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Il Pillar 1 e l'idealizzazione di nuovi paradigmi di tassazione per le imprese digitali

Scritto da Stefano D'Albenzio • mar 2022

Sintesi

Il contesto economico che ci circonda è continuamente influenzato e caratterizzato da quello che è il continuo e rapido processo tecnologico. Se prima era semplice rilevare, quantificare, allocare e tassare correttamente le quote di ricavi generati dalle imprese multinazionali (mediante gli istituti storici quali la stabile organizzazione e il transfer pricing), oggigiorno questo è divenuto estremamente complesso e, a rendere ancor più arduo tale lavoro, è intervenuta anche la capacità di generare profitti ovunque da parte di imprese di modeste dimensioni. Ciò avviene proprio per mezzo della dematerializzazione dell’attività economica e alla generazione di ricavi mediante l’utilizzo di fattori intangibili. Per questo motivo oggi è necessario introdurre quale aspetto chiave, ai fini della corretta tassazione dei ricavi, il concetto di creazione di valore. Numerosi sono stati gli interventi sia in ambito nazionale che internazionale, ma poche sono state le conclusioni effettivamente adottate negli anni. Fondamentale è stata l’introduzione, quantomeno teorica per ora, dei due pilastri e, come si analizzerà nel merito del presente articolo, in particolar modo del Pillar 1, andando a “ridisegnare” una serie di regole della fiscalità internazionale oramai ritenute obsolete e poco funzionali. Infine si parlerà del recente G20 avutosi a Venezia nel mese di luglio 2021 e con il quale si lascia intendere l’arrivo a breve di una Global minimum tax.

Abstract

The surrounding economic context is continuosly influenced and characterized by the continuous and rapid technological process. If before it was easy to correctly detect, quantify, allocate and tax the shares of revenues generated by multinational companies (through historical institutions such as permanent establishment and transfer pricing), nowadays this has become extremely complex and, to make this work even more difficult the ability of small companies to generate profits everywhere ha salso intervened. This happens precisely by means of the dematerialization of economic activity and the generation of revenues through the use of intangible factors. For this reason, today is necessary to introduce the concept of value creation as a key aspect for the purposes of the correct taxation of revenues. There have been numerous interventions both nationally and internationally, but few conclusions have actually been adopted over the years. The introduction, at least theoretical for now, of the two pillars was fundamental and, as will be analyzed in the merits of this article, in particular of Pillar1, going to “redesign” a series of rules of international taxation now considered old and not very functional. Finally, we will talk about the recent G20 which took place in Venice in July 2021 and which suggests the arrival of a Global minimun tax shortly.

Contenuto

1. Premessa

È ormai constatato che, nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata da un altissimo livello di digitalizzazione, le imprese stanno adottando delle “strutture” sempre più dematerializzate. Dapprima la globalizzazione, poi la successiva sempre più massiccia dematerializzazione dell’attività economica e, infine, l’internazionalizzazione dei processi produttivi, hanno profondamente modificato il modo di fare business delle imprese. Non è più necessario operare una distinzione di natura “quantitativa” a seconda che si tratti di imprese multinazionali o imprese di modeste dimensioni; qualsiasi modello di business sta registrando un radicale cambiamento sia in termini organizzativi che in termini produttivi.

Fino ad oggi si operava, per quanto concerne la ripartizione dei profitti delle imprese multinazionali, in base agli accordi convenzionali presi dai singoli Stati, così che la ricchezza prodotta da queste imprese venisse ripartita tra lo Stato di residenza della capogruppo e tutti gli altri Stati in cui fossero presenti società operative o stabili organizzazioni.1

Se prima la determinazione del reddito era una “formula” squisitamente matematica, data dal differenziale costi-ricavi, oggi diviene estremamente complicata, dato che la generazione dei profitti è determinata prevalentemente dal possesso di beni immateriali2 piuttosto che dalle c.d. imprese brick and mortar3.

Il nuovo paradigma economico ha messo in evidenza i limiti dei tradizionali, oramai obsoleti, istituti del diritto internazionale tributario4, evidenziano il loro deficit nell’intercettare la nuova ricchezza prodotta e di adottare una corretta e conseguente tassazione. Basti pensare al fatto che, sia in ambito nazionale con riferimento all’introduzione della lettera f-bis) all’interno del comma 2 all’art. 162 del TUIR5, sia in ambito internazionale con la modifica dell’art. 5 del Modello OCSE del 2017, si si procedendo verso l’individuazione di misure alternative, o comunque “più innovative”, di una corretta quantificazione ed allocazione di reddito alle diverse giurisdizioni competenti.

Tali istituti, infatti, “ragionavano” sul modello della multinazionale quale “industria fisica”6, ed hanno portato la necessità di garantire maggiori livelli di certezza fiscale “multilaterale”7 volti a combattere non più solo problematiche di “doppia imposizione” ma anche di “doppia non imponibilità fiscale”8 che danno luogo al fenomeno dei profitti nati apolidi9.

L’obiettivo attuale è, dunque, quello di cercare, da un lato di non creare differenze di trattamento, dall’altro è necessario individuare i diversi fattori costituenti i diversi modelli di business.10

È evidente che operare con “un sistema” di tassazione oramai ritenuto obsoleto, a seguito della repentina espansione delle imprese digitali, comporta dei seri rischi sia in termini di mancate entrate per le singole giurisdizioni che di equità di tassazione. Difatti, non operando un cambiamento radicale, si incorrerebbe in un rischio reale per le entrate pubbliche dei singoli Stati membri; le imprese digitali sono soggette ad un’aliquota fiscale media effettiva pari alla metà di quella dell’economia tradizionale dell’Unione Europea.11

Così i Paesi membri del G20 hanno conferito all’OCSE un esplicito mandato per la formulazione di un nuovo modello di tassazione che fosse all’avanguardia e condiviso in relazione alla digital economy.

Nel 2019, poi, l’OCSE12, tramite l’Inclusive Framework on BEPS13, ha identificato una serie di proposte di intervento quali “Pillar One e Pillar Two, volti a costituire un nuovo paradigma di tassazione per le imprese digitali14.

Il 9 ottobre 2020, i membri dell’ Inlcuive Framework hanno redatto il “Pillar 1 and Pillar 2 Blueprints report”, il quale contiene riflessioni e focus di analisi incentrati su una serie di principi e parametri del Pillar 1 e del Pillar 2, identificando, nel contempo, le questioni politiche e tecniche per le quali le negoziazioni sono ancora in corso.

Nella fattispecie abbiamo quanto segue:

  1. Pillar 1, finalizzato alla definizione di nuovi diritti impositivi che siano innovativi rispetto agli attuali criteri basati sul concetto di “presenza fisica”, al fine di adattare le regole di fiscalità internazionale agli sviluppi continui del business. È chiaro che il Pillar 1 si rifà in modo particolare, per quanto concerne il core sottostante, alla crescente digitalizzazione delle imprese ed alla continua dematerializzazione dei mercati. Questo, difatti, si focalizza su un nuovo nexus e su una nuova modalità di allocazione dei profitti fondata sull’Unified approach15;

  2. Pillar 2, che si pone l’obiettivo di introdurre un livello minimo effettivo di tassazione per le imprese operanti a livello internazionale. Ciò si traduce nell’introduzione di una minimum tax globale, fondata sulla Globe Rule destinata ad affrontare i problemi rimanenti di erosione della base e di trasferimento dei profitti.


Occorre premettere che, quando parliamo di Unified approach ci riconduciamo alla nozione di unitary taxation. Con tale definizione andiamo a designare un metodo di ripartizione del reddito globale, generato da un’impresa che opera a livello internazionale, tra i diversi Paesi, basato su una serie di fattori/indicatori economici che abbandonano i tradizionali criteri di tassazione sinora utilizzati in ambito della fiscalità internazionale16, ovverosia un modello “forfettario” di tassazione per la ripartizione mondiale della base imponibile.

Se questa può sembrare, senza ombra di dubbio, una strada da percorrere sicura e condivisa, occorre ravvisare che numerosi sono stati gli ostacoli, tant’è vero che l’attuazione di tale piano era prevista per fine anno 2020 ed ancora non ne ha trovato applicazione. È semplice intuire che gli interessi economici sottostanti all’evoluzione del mondo (mercato) digitale sono immani e l’OCSE si è trovata nella scomoda posizione di tentare di concordare posizioni ed ideologie spesso discordanti.

È stato necessario introdurre un nuovo nexus volto ad individuare una “presenza economica significativa” (PES), proponendo quest’ultima quale nuovo criterio di collegamento con le giurisdizioni in cui le imprese intrattengono significativi legami economici con i consumatori.17 Tale nuova definizione discende da quello che è un criterio prettamente “fisico”18, abbandonando quindi l’approccio sinora utilizzato.

Per quanto concerne, invece, l’introduzione di una minimum tax, legata al Pillar 2, si segna la fine della “corsa”, da parte dei diversi Paesi, ad attuare delle pratiche di competizione fiscale aggressiva a livello internazionale, causando situazione sia di concorrenza sleale fra imprese che pratiche “nocive” di competizione fiscale che si concretizzano in una corsa al ribasso (di tassazione) per attirare l’attenzione delle multinazionali e, di conseguenza, dei loro redditi.

Un importante rilievo al nuovo paradigma dettato dal Blueprint, da un punto di vista quantomeno formale, è dato anche dalla dottrina americana19 che equipara gli effetti del documento a quelli conseguenti agli accordi stipulati durante la conferenza di Bretton Woods20. Similmente, anche l’introduzione dei due pilastri, si ritiene, determineranno un nuovo assetto istituzionale ai fini fiscali e che, secondo il Blueprint, questa nuova governance:

  1. Per quanto concerne il Pillar 1, sarà chiamata a decidere in merito alle percentuali di allocazione dei profitti ed alla risoluzione delle eventuali controversie che ne discenderanno;

  2. Per quanto riguarda, invece, il Pillar 2, si occuperà di coordinare gli aggiustamenti necessari per riconciliare le voci di bilancio con la (nuova) base imponibile.


Da un punto di vista squisitamente sostanziale, l’OCSE ha stimato che il Pillar 1 e il Pillar 2 potrebbero (e dovrebbero) aumentare gli introiti globali rinvenienti dall’imposta sul reddito delle società (Corporate Income Tax) di circa 60/100 miliardi di dollari all’anno21.

Ciò che assolutamente si sta cercando di evitare, e che sta comportando pressioni sia politiche che finanziarie a livello internazionale, è l’adozione di misure unilaterali, da parte dei singoli Paesi, e che altro non rappresenterebbero se non che delle distorsioni nel commercio internazionale.

È pienamente condivisibile la volontà di affidarsi ad una collaborazione attiva da parte sia delle istituzioni internazionali quanto ad una platea ben ampia di studiosi e tecnici della materia, in modo da limitare le possibilità di errore applicativo e metodologico e contrastare, in modo efficace e immediato, le pratiche di profit shifting.

Prima di passare al successivo paragrafo, si ritiene necessario evidenziare il “cambio di rotta” attuato dagli Stati Uniti d’America a seguito delle vittorie presidenziali, dello scorso novembre, vinte da Biden.

Sotto la direzione Trump, nel giugno 2020, gli Stati Uniti d’America hanno interrotto la loro partecipazione attiva nella definizione di un accordo comune e condiviso per porre la loro totalitaria attenzione sulla gestione dell’emergenza sanitaria, causa l’urgenza epidemiologica sorta per il Covid-19, e sulla campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute pochi mesi dopo. In tale periodo, comunque, la politica “trumpiana” è sempre stata incentrata sull’obiettivo di “proteggere e tutelare” le proprie multinazionali, condividendo solo in parte l’ideologia posta alla base del Pillar 1. Con la vittoria di Biden vi è stato un vero e proprio cambio di rotta e, lo stesso Ministro del Tesoro Yellen ha annunciato la propria volontà di voler giungere ad un accordo entro l’estate 202122.


2. Breve cenno al concetto di "creazione di valore" secondo i principi di fiscalità internazionale

Con l’avvento dell’economia digitale, e della relativa dematerializzazione dei mercati, il concetto di “creazione di valore” ha assunto una rilevanza sempre maggiore, seppur mostrando fin da subito complessità e difficoltà di definizione e determinazione. Interessante è la definizione di “creazione di valore” delineata dal Prof. Giuseppe Corasaniti, come quel «criterio essenziale per verificare se un business di natura digitale sia capace di generare un’utilità (rectius, un valore) suscettibile di valutazione economica e, di conseguenza, tassabile».23

Si evidenzia che non esiste una precisa nozione di economia digitale24 a causa delle diverse forme che questa può assumere25. Tuttavia si si potrebbe affermare che per economia digitale (o anche new economy) si intende un modello economico fondato sulle tecnologie informatiche e comprende tutte le attività che si avvalgono di soluzioni digitali e che ad esse fanno riferimento.26 Così come sarebbe possibile effettuare delle considerazioni circa le caratteristiche fondamentali per l’identificazione27 di un’economia di tipo digitale, ovvero:

  1. L’economia digitale è “a-territoriale”, caratterizzandosi sulla peculiarità di non aver alcun nesso tangibile con il territorio in cui genera ricchezza/valore;

  2. Si può affermare inoltre che è “transnazionale”, proprio per la facilità con cui i singoli operatori possono varcare i confini nazionali dei singoli Stati (grazie all’utilizzo della tecnologia);

  3. Trattasi di un’economia “dematerializzata”, dal momento che si basa su scambi non fisici e riguarda il trasferimento di beni intangibili;28

  4. Infine, si potrebbe affermare che è caratterizzata da un elevato elemento di “volatilità”, dato che muta rapidamente di pari passo alle continue innovazioni tecnologiche.


È inutile dibattere su quello che è stato, con l’avvento del c.d. “worldwide principle”, un concreto indebolimento del criterio di collegamento territoriale e che necessariamente ci porta ad ideare dei criteri di collegamento di natura personale.29

Nel tempo poi si sono susseguite numerose Convenzioni bilaterali stipulate da diversi Paesi per tentare di contrastare da un lato a tutte quelle pratiche elusive da parte delle multinazionali, d’altra parte tutte quelle pratiche che potevano dar vita al fenomeno dannoso della doppia imposizione.
È possibile affermare che in un primo momento, tali Convenzioni, si sono dimostrate come uno strumento efficace ma che, con l’evolversi dell’economia e del progresso tecnologico, mediante poi un utilizzo “distorto” di tali Convenzioni, si sono andati a generare dei conflitti impositivi negativi che hanno addirittura dato luce ad un problema posto all’antitesi del precedente, ovvero quello riguardante la “doppia non imposizione internazionale”.

È questa una problematica di notevole rilevanza internazionale e che ci porta a constatare che «la doppia non imposizione internazionale rappresenta un “effetto collaterale” dell’applicazione delle Convenzioni bilaterali contro la doppia imposizione»,30 e che ci conferma ancora una volta come tali strumenti debbano essere necessariamente adeguati ai sistemi economici contemporanei. È quindi fondamentale giungere ad un compromesso che tenga necessariamente conto di interessi contrapposti, ovvero mantenere “neutro” il sistema di tassazione e garantire la corretta ripartizione della ricchezza alle singole giurisdizioni competenti.


3. Introduzione al Pillar 1

In questo paragrafo approfondiremo quelle che sono le finalità del Pillar 1 e di tutto ciò che ne discende.

Gli interessi economici legati alla continua e rapida evoluzione del mondo digitale sono tanti, talvolta contrastanti, e l’OCSE si è ritrovata nella scomoda posizione di dover conciliare le diverse posizioni.

Così nel 2019 sono stati presentati al segretario dell’OCSE tre diversi progetti di riforma della tassazione delle imprese multinazionali (e dell’economia digitale), dando così forma allo unified approach e l’idealizzazione del Pillar 1 e del Pillar 2.

L’OCSE non ha limitato il suo progetto di riforma solamente all’industria “pura” del mondo digitale, bensì ha incluso nel suo intervento anche le imprese c.d. consumer-facing31, ovvero quelle imprese in cui l’apporto (di valore)32 del consumatore è decisivo.

Così l’OCSE ha suggerito delle nuove linee-guida per la ricerca di un nexus impositivo “rinnovato” che scinde dalla identificazione di una presenza meramente fisica territoriale. Ed è così che nel 2020, i 137 Paesi dell’Inclusive Framework, hanno espresso il loro consenso ad adottare una tale misura di contrasto alle pratiche di profit shifting “sposando” l’idea dei due “pilastri” summenzionati.

Concentrandoci sul primo pilastro, e volendo nel concreto schematizzarne il meccanismo, possiamo dire che questo è così strutturato:

  1. Amount A, il quale delinea un nuovo diritto di tassazione per le giurisdizioni di mercato in cui le imprese digitali “mantengono” una “presenza digitale significativa”;

  2. Amount B, che individua un rendimento fisso per le attività di base di: i) marketing e ii) distribuzione;

  3. L’istituzione di strumenti di Tax Certainty volti ad identificare vari meccanismi di prevenzione e risoluzione delle controversie.


Nei prossimi paragrafi si entrerà nel merito delle diverse componenti, con un’attenta e quanto più precisa analisi delle fattispecie riportate. L’obiettivo che si tenterà di raggiungere sarà proprio quello di dare chiarezza di lettura.


4. Amount A

L’Amount A è volto sostanzialmente ad individuare la quota dei profitti “non di routine” da allocare ad un determinato Paese, utilizzando un approccio basato su formule matematiche.

Partendo dal calcolo dei profitti complessivi della multinazionale, motivo per cui necessariamente si prenderà in considerazione il bilancio consolidato aziendale, si applicherà poi una formula per la determinazione dei profitti “di routine”. La differenza tra i profitti complessivi e quelli di routine corrisponderà al provento non routinario, il quale sarà tassato nello Stato della fonte.

Tuttavia, seppur matematicamente può risultare un’operazione completamente chiara e di immediata applicazione, prima che l’Amount A possa essere finalizzato e implementato, sarà necessario giungere, a livello internazionale, alla definizione tecnica, ma soprattutto politica, di alcuni aspetti.

Prima di tutto il documento mira a definire il campo d’azione entro cui troverà attuazione la propria applicazione. Sono state identificate due soglie dimensionali che necessitano di essere soddisfatte affinché le attività del gruppo multinazionale possano rientrare nell’ambito di applicazione del Pillar 1, e ovvero: i) esclusione di quelle imprese multinazionali che conseguono ricavi lordi consolidati inferiori a € 750 milioni33; ii) il raggiungimento di determinate soglie di ricavi prodotti nei diversi Paesi.

Appare evidente che l’introduzione della soglia di cui al punto ii) mira ad escludere le imprese multinazionali che generano solo una piccola parte dei loro ricavi in altri Paesi mentre, una riduzione della soglia di cui al punto i) comporterebbe solo un aumento dei costi amministrativi e di conformità, senza nessun sostanziale incremento di profitti residui da attribuire.

Dopodiché sorge la questione relativa alla determinazione della porzione di profitto residuo (Amount A) che andrebbe assegnata ai diversi Paesi ed i parametri in base ai quali tale importo andrebbe correttamente calcolato.

Infine, ma probabilmente il primo interrogativo da porsi, ci si chiede attraverso quale strumento, o comunque in che modo, il Pillar 1 possa essere recepito e trasposto all’interno dei singoli ordinamenti nazionali.

In tal merito sembrerebbe opinione condivisa l’ideazione di un processo meticoloso di convenzione multilaterale che, nella sostanza, andrebbe a sostituire tutti i trattati bilaterali di cui si è discusso in precedenza.

Sinora sono state effettuate delle considerazioni e delle interpretazioni per tutto ciò che concerne la sfera “quantitativa” del Pillar 1. Volendo deflettere il focus su un profilo meramente “qualitativo”, possiamo constatare che il Blueprint declina l’applicazione della disciplina del Pillar 1 tenendo conto di due categorie di attività:34

  1. Servizi digitali automatizzati (Automated Digital Services o anche ADS)35;

  2. Servizi rivolti ai consumatori (Consumer Facing Businesses o anche CFB)36.

Constatato quanto sinora riportato, bisogna specificare che l’Amount A sarà determinato mediante una metodologia, o meglio ancora si pensa e si ritiene corretto poterlo definire “approccio”, suddiviso in 3 distinte fasi così come di seguito riportato:

  1. Fase I, volta ad identificare la soglia di redditività (profitability trheshold) oltre la quale i profitti effettivi dell’impresa multinazionale si andranno a qualificare quali profitti residui;

  2. Fase II, all’interno della quale si andrà ad individuare il profitto residuo da allocare ai diversi Paesi37 in base ad una percentuale (reallocation percentage) della base imponibile38;

  3. Fase III, all’interno della quale vi sarà la vera e propria distribuzione/allocazione della base imponibile alle giurisdizioni di mercato effettivamente competenti, tenendo conto, contestualmente, di 3 fattori fondamentali, ovvero: i) il campo di applicazione (scope); ii) il nesso (nexus); iii) la provenienza delle entrate (sourcing rule)39.


Il tutto comporta, infine, la necessità di assicurarsi che le singole entità non siano tassate due volte sui profitti determinati nell’Amount A. Il rischio sarebbe insito in due momenti diversi di tassazione, ovvero una prima volta secondo le regole esistenti nella giurisdizione ove le imprese hanno la residenza e poi una seconda volta nella giurisdizione di mercato in cui l’Amount A è stato allocato. Per risolvere tale problematica l’OCSE propone una soluzione dicotomica, ovvero, rimettendo alle singole giurisdizioni la possibilità di scegliere tra l’impiego del metodo del credito o il metodo dell’esenzione per prevenire la doppia imposizione.


5. Amount B

L’Amount B viene definito dal Pillar 1 come una «remunerazione fissa per alcune attività di base di distribuzione e marketing che si svolgono fisicamente in una giurisdizione di mercato»40.

L’Amount B, si ribadisce ancora una volta, si pone quale soluzione alle ancestrali discussioni in tema di transfer pricing dei servizi connessi alle funzioni di distribuzione e marketing41 nello Stato del mercato di riferimento. L’OCSE propone di prevedere un “rendimento fisso” per le attività rientranti in tale fattispecie.

Approfondendo la finalità dell’Amount B, possiamo scinderne un duplice scopo, ovvero:

  1. Approssimare i risultati che sarebbero stati generati dall’applicazione del Arm’s-leght principle tramite il metodo del “margine netto transnazionale”42, calcolato su un rendimento netto delle vendite sulla base delle linee guida dettate dall’OCSE, nel 2017, in tema di transfer pricing43;

  2. Migliorare la “certezza fiscale” e ridurre le controversie tra le autorità fiscali dei diversi Paesi e i contribuenti, andando quindi a semplificare l’amministrazione delle norme sul transfer pricing e, di conseguenza, riducendo i costi di conformità per entrambe.


Ciononostante, il Blueprint non disegna l’Amount B come se fosse una regola obbligatoria da seguire, bensì che operi sotto una presunzione di confutazione. Ciò vuol dire che l’entità di distribuzione dovrà applicare l’Amount B salvo che il contribuente non sia in grado di fornire prove sufficienti dimostranti la maggiore appropriatezza di un altro metodo di transfer pricing.

Come si diceva prima, da un punto di vista soggettivo, rientrano nel campo di applicazione dell’Amount B le persone giuridiche e le stabili organizzazione che svolgono attività di base di marketing e di distribuzione, nell’ambito di una transazione già delineata.

In merito proprio a quest’ultimo concetto, ovvero quello della transazione, si ritiene che dovranno essere cumulativamente relative:

  1. Acquisto di prodotti da una parte correlata estera per la rivendita a terzi e le relative attività di distribuzione di base nel mercato locale;44

  2. Esecuzione delle attività di marketing e di distribuzione di base definite da parte dell’entità di distribuzione, trattando con una parte correlata straniera.


A tal proposito, analizzando il contenuto del Blueprint, si può eccepire che l’Amount B si applica sì alle attività di base di marketing e distribuzione, ma non si esclude che un’entità di distribuzione possa essere di tipo “multifunzionale”, ovvero che svolga “anche” ulteriori funzioni (ad esempio attività di ricerca e sviluppo) o attività all’interno del gruppo multinazionale. In tale ipotesi, l’Amount B verrà comunque applicato a tali entità di distribuzione multifunzionali attraverso la segmentazione.

Si ritiene necessario che la disciplina dell’Amount B debba trovare un imprescindibile coordinamento con il diritto tributario “domestico” in tutte le giurisdizioni interessate. Sarebbe impensabile idealizzare tale fattispecie senza un’armonizzazione condivisa e che lascerebbe “allo sbaraglio” l’applicazione della medesima. Infatti, qualsiasi controversia fiscale derivante dall’applicazione dell’Amount B, tra giurisdizioni e contribuenti, potrà essere risolta attraverso quelle che sono le vigenti risoluzioni delle controversie previste dal singolo trattato fiscale applicabile. Si precisa poi, anche se ritenuto superfluo, che nel caso in cui determinate controversie fiscali non abbiano un trattato fiscale bilaterale in vigore, potrebbe essere opportuno adottare un nuovo trattato sulla risoluzione di tali controversie.

Ciò che caratterizza, e rende estremamente importante, l’applicazione del nuovo criterio di tassazione è la capacità, almeno da un punto di vista teorico per ora, di andare a tassare quelle imprese che, date le loro caratteristiche, “sfuggono” al nexus della stabile organizzazione costituito sulla base dell’art. 5 del Modello OCSE e che vada ad identificare invece una “significativa presenza digitale”.

Secondo quanto riportato nel Blueprint le nuove regole di nexus tengono conto di una serie di indicatori che vadano ad evidenziare l’impegno significativo (da un punto di vista economico) e duraturo di un’impresa multinazionale in una specifica giurisdizione. Tali indicatori, poi, possono concretamente differire a seconda che l’attività svolta (dall’impresa multinazionale) abbia come sottostante servizi che si qualificano come CFB o come ADS45, come prima riportati.

In particolar modo abbiamo quanto segue:

  1. Per i servizi CFB, i ricavi di mercato superiori ad una determinata soglia (si prevede che sia potenzialmente diversa dalla soglia di mercato per gli ADS), possono essere ritenuti fondamentali per stabilire il diritto di una giurisdizione alla partecipazione dei taxing right. Come si diceva poc’anzi, il Blueprint suggerisce un certo numero di fattori aggiuntivi alternativi quali la presenza sostenuta del personale della CFB in una giurisdizione di mercato e un “test” delle spese di pubblicità e promozione per la singola giurisdizione;46

  2. Per i servizi ADS, invece, il fattore sufficiente a stabilire il nesso tra l’impresa multinazionale e la giurisdizione in questione è dato dal conseguimento di un reddito di mercato superiore a una certa soglia. In tale modo, quindi, si va a creare un diritto per tale giurisdizione alla partecipazione dei taxing right. Data la tipologia di meccanismo, si pensa che potrebbe essere sviluppato un requisito temporale, in modo tale da evitare di coprire transazioni una tantum che non sarebbero in realtà effettivamente rappresentative di un “impegno” sostenuto con un determinato mercato.


6. Le regole di sourcing dei ricavi: ADS e CFB

Anche per quanto concerne un ragionamento fondato sul sourcing dei ricavi, ovvero su quelle regole che hanno l’obiettivo di individuare quali ricavi si qualificano per essere considerati come derivanti da un particolare mercato/giurisdizione, bisogna distinguere tra servizi ADS e quelli CFB.

Per l’identificazione della fonte dei ricavi ADS, un’impresa multinazionale dovrebbe basarsi su fattori “oggettivi” ed “indipendenti” rispetto a quello che è l’Input “soggettivo” dell’utente.47 Ovviamente, nel caso in cui questi non fossero disponibili, o comunque difficilmente determinabili, si dovrebbe procedere con degli indicatori che invece si basano sull’Input “manuale” dell’utente.

Tale ultimo passaggio è stato ritenuto necessario in quanto, in alcuni Paesi, l’utilizzo di Virtual Private Network (VPN) è più diffuso e, questo fenomeno, potrebbe rivelarsi un ostacolo alla corretta geolocalizzazione o rilevazione dell’indirizzo IP degli utenti. Proprio per tale motivo è stata introdotta una gerarchia di regole di sourcing, permettendo così di basare, come prima si diceva, il riconoscimento anche su input manuali.

È indubbio che dati inseriti manualmente quali, ad esempio, l’indirizzo di fatturazione o comunque tutta una serie di informazioni presenti sul profilo dell’utente, sono, almeno teoricamente, di più agevole raccolta. La situazione si potrebbe sensibilmente compromettere se tali informazioni divergono dalla residenza effettiva dell’utente. In tal caso un’impresa multinazionale potrebbe ricorrere ad altre forme per indicare la fonte di reddito.

Il Blueprint, poi, fornisce alcuni indicatori, che divergono per tipologia di ricavi, e le loro descrizioni dettagliate, ossia in merito a:

  1. Ricavi da servizi di pubblicità online48, in tale ipotesi si rende necessario che un’impresa multinazionale monitori in che misura la pubblicità è stata mostrata agli utenti;49

  2. Ricavi dalla vendita dei dati degli utenti, il cui valore deriva dalle informazioni stesse in essi contenute;50

  3. Ricavi rivenienti dai motori di ricerca online e dalle piattaforme di social media, in questo caso la regola di sourcing dei ricavi segue la stessa logica di cui al punto I);

  4. Ricavi rivenienti dall’intermediazione di beni e servizi materiali ed immateriali, nel cui caso la regola di sourcing dei ricavi si basa sulla giurisdizione del luogo in cui si trova l’acquirente al momento in cui ha effettuato l’acquisto;51

  5. Ricavi rivenienti da servizi di contenuto digitale, dunque usufruibili attraverso lo streaming ed il download,52 essenzialmente generati dall’addebito di un canone di servizio e dalla vendita delle informazioni raccolte dagli inserzionisti.53


Volgendo adesso invece il focus sui servizi CFB, si può constatare che questi hanno sicuramente un modello di business più tradizionale, motivo per cui anche le regole di sourcing dei ricavi, rispetto ai servizi ADS, sono sicuramente più facili da rispettare.

Anche per tale tipologia di servizi, il Blueprint, stila un elenco di indicatori rilevanti per tipo di ricavi, e la loro descrizione dettagliata. In tale ipotesi abbiamo come segue:

  1. Ricavi da beni di consumo venduti direttamente ai clienti, in tale caso la regola di sourcing è di immediata applicazione dato che è individuabile direttamente il luogo di consegna finale del bene al cliente;

  1. Ricavi da beni di consumo venduti attraverso un distributore indipendente, ove la regola di sourcing individua il luogo di consegna finale del bene al consumatore, dunque il luogo in cui è geograficamente posizionato il distributore;

  2. Ricavi da servizi rivolti ai consumatori, ove è individuato il luogo di godimento o di utilizzo del servizio;54

  3. Ricavi da franchising e licenze, in tale casistica abbiamo che la regola di sourcing dei ricavi coincide con il luogo di prestazione del servizio/consegna del bene.


Nulla, invece, definisce il Blueprint in merito all’obbligo, o comunque alla necessità, di detenere dei particolari registri in cui rilevare le informazioni sopra espletate. Si ritiene comunque fondamentale che un’impresa multinazionale debba comunque avere un solido quadro di controllo interno su cui le autorità fiscali dei diversi Paesi possano fare concretamente affidamento.

Si ritiene questo uno step fondamentale, soprattutto da un punto di vista probatorio, su cui l’OCSE, e tutti gli enti coinvolti a livello internazionale, devono fare necessariamente chiarezza al fine di non lasciare un punto così delicato alla libera discrezionalità delle imprese multinazionali, o comunque delle singole giurisdizioni.


7. La determinazione della "nuova" base imponibile e l'eventuale processo di segmentazione

Da quanto sinora esposto si evince con chiarezza che l’obiettivo principale del Blueprint è quello di ridurre al minimo i costi di conformità aggiuntivi, ed i relativi oneri amministrativi, sia per quanto concerne le autorità fiscali sia per quanto concerne i contribuenti. Dunque, così come si evince nel capitolo 4 del presente articolo, ai fini della determinazione dell’Amount A si considererà quale valore di partenza quello risultante dall’utile ante imposte (Profit Before Taxes – PBT) risultante dal bilancio consolidato, dei gruppi multinazionali interessati, redatto secondo i principi contabili IFRS.55

È interessante comprendere poi che il Blueprint non esclude la possibilità di includere e consentire anche l’adozione di ulteriori principi contabili (Generally Accepted Accounting Principles – GAAP) purché non comportino delle distorsioni materiali nella determinazione dell’Amount A.56

Con l’approccio appena descritto, quindi, partendo da un utile ante imposte (PBT) si avrà poi la necessità di apportare doverosi aggiustamenti che permettano sia di superare gli ostacoli legati alle possibili divergenze insite nei principi contabili esistenti, sia per allineare la base fiscale del calcolo dell’Amount A con la base dell’imposta sul reddito delle società.57

Sembrerebbe chiaro e lineare il processo di calcolo dell’Amount A, tuttavia è doveroso specificare che per alcuni gruppi di aziende potrebbe essere necessario procedere ad una segmentazione della base imponibile dell’Amount A su parametri geografici e di settore.58

Il meccanismo di segmentazione si impernia su un processo suddivisibile in tre diverse fasi, ossia:

  1. La prima fase prevede la suddivisione delle entrate tra ADS, CFB e attività “out of scope”, per tutte quelle imprese multinazionali che rientrano nell’ambito di applicazione dell’Amount. Per quanto concerne gli introiti legati alle attività “out of scope” sono da considerarsi quali attività che non rientrano nell’ambito di applicazione;

  2. La seconda fase prevede l’sclusione di quelle imprese multinazionali che hanno ricavi globali inferiore ad un determinato importo, ancora da definirsi, portandole dunque a “beneficiare” di una esenzione alla segmentazione e che quindi prevede il calcolo della base imponibile dell’Amount A su una base univoca di gruppo. Questo meccanismo è stato introdotto con l’obiettivo di limitare il numero di imprese multinazionali che sono tenute a procedere alla segmentazione della loro base imponibile;

  3. La terza fase prevede che tutte quelle imprese multinazionali che non beneficiano dell’esenzione alla segmentazione della loro base imponibile, verificheranno se sono tenute a procedere ad un processo di segmentazione in base a criteri non ancora definiti. Nel caso in cui fossero escluse, procederanno anche queste a determinare la loro base imponibile dell’Amount A sulla base del gruppo.


A conclusione del capitolo bisogna effettuare un breve focus sul meccanismo previsto per quanto concerne la fattispecie delle regole di riporto delle perdite, generate in un determinato periodo fiscale, sotto l’Amount A.

Queste, diversamente dalla logica dei profitti, non verranno assegnate alle diverse giurisdizioni di mercato, bensì verranno cumulate in un unico conto per ciascun segmento individuato e quindi riportate agli anni seguenti.

Si comprende, quindi, che nessun profitto generato nell’ambito dell’Amount A sorgerà per quel determinato segmento caratterizzato da perdite; non sarà prevista nessuna allocazione ai mercati finché le perdite cumulate nel tempo e riportate in quel conto non saranno completamente assorbite.


8. G20 di Venezia 2021: Global minimum tax in arrivo

Il recente incontro del G20 avutosi Venezia, che ha preso inizio il 7 luglio, ha indiscutibilmente dato un forte appoggio all’accordo firmato precedentemente da 131 Paesi in merito all’introduzione di una tassazione minima globale (c.d. global minimun tax), riconducibile quindi al Pillar 2, che prevede un prelievo minimo societario di “almeno il 15%”, oltre alla discussione in merito alle nuove regole di riallocazione degli utili.

Tutto ciò, si prevede, possa finalmente comportare una sostanziale e tanto ricercata “innovazione” per quanto concerne il futuro della fiscalità internazionale.

Tuttavia bisogna chiarire che vi sono una serie di punti ancora “scomodi” da definire. Innanzitutto bisogna ben comprendere che il consenso59 a cui si sta giungendo è sull’impianto costruito sui due pilastri e non su quel che concerne le regole tecniche di dettaglio ed applicative. Si sta ragionando su quella che sarà una vera e propria “rivoluzione fiscale” e che inevitabilmente, gli esperti OCSE, incontreranno numerose difficoltà nell’affinare le regole e le procedure previste. Un’ulteriore difficoltà è ravvisabile in nelle pressioni, soprattutto francesi, per un innalzamento, anche se non immediato ma comunque a medio termine, dell’aliquota prevista dal 15% al 18%. Infine, quale ulteriore problematica di fondamentale rilevanza è da ricondursi alla necessità, in sede di applicazione della nuova fattispecie, di ritirare tutte le digital tax “disegnate” in sede domestica e che, ad oggi, sono più di 40.

Queste sono le difficoltà di più immediata intuizione, ma non bisogna sottovalutare quella legata alla non unanimità dei consensi. Difatti, alcuni paradisi fiscali non ancora hanno dato il loro via libera e siglato l’accordo60, andando ad indebolire potenzialmente l’efficacia del piano. Tra questi vanno considerati quelli della zona caraibica come Grenadine, Barbados, Saint Vincent, mentre in sede europea troviamo Irlanda61, Estonia e Ungheria.

D’altro lato, però, numerosi sarebbero i vantaggi che si conseguirebbero. L’OCSE stima che la corretta allocazione e redistribuzione del gettito delle imposte sui profitti, tra le varie nazioni, ammonterebbe a 150 miliardi di dollari l’anno62. Ancora, si potrebbe anche porre fine alla guerra commerciale, ma soprattutto fiscale, globale che si ha sulla tassazione dei colossi quali Facebook, Google, Amazon, Microsoft, e così via. Dal dissenso dei sopracitati Paesi si aggiunga il preoccupante silenzio da parte della Cina.

I negoziati proseguiranno con l’obiettivo di raggiungere un accordo concreto e, si spera, unanime, entro il mese di ottobre 2021, per poi entrare a pieno regime a parte dell’anno 2023.


9. Conclusioni

Giunti a tale punto bisogna effettuare delle doverose considerazioni finali. Innanzitutto si ritiene necessario prevedere ed istituire un processo di armonizzazione tra le amministrazioni fiscali e le imprese multinazionali rientranti nell’ambito di applicazione per concordare: i) la corretta determinazione quantitativa della base imponibile; ii) quali sono effettivamente i criteri di applicazione della formula di calcolo; iii) tutte le fattispecie legate ad eventuali problematiche, anche di doppia imposizione.

Ciò che si rileva poi è la considerazione che, nel concreto, la proposta effettivamente insita nel Pillar 1 non sia del tutto corrispondente alle riforme BEPS originali, o meglio, vada ad ampliare una serie di aspetti che non rientravano nei BEPS inizialmente. Di seguito si riportano le motivazioni poste alla base dello spunto di riflessione.

Se da un lato le riforme BEPS erano state originariamente concepite per eliminare tutte quelle che potevano essere delle “scappatoie” fiscali che potevano dar vita a pratiche di profit shifting e quindi ad allineare l’allocazione dei profitti lungo la catena di creazione di valore mediante il meccanismo dell’arm’s length, da’altro lato il Pillar 1 mira innanzitutto a ridefinire, ed ampliare sensibilmente, la concezione di tutto ciò che costituisce “creazione di valore” soprattutto in relazione a dei modelli di business digitali. Ciò comporta, di conseguenza, il proprio focus sulla individuazione e progettazione di nuovi criteri di tassazione che vadano a colpire il nuovo maggior valore generato, uscendo fuori dagli obsoleti schemi di tassazione del “reddito”.

Il Pillar 1, dunque, sembrerebbe quasi un meccanismo individuato per “sbarazzarsi” del principio dell’arm’s length e che possa abbracciare invece il meccanismo di “allocazione unitaria” mediante una ripartizione squisitamente formulistica.63

Ciò ovviamente non significa che con l’applicazione della nuova formula si possa avere un valore perfettamente veritiero. Sia la formula che l’arm’s length sono convenzioni che non possono rappresentare l’esatta fotografia del valore, bensì rappresentano due diversi strumenti di approssimazione del valore. Ciò che è possibile constatare è che la formula sottostante al Pillar 1 fornisce un maggior grado di certezza e di determinazione delle basi imponibili. È questo un vantaggio non indifferente sia per i contribuenti che per le amministrazioni fiscali.

1() L’OCSE individua due categorie di stabile organizzazione: i) materiale (par. 1 – 4, art. 5 del modello convenzionale) caratterizzata dall’esistenza di una vera e propria struttura fisica e fissa; ii) personale (par. 5 – 6, art. 5 del modello convenzionale) contraddistinta dalla presenza di un’attività negoziale a favore di un’impresa estera. In tale ultimo caso l’attività è di carattere abituale e posta in essere da agent clause qualificati, i quali, in nome e per conto dell’impresa, concludono contratti per la cessione/prestazione di beni/servizi.

2() M. HERZFELD, OECD Pillars, A Bretton Woods Moment?, Tax Notes, 5 ottobre 2020.

3() Per brick and mortar si intendono quelle imprese prevalentemente manifatturiere che permettevano di localizzare perfettamente il luogo in cui si andava a generare reddito

4() Quali ad esempio l’istituto del trasnfer pricing, della stabile organizzazione, il principio dell’arm’s lenght, e così via.

5() A seguito della Legge di bilancio del 2018.

6() https://www.oecd.org/ctp/addressing-the-tax-challenges-of-the-digital-economy-action-1-2015-final-report-9789264241046-en.htm.

7() OCSE, Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy, Action 1, 2015 Final Report, Parigi 2018.

8() A. GALIMBERTI, Riforma OCSE, per l’accordo globale strada tutta in salita, Il Sole24 Ore, 25 marzo 2021.

9() D. MAJORANA, Concorrenza fiscale e aiuti di Stato: gli effetti della sentenza Apple, Il Fisco 42/2020.

10() A.F. URICCHIO, Le frontiere dell’imposizione tra evoluzione tecnologica e nuovi assetti, Cacucci Editore, 2010; F. GALLO, Regime fiscale dell’economia digitale, Audizione tenuta presso la Commissione finanza della Camera dei Deputati sul tema “regime fiscale dell’economia digitale”, 24 febbraio 2015.

11() C. BUCCICO, Problematiche e prospettive della tassazione dell’economia digitale, Diritto e processo tributario, Edizioni scientifiche italiane, 2019, p. 259.

12() OECD, 2019b.

13() Predisposta dalla Task Force on the Digital Economy (TFDE).

14() https://www.oecd.org/tax/beps/policy-note-beps-inclusive-framework-addressing-tax-challenges-digitalisation.pdf.

15() OCSE, OECD leading multilateral efforts to address tax challenges from digitalisation of the economy, Parigi, 9 ottobre 2019.

16() F. ROCCATAGLIATA, Unitary (approach) e (minimum) tax a che punto è la notte?, in C. BUCCICO - S. DUCCESCHI - S. TRAMONTANO, L’evoluzione della fiscalità internazionale: le venti “primavere” di Napoli, Wolters Kluwer, Napoli, 2020, p. 97.

17() P. PISTONE - J.P. NOGUEIRA - B. ANDRADE - A. TURINA, OECD, The OECD Public Consultation Document Secretariat Proposal for a “Unified Approach” under Pillar: “An Assessment”, Bulletin for International Taxation 1/2020, 2020.

18() P. VALENTE, Tassazione delle imprese digitali: l’Unified Approach proposto dall’OCSE, Il Fisco 42/2019, 2019.

19() M. HERZFELD, OECD Pillars, A Bretton Woods Moment?, cit.

20() Durante la conferenza di Bretton Woods furono stipulati accordi (precisamente il 22 luglio 1944) che diedero vita ad un sistema di regole e procedure volte a regolare la politica monetaria internazionale con l’obiettivo di governare i futuri rapporti economici e finanziari, impedendo così che potesse tornarsi ad uno scenario assolutamente negativo che diede difatti vita alla seconda guerra mondiale. I due principali obiettivi della conferenza furono quelli di creare delle condizioni che portassero ad una stabilizzazione dei tassi di cambio rispetto al dollaro ed eliminare, quindi, le condizioni di squilibrio determinate dai pagamenti internazionali. In tale occasione furono altresì istituiti il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (World Bank o BIRS). Entrambe le istituzioni diventarono operative nel 1946 ed ancora oggi sono esistenti ed operative.

21() O, comunque, fino a circa il 4% delle entrate globali della Corporate Income Tax.

22() «As we know, the changing global economy presents new challenges for corporate taxation. The United States is committed to the multilateral discussion on both pillars within the OECD/G20 Inclusive Framework, overcoming existing disagreements and finding workable solutions in a fair and judicious manner» (Yellen, 25 febbraio 2021).

23() G. CORASANITI, La creazione di valore secondo i principi internazionali, in C. BUCCICO - S. DUCCESCHI - S. TRAMONTANO, L’evoluzione della fiscalità internazionale: le venti “primavere” di Napoli, cit, p. 81.

24() D. TAPSCOTT, The Digital Economy: Promise and Peril of The Age of Networked Intelligence, New York, 1996; T. L. MESENBOURG, Measuring the Digital Economy, U.S. Bureau of the Census, 2001; S. GUELFI - E. GIACOSA, Le aziende della net economy, Torino, 2003, pp. 3 e ss.; J. CORKERY - J. FORDER - D. SVANTESSON - E. MERCURI, Taxes the Internet and the Digital Economy, Revenue Law Journal, 2016; et al.

25() Si pensi, a titolo di esempio, al commercio elettronico diretto e indiretto, ai nuovi sistemi di pagamento nella forma delle cripto-valute (ad es. Bitcoin, Ethereum, etc.), alle piattaforme di peer-to-peer, e così via.

26() C. BUCCICO, Problematiche e prospettive della tassazione dell’economia digitale, cit., p. 260.

27() C. BUCCICO, Problematiche e prospettive della tassazione dell’economia digitale, cit., p. 261.

28() E-book, film, musica, software e così via.

29() G. MARINO, L’unificazione del diritto tributario: tassazione mondiale verso tassazione territoriale, Studi in onore di Victor Uckmar, Padova, 1997.

30() P. PISTONE, Diritto tributario internazionale, G. Giappichelli, Torino, 2017.

31() F. ROCCATAGLIATA, Unitary (Approach) e (Minimum) Tax a che punto è la notte?, in C. BUCCICO - S. DUCCESCHI - S. TRAMONTANO, L’evoluzione della fiscalità internazionale: le venti “primavere” di Napoli, cit., p. 97.

32() Per apporto di valore non bisogna intendersi solo un apporto di “informazioni in cambio di servizi” bensì anche, ad esempio, per l’alto valore aggiunto di un brand.

33() Dunque, tenendo conto dei ricavi globali, le imprese che non rispettano tali parametri dimensionali non rileveranno ai fini dell’applicazione della nuova disciplina. Tale limite è quello attualmente vigente per il Country-by-Country-Report (CbCR). A tal proposito si confronti la Direttiva UE n. 2016/881 del Consiglio del 25 maggio 2016, la quale introduce disposizioni relative allo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale in merito alla CbCR in diverse materie.

34() Cfr. http://kluwertaxblog.com/2021/03/05/the-un-proposal-on-automated-digital-services-is-it-in-the-interest-of-developing-countries/.

35() Tale categoria ricomprende tutti quei servizi digitali automatizzati messi a disposizione degli utenti attraverso strumenti digitali con accesso automatizzato, andando così a minimizzare il coinvolgimento umano. La definizione internazionalmente condivisa degli ADS, e delle relative liste positive e negative di inclusione ed esclusione è consultabile al seguente link: https://www.oecd.org/tax/beps/tax-challenges-arising-from-digitalisation-report-on-pillar-one-blueprint.pdf.

36() Tale categoria comprende, invece, tutte quelle attività svolte dalle imprese non digitali che, per partecipare in modo attivo alla vita economica di un determinato mercato estero, hanno abbracciato “anche” il canale digitale per la vendita dei loro beni e/o servizi. Rientrano in questa categoria quelli che presentano le seguenti caratteristiche: i) sono progettati principalmente per la vendita ai consumatori; ii) sono resi disponibili al fine di essere destinati al consumo personale; iii) sono sviluppati dall’impresa multinazionale per essere fornitori ai consumatori tramite ricerche di mercato effettuate utilizzando i dati dei consumatori/utenti oppure fornendo feedback ai consumatori o servizi di supporto.

Di conseguenza, le imprese multinazionali rientrano nell’ambito di applicazione dei CFB: i) in base alla natura del prodotto o servizio, a prescindere dal fatto che questo sia stato venduto o meno a un cliente commerciale; ii) se l’impresa multinazionale è proprietaria del prodotto venduto o comunque è titolare dei diritti sui beni immateriali ad esso connessi. Il punto appena citato ci permette di capire che restano quindi escluse dall’ambito di applicazione dei CFB le imprese multinazionali terze, produttori, grossisti e distributori che non hanno relazioni con il cliente.

Anche per la presente categoria la definizione internazionalmente condivisa, e delle relative liste positive e negative di inclusione ed esclusione, è consultabile al seguente link: https://www.oecd.org/tax/beps/tax-challenges-arising-from-digitalisation-report-on-pillar-one-blueprint.pdf.

37() Da intendersi quali diverse giurisdizioni di mercato.

38() A tal riguardo il Blueprint suggerisce di adottare una percentuale fissa predefinita, in modo da limitare ogni minima soglia di discrezionalità, onde evitare comunque delle strategie, seppure molto limitatamente, scorrette che andrebbero comunque a “falsificare” la lealtà concorrenziale del mercato.

39() In merito alle 3 fasi individuate, sulla base di dati raccolti nell’anno 2016, il Blueprint stima che, nell’ipotesi che si abbia una profitability threshold del 10% ed una reallocation percentage pari al 20% degli extra profitti, potrebbero essere riallocati alle giurisdizioni di mercato competenti un totale di 98 miliardi di dollari di utili residui globali. Dunque, avremmo uno scenario ove l’80% degli extra profitti di un gruppo multinazionale, individuati ai fini del calcolo dell’Amount A, continuerebbero ad essere tassati secondo l’attuale sistema di tassazione di allocazione degli utili (Arm’s-Lenght Principle), mentre il restante 20% andrebbe a costituire la base imponibile allocabile alle diverse giurisdizioni competenti, in base alla determinazione dell’Amount A.

Cfr. OCSE/G20, Base Erosion and Profit Shifting Project, Tax Challenges Arising from Digitalisation – Report on the Pillar One Blueprint, Inclusive Framework on BEPS, sez. 6.2.2., par. 513.

40()https://www.oecdilibrary.org/sites/fa155821en/index.html?itemId=/content/component/fa155821-en.

41() Anche in tale casistica la proposta OCSE individua una lista positiva e negativa di attività, andando a rendere ancor più arduo il lavoro tecnico da parte dei membri dell’Inclusive Framework.

42() «The transnactional net margin method (TNMM) examines a net profit indicator, i.e. a ratio of net profit relative to an appropriate base (e.g. costs, sales, assets), that a taxpayer realises from a controlled transaction (or from transactions that are appropriate to aggregate) with the net profit earned in comparable uncontrolled transactions. The arm’s lenght net profit indicator of taxpayer from the controlled transaction(s) may be determinated by reference to the net profit indicator that the same taxpayer earns in comparable uncontrolled transactions (internal comparables), or by reference to the net profit indicator earned in comparable transactions by an independent enterprise (external comparables». (OCSE, Transfer Pricing Guidilines for Multinational Enterprises and Tax Administration, Parigi, 2017, par. 2.64 ss.).

43() L. EDEN - H. HIGINBOTHAM - N. SRINIVASAN - V. STARKOV - N. MERT-BEYDILLI, Tax Management International Journal, Bloomerg Tax, 2021.

44() A tal riguardo, i membri dell’Interim Framework propongono che, affinché l’attività si qualifichi ai fini dell’Amount B, la rivendita dovrà essere effettuata prevalentemente a clienti residenti nella stessa giurisdizione dell’entità di distribuzione. Si precisa poi che per “prevalentemente” si intende una percentuale maggiore al 50%.

45() In particolare il Blueprint suggerisce come test di nexus per i servizi ADS solo le entrate di mercato, mentre per quelli CFB introduce la possibilità di includere ulteriori fattori che potrebbero essere ritenuti rilevanti (c.d. plus factors).

46() Tali fattori richiamano, seppur velatamente, i principi sottostanti il criterio di collegamento basato sulla presenza fisica dell’impresa multinazionale che probabilmente emergerà come fattore chiave per le imprese multinazionali CFB nella discussione tra i membri dell’Interim Framework.

47() Tra tali fattori potrebbe, ed esempio, essere considerato la geolocalizzazione e l’indirizzo IP.

48() Tale tipologia di ricavi solitamente si rifà a quelle che sono le commissioni pagate dagli inserzionisti.

49() Per tale tipologia di servizi la regola di sourcing potrebbe ad esempio basarsi sulla posizione dello “spettatore”, ovvero da dove usufruisce di un determinato servizio.
In tale caso gli strumenti da utilizzare sono legati alla geolocalizzazione del dispositivo utilizzato dallo “spettatore”, oppure dall’indirizzo IP. Ovviamente, nel caso in ci tali informazioni non fossero disponibile, oppure nel caso in cui risultassero potenzialmente falsate, possono essere utilizzate alter iformazioni quali ad esempio il codice Paese del dispositivo utilizzato (ad esempio un cellulare o un PC), l’indirizzo di fatturazione inserito o, ancora, informazioni inserite manualmente dallo stesso “spettatore”.

50() Appare evidente che tale tipologia di ricavi è maggiormente legata al profilo personale dell’utente. Infatti, per tale fattispecie, la giusta regola di sourcing potrebbe basarsi sulla logica in cui il ricavo è direttamente collegato alla residenza dell’utente mediante la geolocalizzazione. Così come per la tipologia di ricavi di cui al punto I, anche in tale casistica le entrate che derivano dall’alienazione dei dati dell’utente che divergono da quelle basate sulla geolocalizzazione o comunque sulla corretta localizzazione in tempo reale, possono essere indicate sulla base delle informazioni inserite manualmente dello stesso utente.

51() Per tale tipologia di ricavi bisogna però distinguere se trattasi di beni materiali, beni immateriali oppure nel caso in cui trattasi di commissioni e onorari. Nel primo caso rilevano maggiormente quelli che sono indicatori “tradizionali” come ad esempio la consegna fisica del bene stesso. Nel caso dei beni immateriali, invece, l’indicatore di riconoscimento dei ricavi si basa sui fattori di cui al punto I. Infine, per quanto concerne il terzo caso, la regola di sourcing si concretizza in una logica 50:50, dato che si ritiene che sia il venditore che l’acquirente contribuiscono allo stesso modo ed inscindibilmente alla generazione dei ricavi.

52() Si ritiene di poter agglomerare a tale tipologia di ricavi, e dunque alla stessa logica di sourcing, anche quelli derivanti dall’insegnamento online (c.d. e-learning), ai servizi di gioco online e ai servizi di cloud computing.

53() Per tale casistica la regola di sourcing segue l’indirizzo IP o la golocalizzazione della residenza “ordinaria” dell’acquirente. Anche per tale tipologia, nel caso in cui questi non fossero rinvenibili, si fa riferimento all’inserimento manuale dei dati da parte dello stesso acquirente.

54() Volendo fare un esempio pratico potremmo ad esempio dire che, nel caso del turismo, la regola di sourcing dei ricavi identificherebbe la località visitata come il luogo in cui sorgerebbe il taxing right. Appare evidente invece che, nell’ipotesi in cui il servizio venga reso online, la regola di sourcing dei ricavi è la residenza ordinaria del consumatore.

55() In quanto, trattandosi di uno scenario internazionale si “abbandonano” i criteri domestici OIC e si adottano quelli IFRS.

56() È lo stesso Blueprint a riportare che i GAAP già considerati ammissibili coprono un campione pari al 90% dei gruppi multinazionali che presentano, quale parametro quantitativo, una soglia dei ricavi superiori a 750 milioni di euro e una redditività superiore almeno al 10% per l’anno 2016.

57() L’allineamento della base fiscale, tuttavia, deve considerare l’esclusione di: i) spese per imposte sul reddito; ii) reddito da dividendi; iii) guadagni o perdite in relazione alle azioni; iv) spese non deducibili ai fini dell’imposta sul reddito delle società per motivi di politica pubblica.

58() Comportando ciò una lievitazione dei costi di conformità per ambedue le posizioni.

59() Tra l’altro, come si vedrà, non pienamente condiviso da tutti i Paesi.

60() In tutto sono 9 su 139 i Governi che non hanno ancora aderito all’accordo. I restanti 130 Paesi che sostengono l’intesa rappresentano il 90% del PIL mondiale.

61() La cui bassa aliquota dell’imposta sulle società ha contribuito a ad alimentare l’economia della c.d. “tigre celtica”, attirando multinazionali quali Apple, Pfizer, Google e così via, incentivando l’adozione di comportamenti elusivi e fiscalmente dannosi da parte delle multinazionali.

62() https://www.ilsole24ore.com/art/dal-g20-venezia-si-politico-tassa-minima-globale-AEPAFhV.

63() EDEN L. - TREIDLER O., Comment on the OECD Secretariat Proposal for a “Unified Approach” Under Pillar One, 9 ottobre 2019 – 12 novembre 2019, Texas A&M University.