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I vizi del provvedimento tributario dopo la riforma dello Statuto del contribuente

Scritto da Nicola Durante • lug 2024

Contenuto

1. I vizi dell'atto tributario

Di regola, il provvedimento tributario si qualifica come atto autoritativo non discrezionale.

Ciò dipende dal fatto che, nel rapporto con l’Amministrazione fiscale, il contribuente versa ordinariamente in una situazione giuridica di diritto soggettivo e non di interesse legittimo,1 a cagione della riserva relativa di legge di cui all’art. 23 Cost.2 e del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.3

L’Amministrazione, quindi, pur esercitando un potere pubblicistico, è vincolata all’applicazione della legge, la quale prestabilisce in forma rigida e puntuale il presupposto del tributo e le sue modalità di liquidazione e di riscossione.4

Nondimeno, la tutela giurisdizionale soggiace a rigorosi termini decadenziali, del tutto simili a quelli previsti per la tutela degli interessi legittimi,5 giustificati dall’esigenza di dare certezza ad un particolare rapporto giuridico e comunque tali da non rappresentare un ostacolo irragionevole o sproporzionato all’esercizio dell’azione.6

La combinazione di questi elementi (la posizione di diritto soggettivo vantata dal privato, la natura vincolata del provvedimento ed il termine perentorio dell’azione) conforma il processo tributario secondo lo schema della “impugnazione-merito”,7 in base al quale il giudice è titolato a decidere sul rapporto sottostante l’atto viziato, con una decisione sostitutiva di questo.

Al contrario, se potere il potere fosse discrezionale, un tale sindacato devolutivo sarebbe precluso al giudice tributario (come a qualunque altro giudice8), rappresentando un inammissibile sconfinamento sul merito della scelta, riservato in via esclusiva al potere esecutivo.

La disciplina compiuta delle categorie di illegittimità dell’atto tributario è stata introdotta solo con la riforma dello Statuto del contribuente di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2023 n. 219, attesa anche l’inapplicabilità della normativa generale di cui alla Legge 7 agosto 1990, n. 241: a causa dello specifico divieto posto dall’art. 13, comma 2,9 oltre che della differente struttura dell’atto e del processo tributario.10

La giurisprudenza, quindi, riconduceva la patologia del provvedimento ad un solo tipo, l’annullabilità,11 mentre la nullità12 era ritenuta incompatibile con la materia tributaria, avendo il legislatore, nella sua lata discrezionalità, configurato «una categoria unitaria d’invalidità-annullabilità», col correlato onere per il contribuente di impugnare l’atto viziato entro un breve termine decadenziale, pena il definitivo consolidarsi della pretesa.13

Di conseguenza, le ipotesi di nullità testuale, pur presenti nel diritto tributario, venivano equiparate in tutto e per tutto alle cause d’illegittimità, dando luogo, quale unico rimedio conosciuto dal diritto tributario, all’annullamento del provvedimento ed all’eventuale successivo esame del merito della pretesa.14

Così, ad esempio, in tema di IRPEF ed IVA, è stato riqualificata come vizio di annullabilità la «nullità» dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione ex artt. 42 e 43 del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché ex artt. 56 e 57 del D.P.R. n. 633 del 1972.15

Detta equiparazione ha determinato che le c.d. nullità di diritto tributario non fossero rilevabili d’ufficio in ogni fase e grado del giudizio tributario, soggiacendo ai termini ordinari di decadenza ed alle preclusioni interne al processo,16 fatta salva la facoltà dei motivi aggiunti di cui all’art. 24 del D.Lgs. n. 546 del 1992.17

Rispetto ad un orientamento giurisprudenziale così radicale, la dottrina ha tentato una via di mezzo, osservando che «la legge del processo tributario stabilisce come trattare le nullità in senso debole (o annullabilità), ma ignora le nullità in senso forte. L’interprete deve quindi trarre la soluzione dal sistema (come ha fatto la dottrina del diritto amministrativo). E, poiché non sono ammesse, in diritto tributario, azioni meramente dichiarative (ma solo azioni costitutive di annullamento), occorre ritenere che il contribuente possa tutelarsi impugnando l’atto successivo a quello nullo e, in quella sede, far valere la nullità, come accertamento pregiudiziale all’accertamento della invalidità (e all’annullamento) dell’atto successivo».18


2. La nullità

Per la prima volta, il comma 1 dell’art. 7-ter dello Statuto novellato disciplina, con regole a sé stanti, la categoria della nullità, riguardante gli atti «viziati per difetto assoluto di attribuzione, adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al presente decreto».19

Non solo, ma il coevo D.Lgs 30 dicembre 2023, n. 220, innovando i requisiti essenziali della sentenza di cui all’art. 36, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ha inserito nella lett. d) il riferimento «alle questioni attinenti ai vizi… di nullità dell’atto».

Sul piano delle tutele, il comma 2 dell’art. 7-ter stabilisce che i casi di nullità «possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito».

La novella non contempla un’azione di accertamento della nullità per gli atti viziati da difetto assoluto di attribuzione o da nullità testuale espressa, diversamente da quanto accade per gli atti adottati in violazione o elusione di giudicato, dove l’art. 70 del D.Lgs. n. 546 del 1992 concede l’azione speciale di ottemperanza.

L’unica azione diretta prevista è, infatti, quella concessa al contribuente che abbia pagato in forza di un atto nullo, il quale può agire in ripetizione, nei limiti della prescrizione del credito (che tuttavia dev’essere eccepita). A tal riguardo, trattandosi di una «disposizione specifica» in materia di nullità, non dovrebbe operare l’art. 21, comma 2, che prevede la decadenza biennale decorrente dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Dunque, come nel sistema previgente, la domanda di accertamento della nullità resta inammissibile, perché in conflitto con la struttura di “impugnazione-merito” tipica del processo tributario.20

Pertanto, il contribuente che voglia impugnare direttamente l’atto nullo deve farlo nelle forme e nei termini perentori ordinari, ossia «entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato».21

Anche in mancanza di impugnazione diretta, l’atto nullo continua però ad essere improduttivo d’effetti e, qualora sia allegato in giudizio dalla controparte come titolo legittimante l’atto successivo impugnato, la nullità può essere eccepita dal contribuente (senza necessità di motivi aggiunti) o rilevata d’ufficio dal giudice, in ogni stato e grado, ai sensi dell’art. 7-ter.

Dall’improduttività degli effetti dell’atto nullo deriva l’annullabilità dell’atto conseguenziale, per violazione di legge. Quest’ultimo (es. la cartella di pagamento) sarà infatti annullabile, nella misura in cui l’atto precedente inefficace (es. l’atto di accertamento), nello schema legale tipizzato, costituisca un presupposto essenziale ed indefettibile.

Ciò significa che i provvedimenti successivi che facciano applicazione o comunque si fondino su un atto nullo devono essere impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche solo per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione dell’atto nullo.22

Viceversa, alla nullità dell’atto presupposto (es. l’atto di accertamento) non consegue l’annullabilità dell’atto non immediatamente successivo (es. l’intimazione di pagamento), per la cui invalidità è comunque necessario che sia stato impugnato – ed annullato – l’atto intermedio (es. la cartella di pagamento).


3. L'annullabilità

È prevista dall’art. 7-bis dello Statuto e consegue ad una «violazione di legge, ivi incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti».

Deve trattarsi di una violazione di un adempimento formale essenziale ai fini del rispetto della situazione giuridica del contribuente, la cui violazione determina un vulnus di gravità tale da precludere al giudice l’esame del merito della pretesa tributaria, al fine di ricondurla alla misura ritenuta corretta, mediante una motivata valutazione sostitutiva.

A differenza della nullità, l’annullabilità dev’essere dedotta, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e non è rilevabile d’ufficio.

La riforma del 2023 regola alcune cause di annullabilità dell’atto, tra cui la violazione:

- del principio del contraddittorio procedimentale, che l’art. 6-bis ha generalizzato oltre il confine dei tributi armonizzati;23

- dell’obbligo di motivazione, di cui al nuovo art. 7 dello Statuto;

- del principio di proporzionalità, introdotto dall’art. 10-ter.

L’annullamento giurisdizionale dell’atto non impedisce all’Amministrazione, ove non decaduta, di reiterare la pretesa con un nuovo provvedimento emendato dai vizi precedenti.


4. L'infondatezza

L'infondatezza è richiamata all’art. 7-bis dello Statuto, quale un vizio di merito, avente carattere non formale, ma sostanziale, ossia attinente alla pretesa fiscale avanzata dall’Amministrazione finanziaria.

L’autonomia del vizio rispetto a quello di annullabilità, prim’ancora che per le conseguenze, è data dalle cause.

Per quanto riguarda le conseguenze, se l’atto tributario è parzialmente infondato, il giudice non può limitarsi ad annullarlo, ma deve riformarlo nel merito e ricondurre la pretesa fiscale alla sua corretta misura, col solo limite, di cui all’art. 35, comma 3, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 546 del 1992, di non poter emettere una sentenza parziale sull’an o una condanna generica sul quantum .24

Per quanto riguarda le cause, è evidente come l’esame del merito (e dunque la valutazione dell’infondatezza) non possa conseguire all’accoglimento di un vizio formale di annullabilità, in quanto, in questo caso, l’unica pronuncia a disposizione del giudice è l’annullamento.

Ciò significa che, in presenza di una pluralità di vizi, d’annullabilità ed infondatezza, fatti valere nei confronti di un unico atto, spetta al ricorrente precisare quale sia l’ordo quaestionum tra i vari motivi in funzione del proprio interesse, ferma restando la facoltà del giudice, anche laddove ciò avvenga, di concentrarsi sulla causa più liquida, anche se logicamente subordinata, senza dover esaminare previamente le altre.25


5. L'irregolarità

È disciplinata dall’art. 7-quater dello Statuto e riguarda le ipotesi di mancata o erronea indicazione delle informazioni di cui all’art. 7, comma 2, ossia: «a) l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili».

È espressamente stabilito che essa non costituisce causa di annullabilità dell’atto.

In analogia con il processo amministrativo, deve ritenersi che la mera irregolarità di per sé non giustifica neppure l’automatica concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile. Ed infatti, tale riconoscimento può trovare applicazione solo qualora nel singolo caso sia apprezzabile una qualche giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario dell’atto, dovuta ad una situazione normativa obiettivamente ambigua o confusa, ad uno stato di obiettiva incertezza per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, alla particolare complessità della fattispecie, a contrasti giurisprudenziali od al comportamento dell’Amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti, poiché, opinando diversamente, tale inadempimento formale si risolverebbe in un’assoluzione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico.26


6. L'inutilizzabilità

È prevista dall’art. 7-quinquies per i vizi dell’attività istruttoria.

Secondo la norma, «non sono utilizzabili ai fini dell’accertamento amministrativo o giudiziale del tributo gli elementi di prova acquisiti oltre i termini di cui all’art. 12, comma 5, o in violazione di legge».

L'inutilizzabilità, pertanto, è una sanzione di natura sostanziale, prim’ancora che processuale, a seguito della quale l’atto, pur non essendo invalido, è legalmente è privo di efficacia probatoria.

A sua volta, l’inutilizzabilità degli atti istruttori costituisce causa di infondatezza di quest’ultimo, nella misura (e nei limiti) in cui la correttezza della pretesa tributaria non sia dimostrabile aliunde.

L'inutilizzabilità è una categoria ben nota al processo tributario, essendo già prevista per i documenti depositati in giudizio dal contribuente, non esibiti in fase di accertamento, nonostante la specifica richiesta in tal senso.27

L’art. 7-quinquies non precisa se il vizio d’inutilizzabilità debba necessariamente costituire motivo di ricorso, oppure possa essere oggetto di una memoria o di un rilievo d’ufficio.

Dovrebbe comunque propendersi per la seconda ipotesi, in parallelo con quanto affermato sull’inutilizzabilità dei documenti non esibiti, la quale è rilevabile d’ufficio, anche in assenza di eccezione dell’Amministrazione finanziaria.28


7. L'inesistenza

È prevista dall’art. 7-sexies e riguarda la notificazione degli atti tributari «priva dei suoi elementi essenziali ovvero effettuata nei confronti di soggetti giuridicamente inesistenti, totalmente privi di collegamento con il destinatario o estinti».

L'inesistenza della notificazione ne comporta l’inefficacia.

Nei casi meno gravi, la notificazione è nulla, con salvezza degli effetti sananti derivanti dal raggiungimento dello scopo.


8. L'autotutela

L’art. 10-quater introduce l’autotutela obbligatoria per «manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione», la quale opera nei casi di: «a) errore di persona; b) errore di calcolo; c) errore sull’individuazione del tributo; d) errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria; e) errore sul presupposto d’imposta; f) mancata considerazione di pagamenti di imposta regolarmente eseguiti; g) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza».

In queste ipotesi, è previsto che «l’Amministrazione finanziaria procede in tutto o in parte all’annullamento di atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi», coi soli limiti estrinseci della sentenza passata in giudicato favorevole all’amministrazione stessa e del decorso di un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione.

Esiste, poi, un’autotutela facoltativa, contemplata all’art. 10-quinquies, secondo cui «fuori dei casi di cui all’art. 10-quater, l’Amministrazione finanziaria può comunque procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione».

Poiché l’autotutela facoltativa concerne tutte le cause d’illegittimità o d’infondatezza diverse da quelle di autotutela obbligatoria, l’apprezzamento discrezionale della P.A. dovrebbe consentire di superare sia il presupposto del vizio “manifesto”, sia la preclusione derivante dalla sentenza passata in giudicato o dalla mancata impugnazione dell’atto da più di un anno.

Nel silenzio della legge, v’è da chiedersi quale ragione ulteriore e diversa rispetto al mero ripristino della legalità – o, diversamente, si tratterebbe di un’autotutela obbligatoria – l’Amministrazione debba considerare, ai fini di procedere al riesame di un atto o di un rapporto ormai consolidato.

Probabilmente, questa va ricercata nell’interesse generale, cui l’autotutela era indissolubilmente ancorata prima della riforma del 2023, allorquando veniva configurata quale «potere esercitabile d’ufficio dalle agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali e non strumento di protezione del contribuente».29 Di conseguenza, il suo esercizio necessitava, oltre che dell’illegittimità o infondatezza dell’atto, anche della sussistenza di specifiche ragioni di interesse generale dell’Amministrazione finanziaria, originarie o sopravvenute, idonee a giustificarne l’annullamento.30

Va infine segnalato come, dopo il ritiro in autotutela, ben può essere adottato un nuovo atto di accertamento, purché nel rispetto dei termini previsti dall’art. 43 D.P.R. n. 600 del 1973. Ed infatti, una volta rimosso con effetto ex tunc l’atto illegittimo od infondato, l’Amministrazione finanziaria – ricorrendone i presupposti di fatto e di diritto – conserva ed anzi è tenuta ad esercitare la potestà impositiva, avvalendosi di un potere che è diverso da quello dell’accertamento integrativo, di cui all’art. 43, comma 3, attraverso cui si procede all’integrazione di un precedente avviso in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.31


1 Esistono, tuttavia, nel diritto amministrativo atti di natura discrezionale, cui si contrappongono posizioni di interesse, cfr. DURANTE, Scampoli di giurisdizione amministrativa nei rapporti tributari, in Il fisco, 2004, 12, I, pp. 4136 e ss.

2 LUPI, Diritto tributario, parte speciale, IV ed., Milano, 1996, pp. 80 e ss.

3 Cfr. Corte cost. 28 luglio 1976, n. 200, circa «il diritto del contribuente ad essere chiamato a concorrere alle pubbliche spese, solo in quanto in possesso di effettiva capacità contributiva e di idoneità effettiva, quindi, al pagamento delle imposte, così come è richiesto appunto dall’art. 53 della Costituzione».

4 Secondo MICHELI, Corso di diritto tributario, VII ed., Torino, 1987, pp. 107 e ss., la potestà impositiva «è, di regola, vincolata dalla legge e non presenta che delle ristrette aree di discrezionalità. Questo si spiega non tanto in relazione al disposto dell’art. 23 Cost., quanto piuttosto con riferimento al ricordato carattere strumentale o addirittura procedimentale delle norme tributarie, nonché all’interesse pubblico tutelato dalle norme stesse».

5 L’art. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sul processo tributario, prevede che «il ricorso deve essere proposto a pena di inammissibilità entro sessanta giorni dalla data di notificazione dell’atto impugnato». Similmente, l’art. 29 del codice del processo amministrativo prevede che «l’azione di annullamento per violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza di sessanta giorni».

6 Cfr. Corte cost. 19 ottobre 2000 n. 430, che ha ritenuto infondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nella parte in cui sottopone ad un termine decadenziale di diciotto mesi (poi elevato a quarantotto mesi) la richiesta di rimborso di ritenute alla fonte illegittime, sancendone la decorrenza dalla data del versamento eseguito dal sostituto d’imposta, argomentando che il diritto di difesa non risulta menomato, stante la congruità del termine in armonia col sistema tributario.

7 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 20 ottobre 2011, n. 21759; id., 11 maggio 2007, n. 10779; id., 29 settembre 2006, n. 20516.

8 Cfr. Cass. civ., Sez. un., 10 agosto 2011, n. 17143, secondo cui lo sconfinamento nella sfera del merito è preclusa al giudice amministrativo, pena il concretizzarsi del vizio di eccesso di potere giurisdizionale, ricorribile per cassazione; nonché: Cass. civ., Sez. un., 15 marzo 2017, n. 6820, secondo cui la Corte dei conti, nell’ambito della sua giurisdizione, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico, agendo sul piano della legittimità e non della mera opportunità; ed infine: Cass. civ., Sez. un., 19 gennaio 2007, n. 116 e 4 dicembre 1984, n. 6348; id., Sez. VI, 6 marzo 2013, n. 5588, secondo cui anche il sindacato del giudice ordinario sul provvedimento amministrativo, ai fini della sua disapplicazione, incontrando i limiti di cui agli artt. 4 e 5 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, va escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti l’esercizio del potere discrezionale.

9 Secondo cui le disposizioni del capo III, sulla partecipazione al procedimento amministrativo, «non si applicano altresì ai procedimenti tributari, per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano». Si aggiunga che, secondo l’art. 24, comma 1, «il diritto di accesso è escluso: … b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano».

In dottrina, sulle ricadute delle invalidità di cui alla Legge n. 241 del 1990 in tema di vizi dell’atto tributario, cfr. TESAURO, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Boll. trib., 2005, 19, pp. 1445 e ss.; LIVRIERI, Il regime di invalidità dell’atto tributario dopo le modifiche alla legge n. 241/1990: riflessi sull’obbligo di motivazione”, in Il fisco, 2007, 27, pp. 3990 e ss.

10 Cfr. Cass. civ., Sez. un., 18 settembre 2014, n. 19667, dove si rileva l’oggettiva continuità tra le norme della Legge n. 241 del 1990 e quelle della Legge n. 212 del 2000, che le hanno recepite.

11 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 14 gennaio 2015, n. 407, e 2 luglio 2008, n. 18073, ambedue in tema di motivazione per relationem.

12 In base all’art. 21-septies della Legge n. 241 del 1990, «è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge».

13 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 18 settembre 2015, n. 18448, in tema di nullità dell’atto per vizi della sottoscrizione.

14 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 13 novembre 2013, n. 25508.

15 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 5 giugno 2002, n. 8114.

16 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 5 maggio 2010, n. 10802, e 8 settembre 2003, n. 13087.

17 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 22 settembre 2011, n. 19337.

18 TESAURO, Le nullità dei provvedimenti tributari, in Innovazione e diritto, 2015, pp. 37 e ss.

19 Così facendo, si è data continuità all’orientamento della Suprema Corte, trattando le nullità testuali previgenti secondo il regime dell’annullabilità.

20 Cfr. Cass., Sez. trib., 11 dicembre 2015, n. 24017; idem, 18 settembre 2015, n. 18448.

21 Diversamente, l’art. 31, comma 4, del Codice del processo amministrativo, prevede che «la domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal giudice».

22 Specularmente, nel campo del diritto amministrativo, cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 16 ottobre 2020, n. 22.

23 Secondo PLAISANT, I vizi di invalidità degli atti. Analisi comparata tra diritto civile, diritto amministrativo e diritto tributario, in Sito della Giustizia Amministrativa, 2024, l’impatto della novella è stato anche quello di eliminare l’onere processuale della «c.d. “prova di resistenza”, secondo cui l’omissione del contraddittorio avrebbe potuto invalidare l’atto finale solo se il contribuente avesse dato prova in giudizio dell’effettiva utilità della sua preventiva consultazione».

24 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 3 dicembre 2021 n. 39660; idem, 28 giugno 2016 n. 13294.

25 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 30 ottobre 2018 n. 27580.

26 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 28 luglio 2015, n. 3710.

27 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 15 novembre 2022 n. 33573.

28 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 8 settembre 2023 n. 26201.

29 Cfr. Corte cost., 13 luglio 2017, n. 181.

30 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 1° dicembre 2023, n. 33610.

31 Cfr. Cass. civ., Sez. trib., 27 marzo 2023 n. 8599.