronte di medesime questioni che insorgeranno a seconda di chi sarà chiamato a valutare/giudicare “caso per caso” (in termini di tributi e sanzioni) si resta smarriti.

Non c’è che auspicare un intervento chiarificatore – netto – del legislatore che metta al riparo i contribuenti e, in generale, gli operatori del diritto (professionisti/uffici/giudici) dalle possibili deviazioni dai principi generali sui criteri di determinazione o localizzazione dei redditi o beni patrimoniali e/o sul rispetto delle scadenze, ove si accerti che l’inadempimento “incolpevole” di norme tributarie sia dipeso dall’osservanza di obblighi sanitari, o da norme o provvedimenti imposti dal Covid, e/o da incongruenze o criticità legate alla straordinarietà ed eccezionalità delle misure (anche di favore), indipendentemente dalle scelte (volontarie) dei soggetti passivi. In questo modo verrebbe assicurata, da un lato, la riscossione delle imposte, ma sarebbe garantita, dall’altro, l’esimente dalle sanzioni tributarie (e, se del caso penali) per dare, subito, una risposta rassicurante e razionale ai tanti interrogativi e perplessità che riguardano, e riguarderanno per la (più lunga) durata dell’emergenza, e dei controlli, i contribuenti (e professionisti).

1 All’art 4, paragrafo 2, del Modello di Convenzione OCSE, com’è noto, si rinvengono le regole (tie breaker rules) che stabiliscono, per dirimere il conflitto di residenza che sorge ove un soggetto, in applicazione delle leggi nazionali, risulti residente in entrambi gli Stati contraenti, criteri di collegamento in ordine gerarchico volti a dirimere i casi di “doppia residenza” del soggetto passivo, con l’ impossibilità di accedere ai criteri successivi al primo qualora quest’ultimo sia soddisfatto: 1) abitazione permanente; 2) centro degli interessi vitali; 3) luogo di soggiorno abituale; 4) nazionalità; 5) accordo fra Stati. Nella nota del 3 aprile scorso (“OECD Secretariat Analysis of Tax Treaties and the Impact of the COVID-19 Crisis), l’OCSE ha indicato che la verifica della residenza dovrà focalizzarsi sul concetto di habitual abode, ovvero di “dimora abituale” che, nei casi ordinari, si riferisce alla frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della “vita ordinaria” di un individuo, per un periodo di tempo sufficiente affinché sia possibile accertare detta frequenza, durata e regolarità dei soggiorni. Vista l’emergenza Covid, la nota ribadisce l’opportunità che le amministrazioni fiscali e le autorità competenti considerino nella valutazione del criterio della dimora abituale, la circostanza eccezionale rappresentata dal perdurare della permanenza del soggetto passivo in uno degli Stati per l’effetto della pandemia da Covid-19.

2 Nella cit. nota protocollo n. 360117 del 23 novembre 2020, in risposta all’Istituto Nazionale dei Tributaristi che aveva chiesto di individuare un automatismo per disporre una “sospensione delle scadenze fiscali e contributive per i contribuenti assistiti da uno studio professionale il cui titolare ed i collaboratori fossero stati posti in “quarantena”, ha escluso che l’impedimento possa essere ricondotto a “causa di forza maggiore” e/o ad un “evento eccezionale ed imprevedibile” affermando che «la sospensione od il differimento degli obblighi fiscali e tributari è riservata alla sola ipotesi in cui l’adempimento non sia stato assolto per un impedimento riferibile al contribuente stesso» (nonostante il Covid).

3 Cfr., ex multis, Cass. sez. V, 10 dicembre 2019, n. 32208; nonché Cass. civile sez. trib., 3 novembre 2020, n. 24308. Dall’ordinamento è ricavabile una regola generale per cui non può essere preteso un comportamento quando lo stesso sia divenuto impossibile senza colpa di chi vi sia tenuto. La forza maggiore, invero, si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talché essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto ed imprevedibile, non imputabile al contribuente, nonostante tutte le cautela adottate (Cass. n. 22153 del 22.9.2017). Questo principio viene desunto anche dalla interpretazione della Corte di Giustizia (C/314/06, al punto, 24) sulla nozione di forza maggiore che richiede la sussistenza di due elementi: un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate, senza incorrere in sacrifici eccessivi.

4 Cass. sez. penale, 13 marzo 2020, n. 9960 e Cass. pen. Sez. III, 31 ottobre 2019, n. 44515. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità in ambito penale , la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell'evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982,; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell'evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all'assoluta ed incolpevole impossibilità dell'agente di uniformarsi al comando, e non può, quindi, ricollegarsi in alcun modo ad un'azione od omissione cosciente e volontaria dell'agente.