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Il giustificato motivo nella disciplina dello ius variandi bancario

Scritto da Gennaro Rotondo • giu 2023

Sintesi

SINTESI Banks traditionally use unilateral contractual modifications, as provided by the sectoral regulations, to rebalance the negotiated synallagma altered by cyclical variations. This occurs in an environment characterised both by a widespread asymmetry of subjective positions and by the presence of massive contractual relationships. The debate and studies on the use of this remedial instrument have returned to the attention of the doctrine due to a significantly deteriorated economic context following the pandemic period, the ongoing conflict in Ukraine, and the accentuated inflationary dynamics, all events that forcefully re-propose the theme of re-balancing the structure of bank contracts originally defined by the parties. In this context, the present paper proposes to investigate one of the main elements legitimising the exercise of the right of unilateral variation by banks – the justified reason – in the light of the most recent applicative and hermeneutic solutions developed by doctrine and jurisprudence.

Abstract

ABSTRACT. Le banche ricorrono tradizionalmente alle modifiche unilaterali del contratto, come previsto dalla normativa settoriale, per riequilibrare il sinallagma negoziale alterato da variazioni congiunturali. Ciò avviene in un ambito che è connotato sia da una diffusa asimmetria delle posizioni soggettive, sia dalla presenza di rapporti contrattuali massivi per definizione. Il dibattito e gli studi sull’utilizzo di questo strumento rimediale sono ritornati all’attenzione della dottrina in ragione di un contesto economico notevolmente deteriorato a seguito della pandemia, del conflitto in corso in Ucraina e delle accentuate dinamiche inflazionistiche, tutti eventi che ripropongono con forza il tema del riequilibrio dell’assetto dei contratti bancari originariamente definiti dalle parti. In questo contesto, il presente lavoro si propone di indagare uno dei principali elementi legittimanti l’esercizio del diritto di variazione unilaterale da parte delle banche – il giustificato motivo – alla luce delle più recenti soluzioni applicative ed ermeneutiche elaborate da dottrina e giurisprudenza.

Contenuto

1. Premessa. Ius variandi bancario: principi teorici

La modifica unilaterale delle condizioni contrattuali rappresenta, da tempo risalente, lo strumento che tradizionalmente viene utilizzato dalle banche per rimediare a squilibri del sinallagma contrattuale dovuti a variazioni congiunturali, in un settore connotato da condizioni di evidente asimmetria negoziale1 e dalla necessità di gestire rapporti negoziali tipicamente di massa. Tale esigenza di adeguamento degli equilibri contrattuali si è riproposta con forza, di recente, a seguito del protrarsi di una situazione economica fortemente deteriorata, a causa dalla sovrapposizione di reiterate situazioni di crisi – si pensi, agli effetti dell’emergenza pandemica, all’impatto del conflitto in Ucraina, alla nuova ondata di default bancari e all’impennarsi di dinamiche inflazionistiche – che hanno riportato al centro del dibattito lo strumento dello ius variandi bancario.

Su tale istituto, radicato nella prassi, il legislatore è intervenuto a più riprese2 ma in modo spesso disorganico e, talora, con logiche “eccessivamente” filo-settoriali. Il quadro normativo che ne è sortito risulta connotato da ampi margini di complessità e da problemi applicativi e di armonizzazione tra ambiti disciplinari differenti che sono stati risolti solo parzialmente da reiterati interventi successivi.3

Sul piano teorico, la facoltà attribuita a una delle parti del contratto di apportare unilateralmente variazioni al regime negoziale originariamente delineato si pone in dissonanza con il dogma della sovranità del contratto, secondo cui quest’ultimo «ha forza di legge tra le parti» e non può essere modificato o sciolto se non su base consensuale (ai sensi dell’art. 1372, comma 1, c.c.).4 Nel diritto generale dei contratti, infatti, non è presente un esplicito riferimento all’istituto della modifica unilaterale, se non in relazione ai singoli tipi contrattuali.5 Circostanza che viene imputata a una sostanziale ritrosia del legislatore a riconoscere valenza ordinamentale generale a uno strumento che si ritiene, appunto, in contrasto con il principio generale della vincolatività del contratto. Ne consegue, di regola, che ogni modifica delle condizioni negoziali in essere – specie se in peius per la parte che la subisce – dovrebbe derivare da una rinegoziazione consensuale ed essere esercitata nel rispetto di determinati limiti e condizioni, in chiave di tutela delle posizioni soggettive dei paciscenti e, in particolare, di quello qualificabile come parte “debole”.

La declinazione in ambito bancario di questo strumento di revisione dell’assetto contrattuale si connota per una risalente attribuzione alle banche (anche in chiave di autoregolamentazione settoriale) del privilegio di intervenire unilateralmente sui contenuti di un contratto in corso di esecuzione, per il tramite di una clausola specifica inserita nelle condizioni generali e in applicazione di un’espansione (per alcuni versi forzata) del principio di autonomia delle parti.6

Sul piano ermeneutico, la ratio dell’attribuzione di un simile potere di fonte legale7 trova la sua ragion d’essere in diversi fattori giustificativi.

Un primo elemento (evidenzia parte della dottrina) è l’esigenza di preservare l’equilibrio delle prestazioni reciproche che, per la banca, si sostanzia nel preservare i propri margini di utili, a fronte di variazioni di carattere oggettivo o soggettivo che modifichino alcuni termini del rapporto.8 In tali ipotesi, l’esigenza della banca di adeguare il regolamento negoziale ai mutamenti intervenuti nel contesto di riferimento si deve realizzare secondo modalità dirette a evitare distorsioni di mercato e a favorire la competitività delle relazioni d’affari.9

Altro fattore di supporto teorico alla previsione del t.u.b. è rappresentato dal decremento dei costi transattivi nella gestione dei rapporti con la clientela, evitando di ricorrere alla rinegoziazione dei singoli contratti, ogniqualvolta si ponga l’esigenza di adeguarne le condizioni,10 sia per ragioni di allineamento dell’offerta a quelle dei concorrenti, sia per cause esogene al contesto aziendale (ad esempio, l’aumento dei tassi di riferimento). Alcuni autori, tuttavia, fanno rientrare in questo schema teorico di legittimazione dell’istituto de quo anche la necessità di garantire la stabilità11 e l’efficienza del sistema finanziario, in ragione della funzione essenziale svolta dalle banche nel sistema economico,12 sebbene sia più opportuno ragionare in questi termini con esclusivo riferimento all’attività bancaria in senso stretto. Se le imprese bancarie, infatti, riversassero gli incrementi dei costi congiunturali unicamente sulla nuova clientela, ne potrebbe risultare pregiudicato l’accesso al credito, con conseguente incidenza negativa sul sistema economico in generale. Al contempo, appare diffusa l’idea che le banche non potrebbero farsi carico integralmente della maggiore onerosità dell’operazione, in quanto ne risulterebbe minata, appunto, la stabilità e, di conseguenza, messo a rischio il pubblico risparmio.

Per vero, dal momento che solo la banca, al verificarsi di determinate condizioni, è legittimata a proporre la modifica unilaterale, lo ius variandi viene concepito come un rimedio manutentivo del vincolo obbligatorio, volto ad adeguare l’originario assetto degli interessi a eventuali sopravvenienze.13 Se ne esclude l’applicazione, invece, qualora la modifica del rapporto operi in modo automatico, quale conseguenza di una circostanza sopravvenuta, ma già dedotta in contratto. In quest’ottica, il potere di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali di un rapporto in essere consentirebbe alla banca di frazionare sulla clientela, in maniera uniforme e accettabile (nell’ottica aziendale dell’intermediario), i rischi intrinseci del mercato, favorendo così, da un lato, la stabilità complessiva del sistema e la tutela del risparmio e, dall’altro, la concessione di credito ai potenziali clienti a prezzi e tassi omogenei rispetto a quelli già praticati.14

L’esigenza di preservare efficienza e stabilità dell’agire bancario si pone altresì con riguardo alla concessione di credito, laddove il cliente realizzi investimenti rischiosi rispetto a quelli originariamente dichiarati. Sebbene in questi casi, si possano attivare altri strumenti rimediali, riguardanti la gestione di rapporti negoziali diversi dai contratti bancari in senso stretto, anche in tali situazioni la possibilità di modificare le condizioni contrattuali consente alla banca di adeguare il rapporto al mutato livello di rischio, impedendo ripercussioni negative sull’efficienza complessiva del sistema.15

In definitiva, li interessi della banca posti a fondamento della norma sullo ius variandi devono comunque ricomporsi con quelli della parte che subisce gli effetti della modifica. In altri termini, il riconoscimento del potere di modifica ex uno latere delle condizioni contrattuali originarie deve armonizzarsi con l’esigenza di assicurare un adeguato livello di tutela del cliente, riequilibrando posizioni contrattuali sistemicamente asimmetriche nei rapporti di questa tipologia.16 Al fine di evitare abusi in danno della clientela, pertanto, è necessario circoscrivere rigorosamente la portata di tale attribuzione, rendendo sempre sindacabili le scelte compiute dalla banca e sottraendo l’esercizio dello ius variandi a decisioni meramente discrezionali.17


2. L’attività di vigilanza della Banca d’Italia e la sollecitazione ad applicare con “cautela” lo ius variandi

Come si accennava all’inizio, il protrarsi di una congiuntura economica caratterizzata da profili di accentuata criticità ha riproposto il problema del riequilibrio del sinallagma contrattuale anche dal punto di vista dell’autorità di vigilanza, motivo per cui la Banca d’Italia, con la Comunicazione del 15 febbraio 2023, ha rivolto alle banche alcune indicazioni relative alle modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali cagionate dall’andamento dei tassi d’interesse e dei prezzi, esortando a porre estrema attenzione nel prevedere simili variazioni a sfavore dei clienti, anche in considerazione del fatto che l’aumento dei tassi di interesse – avviato dalla Banca Centrale Europea (BCE) sin dal luglio 2022 – potrebbe avere effetti positivi sulla redditività complessiva dei rapporti tra banche e clienti, tali da compensare l’aumento dei costi indotto dall’inflazione.18 Pertanto, la Banca d’Italia ha sollecitato gli intermediari a rivedere, ove possibile, anche in senso favorevole ai clienti le condizioni precedentemente modificate a fronte dei tassi di interesse bassi o negativi. D’altra parte, l’attuale fase di “normalizzazione” della politica monetaria fa seguito a un lungo periodo di ridotti tassi di interesse che ha indotto diverse banche ad azzerare la remunerazione dei depositi in conto corrente e ad aumentare gli oneri a carico dei clienti, utilizzando lo strumento della proposta di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali.

Collocandosi nel solco delle precedenti iniziative,19 la Banca d’Italia ha precisato alcuni fondamentali criteri che le banche devono rispettare nel proporre ai clienti modifiche unilaterali dei contratti, con l’obiettivo principale di assicurare che le variazioni siano sempre motivate dalla necessità di ripristinare l’equilibrio effettivo degli impegni originariamente assunti dall’intermediario e dal cliente.20

La sollecitazione dell’autorità di vigilanza deriva dalla circostanza che le modifiche ex uno latere delle condizioni contrattuali possono essere realizzate, in ogni caso, solo nel rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza, delle previsioni di legge in tema di ius variandi, nonché degli eventuali principi e criteri che la stessa Banca d’Italia può fornire agli intermediari finanziari, nel caso di specie con riguardo alla legittimità e alle modalità di attuazione delle variazioni unilaterali dei contratti collegate all’inflazione e all’aumento dei tassi di interesse. Resta fermo, ribadisce la Banca d’Italia, il diritto del cliente di recedere dal contratto senza spese, al fine di valutare le offerte più convenienti presenti sul mercato.21



3. Il presupposto legittimante la modifica unilaterale dei contratti bancari: il «giustificato motivo»

La condizione generale di legittimità per l’esercizio dello ius variandi da parte degli intermediari finanziari è la sussistenza di un «giustificato motivo»,22 elemento causale che si estende funzionalmente sia all’an sia al quantum del ricorso al potere di variazione, configurando un vero e proprio onere a carico della banca di portare a conoscenza il cliente della specifica motivazione alla base della proposta di modifica,23 pena la sua inefficacia e l’impossibilità per la banca di allegare le proprie motivazioni ex post, in caso di contestazione.

La previsione di un giustificato motivo consente di delimitare funzionalmente gli ambiti di legittimo esercizio del potere di modifica unilaterale e di circoscrivere la discrezionalità riconosciuta alla banca ai soli casi in cui siano intervenuti fatti tali da incidere sull’assetto di interessi (grado di rischio, condizioni del mercato, interventi monetari ecc.) che aveva condotto alla stipula del contratto originario. Prospettando, quindi, margini ben più estesi di tutela del cliente, rispetto al passato contesto normativo e applicativo, lo ius variandi si è conformato come strumento a discrezionalità ridotta, in quanto, la previsione del giustificato motivo, quale presupposto per la sua attivazione, realizza un contemperamento della tradizionale visione di prevalenza delle esigenze di stabilità del sistema creditizio, con la salvaguardia dell’equilibrio sinallagmatico dell’operazione contrattuale e dell’affidamento del cliente.24 Ne deriva che il criterio del giustificato motivo deve rappresentare il fondamento essenziale dell’esercizio dello ius variandi, nonché il parametro ermeneutico per valutarne la legittimità.

In questa prospettiva, può ritenersi condivisibile la scelta di utilizzare un criterio “flessibile” per la ponderazione degli interessi delle parti coinvolte, coerente con la struttura di relazioni negoziali destinate a svolgersi in un arco temporale più o meno esteso, facendo sì che le condi­zioni possano essere agevolmente adeguate durante la vita del contratto.25 È necessario, purtuttavia, che siffatta duttilità del parametro utilizzato venga declinata incisivamente in chiave di tutela del cliente/consumatore (ad esempio, anche attraverso un maggiore utilizzo dello ius variandi riferito a modifiche migliorative), consentendo così a entrambe le parti di realizzare un riassetto dei propri interessi me­diante l’adeguamento del sinallagma contrattuale.26

La disciplina non fissa in modo rigido i limiti contenutistici del giustificato motivo in ragione dell’oggettiva impossibilità di elencare i molteplici casi concreti che si possono verificare. Si tratta di una scelta di politica legislativa che, ancora una volta, risponde all’esigenza di garantire alla banca uno strumentario adeguato a reagire ai mutamenti delle condizioni del mercato ovvero della situazione soggettiva del cliente (melius di categorie di clienti). Occorre considerare, difatti, che il novero degli eventi suscettibili di influenzare un rapporto di durata è vasto e, come tale, difficilmente compendiabile nelle clausole redatte in fase di conclusione del contratto. Ragion per cui, secondo alcuni, nella clausola attributiva della facoltà di variazione unilaterale, non dovrebbero essere contenute specificazioni ed esemplificazioni riferite al criterio di efficacia della stessa, trattandosi di clausola generale che legittima la banca ad esercitare lo ius variandi.27

Per altro verso, tra coloro che rinvengono il fondamento dello ius variandi nell’esigenza di conservare nel tempo l’equilibrio del sinallagma contrattuale, vi è chi ritiene che il giustificato motivo sia configurabile solo al verificarsi di circostanze oggettive non controllabili dalla banca, come ad esempio una diminuzione del grado di solvibilità del cliente oppure un aumento del costo del denaro o dei costi industriali relativi ai servizi offerti.28

Altra parte della dottrina, invece, partendo dal presupposto che la disciplina dettata dall’art. 118 t.u.b. miri esclusivamente a garantire la stabilità del sistema creditizio nel suo complesso (e non l’equilibrio sinallagmatico del singolo rapporto), prospetta una individuazione stringente dell’ambito contenutistico della nozione di giustificato motivo,29 nel senso di poterlo ravvisare esclusivamente in presenza di eventi indipendenti dagli interessi delle parti di un singolo contratto e che incidano su un ampio novero di rapporti giuridici, al punto da creare effetti critici per la situazione economico-finanziaria della banca.30 Ne deriva che, il giustificato motivo sembrerebbe assumere rilevanza differente a seconda che lo ius variandi venga eserci­tato nell’ambito dei contratti bancari in senso stretto, ovvero in relazione a rapporti riguardanti attività di altra natura (ad esempio, i servizi di pagamento), nei quali il rischio sistemico risulta più circoscritto e, quindi, meno incisivo per la banca in termini di rischio.

Per vero, la finalità di salvaguardare la stabilità del sistema, potrebbe porsi come unico fondamento dell’esercizio dello ius variandi, ma solo nell’ipotesi in cui si faccia riferimento a rapporti che rientrino specificamente nell’ambito dell’attività bancaria, in quanto negli altri comparti operativi le istanze di tutela, legate all’attivazione di uno strumento che deroga alla normale dinamica contrattuale, sono di certo meno pressanti. D’altra parte, delimitare rigidamente la definizione del giustificato motivo sulla base di ragioni di stabilità potrebbe produrre l’effetto, controproducente per le banche, di restringerne l’utilizzo impedendo di accedervi anche ai fini di un riequilibrio sinallagmatico non connesso a esigenze sistemiche.

Per ricomporre questa apparente aporia occorre includere nel quadro degli interessi tutelati dalle norme sullo ius variandi anche quello della libertà di scelta del cliente e (indirettamente) delle dinamiche concorrenziali dei mercati.

Tali sono state, infatti, le istanze che hanno indotto il legislatore del 2006 a impedire l’utilizzo in­discriminato dello ius variandi nei confronti della clien­tela e a introdurre il requisito del giustificato motivo, alla ricerca di un pur complicato equilibrio fra concorrenza, stabilità e tutela della parte contrattuale debole. Questa sembra essere la chiave di lettura più efficace al fine di in­dividuare gli interessi sottesi alla disciplina della variazione unilaterale dei contratti bancari, anche con specifico riferimento ai diversi mercati in cui si articola l’attività finanziaria,31 e non perdendo di vista la peculiarità e la specificità connesse allo svolgimento dell’attività bancaria in senso stretto. Tuttavia, va detto anche che il quadro sistemico che ne deriva, non rilevandosi ulteriori fondate criticità nell’interpretazione della disciplina, risente senza dubbio dell’impatto applicativo cui contribuisce la giurisprudenza e, in termini più puntuali, gli orientamenti dell’ABF, i quali pertanto è opportuno tenere in debita considerazione.

Infine, un aspetto collegato funzionalmente alle caratteristiche della comunicazione al cliente attiene alla chiarezza e alla intellegibilità delle motivazioni addotte come giustificato motivo. È necessario, infatti, come ha precisato la Banca d’Italia, che le motivazioni relative alle modifiche contrattuali siano chiare, sintetiche e complete, nonché verificabili e coerenti con la revisione dell’assetto negoziale proposta al cliente. Il tutto deve anche essere commisurato al livello di alfabetizzazione finanziaria ragionevolmente rinvenibile nei destinatari,32 poiché è solo attraverso l’efficace comprensione della componente causale posta a fondamento della variazione contrattuale che il cliente è in grado di compiere una scelta consapevole in ordine all’accettazione della proposta, al recesso o all’eventuale avvio di un contenzioso.33


3.1. Segue. Profili funzionali della nozione di giustificato motivo: la gestione delle sopravvenienze contrattuali

Secondo alcuni autori34 per delimitare la tipologia di eventi che possono rientrare nella nozione di giustificato motivo, occorre riferirsi alle ipotesi di sopravvenienze per le quali siano già previsti nell’ordinamento strumenti rimediali idonei per la parte danneggiata, non ravvisandosi nel sistema ulteriori riferimenti teorici atti a legittimare una modifica unilaterale del contratto. Siffatte ipotesi assumerebbero valenza di elementi costitutivi dello ius variandi bancario configurandolo quale rimedio di riferimento alle sopravvenienze. Anche rispetto a questo aspetto, va evidenziato come l’ABF abbia dapprima recepito gli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza (uniformandosi ai medesimi, talora anche acriticamente), per poi procedere a consolidare autonomamente i propri canoni applicativi. Si è creata così un’interazione tra flussi definitori di prassi applicative che ha prodotto effetti para-normativi, svolgendo una funzione che potrebbe essere assimilata, per alcuni versi, a quella analoga propria dei formanti giurisprudenziali nei sistemi di common law. Si tratta, tuttavia, di un mero spunto di analisi, da approfondire teoricamente ed empiricamente nelle sedi opportune.

Tanto premesso, secondo l’orientamento sopra riportato, il giustificato motivo si può individuare in un evento successivo alla conclusione del contratto che alteri l’assetto iniziale degli interessi negoziali e che non sia prevedibile né imputabile alla banca (in quanto parte a vantaggio della quale è previsto lo ius variandi).35 Inoltre, deve trattarsi di schema fattuale non riconducibile all’inadempimento o al deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, tenendo conto dei principi alla base dell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.).36

Il cliente che subisce il potere di variazione unilaterale, dunque, può tutelarsi dalla sopravvenienza, potendo anche essere interessato alla prosecuzione del rapporto a contenuto modifi­cato, attraverso i rimedi che la legge gli riconosce – diritto alla modifica ovvero alla cessazione – sul presupposto che i medesimi siano attivati dalla parte destinataria dei presidi di tutela. Talché, in alcuni casi, l’ordinamento attribuisce a quest’ultima, per far fronte all’evento sopravvenuto, uno ius variandi o un diritto a ottenere la modifica dalla controparte oppure la facoltà di risolvere il contratto. Tali sono le ipotesi regolate dall’art. 1186 c.c., dall’art. 1461 c.c., nonché quelle dell’inadempimento (art. 1460 c.c. e art. 1453 c.c.), dell’impossibilità parziale (art. 1464 c.c.), della eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.).

La prossimità funzionale (in punto di effetti rimediali) dello ius variandi bancario, rispetto agli strumenti contemplati dal diritto dei contratti con riguardo alle sopravvenienze, consente di ritenere sussistente, in senso lato, identità di presupposti con i medesimi, intendendo cioè che le sopravvenienze civilistiche potrebbero costituire ulteriori ipotesi integrative dello ius variandi settoriale. Ne consegue che il potere di modifica unilaterale dei contratti bancari può considerarsi un rimedio più duttile di quelli apprestati dalle norme di diritto privato, poiché punta alla conservazione del rap­porto senza essere predeterminato nei suoi contenuti, ferma restando la congruità in chiave teleologica del suo utilizzo. Flessibilità applicativa che risponde, in primis, all’interesse della parte cui è conferita la potestà modificativa, ma di fatto anche della controparte “debole”, poiché mira a ridimensionare i noti profili di asimmetria negoziale tipici dei rapporti bancari, in maniera probabilmente più efficace dei rimedi diretti alla mera cessazione del rapporto.

Per vero, va anche detto che la disciplina generale dei contratti già prospetta una soluzione di tal guisa, laddove l’art. 1467, comma 3, c.c., (eccessiva onerosità), dispone che l’offerta di una “equa modifica” del rapporto ne permette la conservazione in quanto idonea a tutelare, in modo più congruo della risoluzione, la parte danneggiata dalla sopraggiunta onerosità. D’altronde, la facoltà di offrire la modifica presuppone un margine di utilità sicuramente maggiore, per la controparte, a mantenere in vita il rapporto piuttosto che condurlo verso la sua estinzione.

Ebbene, se si concorda su quanto precede, si può ritenere che, ove si deteriorino sensibilmente le condizioni patrimoniali del cliente o si verifichi un inadempimento, ma in presenza di un’adeguata garanzia del finanziamento, la banca potrebbe avere interesse alla prosecuzione del rapporto, piuttosto che alla sua cessazione37 ovvero a sospenderlo (ad esempio, nel caso di un’apertura di credito), elevando il tasso d’interesse (a fronte dell’aumentato rischio creditizio) o rimodulando la durata del finanziamento.38

Se dunque le ipotesi di sopravvenienze di matrice privatistica possono costituire giu­stificati motivi di modifica a vantaggio della banca, chiaramente esse possono delimitare altresì i confini del relativo potere. Non rinvenendo, inoltre, ulteriori fattispecie di giustificato motivo di ius variandi bancario rispetto alle sopravvenienze cui, in base al diritto comune, è legato alternativamente un effetto estintivo o modificativo del rapporto, si conferma che tali evenienze delineano il confine di ammissibilità anche della fattispecie settoriale in discorso.

Va detto, infine, che tra le ipotesi di ius variandi bancario, alcune (in particolare l’eccessiva onerosità sopravvenuta) riguardano rapporti seriali, mentre altre attengono a singoli contratti (i.e. il deteriorarsi delle condizioni patrimoniali o l’inadempimento del cliente). In concreto, però, può verificarsi la circostanza che anche le ipotesi derivanti da una congiun­tura critica relativa a singoli contratti diventino numericamente significative e rilevino, in sostanza negli stessi termini, per ampie categorie di rapporti.




4. Gli eventi e le circostanze concrete che integrano un giustificato motivo: il peggioramento delle condizioni di rischio del cliente

La definizione pratica degli eventi e dei fatti qualificabili come giustificati motivi risulta operazione complessa in quanto le clausole generali presentano caratteri di flessibilità tali da non consentirne la riduzione in termini tassativi o la agevole applicabilità alle circostanze fattuali.39

Le posizioni teoriche sul punto sono diversificate. Secondo alcuni autori, il giustificato motivo andrebbe identificato con qualsiasi evento potenzialmente idoneo a modificare l’originario sinallagma contrattuale.40 Altri affermano che il giustificato motivo verrebbe a coincidere con eventi estranei alle volontà delle parti di un contratto, che siano tali da rendere economicamente non sopportabile, per la banca, l’incidenza negativa della sopravvenienza, specie se coinvolge un numero ampio di rapporti.41 Ulteriore parte della dottrina, interpreta il giustificato motivo in senso ampio, come una sorta di estensione del concetto di giusta causa, al fine di ricomprendere anche motivazioni esterne al rapporto considerato ovvero vicende endogene della banca.42

L’orientamento per il quale lo ius variandi risulta funzionale alla salvaguardia della stabilità del settore creditizio esclude, quindi, dal novero dei giustificati motivi le circostanze riguardanti la singola operazione economica (quali il peggioramento delle condizioni individuali di rischio del cliente) che sarebbero idonee a legittimare la variazione unilaterale del rapporto solo quando tale evenienza sia espressamente prevista dal contratto ovvero in disposizioni di legge. Sulla base di questa linea teorica, in sostanza, la stabilità della banca potrebbe essere pregiudicata anche da esigue variazioni degli indici economici, seppure irrilevanti in quanto riferite a un singolo contratto, solo quando le stesse assumano un impatto non sostenibile in quanto replicate per un numero indefinito di rapporti retti dal medesimo regolamento negoziale.43

Ad ogni modo, un contributo di chiarificazione sul punto è stato fornito sia dal Ministero dello sviluppo economico (con la nota n. 5574/2007) – secondo cui il giustificato motivo è costituito da eventi di «comprovabile effetto sul rapporto bancario» – sia, successivamente, dagli orientamenti dell’ABF.44 Occorre distinguere, poi, se le modificazioni riguardano la sfera del singolo cliente45 (i.e., il mutamento del grado di affidabilità in termini di rischio di credito) o se sono relative a condizioni economiche generali che possano riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (tassi di interesse, inflazione, ecc.).46 Nel primo caso il mutamento del merito creditizio costituisce elemento oggettivo imprevedibile che giustifica la ridefinizione dei termini contrattuali in precedenza pattuiti. Nel secondo, invece, il requisito relativo alla modificazione unilaterale ha una portata che può essere definita seriale, in quanto ha un’incidenza generalizzata sulla clientela.47

Purtuttavia, v’è chi ritiene sia possibile ravvisare, in ogni caso, un giustificato motivo anche con riguardo al mutamento della situazione di un singolo rapporto,48 derivante dall’aggravarsi delle condizioni economiche del cliente. Ipotesi in cui dovrebbe essere giustificato un intervento modificativo della banca, ove si consideri che il rischio di credito partecipa alla formazione del risultato economico-gestionale e rappresenta, inoltre, uno dei principali fattori causali di crisi aziendale.49

Nei fatti, tuttavia, il deterioramento delle condizioni di rischio del cliente è una situazione già contemplata, sia per i rapporti bancari sia per quelli obbligatori in generale, dal codice civile che prevede talune ipotesi di fonte legale di variazione del regolamento contrattuale.50 Se ne ricava che lo ius variandi di cui all’art. 118 t.u.b., giustificato dal peggioramento delle condizioni del singolo rapporto negoziale, si può configurare come un adattamento privatistico di un potere che già trova fondamento in altre disposizioni di legge. La banca, che in base alle norme codicistiche, avrebbe potuto solamente chiedere l’integrazione delle garanzie oppure dichiarare la decadenza dal beneficio del termine, avvalendosi del potere di modifica, invece, può rivalutare l’assetto economico e normativo del contratto, adattandolo alle mutate condizioni del cliente.

L’art. 118 t.u.b., dunque, rappresenterebbe un elemento di riequilibrio in un rapporto di durata a tempo indeterminato, così come integrerebbe, al contempo, una forma di tutela del cliente che acquista quantomeno la possibilità di valutare se accettare o meno le modifiche proposte dalla banca, anziché subire il recesso della stessa nell’ipotesi che questa ritenesse il rapporto non più equo o economicamente proficuo.

Nella realtà dei fatti, tuttavia, non sempre le conclusioni prospettate trovano compiuto riscontro applicativo, in quanto il rifiuto delle modifiche proposte, com’è noto, non consente la conservazione dell’originario regolamento negoziale, ma conferisce solo la facoltà di recedere dal contratto, con la conseguenza che sul rapporto in essere si produce comunque effetto estintivo. Da una simile declinazione interpretativa della questione emerge, pertanto, come lo ius variandi bancario sia strumento manutentivo delle sopravvenienze diverso e più incisivo rispetto a quelli di diritto comune, sia in termini di limitazione dell’autonomia di impresa (della banca) che dell’autonomia privata contrattuale. Ne consegue che, in difetto di una regolazione generale del diritto di modifica unilaterale, ricondurre dogmaticamente il fondamento dello ius variandi bancario ai principi ricavabili dalla normativa codicistica appare una evidente forzatura ermeneutica che non tiene conto della specialità teorica e applicativa dell’istituto settoriale.




4.1. Segue. Eccessiva onerosità sopravvenuta quale giustificato motivo per l’esercizio dello ius variandi bancario

L’eccessiva onerosità sopravvenuta, configurata in termini di giustificato motivo dello ius variandi della banca, presenta alcuni tratti peculiari. Assodato che derivi da un fatto «imprevedibile e straordinario» (ex art. 1467 c.c.), essa non deve essere causata (direttamente) da fatto imputabile al debitore salvo nella misura in cui sia necessario a preservare beni di rango più elevato rispetto al profitto della banca. Difatti, al di là del dato letterale di cui all’art. 1467 c.c., garantire forme di tutela al soggetto da cui origina causalmente il danno, in linea generale, non sarebbe ammissibile, contrastando con il principio inderogabile di auto-re­sponsabilità (si v., ad esempio, gli artt. 1221, 1227, 2045, 2046 c.c.). Tuttavia, l’imprevedibilità della sopravvenienza non può ritenersi disponibile per l’autonomia privata in applicazione e agli effetti dell’art. 118 t.u.b., se non nei limiti della colpa lieve, in quanto tale carattere deve sussistere al momento della conclusione del contratto. Pertanto, può costituire giustificato motivo solo un mutamento normativo improvviso, non preceduto da segnali di altra natura (interventi dottrinali o dibattiti istituzionali). Ovviamente, la normativa sopravve­nuta può essa stessa attribuire uno ius variandi, ferma restando la necessaria valutazione di ragionevolezza.51

Consentire di fondare l’esercizio dello ius variandi sull’eccessiva onerosità pre­vedibile o interamente imputabile alla banca, infatti, vanificherebbe il carattere imperativo del criterio del giustificato motivo, anche perché, per coerenza, do­vrebbe ammettersi la possibilità (ex art. 1467 c.c.) di dare rilievo negoziale a qualunque sopravvenienza, purché non dipendente da colpa grave o dolo della banca.

D’altro canto, una clausola che prevedesse come evento attributivo dello ius variandi della banca una sopravvenienza prevedibile al tempo del contratto (diversa da quella considerata all’art. 1183 c.c. e all’art. 1461 c.c.), come pure derivante da un fatto proprio della banca e da questa evitabile, si porrebbe in contrasto con il principio di matrice costituzionale di efficiente allocazione delle risorse economiche, che governa e tutela lo svolgimento dell’attività privata di impresa.52


4.2. Segue. Modifiche contrattuali fondate su scelte aziendali e gestionali della banca

Il tema della possibilità di ricondurre le scelte gestionali al giustificato motivo non trova soluzioni univoche in dottrina.53

Sul punto, pur potendosi delineare ulteriori cause di carattere macroeconomico implicanti la valutazione degli obiettivi aziendali,54 sembra ragionevole sostenere che non possano considerarsi come giustificati motivi le variazioni derivanti da scelte di politica aziendale così come da esigenze meramente organizzative o gestionali della banca.55 Difatti, la ratio della norma è proprio quella di prevenire la modifica meramente potestativa e discrezionale delle condizioni contrattuali: mentre il richiamo alle modifiche di legge costituisce ragione sufficiente e idonea a legittimare la variazione, le esigenze organizzative rappresentano elemento causale generico e sostanzialmente rimesso alla determinazione autoreferenziale della banca.

Si aggiunga che in materia contrattuale le condizioni personali della parte rilevano solo eccezionalmente nello svolgimento del rapporto. L’obiezione che il giustificato motivo sia elemento vago, al pari delle esigenze organizzative, permane sul piano della mera affermazione di principio, stante la facoltà di accertare la legittimità dello ius variandi in relazione a ogni fattispecie concreta. In effetti, va detto che la tipicità delle esigenze organizzative, inserite senza tassonomia alcuna (sia pure esemplificativa) come parametro giustificativo, renderebbe presuntivamente legittime e di fatto difficilmente sindacabili le variazioni unilaterali. In tal modo, si introduce un elemento di discrezionalità nella gestione del rapporto che indubbiamente può realizzare un significativo squilibrio sinallagmatico, in danno del consumatore.56

Per altro verso, alcuni autori sostengono la legittimità di un giustificato motivo soggettivo, evidenziando che nessun dato normativo può impedire di qualificare come tale un evento connesso a scelte gestionali.57 A controbilanciare tale asserzione, si afferma tuttavia che la banca non può modificare le condizioni del regolamento negoziale a proprio favore, senza che siano intervenute circostanze esterne tali da incidere sull’assetto di interessi (rischio, condizioni del mercato, condizioni monetarie e così via) recato dalla pattuizione originaria. Diversamente, si riconoscerebbe sempre alla banca il potere di modificare de domo sua le condizioni previste dal contratto allorché eventi esterni abbiano alterato la valutazione iniziale di rischio o altri profili da essa ritenuti essenziali.58 Il rischio specifico e le condizioni di mercato, pertanto, non sarebbero altro che giustificati motivi soggettivi che legittimano, in quanto tali, la banca a modificare unilateralmente le condizioni di contratto.

In definitiva, l’assunto per cui la banca non può legittimare l’esercizio dello ius variandi sulla base di cambiamenti “volontari” di politica aziendale, è ragionevole e va condiviso. Fondare la legittimità di variazione su simili giustificazioni realizzerebbe, infatti, un chiaro depotenziamento degli elementi costitutivi dell’istituto, in quanto il fattore fondativo del potere di modifica finirebbe per coincidere con la decisione medesima, invertendo in sostanza causa ed effetto.

Tanto vale nell’ulteriore, ma analoga, ipotesi degli adattamenti basati sulle esigenze della politica di bilancio, ove le relative decisioni non possono assurgere a giustificato motivo, in quanto non sono dirette a perseguire, nella loro dinamica concreta, interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. In sostanza, è evidentemente incompatibile con i principi generali del diritto dei contratti, oltre che con la ratio dello ius variandi bancario, la condotta della banca finalizzata a riversare sul cliente gli effetti delle scelte di politica industriale o di bilancio.59


4.3. Segue. Variazioni generalizzate e variazioni ad personam

La bipartizione delle variazioni unilaterali lungo le direttrici della natura generalizzata o individualizzata è pacifica in dottrina, così come confermato anche dalla citata nota del Ministero dello sviluppo economico, con formulazione che poi è stata ripresa da numerose decisioni dell’ABF, e secondo cui gli eventi di giustificato motivo possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente, sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali. La richiamata classificazione va considerata come inda­gine di ordine preliminare60 nel vagliare la legittimità delle fattispecie concrete alla luce della eventuale genericità delle motivazioni addotte dalle banche.

Laddove la conclusione di contratti bancari corrisponda a dinamiche concernenti categorie (quantitativamente rilevanti) di clienti, sia la fase genetica del rapporto sia quella successiva devono informarsi sul carattere seriale delle relazioni negoziali. Se la struttura dell’offerta di servizi è massiva, il giustificato motivo adeguato a modificare parzialmente i contenuti negoziali risulta, di per sé, destinato a incidere su tutti i rapporti riconducibili a quel dato regolamento contrattuale. Circostanza che non esclude, per vero, l’evenienza di modifiche ad personam, purché fondate sulle specificità del rapporto concreto rispetto al quale vengono proposte e, quindi, al di fuori delle logiche di serialità. Se viene addotto, pertanto, un motivo idoneo a giusti­ficare una variazione individuale, lo stesso non può essere utilizzato per realizzarne una generale, così come, analogamente, un motivo riferibile a una variazione seriale non sorregge necessariamente una modifica ad personam, dovendosi realizzare un corretto rapporto di congruità tra motivo addotto e modifica apportata.

In concreto, ove il motivo indicato da una banca attenga a un profilo massivo del servizio, la mo­difica non può diventare efficace se si intenda applicarla solo a singoli rapporti, in quanto tale condotta risulterebbe in violazione del principio di buona fede oggettiva (sulla cui portata, nell’ambito della disciplina in esame, si dirà nel prossimo paragrafo), nella specie della regola di parità di tratta­mento.61


5. Considerazioni conclusive sulla nozione di giustificato motivo nella disciplina dello ius variandi bancario. Profili critici e incidenza del canone di buona fede

Alla luce di quanto precede, il giustificato motivo, in sostanza, si individua in un evento successivo alla conclusione del contratto che produce una modifica nell’assetto degli interessi delle parti così come programmato in origine, senza che l’alterazione fosse prevedibile all’atto della stipula (e comunque diversa dai casi dell’inadempimento o del deterioramento delle condizioni patrimoniali del cliente), né il fatto imputabile alla banca. Così configurato l’elemento causativo, il potere di esercitare lo ius variandi assume, quindi, la funzione di preservare nel tempo l’equilibrio economico tra le posizioni contrattuali. Pur ponendosi in deroga ai principi generali del diritto dei contratti, specie a quelli di libertà e uguaglianza del vincolo negoziale, il rispetto rigoroso dei presupposti previsti dalla legge per la sua attivazione concreta consente di attribuirgli una corretta valenza sistemica e di non risultare meramente lesivo di tali principi generali.

Per altro verso, la modifica unilaterale, per quanto conservativa della simmetria di valori tra le posizioni contrattuali, potrebbe non corrispondere in concreto all’interesse della parte che la subisce, considerato che può sostanziarsi in una mutazione (anche parziale) del profilo causale del contratto, rispetto a quello originariamente stabilito. Ecco il motivo per cui il compiuto rispetto delle menzionate esigenze di libertà e uguaglianza impone che la modifica ex uno latere di una parte sia sempre controbilanciata dalla facoltà di recesso dell’altra.

Ebbene, tanto premesso, il percorso di analisi e ricostruzione dogmatica della fattispecie, con specifico riguardo all’ambito di azione della motivazione a fondamento dell’esercizio del potere di modifica, consente di proporre alcune considerazioni sul rapporto tra giustificato motivo e buona fede oggettiva, declinato in particolare nella forma del principio di correttezza.

In primo luogo, va detto che il canone di buona fede consente di valutare la correttezza della condotta di una parte nei confronti dell’altra, in termini di incidenza sull’assetto negoziale, laddove il giustificato motivo si concentra, invece, sul rapporto tra una sopravvenienza e la conseguente decisione unilaterale di modifica del contratto, da realizzare secondo la direttiva specifica della congruità tra i due termini della fattispecie. Si tratta, dunque, di prospettive teoriche essenzialmente diverse che, però si concretizzano entrambe sulla base dell’esperienza applicativa.

Benché sia evidente la differenza di fondamenti giuridici tra i due principi, si staglia con chiarezza come il canone di buona fede svolga una sorta di funzione correttiva dell’esercizio del potere di modifica unilaterale poiché consente di dare rilievo a circostanze concrete che potrebbero non essere contemplate dalla norma o ridurre i margini di riassetto legittimi previsti dalla stessa. In sostanza, la buona fede potrebbe richiedere che una parte del contratto (preferibilmente la banca) sacrifichi, a vantaggio dell’altra, una porzione delle sue legittime pretese ove ciò si renda necessario per preservare interessi meritevoli di tutela secondo la gerarchia di valori fissata dall’ordinamento.62 Anche nell’ipotesi in cui la variazione serva a garantire la corretta gestione della banca, è necessario non pregiudicare del tutto la soddisfazione di interessi essenziali dei clienti, anche perché la dignità della persona è senza dubbio interesse di rango superiore a quello dell’equilibrio contabile dell’impresa.63

D’altra parte, come si è detto, un ipotizzabile motivo di matrice meramente “soggettiva” risulterebbe in evidente contrasto con la ratio sottesa alla regolazione dello ius variandi, la quale non può certo ricomprendere l’esigenza di garantire stabili margini di profitto alla banca64 ovvero di riversare sui clienti i costi di una gestione inefficiente.

Esito, quello appena prospettato, che del resto è evidente già con riguardo alla sequenza dei vari interventi legislativi volti a tutelare l’affidamento del cliente circa il rispetto degli equilibri contrattuali e a ridurre i margini di discrezionalità nell’applicazione dello ius variandi ovvero a limitarli nei contratti a tempo determinato, circoscrivendo la modifica unilaterale alle sole clausole previste dal contratto. Tale opera di conformazione di un ambito applicativo più congruo alle esigenze di tutela del cliente è stata proseguita e implementata sia attraverso il contributo della giurisprudenza sia, in maniera viepiù netta, negli orientamenti dell’ABF.

In definitiva, si può ritenere che gli effetti economici di scelte unilaterali della banca non possano produrre effetti sul cliente, in evidente contrasto con il canone di buona fede, il quale pertanto si può porre funzionalmente quale parametro residuale di verifica dell’esercizio dello ius variandi. Svolgendo, infatti la sua funzione valutativa e integrativa della correttezza dell’esercizio dei poteri privati,65 essa dovrebbe escludere la vincolatività di vantaggi derivanti da modifiche unilaterali non sorrette dai necessari crismi di legittimità.

Tale inquadramento sistemico del giusti­ficato motivo lascia, comunque, aperte alcune questioni, specie in punto di ridefinizione dell’equilibrio valoriale del contratto, cui solo la progressiva formazione di stabili e univoci orientamenti applicativi può forse fornire soluzione. Ad esempio, solo per citarne una, molti ritengono che la variazione dell’assetto di interessi iniziale acquisti significatività pratica solo in favore della banca. Ove si ritenesse l’equilibrio negoziale una componente meramente soggettiva della fattispecie, la sua salvaguardia do­vrebbe riguardare tutte le parti del rapporto. Diversamente opinando, si rischierebbe di privare di autonomia teorica l’obiettivo di gestione delle sopravvenienze realizzato dall’istituto bancario e, più in generale, si renderebbe ininfluente la presenza di uno ius variandi in contratti tipicamente caratterizzati da evidenti situazioni di asimmetria negoziale.66

1 Contesto che ha indotto la Banca d’Italia a intervenire, con la Circolare del 15 febbraio 2023, per raccomandare alle banche particolari cautele nel ricorso alle modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali collegate all’andamento dei tassi d’interesse e dell’inflazione, cfr. Banca d’Italia, Modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali motivate dall’andamento dei tassi d’interesse e dell’inflazione, 15 febbraio 2023, p. 1.

2 In seguito ad alcuni tentativi definitori della fattispecie, prima in ambito di settore con le Norme Bancarie Uniformi (cfr. art. 16, relativo ai conti correnti di corrispondenza e ai servizi connessi, e poi in via legislativa, con la L. n. 154/1992, è solo con l’emanazione del t.u.b. che viene riconosciuta la piena liceità del potere di modifica unilaterale. In argomento, v. A. Sciarrone Alibrandi, Interventi normativi sul contenuto regolamentare dei contratti bancari: il diritto di recesso e lo ius variandi, in AA.VV., Nuove regole per le relazioni tra banche e clienti. Oltre la trasparenza? Atti del convegno tenutosi in San Miniato il 22 e 23 ottobre 2010, Torino, 2011, pp. 73 e ss.; A. Sciarrone Alibrandi, G. Mucciarone, La pluralità delle normative di ius variandi nel t.u.b.: sistema e fratture, in A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), Ius variandi bancario. Sviluppi normativi e di diritto applicato, Milano, 2012, p. 60; M. Farneti, Ius variandi, recesso, spese di chiusura conto e condizioni economiche nei contratti bancari del consumatore: dalla giurisprudenza alle nuove regole del t.u.b. (Trib. Bolzano, 11 aprile 2005), in Riv. dir. priv., 2006, p. 856; P. Sirena, Ius variandi, commissione di massimo scoperto e recesso dal contratto, in Contr.., 2009, p. 1169; F. Di Marzio, Clausole abusive nei contratti bancari. Recesso, ius variandi e limitazioni di responsabilità, in P. Perlingieri, E. Caterini (a cura di), Il diritto dei consumi, Napoli, 2004, I, pp. 307 e ss.

3 Come evidenziato da A. Sciarrone Alibrandi, G. Mucciarone, La pluralità delle normative, cit., p. 62.

4 In argomento v., tra gli altri, G. Ripert, La règle morale dans les obligations civiles, Parigi, 1949, passim; G. De Nova, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1953, passim; V. Roppo, in A. Belvedere e C. Granelli (a cura di), Confini attuali dell’autonomia privata, Padova, 2001, p. 142; F. Sartori, sub art. 118, in Comm. Capriglione, 2018, p. 1894.

5 Quali, ad esempio, l’art. 1661 c.c. in tema di appalto, l’art. 1685 c.c. in tema di trasporto, l’art. 2013 c.c. in materia di lavoro subordinato. In riferimento allo ius variandi nel codice civile, si v., tra gli altri, F. Di Marzio, Ius variandi e nuovo diritto dei contratti, in www.rivistadga.it, 2016, I, pp. 1 e ss.

6 Sul tema v., tra gli altri, P. Schlesinger, Poteri unilaterali di modificazione (ius variandi) del rapporto contrattuale in Giur. comm., 1992, I, pp. 18 e ss.; P. Gaggero, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Padova, 1999, passim; M. Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, passim; G. Iorio, Le clausole attributive dello jus variandi, Milano, 2008, passim; A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi, Ius variandi bancario, cit., passim. In giurisprudenza, tra i pochi interventi antecedenti le riforme intervenute, Trib. Milano, 18 aprile 1985, secondo cui è ammessa la possibilità che una banca possa variare le condizioni contrattuali, ritenendole tacitamente approvate se il cliente, a seguito di comunicazione mediante affissione nei locali, avesse proseguito il rapporto.

7 Qualificano lo ius variandi in questo senso, tra gli altri, S. Pagliantini, La nuova disciplina del c.d. ius variandi nei contratti bancari: prime note critiche, in Contr., 2, p. 191; F. Sartori, sub art. 118, cit., p. 1895.

8 L. Nivarra, ius variandi del finanziatore e strumenti civilistici di controllo, in Riv. dir. civ., 2000, II, pp. 463 e ss., che ritiene l’istituto un rimedio manutentivo del vincolo obbligatorio.

9 In argomento, v. le considerazioni di A.A. Dolmetta, Linee evolutive di un ius variandi, in A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi, Ius variandi bancario, cit., pp. 17 e s.; e A. Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Napoli, 2017, pp. 252 e s., secondo cui l’adozione frequente e generalizzata di variazioni unilaterali dei contenuti economici di contratti utilizzati in settori strategici del mercato, specie se non sorretta da presupposti idonei a giustificare la modifica, abbassa la credibilità delle offerte commerciali, riducendo a monte il grado di concorrenzialità del sistema.

10 Cfr. G. La Rocca, Il potere della banca di modificare unilateralmente i contratti: esigenze sostanziali e principi civilistici, in Banca impresa e società, 1997, p. 62.

11 In questo senso, U. Majello, Commento all’art. 117, in F. Belli e al. (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia. Commentario, Bologna, 2003, p. 1947; V. Sangiovanni, Le modifiche unilaterali dei contratti bancari fra recenti riforme e decisioni dell’Arbitro bancario finanziario, in Obbl. contr., 2012, p. 211.

12 Si v. G. La Rocca, Il potere della banca, cit., pp. 62 e ss.; U. Majello, sub art. 118, in F. Belli e al. (a cura di), Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, cit., p. 1946; A. Scarpello, La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, pp. 262 e ss.; M. Atelli, M. Mazzeo, L’osservatorio legislativo. Prime note sulla riforma dell’art. 118 del testo unico bancario, in Obbligazioni e contratti, 2006, pp. 850 e ss.

13 L. Nivarra, Jus variandi del finanziatore, cit., p. 473.

14 Cfr. U. Majello, sub art. 118, cit., p. 1947; C. Iurilli, Ius variandi e testo unico bancario. La nuova formulazione dell’art. 118, e l’art. 10 del c.d. “Decreto Bersani”. Una proposta interpretativa (Seconda parte), in Studium iuris, 2007, pp. 298 e ss.

15 Cfr. G. La Rocca, Il potere della banca, cit., p. 63.

16 Così F. Martorano, Condizioni generali di contratto e rapporti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pp. 133 e s.

17 Così, U. Majello, sub art. 118, cit., p. 1947. A tal fine, si è rivelato determinante anche il contributo fornito dagli orientamenti decisionali dell’Arbitro Bancario Finanziario.

18 Cfr. Banca d’Italia, Modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali motivate dall’andamento dei tassi d’interesse e dell’inflazione, 15 febbraio 2023, p. 1.

19 V. Banca d’Italia, Modifiche unilaterali dei contratti bancari e finanziari. Obblighi degli intermediari e diritti dei clienti, 13 ottobre 2014; id., Modifiche unilaterali dei contratti bancari e finanziari. Obblighi degli intermediari, diritti dei clienti, ruolo dell’autorità di vigilanza, 11 aprile 2017.

20 Cfr. Banca d’Italia, Modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali motivate dall’andamento dei tassi d’interesse e dell’inflazione, 15 febbraio 2023, p. 1.

21 Cfr. Banca d’Italia, Modifiche unilaterali, cit., 15 febbraio 2023, p. 1.

22 In argomento, fra gli altri, P. Sirena, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di credito al consumo, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, cit., pp. 354 e ss.; M. Bussoletti, La disciplina del ius variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica sulle clausole vessatorie, in Dir. banc. merc. fin., 2005, I, pp. 13 e ss.; F. Briolini, Osservazioni in tema di modifiche unilaterali nella disciplina dei contratti bancari, in Riv. dir. priv., 1998, I, pp. 293 e ss.; A. Pisu, L’adeguamento dei contratti, cit., pp. 240 e ss.

23 Cfr. sul punto, G. Santoni, Lo ius variandi delle banche nella disciplina della l. n. 248 del 2006, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 261; nonché F. Ferro-Luzzi, Il “giustificato motivo” nello jus variandi: primi orientamenti dell’ABF, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, pp. 735 e s.

24 Sul punto, v. A. Scarpello, Il “nuovo” jus variandi della banca dopo la conversione del c.d. “decreto sviluppo”, in Contr. e impresa, 2012, cit., pp. 577 e s.

25 In argomento, si v. F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione del rapporto contrattuale: riflessioni in margine all’art. 118 T.u.b., in A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi, Ius variandi bancario, cit., pp. 127 e ss.; S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969; F. Sartori, Il conflitto di interessi nel diritto dei contratti: prospettive di analisi economica, in Riv. dir. priv., 2004, pp. 283 e ss. In una prospettiva di analisi giuridico-economica, v. L. Kaplow, Rules versus Standards: Art economie Analysis, in Duke L.J., 1992, p. 557.

26 Cfr. F. Sartori, sub art. 118, cit., p. 1897.

27 Purtuttavia, al fine di evitare il rischio che la clausola possa risultare eccessivamente vaga o generica, occorre rendere più concreto il contenuto per agevolare la “profilazione” dei motivi in grado giustificare una variazione unilaterale del rapporto contrattuale, in questi termini, v. P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., p. 277; V. Piccinini, I rapporti tra banca e clientela, cit., p. 322; A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., p. 40; contra V. Tavormina, Ius variandi e contratti bancari, in judicium.it, 25 luglio 2012, p. 11.

28 Cfr. P. Sirena, Il “ius variandi” della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, pp. 276 e ss.; M. De Poli, Commento sub art. 118, in G. De Cristofaro, A. Zaccaria (a cura di), Commentario breve al diritto dei consumatori, Padova, 2010, p. 1427; U. Morera, sub art. 118, in M. Porzio, F. Belli, G. Losappio, M. Rispoli Farina, V. Santoro (a cura di), Testo Unico bancario. Commentario, Milano, 2010, p. 990; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 86; S. Pagliantini, La nuova disciplina, cit., p. 192; A. Scarpello, Il “nuovo” jus variandi della banca, cit., p. 578.

29 Cfr. F. Ferro-Luzzi, Il “giustificato motivo” nello jus variandi, cit., pp. 731 e ss.; id., Ipotesi e rilievi sui confini applicativi dell’art. 118 t.u.b. dopo l’introduzione del comma 2-bis, in A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), Ius variandi bancario, 2012, cit., pp. 148 e ss.; A. Centini, Lo ius variandi nelle decisioni dell’Arbitrato Bancario e Finanziario, in Contr., 2012, pp. 182-206; A.A. Dolmetta, Jus variandi bancario. Tra passaggi legislativi e giurisprudenza dell’ABF le linee evolutive dell’istituto, Il Caso.it, 24 luglio 2011, n. 260, II.

30 In tal senso, F. Ferro-Luzzi, Ipotesi e rilievi, cit., p. 149.

31 Cfr. G. Olivieri, Usi e abusi dello “ius variandi” nei contratti bancari, in A.A. Dolmetta, A. Sciarrone Alibrandi (a cura di), Ius variandi bancario, 2012, cit., pp. 117 e ss.

32 Cfr. Banca d’Italia, Comunicazione del 5 settembre 2014.

33 Sul rilievo del canone di chiarezza e comprensibilità nei contratti bancari con i consumatori, v. F.G. Viterbo, Il controllo di abusività delle clausole nei contratti bancari con i consumatori, Napoli, 2018, pp. 62 e ss.

34 Cfr. A. Sciarrone Alibrandi, Interventi normativi, cit., p. 76; A. Sciarrone Alibrandi, G. Mucciarone, La pluralità delle normative, cit., pp. 81 e ss. P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., p. 277.

35 Cfr. A. Sciarrone Alibrandi, G. Mucciarone, La pluralità delle normative, cit., p. 88; nello stesso senso, F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione, cit., p. 138. Cfr. anche Collegio di Milano, n. 1705/2011.

36 Si v., in argomento, Trib. Rimini, ord. 22 agosto 2011, secondo cui non può costituire un giustificato motivo il peggioramento delle condizioni del cliente quando questo sia prevedibile al tempo della conclusione del contratto.

37 In caso di mutuo, ai sensi degli artt. 1186 o 1819 c.c.; in caso di apertura di credito, ex art. 1845, comma 1, c.c.

38 Sul punto, A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., pp. 40 e s., il quale nega che, in generale, lo ius variandi possa avere a oggetto il termine per l’adempimento del cliente, in quanto caratteristica base dell’operazione. Se queste ultime si intendono riferite elementi essenziali del negozio, si può ritenere allora che lo ius variandi non possa incidere su di essi, in quanto diretto a mantenere un assetto di interessi conveniente per le parti, dovendo restare invariata la natura del contratto.

39 Si v. S. Rodotà, Le fonti di integrazione, cit., p. 189; V. Sangiovanni, Le modifiche unilaterali dei contratti bancari, cit., p. 211.

40 U. Morera, Contratti bancari (disciplina generale), in Banca, borsa, tit. cred. 2008, I, p. 169.

41 F. Ferro-Luzzi, Modifica allo jus variandi nei contratti bancari e disciplina transitoria. Due pareri sull’art. 8, comma 5°, lett. f) e g), d.l. n. 70/2011, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, I, pp. 490 e s.

42 Così, M. Bussoletti, La disciplina del ius variandi, cit., p. 21.

43 Cfr. Ferro-Luzzi, Ipotesi e rilievi, cit., pp. 148 e s.

44 Tra le altre, v. Collegio di Roma, n. 6388/2013; Collegio di coordinamento, n. 1889/2016.

45 In argomento, v. C. Silvetti, I contratti bancari parte generale, in V. Calandra Buonaura, M. Perassi, C. Silvetti (a cura di), La banca: l’impresa, i contratti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, Cedam, Padova, 2001, pp. 329 e ss.; A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., p. 19; F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione, cit., pp. 138 e ss. Diversamente orientato, nel senso che il peggioramento delle condizioni di affidabilità del cliente non potrebbe costituire giustificato motivo di variazione unilaterale da parte della banca, F. Ferro-Luzzi, Il “giustificato motivo” nello jus variandi, cit., pp. 731 e ss., sulla base del rilievo per cui la disciplina dello ius variandi risponde all’esigenza della banca di conservare l’equilibrio macro-negoziale, al fine di consentire il mantenimento dei singoli rapporti.

46 Cfr. Nota del Ministero dello Sviluppo Economico “Chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 10 della L. 4 agosto 2006, n. 248”, del 21 febbraio 2007; nonché Delibera del Direttorio della Banca d’Italia del 28 marzo 2017, n. 197. In dottrina, F.G. Viterbo, sub art. 118, in S. Bonfatti (a cura di), Commentario al testo unico bancario. D.lgs. n. 385/1993, Pisa, 2021, p. 790; G. Liace, sub art. 118, Costi R., Vella F. (diretto da), Commentario breve al testo unico bancario, Milano, 2019, p. 736.

47 Cfr. F. Sartori, sub art. 118, cit., p. 1897: G. Liace, sub art. 118, cit., p. 736.

48 Il “rischio di credito”, come noto, consiste nell’eventualità che un contraente non adempia agli obblighi di natura finanziaria assunti, causando una perdita alla controparte; tra gli altri, v, in argomento, K.K. Ammann, Credit Risk Valuation. Methods, Models, and Appli­cations, Springer-Verlag, Berlin, 2001, passim.

49 Cfr. F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione, cit., p. 139; A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., p. 20. V., altresì, Trib. Palermo, Sez. Bagheria, 26 marzo 2010, in Giur. merito, 2010, con nota di A. Gorgoni, pp. 2086 e s.

50 Per i rapporti bancari, l’art. 1844, comma 2, c.c., dispone che «se la garanzia diviene insufficiente, la banca può chiedere un supplemento di garanzia o la sostituzione del garante. Se l’accreditato non ottempera alla richiesta, la banca può ridurre il credito proporzionalmente al diminuito valore della garanzia o recedere dal contratto». Per i rapporti obbligatori in genere, va richiamato l’art. 1186 c.c. sulla decadenza del beneficio del termine. Sul punto, A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., pp. 20 e ss.

51 Così, ad esempio, la disposizione dell’art. 2-bis, comma 3, del D.L. n. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito in legge 23 gennaio 2009, n. 2), per l’adegua­mento dei “contratti in corso” alle norme in materia di remunerazione dell’apertura di credito e dello scoperto. Disposizione, inoltre, che attribuisce la facoltà di sostituire una commissione di massimo scoperto con una commissione sull’accordato.

52 Sul tema della funzionalizzazione dei contratti d’impresa all’attività che concorrono a realizzare, v. A.A. Dolmetta, Sui «contratti di impresa»: ipoteticità di una categoria (ricordo di Arturo Dalmartello), in A.A. Dolmetta, G.B. Portale (a cura di), Un maestro del diritto commerciale, Milano, 2010, p. 125; G. Mucciarone, La liceità delle «spese secondarie» nelle operazioni bancarie: l’impatto della direttiva 2007/64/Ce sui servizi di pagamento, in M. Rispoli Farina, V. Santoro, A. Sciarrone Alibrandi, V. Troiano (a cura di), Armonizzazione europea dei servizi di pagamento e attuazione della direttiva 2007/64/CE, Milano, 2009, p. 517.

53 La tesi positiva è sostenuta da V. Mariconda, Il provvedimento del tribunale di Roma sulle clau­sole vessatorie nei contratti bancari (Nota a Trib. Roma, sez. II civ., 21 gennaio 2000), in Contr., 2000, pp. 586 e ss. Di diverso avviso, invece, sono P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., p. 277; U. Morera, sub art. 118, cit., p. 990; S. Pagliantini, La nuova disciplina, cit., passim Da notare che Trib. Roma, 21 gennaio 2000 (in Contr., 2000, pp. 561 e ss.) aveva giudicato vessatoria (ai sensi del Codice del consumo) la clausola delle n.b.u. per cui la banca si riservava il potere di modificare le condizioni di contratto in ragione delle proprie necessità organizzative.

54 Quali i mutamenti dei tassi non collegati a decisioni delle autorità (Euribor, IRS, ecc.), l’inflazione, l’andamento dell’economia in generale. Cfr. V. Piccinini, I rapporti tra banca e clientela, cit., p. 324; A. Scarpello, Il “nuovo” ius variandi della banca, cit., pp. 575 e ss.

55 Così P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., p. 277; M. De Poli, Commento sub art. 118, cit.; U. Morera, Contratti bancari, cit.; S. Pagliantini, La nuova disciplina, cit. Nel senso che nella nozione di «giustificato motivo» possano ricomprendersi anche «vicende personali del fornitore di prodotti finanziari» si esprime M. Bussoletti, La disciplina del ius variandi, cit., pp. 21 e s. Riconduce esplicitamente le scelte gestionali della banca nell’alveo del giustificato motivo, V. Tavormina, Ius variandi e contratti bancari, cit.

56 Cfr. App. Roma, 24 settembre 2002, in www.Foro.it., I, co. 332.

57 Si pensi, ad esempio, ai mutamenti di proprietà della banca e alla connessa modifica del foro competente; all’adeguamento di contratti a politiche regolamentari diverse; a disposizioni di legge sopravvenute o a revirement giurisprudenziali. Tutti elementi idonei a incidere nella valutazione della banca di esercitare la facoltà di modifica dei contratti, quando ciò risulti una scelta razionale e non sia in contrasto con il generale principio di buona fede. Sul punto, V. Tavormina, Ius variandi e contratti bancari, cit., p. 10; A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., p. 43.

58 In argomento, Trib. Rimini, sent. 22 agosto 2011, cit.

59 Cfr. P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., p. 277, il quale afferma che non si possono aggiustare i contratti in corso per fare “quadrare i conti”.

60 Un accenno in tal senso si ritrova già nelle prime decisioni dell’ABF.

61 Così, A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., pp. 17 e ss.

62 Cfr. A.A. Dolmetta, Exceptio doli generalis, in Banca, borsa, tit. cred., 1998, I, pp. 165 e ss. Orientamento cui si è conformata anche la Corte di Cassazione, v. tra le altre, Cass., 18 settembre 2009, n. 20196; Cass, 31 maggio 2010, n. 13208, in Giur. it., 2011, pp. 794 e ss.; Cass., 22 ottobre 2010, n. 21730, in Corr. giur., 2011, pp. 510 e ss.

63 Cfr. A. Sciarrone Alibrandi, G. Mucciarone, La pluralità delle normative, cit., pp. 81 e ss.

64 Così, P. Sirena, Il ius variandi della banca, cit., pp. 277 e s.; ma anche G. Olivieri, Usi e abusi dello ius variandi, cit., p. 122; F. Sartori, Sul potere unilaterale di modificazione, cit., p. 137.

65 G. Iorio, Le clausole attributive cit., pp. 164 e ss.

66 Un’ulteriore criticità deriva dall’individuazione della diligenza professionale quale componente essenziale del giustificato motivo. In merito, il problema sta nel definirne l’impatto in punto di redazione della clausola in questione sul piano operativo, essendoci il rischio di determinare una perdita di significato del giustificato motivo, considerato che le previsioni di modifica, di solito, hanno margini temporali alquanto ridotti. Così, A.A. Dolmetta, Linee evolutive, cit., pp. 44 e s. A questo orientamento si contrappone chi ritiene che il giustificato motivo rappresenti un’espressione del principio di “giusta causa”, per cui la modifica contrattuale può legittimarsi, oltre che con un evento specifico, anche in virtù di vicende interne alla banca (mutamento di strategia aziendale, variazioni delle condizioni economiche generali o del costo di fattori specifici, quali lavoro, servizi informatici, ecc.). È evidente (come si è detto supra), tuttavia, che tale teoria non risulta condivisibile per diversi motivi, ma soprattutto in quanto finirebbe per instaurare una sorta di supremazia negoziale di una parte, per vero già in posizione di superiorità informativa e tecnica, sull’altra.