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L'accertamento analitico-induttivo per impiego di manodopera irregolare

Scritto da Livio Gucciardo • mar 2019

Sintesi

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, è legittimo l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dall’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, anche in presenza di una presunzione semplice, purché grave e precisa, come quella costituita dall’impiego di lavoratori irregolari. È dunque principio assodato che l’utilizzo di lavoratori irregolari rappresenti un fatto noto da cui desumere una maggiore redditività dell'impresa e non semplicemente maggiori costi per retribuzioni. Questa proposizione non si fonda tanto sull’assunto che l’impiego irregolare di dipendenti sia la causa dei maggiori introiti, quanto, piuttosto, che ne sia l’effetto. La possibilità per l’impresa di remunerare “in nero” la manodopera irregolare attesta, infatti, la capacità di questa di generare, altrettanto “in nero”, un ammontare di ricavi in misura esponenziale rispetto al fabbisogno per il costo non appostato nelle scritture contabili, perché per l’impresa la spesa per personale è finalizzata ad essere remunerata in termini di conseguimento dei ricavi.

Abstract

According to a well-established jurisprudence, the analytical-inductive assessment of corporate income is legitimate, according to art. 39, paragraph 1, lett. d), of D.P.R. no. 600/1973, even if there is a simple presumption, as long as it is serious and precise, such as where irregular workers have been employed. It is therefore an established principle that the use of irregular workers is a well-known fact from which to derive a greater profitability of the enterprise and not simply higher costs for remunerations. This proposition is not so much based on the assumption that the irregular employment of workers is the cause of the higher income, but rather that it is its effect. The possibility for the enterprise to remunerate “in black" the irregular manpower attests, in fact, its capacity to generate, also “in black", an exponential amount of revenues in relation to the cost requirements not reported in the accounting records, because the enterprise’s personnel expenditure is intended to be remunerated in terms of achievement of revenues.

Contenuto

1. Introduzione. L'accertamento analitico-induttivo

Per i redditi d’impresa e di lavoro autonomo sono previste specifiche regole di determinazione dell’imponibile, fondate sulle risultanze dei valori tratti dalle scritture contabili obbligatorie. Per tali categorie reddituali sussiste l’obbligo di effettuare la dichiarazione analitica, nella quale devono essere esposti gli elementi attivi e passivi dalla cui somma algebrica scaturisce l’imponibile complessivo.1

L’Amministrazione finanziaria può rettificare l’imponibile della dichiarazione, utilizzando tre differenti metodi di accertamento: l’analitico-contabile, l’induttivo-extracontabile e l’analitico-induttivo, altrimenti detto misto.2

L’accertamento analitico-contabile dei redditi d’impresa, a norma dell’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973, è effettuato determinando o rettificando singole componenti del reddito. La determinazione o la rettifica può avere luogo anche mediante l’utilizzo di presunzioni gravi precise e concordanti.3 Tale metodo di accertamento implica che la contabilità sia, nel complesso, attendibile.4

L’accertamento induttivo-extracontabile del reddito d’impresa, invece, è volto a ricostruire il reddito induttivamente, prescindendo dalle scritture contabili e servendosi di dati ed elementi comunque raccolti. Le presunzioni a cui può farsi ricorso in tale metodo di accertamento non necessitano dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, potendo essere utilmente impiegate le c.d. presunzioni semplicissime. L’accertamento induttivo può essere azionato solamente quando la contabilità risulti completamente inattendibile o si verifichino altre circostanze tassativamente indicate dall’art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973.5

Infine, l’accertamento analitico-induttivo, disciplinato dall’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, prevede che la determinazione del reddito continui ad essere effettuata sulla base delle risultanze contabili, ma con una ricostruzione induttiva di singoli elementi attivi o passivi. È dunque sulla base delle risultanze contabili che si procede all’accertamento, senza disconoscerne l’integrale contenuto, ma solamente per rettificare talune voci che il soggetto ha erroneamente indicato o ha omesso. Il metodo misto può essere legittimamente impiegato dall’Ufficio allorquando l'incompletezza, la falsità o l'inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulti dall'ispezione delle scritture contabili e da altre verifiche ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio. La norma stabilisce che per tale specie di accertamento si possa fare ricorso alle presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Con l’introduzione dell’art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993, convertito con L. n. 427/1993, l’àmbito di applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 è stato ampliato. È stato infatti stabilito che gli accertamenti analitico-induttivi possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore. Quest’ultima introduzione normativa permette di disattendere le risultanze delle scritture contabili, anche se correttamente istituite, tenute e conservate, in presenza di gravi incongruenze tra i dati esposti dal contribuente e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’impresa, nonché dagli studi di settore.6


2. Impiego di manodopera irregolare. Gli illeciti in materia di lavoro che legittimano il ricorso all’accertamento analitico-induttivo

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale è legittimo l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dall’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973, anche in presenza di una presunzione semplice, purché grave e precisa,7 come quella costituita dall’impiego di lavoratori irregolari.8 Gli elementi assunti quale fonte di presunzione non devono quindi essere necessariamente plurimi, potendo essere unico. Tale elemento, tuttavia, deve necessariamente essere grave e preciso e la valutazione della sua rilevanza, nell’àmbito del processo logico applicato in concreto, deve risultare adeguata e non contraddittoria.9 In ordine al requisito della gravità, in particolare, occorre assumere che questa debba essere caratterizzata da un elevato grado di attendibilità, sufficiente a desumere dal fatto noto l’esistenza del fatto ignoto con un grado di probabilità superiore a quello che spetta all’opposta tesi della sua inesistenza.10

Occorre preliminarmente chiarire che l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa fondato sull’impiego di lavoratori irregolari è legittimo quando tale impiego determini il sostenimento di un costo occulto per la retribuzione della manodopera irregolarmente impiegata nel ciclo produttivo dell’impresa commerciale.11 Di contro, sono irrilevanti le violazioni non connotate da dette peculiarità, del tutto inconferenti rispetto alle caratteristiche ed alle condizioni di esercizio dell’impresa, che, in sostanza, non incidono sulla capacità produttiva aziendale.12

Le condotte illecite a cui si fa riferimento, nello specifico, devono essere idonee a sottrarre dalla contabilità l’intero costo del lavoro o una parte dello stesso, mirando, cioè, ad occultare la spesa relativa alla manodopera retribuita in tutto o in parte con compensi che non trovano riscontro nei libri dell’impresa.

Due, quindi, le violazioni che sembrano potere legittimare l’accertamento analitico-induttivo. La prima è l’impiego di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro (c.d. lavoratori “in nero”), punita con maxi-sanzione dall’art. 3 del D.L. n. 12/2002, convertito con L. n. 73/2002.13 La seconda è costituita dalle omesse ed infedeli registrazioni sul Libro Unico del Lavoro di dati relativi alle prestazioni lavorative che hanno determinato differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali, con scritturazioni diverse rispetto alla quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa, punita dall’art. 39, comma 7, del D.L. n. 112/2008, convertito con L. n. 133/2008.14

Con specifico riferimento all’impiego di manodopera irregolare, è opportuno fornire un’ulteriore precisazione. È certamente vero che questa possa disvelare la sussistenza di una maggiore redditività dell’impresa commerciale rispetto a quanto dichiarato, ma è altrettanto vero che le violazioni in materia di lavoro dalle quali prendere le mosse per addivenire alla rettifica dell’imponibile, che costituiscono il fatto noto, devono essere caratterizzate da una sufficiente gravità. Difatti, la rilevanza degli illeciti in materia di lavoro, in termini tanto quantitativi quanto qualitativi, deve essere tale da permettere di inferire l’effettiva sussistenza di materia imponibile sottratta a tassazione, non potendosi ritenere sufficienti le violazioni isolate, occasionali o del tutto irrilevanti per la breve estensione temporale.15


3. Determinazione del costo sostenuto dall’impresa per l’impiego di lavoratori irregolari

Accertato l’impiego di manodopera irregolare, sembra corretto presumere – alla luce del costante orientamento giurisprudenza di legittimità16 – una maggiore redditività dell’impresa. L’effettiva sussistenza di costi che non trovano riscontro nella contabilità, costituisce, infatti, il sintomo che l’impresa goda di una maggiore redditività rispetto a quella dichiarata, fermo restando che quantomeno la retribuzione corrisposta ai lavoratori irregolari deve intendersi il provento di un’attività evasiva. Da ciò la logica presunzione dell’esistenza di ricavi non contabilizzati.

Il fatto dal quale muovere per la rideterminazione dell’imponibile è dunque il costo della manodopera irregolare. Tuttavia, e questo è un punto nodale, non è sempre agevole procedere all’esatta determinazione del costo di detta manodopera.17

Gli scenari, in concreto, possono sinteticamente ridursi a tre. Una prima ipotesi è che l’Ufficio che ha proceduto ad accertare l’irregolare impiego di manodopera sia pure riuscito ad appurare le mansioni, il periodo di impiego e l’effettiva retribuzione corrisposta. Una seconda ipotesi è che l’accertamento dell’impiego irregolare di manodopera si sia limitato ad individuare le mansioni ed il periodo di lavoro ma non la retribuzione effettivamente corrisposta. Infine, come ultima ipotesi, che l’Ufficio sia riuscito ad acclarare il periodo di lavoro, senza però riuscire ad accertare le mansioni svolte dai lavoratori e la retribuzione a questi corrisposta.

In presenza di un compendio completo – piena cognizione di mansioni, periodo di impiego ed effettiva retribuzione corrisposta – il dato da cui muovere per la rettifica del reddito non può che essere costituito dal costo effettivo per le retribuzioni.18 In tale circostanza, essendo determinato, il costo può essere commisurato agli emolumenti in effetti corrisposti ai lavoratori irregolari in costanza del rapporto.

Di contro, in mancanza di alcuni elementi, il costo per retribuzioni non può che essere desunto.

Nel secondo caso formulato risulta assente l’effettivo esborso per la manodopera irregolare, ma sono invece appurate le mansioni svolte ed il periodo delle prestazioni lavorative. In siffatta circostanza pare corretto ipotizzare che il costo della retribuzione sia commisurato a quello stabilito dal CCNL applicato dall’impresa per tutto il periodo del rapporto irregolare. In tale caso, dunque, il costo è pari alla retribuzione che il datore avrebbe dovuto corrispondere al lavoratore in presenza di un regolare rapporto di lavoro subordinato.

La mancanza di informazioni in ordine alla retribuzione effettivamente corrisposta e alle mansioni svolte dai lavoratori nell’impresa – la terza ipotesi formulata – rappresenta un caso limite, sebbene non infrequente. In tale situazione le soluzioni più adeguate a determinare il costo della manodopera impiegata irregolarmente sono due. In presenza di un complesso aziendale in cui è impiegata regolarmente una pluralità di dipendenti, può individuarsi la categoria più numerosa e ipotizzare che all’inquadramento di quest’ultima corrisponda anche quello dei lavoratori irregolari di cui si ignorano mansioni e retribuzione. Più corretto sembra, tuttavia, una seconda strada: considerare come base di calcolo il valore del minimale di retribuzione giornaliera, calcolato ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.L. n. 463/1983, convertito dalla L. n. 638/1983, e annualmente determinato dall’INPS.19 Tale scelta, in mancanza di altri elementi che consentano di stabilire la retribuzione realmente corrisposta ai lavoratori, sembra la più equilibrata, poiché, da una parte, fornisce un dato certo e normativamente fissato ai verificatori e, dall’altra, non espone il contribuente alle conseguenze di una possibile sovrastima del costo.

Acclarato l’impiego di manodopera irregolare e determinato il relativo costo, occorre adesso definire come operi la presunzione di maggiore redditività dell’impresa.

4. Principio logico-giuridico di maggiore redditività per impiego di manodopera irregolare. Tecniche di determinazione dei ricavi non dichiarati

È stato chiarito come l’irregolare impiego di manodopera legittimi l’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa sull’assunto che dall’esistenza di un costo non contabilizzato è conseguenza logico-giuridica desumere anche maggiori ricavi non dichiarati.20 In altri termini, costituisce principio assodato che l’utilizzo di lavoratori irregolari rappresenti un fatto noto da cui desumere una maggiore redditività dell'impresa e non semplicemente maggiori costi per retribuzioni.21

Fermo restando, dunque, che i costi per le retribuzioni in nero debbano essere riconosciuti all’impresa che effettivamente li abbia sostenuti, è ora necessario chiarire i criteri per determinare i maggiori ricavi.

La possibilità per l’impresa di remunerare “in nero” la manodopera irregolare attesta, infatti, la capacità di questa di generare, altrettanto “in nero”, un ammontare di ricavi pari almeno al fabbisogno per il costo non appostato nelle scritture contabili. Ma non solamente. Per l’impresa la spesa per personale è finalizzata ad essere remunerata in termini di conseguimento dei ricavi, non alla pari ma con un coefficiente esponenziale, poiché, diversamente, il mantenimento di una base occupazionale non avrebbe la minima ragione per essere sostenuta nell’àmbito di una gestione connotata da economicità.22

Muovendo da tale assunto, e considerata la correlazione esistente tra i fattori produttivi e la redditività nell’esercizio di un’attività economica, è possibile addivenire a ricostruzioni indirette della base imponibile attraverso elaborazioni riferite agli stessi fattori e al riscontro della loro concreta incidenza sull’entità dell’attività economica.

Sul punto assume precipuo rilievo la determinazione dell’apporto di ciascun dipendente regolarmente assunto in termini di ricavi. L’indice di produttività per addetto, tratto dal rapporto tra ricavi e numero di addetti, permette di determinare la capacità produttiva media per lavoratore. Tale valore, perciò, potrebbe essere utilmente applicato per definire la produttività, in termini di ricavi, anche dei lavoratori irregolari. Infatti, applicando il valore dell’indice degli addetti regolari anche ai lavoratori irregolari è possibile determinare i maggiori ricavi dell’impresa.23

Un metodo utilizzabile è dunque costituito dalla possibilità di procedere alla determinazione dei maggiori ricavi dell’impresa calcolando il valore dell’indice di produttività per addetto, che può poi essere moltiplicato per il numero di lavoratori irregolari, al periodo di impiego o al maggiore numero di ore che non trovano riscontro contabile.

L’indice di produttività per addetto, valore tendenziale e da valutare in concreto rispetto alle peculiarità dell’impresa, può quindi rappresentare uno strumento efficace, sebbene passibile di sindacato in contraddittorio col contribuente. In sintesi, l’indice di produttività per addetto, riconosciuti i costi per la retribuzione dei lavoratori irregolari, appare uno strumento dotato di sufficiente capacità persuasiva e attendibilità per la determinazione dei maggiori ricavi dell’impresa.

Alternativamente, facendo buon governo dei principi enunciati dalla Corte di cassazione, è possibile impiegare una proporzione matematica che consente di addivenire ad un risultato che rispecchia l’assunto logico-giudico che ai costi non contabilizzati devono corrispondere proporzionali ricavi non dichiarati. L’assunto non si fonda tanto sulla convinzione che l’impiego irregolare di dipendenti sia la causa dei maggiori introiti, quanto, piuttosto, che ne sia l’effetto: se ad un certo costo dichiarato per i dipendenti corrispondono determinati ricavi dichiarati, allora al costo complessivo dei dipendenti, compresi quelli irregolari, devono corrispondere ricavi proporzionali (questi ultimi sono l’incognita dell’equazione).24 La soluzione dell’equazione consente di individuare l’incognita (i maggiori ricavi accertati).

È tuttavia opportuno, se non finanche imprescindibile, che il valore risultante dalla proporzione appena illustrata venga vagliato alla luce di altri elementi, tenendo in debito conto le peculiarità del ciclo produttivo, delle caratteristiche delle lavorazioni e quant’altro possa in concreto risultare utile a giungere ad una determinazione quanto più rispondente alla realtà imprenditoriale, evitando meccaniche applicazioni matematiche. In tali ipotesi, inoltre, sembra anche opportuna la possibilità di instaurare un contraddittorio col contribuente.


5. Conclusioni

Qualora nel corso dell’attività istruttoria25 emerga la presenza di gravi violazioni in materia giuslavoristica che determinano l’occultamento di costi per impiego irregolare di manodopera è possibile procedere alla rettifica del reddito d’impresa mediante l’accertamento analitico-induttivo. Determinato dunque il costo non contabilizzato, che in ogni caso va riconosciuto perché inerente,26 certo e preciso nel suo ammontare, anche se non previamente iscritto a conto economico,27 è possibile inferire l’esistenza di maggiori ricavi.

La conseguenza logico-giuridica su cui si fonda l’assioma della maggiore redditività dell’impresa – si è osservato – è rappresentata dall’evidenza che l’effetto dei maggiori introiti sia l’impiego di lavoratori dipendenti irregolari. Qualora ciò non fosse vero, infatti, non si spiegherebbe con quali risorse l’impresa potrebbe remunerare tale manodopera non risultante dalla contabilità.

Per dare forza alla proposizione che a costi non contabilizzati corrisponde un coefficiente di redditività esponenziale è tuttavia necessario che la presunzione giuridica si fondi su un fatto presupposto, l’impiego di manodopera irregolare, connotato da gravità, cioè che la violazione – tenuto conto delle dimensioni dell’impresa, del ciclo produttivo e delle peculiarità della realtà imprenditoriale – non risulti isolata, occasionale o del tutto irrilevante e sia perciò adeguata a sostenere la deduzione logica di maggiori ricavi non dichiarati.

In presenza di tutti gli elementi testé illustrati, facendo cioè buon governo dei principi elaborati dalla Corte di Cassazione, in definitiva, risulta legittimo determinare i maggiori ricavi utilizzando la tecnica più confacente al caso concreto, fermo restando l’apprezzamento delle caratteristiche proprie del complesso aziendale e della necessità di addivenire ad un risultato quanto più prossimo alla realtà.

1 Cfr. P. Boria, La dichiarazione tributaria, in A. Fantozzi (a cura di), Diritto tributario, Milano, 2012, pp. 571 e ss.

2 Sull’argomento S. Capolupo, Manuale dell’accertamento delle imposte, Milano, 2015, pp. 1382 e ss.; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2020, pp. 451 e ss.; C. Pino, Le scritture contabili e il controllo del reddito d’impresa, Milano, 2012, pp. 167 e ss.; L.A.M. Rossi, Avviso di accertamento, in S. Loconte (a cura di), Manuale di diritto tributario, Milano, 2020, pp. 263 e ss.; N. Sartori, Accertamento sintetico del reddito, in S. Bellomo - M. Cian - G. I Ferri - D. U. Santosuosso - F. Tesauro (a cura di), Digesto delle Discipline Privatistiche. Sezione Commerciale. Aggiornamento, Vol. 8, 2017, p. 15; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2020, pp. 225 e ss.; G. Tinelli, Istituzioni di diritto tributario. I principi generali, Milano, 2020, pp. 316 e ss.

3 Sul punto A. Comelli, Poteri e atti nell’imposizione tributaria, Milano, 2012, pp. 291 e ss.; A. Marcheselli - R. Dominici, Giustizia tributaria e diritti fondamentali, Torino, 2016, p. 223; B. Santamaria, Accertamenti fiscali e sistema sanzionatorio, Milano, 2019, p. 127.

4 L’art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973 contempla tre ipotesi di rettifica: la prima nel caso in cui si riscontri la violazione di una norma in materia di reddito d’impresa che può comportare variazioni in aumento del reddito fiscale rispetto all’utile civilistico; la seconda quando non vi sia corrispondenza tra bilancio d’esercizio e dichiarazione; la terza ipotesi, infine, la rettifica può avere luogo qualora siano rinvenute prove documentali da cui risulti che il contribuente abbia sottratto a tassazione materia imponibile.

5 A sensi dell’art. 39, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, è possibile procedere alla ricostruzione induttiva-extracontabile del reddito d’impresa «a) quando il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione; […]; c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell'art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall'art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; d) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi della lettera d) del primo comma dell'art. 14 del presente decreto; d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici […]; d-ter) in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione».

6 Secondo G. Falsitta, Corso istituzionale di diritto tributario, Milano, 2016, p. 229, con l’innesto previsto dall’art. 62-sexies del D.L. n. 331/1993, convertito con L. n. 427/1993, l’accertamento analitico-induttivo viene trasformato in metodo induttivo globale, pur nell’assenza degli specifici e più gravi presupposti che giustificano quest’ultimo.

7 Mentre i requisiti della gravità e della precisione del ragionamento presuntivo sono imprescindibili, l’ulteriore requisito della concordanza riguarda l’ipotesi in cui sussistano differenti elementi presuntivi che alimentano l’accertamento; in tale caso questi elementi devono concordare ed indirizzarsi in un’unica direzione, per poter fornire all’accertamento medesimo il necessario grado di attendibilità. Così C. Pino, Le scritture contabili e il controllo del reddito d’impresa, cit., p. 206.

8 La Cass., Sez. trib., con l’ord. 26 novembre 2019, n. 30792, ha stabilito che la presenza di lavoratori in nero, desunta dalla sottoscrizione di plurime bolle di consegna da parte di soggetti non risultanti dai libri obbligatori e dalla mancata congruità del personale dichiarato rispetto alle prestazioni fatturate dall’impresa, costituisca una presunzione grave e precisa che legittima il ricorso all’accertamento analitico-induttivo per acclarare maggiori ricavi non dichiarati. Cfr. anche Cass., Sez. trib., 29 marzo 2017, n. 8032.

9 Cfr. Cass., Sez. trib., ord., 12 gennaio 2018, n. 641, e Cass., Sez. trib., 9 settembre 2016, n. 17810. In argomento, A. Borgoglio, I lavoratori in nero desunti dalla sottoscrizione delle bolle di consegna legittimano l’accertamento, in Il Fisco, 2020, p. 180, che precisa come l’Amministrazione finanziaria possa procedere all’accertamento analitico-induttivo anche quando i risultati degli studi di settore non evidenzino discrepanza rispetto al dichiarato, dal momento che l’accertamento ex art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600/1973 può basarsi anche su una presunzione semplice.

10 Così A. Russo, La marginalità del lavoro nero frena l’accertamento induttivo, in Il Fisco, 2017, p. 1078. La Cass., Sez. trib., 31 gennaio 2017, n. 2466, chiarisce che la presenza di lavoratori in nero può certamente legittimare un accertamento induttivo, ma che lo stesso deve precisare gli elementi fattuali e l'iter logico che hanno condotto a ritenere la violazione contestata dotata di quei caratteri di gravità e sufficienza tali da far ritenere l'intera contabilità complessivamente ed essenzialmente inattendibile e giustificare l'accertamento induttivo. Nella fattispecie, infatti, l’esistenza di prestazioni lavorative, senza la preventiva registrazione, aveva coinvolto esclusivamente due lavoratori (su un totale di 49 dipendenti) e per un periodo di pochi mesi, con una pronta regolarizzazione (ed assunzione dei lavoratori) in epoca anteriore all'ispezione, per una somma totale di retribuzioni erogate pari a euro 6.644, in termini marginali rispetto alla complessiva attività svolta.

11 Sul punto cfr. la Cass., Sez. trib., 3 febbraio 2011, n. 2593.

12 Come nel caso della violazione costituita dalla mancata consegna del prospetto di paga all’atto del pagamento degli emolumenti, sanzionata dall’art. art. 5, comma 1, della L. n. 4/1953.

13 Le sanzioni previste dall’art. 3 del D.L. n. 12/2002, conv. con L. 73/2002, sono state aumentate del 20% per effetto dell’art. 1, comma 445, della L. n. 145/2018 (legge di bilancio). Sul punto cfr. la Circ. Ispettorato Nazionale del Lavoro n. 2/2019 del 14 ottobre 2019.

14 La norma precisa che «…la nozione di omessa registrazione si riferisce alle scritture complessivamente omesse e non a ciascun singolo dato di cui manchi la registrazione e la nozione di infedele registrazione si riferisce alle scritturazioni dei dati […] diverse rispetto alla qualità o quantità della prestazione lavorativa effettivamente resa o alle somme effettivamente erogate».

15 L’occasionale utilizzo irregolare di manodopera, per un arco di tempo limitato, in un complesso aziendale ove è impiegato un elevato numero di dipendenti regolarmente assunti e retribuiti, non sembra, in concreto, sufficientemente grave da consentire di presumere la sussistenza di maggiore redditività dell’impresa commerciale, passibile delle sole sanzioni per le violazioni in materia di lavoro. Sul punto è da condividere l’orientamento interpretativo impresso dalla Cass., Sez. trib., 31 gennaio 2017, n. 2466.

16 Cfr. Cass., Sez. trib., ord., 8 luglio 2020, n. 14291, che chiarisce come «l’utilizzo di lavoratori irregolari costituisce un fatto noto da cui desumere una maggiore redditività dell'impresa e non semplicemente maggiori costi per retribuzioni».

17 Sulla nozione di costo nel diritto tributario cfr. A. Giovannini, «Costo» e «inerenza» nel diritto tributario, in Rass. trib., 2017, pp. 929 e ss.; id., Il diritto tributario per princìpi, Milano, 2014, p. 265; id., Principi costituzionali e nozione di costo nelle imposte sui redditi, in Rass. trib., 2011, pp. 612 e ss. Sul concetto di costo aziendalistico cfr. R. D’Alessio, I costi: concetti, analisi, classificazioni, raggruppamenti, in V. Antonelli - R. D’Alessio (a cura di), Tecniche di analisi dei costi. Metodi, casi, applicazioni pratiche, Milano, 2005, pp. 19 e ss.; D.M. Salvioni, Le misure economiche nei processi di governo d’impresa, in D. M. Salvioni (a cura di), Introduzione all’analisi dei costi, Torino, 2002, p. 22; G. Zappa, Il reddito d'impresa. Scritture doppie, conti e bilanci di aziende commerciali, Milano, 1937, pp. 169 e ss.

18 In tale ipotesi, sebbene il CCNL applicato dall’impresa possa prevedere per le mansioni svolte dai lavoratori irregolari una determinata retribuzione, è possibile che il datore di lavoro ne corrisponda una inferiore (e non adeguata alle prestazioni). Ciononostante, al di là delle irregolarità giuslavoristiche, il costo effettivamente sostenuto dall’impresa è costituito dalla retribuzione realmente corrisposta e non da quella che avrebbe dovuto corrispondere in costanza di un rapporto di lavoro regolare.

19 Cfr. Circ. INPS n. 9/2020 del 29 gennaio 2020, recante “Determinazione per l'anno 2020 del limite minimo di retribuzione giornaliera ed aggiornamento degli altri valori per il calcolo di tutte le contribuzioni dovute in materia di previdenza ed assistenza sociale per la generalità dei lavoratori dipendenti”, che fissa il minimale giornaliero del 2020 per la generalità dei lavoratori in euro 48,98.

20 Secondo E. Catena, Il ritrovamento di lavoratori non regolari quale presupposto dell’accertamento e la sufficienza presuntiva delle anomalie nelle percentuali di resa, in Riv. giur. trib., 2008, pp. 352 e ss., la presunzione di maggiori ricavi può avvenire entro i limiti dei costi per manodopera irregolare accertati, con la conseguenza che il risultato accertativo netto deve essere pari a zero. Sul punto cfr. Comm. trib. prov. Padova, Sez. II, sent., 21 dicembre 2007, n. 126. Tale orientamento, attualmente minoritario, non sembra tuttavia condivisibile, atteso che è priva di fondamento economico l’asserzione secondo cui i ricavi dell’impresa coincidono con i costi per manodopera.

21 Sul punto cfr. Cass., Sez. trib., 7 dicembre 2016, n. 25125.

22 Così C. Nocera, Per la Cassazione la presenza di un lavoratore “in nero” legittima la ricostruzione induttiva, in Il Fisco, 2011, p. 1084.

23 Cfr. Circ. Guardia di Finanza n. 1/2018, in cui è esplicata la formula dell’indice di produttività per addetto: ricavi al netto dell’IVA / numero di addetti.

24 La Cass., Sez. trib., ord., 19 luglio 2017, n. 17833, include la seguente equazione: «costi dei dipendenti dichiarati: ricavi dichiarati = costo complessivo dei dipendenti (anche irregolari): X (maggiori ricavi accertati)». Se, ad esempio, si assume che i costi dichiarati dall’impresa sono pari ad euro 50.0000 e i ricavi ad euro 100.000 e si accerta un maggiore costo per dipendenti irregolari di euro 20.000, può addivenirsi alla seguente proporzione: 50.000: 100.000 = 70.000: 140.000 (X). I maggiori ricavi dell’impresa sarebbero dunque di euro 40.000 (maggiori ricavi accertati – ricavi dichiarati).

25 Sull’attività istruttoria cfr. M. Camerino, Verifiche fiscali: diritti e garanzie del contribuente, in Il Fisco, 2009, pp. 2033 e ss.; S. Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie, Milano, 2016, pp. 95 e ss.; A. Viotto, Il “diritto al rispetto della vita privata e familiare” nell’ambito delle indagini tributarie, nel quadro della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Riv. trim. dir. trib., 2020, pp. 153 e ss.; id., I poteri d'indagine dell'Amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002, pp. 177 e ss.

26 Sul principio di inerenza nel reddito d’impresa cfr. A. Fantozzi - F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Milano, 2019, pp. 170 e ss.; G. Melis, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2017, p. 585; O. Nocerino, Il principio di inerenza nel reddito d'impresa. Dalla teoria generale al diritto positivo, cit., p. 17; G. Tedeschi, Dal reddito d’esercizio al reddito fiscale, in A. Palma (a cura di), Il bilancio di esercizio. Profili aziendali, giuridici e principi contabili, Milano, 2016, p. 705; A. Vicini Ronchetti, La clausola dell’inerenza nel reddito d’impresa, Milano, 2016, pp. 70 e ss.; A. Vignoli, La determinazione differenziale della ricchezza ai fini tributari, Roma, 2013, p. 35; G. Zizzo, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in G. Falsitta (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale: il sistema delle imposte in Italia, Milano, 2016, pp. 462 e ss.

27 La Cass., Sez. trib., ord.,16 gennaio 2019, n. 899, chiarisce che «la deduzione dei costi dal reddito, a norma dell'art. 109 t.u.i.r., è consentita solo se essi risultino da elementi certi e precisi…».