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In tema di tassazione dei redditi derivanti da cessione di opere ed oggetti d’arte

Scritto da Paolo Montesano • feb 2023

Sintesi

Il presente lavoro esamina il regime di tassazione dei redditi derivanti dalla cessione di opere ed oggetti d’arte. I redditi derivanti da queste cessioni sono inquadrati tra quelli “diversi” oppure “d’impresa”, a seconda della sussistenza o meno di determinati elementi individuati dagli Uffici non in base a criteri generali, certi e precisi, ma caso per caso, sulla scorta di interpretazioni ondivaghe, tendenzialmente miranti alla esclusiva acquisizione di gettito. S’intende fornire un contributo ai fini della corretta identificazione delle singole fattispecie attraverso l’analisi degli elementi soggettivi e oggettivi che la compongono. L’analisi effettuata non può prescindere da una breve ricognizione dell’evoluzione subita nel tempo dalla normativa in questione, atteso che dal passato si potrebbe trarre l’ispirazione per una sostanziale modifica legislativa che ragionevolmente riduca le attuali incertezze interpretative.

Abstract

This paper examines the taxation of income deriving from the sale of works of art. The income deriving from these transfers is classified among those "different" or "business", depending on the existence or not of certain elements identified by the Offices not on the basis of general, certain and precise criteria, but case by case, on the basis of wavering interpretations, basically aimed at the exclusive acquisition of revenue. It is intended to provide a contribution to the correct identification of individual cases through the analysis of the subjective and objective elements that compose it. The analysis carried out cannot disregard a brief recognition of the evolution undergone over time by the legislation in question, given that the inspiration could be drawn from the past for a substantial legislative change that reasonably reduces the current interpretative uncertainties. .

Contenuto

1. Premessa

Il mercato delle opere e degli oggetti d’arte in questi ultimi anni, a causa della profonda crisi economico-finanziaria che sta attraversando il Paese, è stato sempre di più oggetto di attenzione non soltanto di mecenati ed estimatori ma anche di risparmiatori che hanno cercato di salvaguardare i loro patrimoni dalle oscillazioni fluttuanti dei mercati.1 Un contributo in tal senso è da attribuire alla tecnologia informatica che ha maggiormente avvicinato la domanda e l’offerta di questa tipologia di prodotti ampliando la platea dei soggetti interessati.2 Tale attenzione ha di conseguenza rivitalizzato il mercato delle opere d’arte incrementando le cessioni effettuate da rivenditori occasionali (ad esempio, coloro che hanno ricevuto beni di questa tipologia in eredità o in donazione), dai collezionisti puri e dai mercanti d’arte. I redditi derivanti da queste cessioni vengono inquadrati tra quelli “diversi” oppure “d’impresa”, a seconda della sussistenza o meno di determinati elementi individuati dagli Uffici non in base a criteri generali, certi e precisi, ma caso per caso, sulla scorta di interpretazioni ondivaghe, tendenzialmente miranti alla esclusiva acquisizione di gettito.

Invero, la disciplina di riferimento individua determinati elementi (occasionalità, organizzazione, abitualità, intento speculativo) che devono sussistere per far rientrare il reddito nell’una o nell’altra categoria; tuttavia, tali elementi, in assenza di precise definizioni normative, si prestano ad una pluralità di significati. Ciò comporta che un reddito derivante dalla cessione di un’opera d’arte può essere erroneamente collocato nella categoria dei redditi “diversi” anche se realizzato da collezionisti che abitualmente commerciano in arte, ovvero tra i redditi d’impresa anche se realizzato da coloro che effettuano, anche occasionalmente, investimenti in opere d’arte.

Chi scrive intende fornire un contributo ai fini della corretta identificazione delle singole fattispecie attraverso l’analisi degli elementi soggettivi e oggettivi che la compongono.3

Per quanto concerne il profilo soggettivo s’individueranno i soggetti che possono essere titolari del reddito derivante dalle plusvalenze da cessione di opere ed oggetti d’arte, tenendo conto delle diverse caratteristiche di ciascuno.

Per quanto riguarda il profilo oggettivo l’attenzione sarà rivolta al tipo di attività che deve essere svolta perché si produca materia imponibile e conseguentemente sarà necessario verificare la sussistenza degli elementi (occasionalità, abitualità, intento speculativo, durata del periodo di possesso tra l’acquisto e la vendita) che contribuiscono a collocarla tra quelle produttive di redditi d’impresa ovvero di redditi diversi. Saranno presi nella dovuta considerazione gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di merito e di legittimità e le interpretazioni rese dall’Amministrazione finanziaria. L’indagine, infine, non può prescindere da una breve ricognizione dell’evoluzione subita nel tempo dalla normativa in subiecta materia, atteso che dal passato si potrebbe trarre l’ispirazione per una sostanziale modifica legislativa che ragionevolmente riduca le attuali incertezze interpretative.


2. Le diverse tipologie di soggetti passivi titolari del reddito derivante dalla cessione di opere ed oggetti d'arte

Dal punto di vista soggettivo la titolarità dei redditi derivanti dalla cessione di opere ed oggetti d’arte può essere imputata:

  • al possessore di opere d’arte acquisite a titolo gratuito a seguito di eredità o donazione;

  • al possessore di opere d’arte che acquista e rivende occasionalmente con intento speculativo;

  • al collezionista c.d. puro che acquista opere d’arte per incrementare la propria collezione, il quale potrebbe cedere saltuariamente qualche pezzo di valore, sia per motivi personali che per acquistarne un altro ancora più raro e pregiato;

  • al mercante d’arte che professionalmente ed abitualmente, anche privo del requisito dell’organizzazione, acquista e rivende opere e oggetti d’arte.

In linea di principio in capo ad ognuno di questi soggetti si configura una tipologia di reddito (diverso o d’impresa) differente con la conseguente applicazione del regime fiscale di pertinenza, e segnatamente:

  • per i soggetti rientranti tra quelli di cui alle lettere (a) e (c), il reddito che deriva dalla cessione di opere d’arte non è soggetto a tassazione, in quanto non si realizza plusvalenza per carenza del presupposto impositivo, necessario per l’applicazione del tributo.4 Detti soggetti infatti acquisiscono la titolarità del bene per volontà del dante causa;

  • per i soggetti rientranti tra quelli di cui alla lettera (b), la plusvalenza emergente dalla cessione delle opere d’arte rientra tra i redditi “diversi”, di cui all’art. 67, comma 1, lett. i), del TUIR, derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;

  • per i soggetti rientranti tra quelli di cui alla lettera (d) la plusvalenza emergente dalla cessione avrebbe natura di componente positivo del reddito d’impresa ai sensi dell’art. 55 del TUIR, ancorché ai fini civilistici il titolare non sia considerato imprenditore mancando il requisito dell’organizzazione.5

Occorre rilevare che il diverso trattamento fiscale tra i soggetti soprarichiamati è dovuto alle differenti modalità con cui viene svolta l’attività. Ove si tratti di una attività commerciale occasionale, si realizzano redditi diversi. Quando invece l’attività ha il carattere dell’abitualità e della professionalità, si avranno redditi d’impresa.

Va subito rilevato che sussistono numerose difficoltà ove si voglia individuare l’esatto confine tra ciascuna di dette categorie reddituali.

In buona sostanza, il vulnus risiede nel fatto che non esistono elementi certi e specifici per poter qualificare e distinguere il semplice possessore (a) da quello occasionale con intento speculativo (b), il collezionista puro (c) dal mercante d’arte (d), se non centrando l’attenzione sulla sussistenza o meno dell’occasionalità, dell’abitualità e della professionalità. Definire specificatamente l’occasionalità è difficile come è altrettanto non agevole circoscrivere l’abitualità e dimostrare l’intento speculativo che può sussistere in un acquisto ed in una successiva cessione. Tale intento, infatti, potrebbe non esistere al momento dell’acquisto ma manifestarsi al momento della cessione del bene; una cessione potrebbe essere considerata occasionale anche se effettuata più volte nel periodo d’imposta come pure abituale.

La corretta individuazione della tipologia di reddito considerando soltanto il profilo soggettivo diventa quindi molto approssimativa ed arbitraria. Solo nel caso di beni pervenuti mortis causa è ragionevole escludere l’intento speculativo della cessione per ovvie ragioni rappresentate dalla imprevedibilità dell’entrata in possesso.6

Non esistono elementi certi e precisi che consentono di collocare il cedente tra gli occasionali con intento speculativo, tra i mercanti d’arte o i collezionisti puri: è quindi necessario completare il quadro analizzando approfonditamente il concetto di attività e le relative modalità attraverso le quali viene svolta.


3. La nozione di attività e l'intento speculativo quali elementi oggettivi della fattispecie tributaria costituita dalla cessione di opere ed oggetti d'arte

Occorre preliminarmente rilevare che la caratteristica comune a tutti i cedenti (esclusi ovviamente quelli che svolgono un’attività d’intermediazione7 e quelli che hanno acquisito il bene mortis causa) consiste nell’utilizzo del contratto di compravendita quale strumento per acquistare e vendere i beni.8 Il sinallagma non genera autonomamente un reddito imponibile, ma è necessario che esso sia presente nello svolgimento di un’attività, come previsto dagli artt. 55 in materia di redditi d’impresa9 e 67 del T.U.I.R. per quanto concerne i redditi diversi.10

È importante quindi definire il concetto di attività e le relative modalità di svolgimento della stessa. Oltre a verificare se essa è svolta in modo abituale oppure occasionale, detta attività dovrebbe caratterizzarsi anche per il requisito della preordinazione, nel senso che tra l’acquisto e la successiva vendita dovrebbe sussistere una combinazione di tipo funzionale.11 In sostanza, l’acquisto viene effettuato con l’intenzione già programmata di vendere il bene appena acquisito.

Un simile collegamento tra l’acquisto e la futura cessione fa emergere l’intento speculativo. Tuttavia, accertare, pienamente e semplicemente, la volontà di un soggetto di compiere una determinata attività di natura speculativa è molto difficile. Uno dei criteri più equilibrati e frequentemente utilizzati è quello di verificare la ricorrenza di taluni fatti materiali dai quali può emergere l’ipotetico intento speculativo che ha animato l’agire del soggetto. Tra gli elementi indicativi12 ma non decisivi dai quali si può desumere la preordinazione dell’acquisto alla futura vendita, in assenza di disposizioni legislative sul punto, figurano: la tipologia dei beni compravenduti, il periodo di possesso che intercorre tra l’acquisto e la cessione, la frequenza delle cessioni e le loro motivazioni, l’aver svolto in precedenza attività di mercante d’arte o di antiquario, l’aver venduto le opere acquistate ad una pluralità di soggetti diversi. Tutti elementi che comunque possono essere acquisiti soltanto con una attenta analisi “caso per caso”, dalla quale è sufficiente che si possa desumere la sussistenza grave e precisa di uno solo di tali per ritenere provata l’esistenza dell’intento speculativo.13

Tuttavia, occorre rilevare che l’analisi “caso per caso” non può essere la soluzione del problema, anche perché, come è ovvio, genera un sistema di tassazione privo di un indirizzo univoco.

Sarebbe quindi opportuno individuare un indicatore che più degli altri consenta di rilevare la presenza dell’intento speculativo.

Tale indicatore, anche se non risolutivo, potrebbe essere individuato nel tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita del bene, nel senso che quando la cessione viene effettuata entro un determinato periodo di tempo stabilito da legislatore, si è in presenza dell’intento speculativo che invece sarebbe assente se è più ampio il periodo di ininterrotto possesso del bene.

Si potrebbe pensare d’introdurre, sulla scorta di quanto già previsto all’elencazione casistica di cui all’art. 67, comma 1, del T.U.I.R., e segnatamente alla lett. b) in materia di redditi diversi per le plusvalenze di natura immobiliare, una ulteriore fattispecie che includa anche i titolari di reddito derivante dalla cessione di opere e oggetti d’arte avvenuta entro cinque anni dall’acquisto. Ciò potrebbe contribuire a tracciare una linea di confine precisa tra l’attività che dà luogo ad un reddito diverso e quella che non produce alcun reddito.

Si potrebbe configurare la seguente disciplina:

  1. Se un soggetto compra un solo bene e lo cede prima che siano decorsi cinque anni dall’acquisto, trattandosi di cessione isolata si produrrà un reddito diverso. Nel caso invece di più acquisti e cessioni ripetute prima della decorrenza del termine, le plusvalenze emergenti costituiranno componente positiva del reddito d’impresa;

  2. Se un soggetto compra un bene e lo cede decorsi cinque anni dall’acquisto, la cessione non genera plusvalenze poiché non sussiste l’intento speculativo; lo stesso avviene se compra più beni e rivende ciascuno di essi decorsi cinque anni dal relativo acquisto (è il caso del collezionista c.d. puro di cui al precedente par. 1, lettera c)).

Tale impostazione contribuirebbe a fornire un quadro normativo di riferimento più preciso sia per gli Uffici ai fini delle attività di controllo sia per i contribuenti chiamati a determinare l’eventuale reddito da dichiarare. Difatti gli attuali elementi individuati dall’Agenzia delle Entrate nell’esercizio della potestà impositiva, mancando una normativa di riferimento, sono stati numerosi e si sono spesso rivelati contraddittori, tra i quali figurano a titolo esemplificativo il numero di transazioni finanziarie effettuate, la tipologia dei beni ceduti, la tipologia e la quantità di clienti, il tempo intercorso dal momento dell’acquisto a quello della cessione.

Ne è derivata una grande incertezza che si traduce in contenziosi con esiti spesso incerti ed ondivaghi. La giurisprudenza di merito e di legittimità infatti contiene pronunce14 che riconoscono al collezionista che acquista e vende opere d’arte la non imponibilità ai fini del reddito d’impresa, assumendo che lo stesso non pone in essere alcuna attività di natura imprenditoriale, e pronunce che invece considerano produttive di reddito d’impresa le predette operazioni ravvisando la presenza di una attività imprenditoriale di natura commerciale svolta con continuità e professionalità,15 salvo poi lasciare alla libera interpretazione del giudice come acclarare detti requisiti. I limiti tra abitualità ed occasionalità, tra intento speculativo e collezionistico sono soggetti alle valutazioni caso per caso effettuate prima dagli Uffici, dell’Agenzia delle Entrate e poi dai singoli giudici non esistendo norme chiare e puntuali. Ecco perché sarebbe auspicabile un intervento del legislatore che fissasse il periodo minimo di possesso del bene come elemento indicatore dell’intento speculativo dell’acquisto effettuato in vista della futura cessione.


4. Evoluzione della normativa in materia di tassazione dei redditi derivanti da cessioni di opere ed oggetti d'arte

Il legislatore, sin dal tempo dell’imposta di ricchezza mobile di cui al T.U. n. 645/1958 ha sempre cercato di ricomprendere nell’ambito di applicazione dell’imposta sul reddito il maggior numero di fattispecie imponibili, comprese le operazioni aventi natura speculativa ancorché occasionale.16

Tale orientamento emergeva chiaramente dal combinato disposto degli artt. 81 e 85 del T.U. n. 645/1958, che prevedevano l’assoggettamento all’imposta mobiliare delle plusvalenze realizzate in dipendenza di tutte le operazioni speculative quand’anche fossero isolate.17

In sostanza, le plusvalenze costituivano presupposto per l’applicazione dell’imposta di ricchezza mobile:

  • quando il loro realizzo, da chiunque ottenuto, dipendeva da operazioni speculative;

  • quando si trattava di plusvalenze riferite a beni “relativi all’impresa”;

  • in presenza di realizzo, distribuzione o semplice iscrizione in bilancio delle plusvalenze dei beni appartenenti a soggetti tassabili in base al bilancio.

Il presupposto ai fini dell’applicazione del tributo era quindi diversificato a seconda della natura del soggetto beneficiario.18 Se dunque quest’ultimo non era imprenditore né un soggetto tassabile in base al bilancio, la plusvalenza era imponibile solo se realizzata in dipendenza di un’operazione speculativa. Se invece si trattava di un imprenditore o di un soggetto tassabile in base al bilancio l’intento speculativo non assumeva rilevanza, essendo sufficiente nel primo caso il realizzo della plusvalenza e nel secondo caso la semplice iscrizione in bilancio.

Le norme richiamavano l’intento speculativo ma non fornivano alcun elemento che consentisse di identificare puntualmente la presenza di tale intento, con conseguenti incertezze applicative.

La stessa impostazione è ravvisabile nella riforma degli anni 1972/1973.19 L’art. 1 del D.P.R. n. 597/1973, infatti, prevedeva quale presupposto dell’IRPEF il possesso di redditi in denaro o in natura, continuativi od occasionali, “provenienti da qualsiasi fonte”; tale ultima espressione, tuttavia, non esaltava a sufficienza il concetto di “reddito prodotto”, cioè del reddito derivante da una fonte produttiva autonoma e duratura. Il successivo art. 80, in via residuale, al fine di fugare ogni dubbio sull’assoggettamento ad imposta di qualsiasi altro reddito percepito, disponeva la concorrenza alla formazione del reddito complessivo, per il periodo d’imposta e nella misura in cui era stato percepito, di ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del citato D.P.R. n. 597.

In particolare, nel Titolo VI, dedicato ai redditi diversi, l’art. 76 recante la rubrica “Redditi derivanti da operazioni speculative” stabiliva al comma 1 che le plusvalenze derivanti da operazioni speculative non rientranti nel reddito d’impresa concorrevano alla formazione del reddito complessivo secondo il principio di cassa.20 Il comma 3, n. 3, di tale articolo con una presunzione iuris et de iure, considerava in ogni caso effettuate con intento speculativo l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato, o in genere da collezione, se il periodo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non era superiore a due anni.21 In buona sostanza, ciò equivaleva ad affermare che per tale tipologia di plusvalenze l’intento speculativo era in re ipsa.

Così operando, il legislatore non contribuiva a fissare i criteri in base ai quali sarebbe stato possibile accertare la presenza del requisito della “speculatività” nelle cessioni precedute da atti d’acquisto o da atti di successiva valorizzazione dell’acquisto funzionalmente collegati alle successive vendite. L’unica novità rispetto al T.U. n. 645/1958 era costituita dalla previsione di una durata minima del possesso del bene.

Con l’introduzione del T.U.I.R con il D.P.R. n. 917/1986, veniva adottato un nuovo quadro normativo di riferimento.

L’art. 1, infatti, nel definire il presupposto dell’imposta forniva una definizione più snella, priva di specificazioni come quelle relative al carattere della continuità, della occasionalità e della provenienza del reddito. L’art. 1 del T.U.I.R., infatti, individua il presupposto dell’imposta nel possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie di cui al successivo art. 6.

Per quanto concerne la disciplina dei redditi diversi, l’art. 81 del T.U.I.R. consente di evidenziare talune differenze rispetto all’art. 76 del D.P.R. n. 597/1973.

Segnatamente:

  1. si tratta di una norma di tipo residuale contenente una elencazione casistica di fenomeni reddituali non rientranti in nessuna delle categorie di cui all’art. 6 del T.U.I.R. La scelta di utilizzare tale elencazione nasceva dall’esigenza di adattare la normativa alla crescente complessità dei fatti e degli accadimenti economici e di ampliare per via legislativa le fattispecie imponibili. Così operando non aveva più senso mantenere la preesistente norma residuale di cui al citato art. 80 del D.P.R. n. 597, più adatta ad una formulazione normativa più generale e sintetico non fondata sulla casistica;22

  2. viene eliminata la rilevanza del c.d. “intento speculativo” ai fini dell’imponibilità delle plusvalenze derivanti dalle cessioni di opere ed oggetti d’arte e di antiquariato. Conseguentemente, viene soppressa anche la presunzione assoluta di speculatività di cui all’art. 76, comma 3, del D.P.R. n. 597/1973. La giustificazione a tale intervento nasce dal fatto di non voler rendere più rigorosa la tassazione di questa tipologia di cessioni rispetto a quelle aventi ad oggetto tutti gli altri oggetti o metalli preziosi,23 dato che soltanto le prime e non anche le seconde, se effettuate entro il biennio, erano considerate comunque speculative senza possibilità di prova contraria. Muta quindi radicalmente la precedente struttura normativa: spetta all’Ufficio dimostrare la presenza del c.d. “intento speculativo”24 e quindi l’imponibilità delle plusvalenze.

Da ultimo, a seguito delle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003 in esecuzione della Legge delega n. 80 del 7 aprile 2003, è rimasta invariata la disciplina contenuta nel D.P.R. n. 917/1986.

La categoria dei redditi diversi è ora trattata non più nell’art. 81 ma nell’art. 67. L’impostazione è la medesima e consiste nel ricomprendere in via residuale tutte quelle fattispecie reddituali non ricomprese nelle categorie precedenti e specificatamente individuate dal legislatore attraverso una rigida elencazione casistica. Quest’ultima appare quindi sufficiente per inserire talune fattispecie reddituali c.d. atipiche, come quelle ad esempio costituite dalle cessioni occasionali di opere ed oggetti d’arte da parte dei collezionisti, tra i redditi diversi.


5. L'auspicabile intervento del legislatore

Nella Legge n. 205 del 27 dicembre 2017 – Legge di bilancio 2018 – stava per essere inserita una norma dichiarata “interpretativa” in forza della quale tra le plusvalenze derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente sarebbero stati ricompresi altresì i redditi scaturenti dalla vendita di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione, come definiti nella tabella allegata al D.L. n. 41/1995.25

Le plusvalenze in questione nella citata proposta non recepita dal legislatore sarebbero state assoggettate a IRPEF alternativamente:

1) in via analitica, sulla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta ed i costi sostenuti;

2) in via forfettaria, nella misura forfettaria del 40% del prezzo di vendita dell’opera ovvero dell’oggetto d’arte.

In caso di acquisto per successione sarebbe stato rilevante il costo dichiarato ai fini dell’imposta di successione con esclusione dei beni di valore inferiore a euro 10.000.

Tale proposta, com’è noto, non è stata recepita al legislatore e ad oggi la situazione non è cambiata. L’Agenzia delle Entrate continua a procedere “caso per caso” sulla base di interpretazioni “soggettive”. Onde evitare incertezze ed abusi, sarebbe quindi auspicabile un intervento del legislatore che apporti significative modifiche.

Posto che dal punto di vista soggettivo non è possibile imputare il reddito tenendo conto delle diverse categorie di percettori (mercante d’arte piuttosto che collezionista c.d. puro, oppure mero possessore di opere d’arte che acquista e rivende occasionalmente con intento speculativo), anche perché queste possono tendere anche a sovrapporsi, chi scrive è dell’avviso che sarebbe utile introdurre una norma che contenga essa stessa uno o più indicatori che consentirebbero di individuare la “speculatività” dell’operazione.

Invero, l’intento speculativo assume un ruolo determinante e non può essere sottovalutato. Come anticipato, si potrebbe trarre spunto dalla norma attualmente vigente che inserisce tra i redditi diversi quelli derivanti dalle cessioni di immobili avvenute entro cinque anni dall’acquisto26 e che in parte richiama la norma contenuta nel vecchio art. 76, comma 3, n. 3, del D.P.R. n. 597/1973. La nuova norma potrebbe statuire che le plusvalenze, derivanti dalla cessione entro un quinquennio dall’acquisto di opere ed oggetti d’arte, sono da considerarsi redditi diversi, fatta salva per il contribuente la possibilità di fornire la prova contraria, prima non ammessa nel vecchio testo dell’art. 76. Il legislatore, così operando, introdurrebbe un parametro sicuro, espressivo dell’esistenza dell’intento speculativo: il tempo intercorrente tra l’acquisto e la cessione diverrebbe un elemento significativo di cui l’Ufficio necessariamente dovrebbe tener conto in sede di accertamento.

1 Sulle differenti nozioni di opera d’arte ed oggetto d’arte cfr. DE MAURO, Dizionario on-line della lingua italiana, in cui si definisce opera d’arte “prodotto artistico di grande e riconosciuto valore” e oggetto d’arte “prodotto delle arti minori che costituisce materia di commercio, antiquario e collezionismo”.

2 Sono nate infatti numerose piattaforme on-line dedicate all’acquisto ed alla vendita di oggetti d’arte, come ad esempio Catawiki.com, che consente in alcuni casi anche di partecipare ad aste riservate ad operatori di mercato, oppure possiamo citare prestigiose case d’aste che, adeguandosi ai tempi, sono entrate nel mercato on-line come Christie’s o Sotheby’s.

3 Il tema è stato oggetto, anche di recente, di numerosi approfondimenti, al cfr. E. M. BAGAROTTO, Regime tributario di opere d’arte, in Rass. Trib., 2019, pp. 290 e ss.; A. VANNINI - F. DI CESARE, Non imponibile la dismissione di una collezione di opere d’arte, nota alla C.T.R. Piemonte, sez. III, sent. n. 1412/2018, in Il Fisco, 2018, pp. 4286 e ss.; A. BRIGNOLI - M. FAGGIOLI, Le opere d’arte: quadro generale dell’eventuale tassazione delle plusvalenze, in Boll. Trib., 2018, pp. 1232 e ss.; E. ROLLINO - S. TRETTEL, Proposta per l’imposizione dei proventi derivanti dalla cessione di oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione, in Il Fisco, 2018, pp. 2237 e ss.; A. GATTO, I redditi da cessione di oggetti da collezione, nota alla C.T.R. Toscana, sez. XXXI, sent. n. 826/2016 in Rass. Trib. 2017, pp. 828 e ss.; S. SPIENIELLO - M. BISOGNO, Compravendite di opere d’arte tra privati: il difficile confine tra opere d’arte e collezionismo, in il Fisco, 2017, pp. 3431 e ss.; E. TITO - G. GIUSTI, Sono tassabili le plusvalenze da cessione occasionale di opere d’arte?, in Corr. Trib., 2016, pp. 3666 e ss.; S. TRETTEL, La compravendita (tramite internet) da parte di “collezionisti” non crea materia imponibile, nota alla C.T.R. Toscana, sez. XXXI, sent. n. 826/2016, in Il Fisco, 2016, pp. 3188 e ss.

4 Cfr. Ris. dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 23 gennaio 2001, nella quale è precisato che un’associazione che ha ricevuto in donazione delle opere d’arte può cederle per finanziare l’attività istituzionale e detta cessione occasionale non realizza attività commerciale.

5 Per una approfondita analisi in tema di plusvalenze cfr. F. PAPARELLA, Il contributo di Augusto Fantozzi ed Andrea Fedele in tema di plusvalenze nel reddito d’impresa, in Dir. Prat. Trib. 2019, pp. 509 e ss., ed ampia bibliografia ivi citata.

6 Cfr. A. GATTO, op. ult. cit., ed ampia bibliografia ivi citata. L’A. chiarisce che nel caso di acquisto mortis causa, vale a dire a seguito di accettazione di eredità o in presenza di un legato ci può essere forse un’aspettativa ma non una certezza riguardo l’acquisto del bene; ne consegue che il soggetto non può concretamente programmare la successiva rivendita. Laddove l’intento speculativo esistesse già in capo al de cuius esso non si trasferisce in capo all’erede o al legatario, viene infatti meno la continuità soggettiva che l’attività, di per sé, presuppone per essere tale. Le stesse osservazioni valgono anche nel caso della donazione, ancorché si tratti di un contratto consensuale. Il donatario, infatti, non può programmare in anticipo che riceverà l’opera d’arte dal donante. Sono inoltre incompatibili con la sussistenza dell’intento speculativo: a) le cessioni a titolo gratuito perché non permettono la remunerazione dei fattori produttivi impiegati; b) le alienazioni forzose del bene, avvenute non perché programmate ma per imposizione dell’autorità; c) le perdite involontarie del bene alle quali fa seguito la ricezione di una somma a titolo di indennizzo (sia che essa venga pagata dal danneggiante oppure dalla assicurazione); d) la vendita del bene in occasione di una procedura concorsuale.

7 Per questi soggetti visto il chiaro richiamo all’art. 2195 c.c. contenuto nell’art. 55, comma 1, del T.U.I.R. sembra non possano esserci dubbi nel qualificare redditi d’impresa quelle derivanti dall’attività d’intermediazione nella circolazione dei beni.

8 Cfr. M. BEGHIN, La capitalizzazione del profitto in beni non esclude l’esercizio dell’attività di impresa, in Corr. Trib., 2008, p. 1612. L’A. sottolinea come non rileva il numero delle operazioni perfezionate o gli importi percepiti in occasione delle transazioni ma la circostanza che l’acquisto sia stato effettuato nella prospettiva della successiva cessione a titolo oneroso.

9 L’art. 55, comma 1, del T.U.I.R. per definire l’esercizio di imprese commerciali che generano reddito d’impresa prevede lo svolgimento per professione abituale ancorché non esclusiva delle attività di cui all’art. 2195 del c.c. e di quelle indicate alle lett. b) e c) del comma 2 dell’art. 32 del TU.I.R.

10 L’art. 67, comma 1, lett. i) del T.U.I.R., prevede lo svolgimento di attività anche esercitate occasionalmente.

11 Cfr. A. FANTOZZI, Imprenditore ed impresa, Milano 1982, p. 196; Cass., sez. V, del 31 marzo 2008, n. 8196, con nota di M. BEGHIN, op. ult. cit., pp. 1612 e ss.; Cass., sez. V, del 6 maggio 2002, n. 6465, con nota di D. STEVANATO, La vendita frazionata di una collezione d’arte configura una “attività commerciale occasionale”?, in Dialoghi di Diritto Tributario, 2004, pp. 65 e ss., secondo il quale l’imponibilità sembrerebbe doversi escludere non solo laddove l’opera sia pervenuta al cedente per vie diverse da un acquisto a titolo oneroso, ma, più in generale, ogniqualvolta non possa ravvisarsi la sussistenza di un nesso teleologico tra l’acquisto e la successiva cessione, in grado di disvelare una “preordinazione” all’alienazione. La sentenza afferma invece che le reiterate cessioni di beni della stessa tipologia potrebbero rappresentare un elemento che può essere valorizzato per desumere la sussistenza di un’attività. Si avrebbe quindi attività di impresa commerciale nel caso di un soggetto che con abitualità compri e rivenda quadri ricorrendo costantemente alle prestazioni di galleristi come intermediari professionali. Ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria può desumere la natura commerciale dell'attività dalla continuità con la quale il contribuente svolge detta attività, dalla percezione di un corrispettivo e dall’arco temporale (nella specie cinque anni) in cui si sono sviluppati detti rapporti commerciali; ricade sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria della natura occasionale della compravendita.

12 Cfr. G. FALSITTA, Alcune puntualizzazioni in tema di “attività commerciali non abituali”, di “operazioni speculative isolate” e di “capital gains”, in Rass. Trib., 1990, I, p. 93; ed ancora A. AMATUCCI, La componente speculativa della plusvalenza imponibile, in Dir. Prat. Trib., I, 1988, p. 492.

13 Cfr. Cass. sez. V, n. 656 del 15 gennaio 2014, la quale in tema di accertamento tributario, afferma che gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi – benché l’art. 2729, comma 1, c.c., l'art. 38, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, e l'art. 54 del D.P.R. n. 633/1972 si esprimano al plurale – potendosi il convincimento del giudice fondare anche su un elemento unico, preciso e grave. Più di recente in senso conforme Cass., Sez. VI, 11 novembre 2016, n. 23105; Cass., Sez. V, 20 aprile 2016, n. 7884; id., 8 aprile 2016; id., 19 agosto 2015, n. 16950; Cass. 8 aprile 2015, n. 6947.

14 Cfr. Comm. Trib. Provinciale 1° grado di Trento, sez. II, sent. n. 191 del 27 novembre 2017, secondo la quale occorre valutare complessivamente ed unitariamente la sussistenza o meno della commercialità sulla scorta di un attento esame della molteplicità di circostanze e di accadimenti che interessano l’operazione di vendita dei dipinti da cui è scaturita la fattispecie reddituale; Comm. Trib. Regionale della Toscana, sez. XXXI, sent. n. 826, del 9 maggio 2016 la quale sancisce che non costituisce attività fiscalmente rilevante quella realizzata dal collezionista che compie con altri collezionisti un numero esiguo di operazioni aventi ad oggetto beni trattati a prezzi non di mercato, anche in considerazione del fatto che le operazioni sono finalizzate solo ad arricchire la propria collezione, con nota di A. GATTO, op. ult. cit., pp. 828 e ss. ed altra nota di S. TRETTEL, op. ult. cit., pp. 3188 e ss.; Comm. Trib. Regionale del Veneto, sede di Venezia Sez. XXIX, sent. n. 279 del 22/02/2016, secondo la quale affinché la cessione di opere ed oggetti d’arte possa essere qualificata come un'attività economica produttiva di reddito di impresa la stessa deve essere caratterizzata dai requisiti della professionalità e dell’abitualità. Detti requisiti insieme al criterio dell’economicità rappresentato dal conseguimento di corrispettivi consentono di presumere l’esistenza dell’attività commerciale produttiva di reddito d’impresa. Viene precisato che anche in caso di perdita è possibile qualificare l’attività come commerciale. Pertanto, non può essere considerata attività d’impresa la cessione di quadri effettuata per circa due anni al fine di reperire liquidità necessaria per far fronte alla grave crisi delle società partecipate dal contribuente; Comm. Trib. Regionale del Piemonte, Sez. III, n. 1412 del 18 settembre 2018, secondo cui l’alienazione in blocco di opere d’arte, trascorso molto tempo dall’acquisto, effettuata per motivi personali non produce materia imponibile, con nota di A. VANNINI - F. DI CESARE, op. ult. cit., pp. 4286 e ss.; Comm. Trib. Provinciale di Torino, Sez. III, sent. n. 351 del 19/04/2018, la quale precisa che non costituisce attività commerciale la vendita in blocco ad un unico acquirente di una collezione di autovetture di pregio facenti parte dell’attivo di una società semplice le cui quote sono pervenute per successione mortis causa. Tale operazione, nonostante la rilevante entità del corrispettivo dell’unica cessione, è priva di intento speculativo: pertanto, non rientra tra le operazioni suscettibili di produrre redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. I), del D.P.R. n. 916/1987.

15 Cfr. Cass., sez. V, sent. n. 6235 del 27 marzo 2015, la quale sancisce che la vendita reiterata di francobolli di ingente valore da parte di chi non riveste più, almeno formalmente, la qualità di imprenditore commerciale nel settore filatelico costituisce esercizio di attività di impresa abituale e professionale, anche se non esclusiva. Né assume rilevo, ai fini di una diversa imputazione dei redditi prodotti, il fatto che il diritto di proprietà vantato sui francobolli medesimi deriva dalla definizione di pregressi rapporti economici con l’ex socio; Cass., Sez. V, sent. n. 21776 del 20 ottobre 2011, la quale afferma che, per individuare le attività commerciali non esercitate abitualmente non si deve ricorrere ai requisiti di cui all’art. 2082 c.c. in contrapposizione all’art. 2195 c.c. Ai fini fiscali, infatti, non sono rilevanti i requisiti soggettivi di colui che esercita l’impresa, ma è il carattere oggettivo dell’attività svolta qualificata come commerciale. Ciò, da un lato, permette di escludere tutte quelle operazioni a titolo oneroso che si esauriscono nella traslazione del diritto, atteso che la nozione di attività implica una pluralità di atti tra loro coordinati e finalizzati al medesimo scopo, dall’altro, impedisce di assoggettare ad imposta sui redditi qualsiasi atto produttivo di incremento di ricchezza ove lo stesso non sia riconducibile all’esercizio, sia pure non abituale, di attività commerciale; Cass., Sez. V, sent. n. 27208 del 20 dicembre 2006, in materia di Iva, secondo cui l’esistenza dei requisiti di professionalità e abitualità dell’attività in ragione della rilevanza dell’investimento iniziale riconducono la pluralità di cessioni di beni mobili di antiquariato a favore di una non meglio identificata generalità di soggetti ad una attività commerciale svolta nell’esercizio di impresa; Comm. Trib. Regionale del Lazio, Sez. I, sent. n. 7194 del 1° dicembre 2014, secondo la quale il rilevante numero di transazioni online effettuate dal contribuente in modo sistematico nel corso degli anni comporta che le stesse, presentando il carattere abituale dell’attività di vendita, rientrino nell’ambito dell’esercizio di impresa. Detta inclusione, che prescinde dalla quantità di reddito prodotto, si basa sulla continuità dell’attività negli anni e sulla abituale professionalità del soggetto; Comm. Trib. Regionale del Veneto Sez. XXV, sent. n. 888 del 12 settembre 2017, e sez. IV, sent. n. 865 del 4 settembre 2017; Cass., sez. V, del 31 marzo 2008, n. 8196, con nota di M. BEGHIN, op. ult. cit., pp. 1612 e ss.

16 Cfr. A. FEDELE, Il presupposto del tributo, in Giur. cost., 1967, pp. 969 e ss. L’A. afferma l’esigenza di esaminare il presupposto del tributo in ragione dei molteplici elementi di fatto e delle situazioni soggettive che determinano il complesso di effetti giuridici che concorrono all’arricchimento patrimoniale.

17 L’art. 81 del T.U. n. 645/1958 prevedeva quale presupposto “la produzione di un reddito netto, in denaro o in natura, continuativo od occasionale, derivante da capitale o da lavoro o dal concorso di capitale e lavoro, ovvero derivante da qualsiasi altra fonte” nonché “…le plusvalenze da chiunque realizzate in dipendenza di operazioni speculative”.

L’art. 85 del T.U. n. 645/1958, relativo alla classificazione dei redditi di ricchezza mobile, distingueva alla Cat. B – i redditi alla produzione dei quali concorrono insieme il capitale ed il lavoro, come quelli derivanti dall'esercizio di imprese commerciali ovvero da attività commerciali, ai sensi dell’art. 2195 del c.c., o da operazioni speculative anche isolate.

18 Cfr. G. FALSITTA, Le plusvalenze nel sistema dell’imposizione mobiliare, Giuffrè, Milano, 1966. A. FANTOZZI, Ancora in tema di realizzazione delle plusvalenze, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1965, I, p. 429.

19 Cfr. G. BOVI, I redditi diversi: le plusvalenze, in Il Fisco, 1988, pp. 5451 e ss.; A. FEDELE, Considerazioni generali sulla disciplina fiscale degli atti e delle vicende dell’impresa, in AA.VV., Il reddito d’impresa nel nuovo Testo Unico, Cedam, Padova, 1988, p. 777;

20 Cfr. L. FERLAZZO NATOLI, Le Plusvalenze speculative, Milano, 1984, ed ampia bibliografia ivi citata.

21 Cfr. G.A. MICHELI, Corso di Diritto tributario, settima edizione, Torino, 1984, p. 425, il quale evidenzia che il legislatore ha voluto individuare talune operazioni rispetto alle quali il requisito della speculatività si presume in ogni caso esistente senza possibilità di prova contraria. L’A. ritiene che l’art. 76 del D.P.R. n. 597/1973 ricolleghi la realizzazione dell’incremento patrimoniale al verificarsi di un negozio giuridico a titolo oneroso da cui deriva l’effetto traslativo o costitutivo del diritto reale sul bene, e che tale sia anche il negozio acquisitivo attraverso il quale il bene è in precedenza entrato nella titolarità dell’alienante.

22 Cfr. Note illustrative ministeriali agli artt. 1 e 81 del Progetto di Testo Unico, in Il Fisco, 1987, pp. 57 e 79.

23 Cfr. Note illustrative e ministeriali all’art. 81 del Progetto di Testo Unico T.U.I.R., cit., p. 79.

24 Cfr. G. TABET, Il reddito d’impresa nel quadro delle categorie reddituali, in G. TABET, a cura di, Cedam, Padova, 1997, 1; R. LUPI, Diritto Tributario, parte speciale, Milano, 1994, p. 247; M. MICCINESI, Le plusvalenze d’impresa. Inquadramento teorico e profili ricostruttivi, Giuffrè, Milano, 1993; G. FALSITTA, Studi sulla tassazione delle plusvalenze, Giuffrè, Milano, 1991; G. TINELLI, Il reddito d’impresa nel diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1991.

25 Cfr. Il Sole 24 ore, Norme e Tributi del 21 ottobre 2017, in cui viene dato risalto all’emendamento che si sarebbe dovuto inserire nella Legge di Bilancio 2018. Cfr. altresì E. M. BAGAROTTO, op. ult. cit., in Rass. Trib., 2019, pp. 290 e ss. L’A. criticava la proposta di modifica sostanzialmente per tre ordini di motivi: a) le nuove norme avrebbero l’imponibilità di tutti i proventi derivanti dalla vendita di opere d’arte (salvo i corrispettivi inferiori a 10.000 euro nello stesso periodo d’imposta) a prescindere da qualsiasi valutazione di tipo qualitativo e, in particolare, dall’accertamento dello svolgimento di una, sia pur minima, “attività” da parte del soggetto passivo; b) la portata interpretativa della norma non poteva essere condivisa poiché, al di là della qualificazione attribuita dal legislatore, non vi era oggettivamente alcun significativo argomento a sostegno della sistematica imponibilità di tutti i redditi derivanti dalla cessione di opere d’arte; c) sarebbe stato preferibile ricorrere alla tassazione separata anziché alla forfettizzazione con aliquota parametrata all’aliquota media degli anni precedenti, regime tipicamente riservato ai redditi a formazione pluriennale.

26 Cfr E. TITO - G. GIUSTI, op. ult. cit., p. 3666, non ritengono appropriata tale proposta poiché rappresenterebbe una ulteriore deroga sul piano sistematico al concetto di “reddito prodotto” in favore del “reddito entrata”.