Scritto da Salvatore Muleo • dic 2021
La transizione dal processo tributario tradizionale, basato su atti processuali cartacei, al processo tributario telematico pone nuove problematiche. La più importante riguarda cosa succede se i documenti elettronici non rispettano le specifiche previste dalle norme aggiuntive rispetto al d.lgs. 546 del 1992. L'uso di soli documenti informatici può far pensare de jure condendo a significative modifiche del rito processuale.
The transition from the traditional tax process, based on paper procedural documents, to the telematic tax process poses new problems. The most important one concerns what happens if the electronic documents do not comply with the specifications provided by the additional rules with respect to d.lgs. 546 of 1992. De jure condendo the use of electronic documents can lead to significant changes in the procedural rules.
Pubblicazione X - 20XX
1.
L’avvio generalizzato del processo telematico, a far data dal 1° luglio 2019, ha posto i soggetti operanti a vario titolo nel processo tributario di fronte alla necessità di comprendere quali siano i requisiti di forma da osservare per avere un processo regolarmente iniziato e condotto.
Prima del processo telematico, come noto, non erano desumibili dai testi normativi particolari requisiti di forma, se si esclude quello implicito della necessità del supporto cartaceo sul quale apporre stabilmente i segni (cioè, gli scritti) delle parti. Erano stabiliti, invece, requisiti minimi di contenuto, che erano (e sono ancora) indicati all’art. 18 d.lgs. 546/1992 per il ricorso ed all’art. 53 per l’appello. La parte resistente e quella appellata, invece, avevano (ed hanno) obblighi molto più scarni, essendo in realtà solo indispensabile la possibilità di attribuzione dello scritto alla parte, sì da reputarla come costituita, mentre il contenuto dei loro atti di costituzione era (ed è) un onere piuttosto che un obbligo.
Per il resto, si era sempre ribadita la sussistenza del principio della libertà di forma richiamato dall’art. 121 c.p.c., con l’unico limite, fissato dall’art. 89 c.p.c., del divieto di uso di espressioni sconvenienti od offensive negli scritti e nei discorsi pronunciati davanti al giudice.
L’indirizzo del processo verso modalità telematiche è avvenuto gradualmente e con atti aventi rango differente.
Così, con l’art. 39, co. 8, lett. d, d.l. 98 del 2011, conv. in legge 111/2011, è stato stabilito che “d) con regolamento ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto dal Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, sono introdotte disposizioni per il più generale adeguamento del processo tributario alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni.
Tale disposizione, come è stato condivisibilmente osservato1, ha adoperato espressioni ambigue.
Soprattutto, ha destato perplessità l’ampiezza del rinvio ad un regolamento ex lege 400/1988 per profili che, per la loro ampiezza, incidono fortemente sull’introduzione e la conduzione del processo tributario telematico. E ciò, come si vedrà, ha riflessi sulle conseguenze delle eventuali violazioni dei precetti ivi contenuti.
È stato quindi emesso il regolamento di attuazione 23.12.2013 n. 163, che ha contemplato alcune regole tecnologiche e poi ha rinviato, con subdelega di dubbia legittimità, ad altri decreti ministeriali che sarebbero stati successivamente emanati. Il primo di essi è stato il d.m. 4 agosto 20152.
Il legislatore è quindi intervenuto sul corpo delle regole processuali, introducendo l’art. 16-bis d. lgs. 546/1992 con l’art. 9, lett. h, d. lgs. 156/2015, e poi modificando lo stesso art. 16-bis d. lgs. 546/1992 con l’art. 16 d.l. 119/2018, convertito in l. 17.12.2018 n. 136.3
Sullo sfondo è il Codice amministrazione digitale, di cui al d. lgs. 82/2005 e succ. mod., richiamato però talvolta da atti sotto-ordinati.
La realizzazione del processo tributario telematico è stata effettuata ricorrendo ad un software gestito dall’amministrazione finanziaria, secondo una indiscussa catena di controllo, che in punto di fatto non è di ausilio effettivo al fine di evitare gli errori, poiché l’inserimento di eventuali atti e documenti non conformi non sempre è impedito dal sistema operativo. Si possono invero verificare dei c.d errori non bloccanti, errori cioè che, pur rilevati dal sistema operativo, non comportano l’arresto della procedura di inserimento del documento (sino alla correzione dell’errore) ma permettono all’ “utente” di continuare nella procedura stessa, nemmeno segnalando la difformità.
Ancora, manca nel software stesso l’indicazione di un gestore della procedura; e ciò non è scevro da conseguenze.
Il processo tributario telematico è stato realizzato quindi mediante un quadro composito, derivante da norme di legge ordinaria, regolamenti ex lege n. 400/1988 e decreti ministeriali4.
Dal compendio del regolamento ex lege 400 del 1988 e dei decreti ministeriali emerge che gli atti processuali devono avere i seguenti requisiti di forma:
essere in formato PDF/A-1a o PDF/A -1b
essere privi di elementi attivi, tra cui macro e campi variabili;
essere redatti con un software che consenta di fare “copia e incolla” senza fare copie di immagini;
essere sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale.
I documenti informatici allegati devono rispettare i seguenti requisiti:
essere in formato PDF/A-1a o PDF/A -1b oppure TIFF con risoluzione non superiore a 300 dpi, in bianco e nero e con compressione superiore CCITT Group IV;
essere privi di elementi attivi, tra cui macro e campi variabili;
essere sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale.
La fonte della previsione normativa è però ben rilevante, poiché le conseguenze delle eventuali violazioni di quelle disposizioni saranno differenti. Occorre avere, ai fini dell’interpretazione, come punti di riferimento indefettibili le specifiche norme del d. lgs. 546 del 1992, da un lato, e la regola generale posta dall’art. 156 c.p.c., dall’altro, a causa del rinvio operato dall’art.1, co. 2, d. lgs. 546 del 1992.
Si può quindi già anticipare che:
le violazioni del d. lgs. 546 del 1992 danno luogo ad inammissibilità nei soli casi colà tassativamente previsti5;
le violazioni del regolamento ex lege 400 del 1988 e dei decreti ministeriali hanno sorte differente e, nella maggioranza dei casi, possono essere corrette mediante provvedimenti del giudice;
deve riconoscersi assoluta centralità alle regole poste dai tre commi dell’art. 156 c.p.c., e quindi non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge; può essere pronunciata quando l'atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo; e, soprattutto, la nullità non può mai essere pronunciata, se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato.
i classici rimedi previsti dal codice di procedura civile per sanare eventuali irregolarità nel rispetto del principio di economia processuale incontrano però ostacoli a causa della difficoltà per il giudice di impartire ordini al (sistema gestore del) software; ostacoli che ovviamente non possono e non devono causare danni alle parti, amplificando le dimensioni e la portata degli errori eventualmente compiuti.
2.
La realtà porterà certamente all’esame dei giudici tributari casi più numerosi e più articolati di quanto l’immaginazione possa fare.
Una delle principali critiche che si può rivolgere al sistema consiste nella possibilità che l’utente introduca nel processo tributario telematico atti non conformi senza esser bloccato. I c.d. errori non bloccanti costituiscono il vero problema del processo tributario telematico, poiché il sistema ingenera nell’utente (i.e., nel difensore) affidamento circa il buon andamento delle operazioni di immissione degli atti effettuate.
Ciò premesso, si possono provare ad ipotizzare delle potenziali violazioni.
Atti non in pdf/a-1a o pdf/a-1b
Questo requisito è funzionale, come rilevato nello stesso decreto ministeriale del 4.8.2015, all’archiviazione nel lungo periodo. In altri termini, questo tipo di formato elettronico sarebbe in grado di garantire l’archiviazione del file nel lungo periodo, senza fenomeni di corruzione che possano provocare il deterioramento del file stesso e la sua conseguente illeggibilità, totale o parziale.
Nel caso in cui un file sia in un formato differente da quella prevista occorre domandarsi quale sia la portata del vizio e se, in concreto, l’atto abbia raggiunto il suo scopo. Così, nel caso in cui, ad esempio, sia stato adoperato un file pdf semplice (ovvero nonA), se sia stato possibile leggere il contenuto dell’atto (vale a dire, se il file non si è medio tempore deteriorato, come d’altronde accade di solito) l’altra parte ed il giudice avranno ben potuto prenderne compiuta visione. Allora occorrerà, da un lato, prendere atto che l’atto ha raggiunto il suo scopo, e quindi vale la sanatoria di cui all’art. 156, u.c., c.p.c.; dall’altro lato, al fine di porre rimedio alla forma non ortodossa adoperata, il giudice utilizza (i.e, deve utilizzare) lo strumento della rinnovazione degli atti previsto dall’art. 162 c.p.c..
Presenza di elementi attivi
Gli “elementi attivi”, di cui devono esser privi gli atti, non sono definiti dalla legge né dagli atti sottordinati. L’art. 10 del d.m. 4 agosto 2015, difatti, si limita ad enunciarli, aggiungendo che in essi sono compresi le macro ed i campi variabili. Utilizzando le ordinarie nozioni, si può dire che le macro consistono in procedure, vale a dire blocchi di comandi o istruzioni, che correlano un dato con altri, anche trovantesi all’esterno. I campi variabili dovrebbero esprimere lo stesso concetto. E’ evidente che l’estensore del decreto ministeriale non ha voluto che esistessero degli scritti “mobili”, capaci cioè di alterare il loro contenuto per via di comandi inseriti nel testo. Opportunamente è stato osservato6 che non possono esser considerati “elementi attivi” i link a risorse esterne (come quello alla nota 3 di questo scritto), a indirizzi email o i riferimenti ad altre parti interne allo stesso documento. Occorre cioè che il testo dell’atto, per via del comando dato, sia in grado di mutare il proprio contenuto. Dubito, pertanto, che sia un “elemento attivo” valutabile ai sensi dell’art. 10 del d.m. 4 agosto 2015 una tabella che permette l‘inserimento ordinato di dati ovvero un foglio di calcolo, riportato all’interno di un atto, in cui sono effettuate operazioni aritmetiche tra elementi indicati nell’atto stesso; in tali casi, invero, non si ha la modificabilità dell’atto sulla base di elementi esterni, ma solo la rappresentazione grafica di operazioni interne all’atto processuale stesso.
Atti non firmati digitalmente
La mancanza di sottoscrizione dell’atto è inquadrata tra i vizi cui gli artt. 18 e 53 d. lgs. 546 del 1992 fanno conseguire l’inammissibilità. Mediante la sottoscrizione (digitale o meno, a seconda del supporto adoperato) si ricollega all’autore la paternità dell’atto. Il problema si pone, quindi, per il caso di vera e propria mancanza di alcuna sottoscrizione digitale sull’atto prodotto nel processo tributario telematico7 e deve concludersi per l’inammissibilità del ricorso o dell’appello che non sia munito di sottoscrizione8.
Occorre anche esaminare la questione della firma alla luce del formato adoperato.
La giurisprudenza civilistica ha sottolineato che nel processo civile telematico, in conformità alle disposizioni tecniche previste dal Regolamento UE n. 910 del 2014 ed alla relativa decisione di esecuzione n. 1506 del 2015, le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni ".p7m" e ".pdf", posto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati. Ne consegue la piena validità ed efficacia del ricorso (o controricorso) per cassazione munito di procura alle liti controfirmata dal difensore con firma digitale in formato "PAdES" (Cassazione civile, sez. II, 29/11/2018, n. 30927, conforme Cass., SS. UU., n. 10266/2018).
La giurisprudenza tributaria, invece, ha concluso che “ai sensi dell'art. 10, comma 1 (Standard degli atti processuali e dei documenti informatici allegati) del D.M. Finanze 4 agosto 2015 (Regole tecniche), la firma digitale ammessa è solo la firma CADES ("Il ricorso e ogni altro atto processuale in forma di documento informatico rispettano i seguenti requisiti: a) sono in formato PDF/A-la o PDF/A-lb; b) sono privi di elementi attivi, tra cui macro e campi variabili; c) sono redatti tramite l'utilizzo di appositi strumenti software senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia di parti; non è pertanto ammessa la copia per immagine su supporto informatico di documento analogico; d) sono sottoscritti con firma elettronica qualificata o firma digitale, pertanto il file ha la seguente denominazione: "nome filelibero".pdf.p7m").
Vertendosi in materia di stretta interpretazione, deve reputarsi che l’inammissibilità per mancata sottoscrizione digitale sussista solo nel caso in cui essa sia relativa al ricorso od all’appello, e non anche per il caso di mancata apposizione della firma digitale sugli altri atti processuali da prodursi, come ad esempio la relata di notifica del ricorso (Cass., 16 febbraio 2018, ord. n. 3805) o la procura (Cass. sez. 2 civ., ord. n. 8815 del 12.5.2020, che aggiunge che la stessa può esser sanata in occasione dell'iscrizione a ruolo e del deposito del fascicolo telematico).
Files non eccedenti determinate dimensioni (attualmente 10 mb).
Questo requisito non pone problemi, poiché il software impedisce il caricamento di files di dimensioni superiori e quindi non esiste il rischio di trascinare errori c.d. non bloccanti, giacché il caricamento del file di dimensioni eccedenti è bloccato.
Il file non deve avere virus informatici.
Il decreto ministeriale prevede che il controllo antivirus dei documenti informatici prodotti sia effettuato dal S.I.G.I.T.. Tuttavia tale controllo è effettuato dopo l’immissione dei files nel sistema e dopo il rilascio, da parte del S.I.G.I.T., della ricevuta di accettazione.
Atti introdotti con notifica via pec prima dell’introduzione del processo tributario telematico.
La giurisprudenza ha avuto occasione di occuparsi di tale questione, concludendo pacificamente che è inammissibile il ricorso tributario introdotto in via anticipata con la notifica del difensore a mezzo di posta elettronica certificata prima dei termini di entrata a regime del processo telematico. (Nella specie, è stato ritenuto inesistente il ricorso notificato a mezzo PEC in data antecedente il 15 aprile 2015, ossia prima dell’entrata in vigore nel Lazio dell’applicabilità nel processo tributario delle notifiche a mezzo PEC. Così Comm. trib. reg., sez. V, Roma, 29/01/2019, n. 353, Comm. trib. reg. Lazio, sez. 1, 23/06/2020, n. 1805 e n. 1809).
Atti che non consentono le operazioni di selezione e copia di parti o hanno copie per immagini.
Questa è una prescrizione dettata per ragioni di comodità del giudicante e costituisce decisamente un novum per gli atti processuali. Negli atti tradizionali cartacei era evidente che la funzione di selezione e copia di parti del testo non poteva esser attivata. Ben si poteva ovviamente utilizzare un software di riconoscimento testi (c.d. ocr) e quindi trasformare un testo su carta in un file dal quale operare il “copia e incolla”, ma questa era un’operazione che comunque richiedeva uno sforzo maggiore. Le esigenze di economia processuale, intesa lato sensu, sono quindi sullo sfondo, anche considerando quella (non condivisibile) giurisprudenza che tollerava le operazioni di copiatura effettuate in sentenza. Operazioni che sembrano quindi, leggendo il decreto ministeriale 4 agosto 2015, definitivamente sdoganate.
La sanzione della nullità esorbita però dalle regole di cui all’art. 156, primo comma, c.p.c., atteso che quella previsione non è contenuta in una legge. Inoltre, sebbene in modo meno diretto, l’operazione di selezione e copia di parti è possibile, come si è detto, anche in presenza di un file di testo che non lo permetta con immediatezza; anche ai sensi del terzo comma dell’art. 156 c.p.c., quindi, il raggiungimento dello scopo depotenzierebbe comunque questo vizio (senza entrare nel merito dell’inquadramento di tale scopo in un quadro assiologico).
3.
Per altro verso, si deve accennare alla particolare questione relativa agli elementi necessari per provvedere alla notificazione della sentenza al fine di ottenere il decorso del termine breve per l’impugnazione della sentenza stessa.
Atteso che le notificazioni sono ora effettuate con modalità telematiche, ai fini dell’assolvimento di tale adempimento è necessario che il notificante provveda previamente ad estrarre dal S.I.G.I.T. la sentenza, di cui deve esser attestata la conformità, da accludere alla pec di trasmissione.
Come è stato acutamente segnalato9, in effetti occorre distinguere tra documento informatico e copia informatica. Il primo è un documento (informatico) avente la stessa sequenza di valori binari del documento originario, mentre la seconda è un documento (sempre informatico) avente contenuto informativo identico al documento dal quale è tratta ma diversa sequenza di valori binari.
In altri termini, la mera estrazione della sentenza dal S.I.G.I.T. procura un documento informatico, mentre l’apposizione sulla stessa dell’annotazione del difensore che si tratta di copia autentica provoca di per sé un’alterazione del documento originario e la configurazione di esso come copia informatica (avente lo stesso contenuto del primo ma con l’aggiunta dell’attestazione di conformità10).
In effetti, l’art. 25 bis d. lgs. 546/1992 fa riferimento alla copia informatica, mentre nel processo civile telematico il sistema informatico permette l’estrazione alternativa del documento informatico o della copia informatica11. Il problema sorge per la non chiara dizione del secondo inciso del secondo comma dell’art. 25 bis ricordato, a mente del quale gli atti ed i documenti estratti dal fascicolo informatico “equivalgono all’originale anche se privi dell’attestazione di conformità da parte dell’ufficio di segreteria”. In un comma ed in un articolo in cui il legislatore ha trattato l’attestazione di conformità, potrebbe intendersi che quegli atti e documenti abbiano l’equivalenza solo a condizione che l’attestazione sia effettuata dal difensore, ancorché non dall’ufficio di segreteria. E che gli atti semplicemente estratti dal fascicolo informatico e notificati a controparte senza l’attestazione di conformità siano invalidi a raggiungere il risultato desiderato.
In proposito, si condivide però l’estensione al processo tributario12 della soluzione individuata per il processo civile da Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2019, n. 28818, consistente nella equipollenza della notifica a mezzo pec del documento informatico, estratto dal fascicolo informatico, consistente nella sentenza pur priva di attestazione di conformità, a meno che il destinatario non dimostri di aver ricevuto una specifica lesione del proprio diritto di difesa.
4.
Come si è accennato già, per molti vizi può e deve esser utilizzato il rimedio generale della rinnovazione degli atti previsto dall’art. 162 c.p.c.
Tuttavia, la spersonalizzazione del soggetto che governa gli atti processuali può esser d’ostacolo alla attuazione della rinnovazione.
Difatti, nessun problema si pone per il caso in cui il giudice ordini la rinnovazione di un atto alle parti. Ad esempio, qualora ci si avveda che un atto è in formato PDF/A senza i requisiti ulteriori per la lunga conservazione (vale a dire non è in PDF/A-1a o PDF/A-1b) il giudice ordinerà la rinnovazione alla parte che ha prodotto il documento non conforme ed essa provvederà, essendo suo onere, peraltro di facile adempimento.
Ma come può riuscire il giudice a ordinare rinnovazioni di atti al “sistema informatico”?
Il controllo del processo tributario telematico è affidato al S.I.G.I.T., che a sua volta fa capo al S.I.F., che, ancora, è partecipato dal Dipartimento delle Finanze, dall’Agenzia delle Entrate, dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, dalla Guardia di Finanza e dalla S.O.G.E.I.
Quand’anche si superasse l’evidente anomalia di un processo la cui gestione è affidata ad un soggetto partecipato dalla amministrazione finanziaria che il più delle volte rappresenta la parte pubblica, si deve osservare la mancanza di un soggetto deputato a rappresentare l’ente tenutario del processo (se si esclude colui il quale ne ha la rappresentanza legale) e così a ricevere gli ordini giudiziali, oltre che gli inviti delle parti.
Occorrerebbe invero che si palesasse un responsabile del procedimento, al quale per l’appunto inviare ordini giudiziali ed inviti delle parti.
5.
Per altro verso, il processo tributario telematico offre delle opportunità di cui non pare ci sia stata contezza, men che mai da parte del legislatore.
Il d.lgs. 546 del 1992, difatti, configura essenzialmente un rito previsto per un processo cartaceo; e non poteva che esser così. Su carta avveniva la rappresentazione dei motivi di doglianza esposti nel ricorso; ed, ancor prima, su carta erano esposte le ragioni e le pretese dell’amministrazione finanziarie negli atti impositivi. Con la carta era messo a conoscenza della controversia il giudice e su carta questi scriveva la propria sentenza. A loro volta, i giudici dei gradi superiori erano notiziati dell’esito dei gradi precedenti sempre attraverso supporti cartacei loro prodotti. L’intero sistema era stato costruito pensando a tali strumenti.
E l’intero rito processuale può esser rimodulato utilmente, prendendo atto della quasi complessiva digitalizzazione intercorsa.
Così, ad esempio, previamente prevedendo che gli enti accertatori consentano al sistema operativo della giustizia tributaria l’accesso all’archivio digitale degli atti emessi telematicamente13, si potrebbe alleggerire l’onere per le parti di produzione degli atti impugnati, che potrebbero esser solo indicati nel ricorso introduttivo.
In tutto il rito, si potrebbero eliminare i riferimenti alle copie degli atti per le altre parti, poiché in effetti l’atto è ora unico e le parti costituite ben possono estrarlo in copia digitale.
Si potrebbero unificare i termini dell’art. 32 per deposito di memorie illustrative e produzione di documenti, se si condivide che il più ampio termine per questi ultimi derivava dalla necessità di prevedere un lasso temporale per la segreteria per l’effettuazione delle fotocopie, ora non più necessarie.
Si potrebbe evitare, ogni qual volta ancora sia previsto nonostante l’intervento dell’art. 25bis, la previsione di copie autentiche delle sentenze e, per il giudizio in cassazione, la richiesta di trasmissione del fascicolo alla segreteria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata, attesa anche la possibilità per la Corte di cassazione di consultazione del fascicolo digitale.
Nel giudizio di ottemperanza si potrebbe evitare anche, oltre al già desueto riferimento al doppio originale del ricorso, la notifica della messa in mora tramite ufficiale giudiziario, prevedendo invece una notifica a mezzo pec.
Al fine di stimolare ulteriormente l’attività delle parti nell’interesse di giustizia, si potrebbe attivare un sistema di allerta, che a mezzo pec avvisi automaticamente le parti dell’intervenuto deposito di atti ad opera delle controparti.
Si potrebbe prevedere che in casi di emergenza le udienze si possano tenere da remoto con videocollegamenti, come si è eccezionalmente sperimentato nel periodo di contagio covid19, ma che, al fine di garantire il principio di pubblicità, esse siano trasmesse su canali aperti a tutti. La cosa potrebbe esser facilmente e gratuitamente effettuata, inserendo nei siti web delle commissioni tributarie un canale per ogni sezione, sul quale sia trasmessa in diretta l’udienza in videocollegamento; in tal modo il quisque de populo potrebbe vedere come avviene l’amministrazione della giustizia tributaria.
Se poi si avesse maggior impeto, si potrebbe prevedere che le parti siano portate a conoscenza a mezzo pec delle intere sentenze (e non dei soli dispositivi di esse, come avviene ora), facendo decorrere dalla data della trasmissione il termine breve per l’impugnazione, obliterando il termine lungo semestrale.
Al contempo, e finalmente, cogliendo una siffatta opzione di ripensamento, si potrebbero derubricare le ipotesi di inammissibilità a motivi di nullità e si potrebbe reintrodurre l’obbligo per il giudice di leggere il dispositivo al termine dell’udienza di merito e della successiva camera di consiglio.
1 E. MARELLO, Spunti di riflessione in materia di processo tributario telematico, in Riv. Dir. trib., 2017, I, p. 538.
2 Esistono anche, ma sono poco rilevanti ai fini del presente lavoro, il Decreto del Direttore Generale delle Finanze del 28 novembre 2017 (Modifica all'art. 10 del Decreto del Direttore Generale delle Finanze del 4 agosto 2015, in attuazione del Regolamento che disciplina l'uso di strumenti informatici e telematici nel processo tributario); il Decreto del Direttore Generale delle Finanze del 15 dicembre 2016 (Estensione del PTT su tutto il territorio nazionale); il Decreto del Direttore Generale delle Finanze del 30 giugno 2016 (Estensione del PTT nelle regioni Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Molise, Piemonte e Veneto).
3 L’art. 135 d.l. 34 del 19.5.2020 ha modificato il comma 4 dell’art. 16 d. lgs. 546/1992 prevedendo la possibilità di tenere udienze a distanza: per alcune critiche, cfr. S. MULEO, webinar di RTDT del 23.6.2020 in https://www.youtube.com/watch?v=0BrOdlQNRv4.
4 Sul processo tributario telematico è stata emanata la Circolare n. 2/DF dell’11 maggio 2016, contenente le “Linee guida dei servizi del PTT”
5 A conferma di siffatto generale orientamento giurisprudenziale, seppur in materia completamente differente, si veda Cass., VI pen., 40.540 del 9.11.2021, che ha concluso per la mera irregolarità, e non l’inammissibilità, dell’atto di appello cautelare modificato dopo che era stata apposta la firma digitale. La fattispecie era veramente particolare, poiché il difensore aveva riunito in unico file l’atto di gravame ed i suoi allegati, peraltro seguendo le indicazioni degli uffici, ed in un caso del genere il nuovo file composito, derivante dalla collazione, non può dirsi firmato digitalmente. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha valorizzato la circostanza che il file dell’appello (che era parte del tutto) era stato sottoscritto digitalmente.
6 E. MARELLO, op.cit., p. 559
7 Nel caso in cui l’atto notificato non sia stato sottoscritto a differenza dello stesso atto prodotto in giudizio all’atto della costituzione, la giurisprudenza civile ha sottolineato che “qualora l’atto processuale sia originariamente formato su supporto digitale, per la sua notificazione telematica non occorre la sottoscrizione digitale (richiesta solo per il deposito telematico dell’atto stesso all’ufficio giudiziario), né un’asseverazione di conformità all’originale (necessaria solamente quando la copia informatica sia estratta per immagine da un documento analogico), essendo sufficiente che detto atto sia trasformato in formato PDF” (Cassazione civile, sez. III, 28/06/2018, n. 17020)
8 Non può non rilevarsi la difformità della conclusione rispetto a quella raggiunta dalla giurisprudenza per la mancanza di sottoscrizione della cartella di pagamento, reputata non invalidante (Cass., sez. trib., ord. n. 30948 del 27.11.2019)
9 F. MERCUTELLO, L’attestazione di conformità della sentenza tributaria tra vuoti legislativi e difficoltà applicative, in Corr. Trib., 2021, p. 992 s.
10 Siffatta attestazione può esser annotata a mano su una copia cartacea, successivamente scansionata, ovvero con apposita scritta sul documento informatico, poi salvato e firmato digitalmente.
11 F. MERCUTELLO, L’attestazione di conformità della sentenza tributaria tra vuoti legislativi e difficoltà applicative, in Corr. Trib., 2021, p. 994
12 Suggerita da F. MERCUTELLO, L’attestazione di conformità della sentenza tributaria tra vuoti legislativi e difficoltà applicative, in Corr. Trib., 2021, p. 993
13 Resterebbero fuori, quindi, gli atti emessi ancora su supporto cartaceo, come tuttora avviene per lo più da parte degli enti locali
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