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  • L’elemento di discrimine nelle figure del legittimo risparmio d’imposta e dell’abuso (tra diritto positivo, prassi amministrativa e giurisprudenza di legittimità recenti)

L’elemento di discrimine nelle figure del legittimo risparmio d’imposta e dell’abuso (tra diritto positivo, prassi amministrativa e giurisprudenza di legittimità recenti)

Scritto da Giovanni Consolo • giu 2022

Sintesi

Se la linea di demarcazione tra abuso e lecito risparmio d’imposta sembra in fase di assestamento nella prassi amministrativa, non altrettanto può dirsi con riguardo alla più recente giurisprudenza di legittimità. Si segnala, in particolare, il caso oggetto della pronuncia di cassazione n. 35398 del 19 novembre 2021, relativo a una fattispecie “eclatante” – se non scolastica – di lecito risparmio d’imposta, rispetto alla quale, tuttavia, la Suprema Corte ha reiterato la tesi, dogmaticamente errata, secondo cui ogni risparmio fiscale è indebito se non assistito da valide ragioni extrafiscali non marginali.

Abstract

The dividing line between abuse of law and lawful tax saving is starting to be settled in administrative practice; however, the same conclusion cannot be drawn with respect to the most recent case-law of the Italian Supreme Court. The article, specifically, analysis the recent judgment No. 35398 of 19 November 2021, relating to a “striking” case of lawful tax saving, with respect to which, however, the Supreme Court reiterated the assumption that all tax savings are undue if not assisted by valid economic reasons.

Contenuto

1. Il legittimo risparmio di imposta quale figura codificata nell'art. 10-bis, ma immanente al sistema, che ruota intorno all'assenza di un "indebito".

Il mio intervento è incentrato – come da programma – sui confini tra abuso del diritto e legittimo risparmio di imposta, figura, questa, che – con l’introduzione dell’art. 10-bis nello Statuto del contribuente – ha trovato, per la prima volta, una definizione espressa nel relativo comma 4.

Questa disposizione – secondo cui “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale” – palesa due cose: la prima, risultante dall’incipit, è che la figura del legittimo risparmio di imposta è immanente al sistema e non aveva bisogno neanche di essere positivizzata; la seconda, emergente dall’enunciato, è che elemento costitutivo dell’abuso non è il risparmio d’imposta (perché, appunto, vi può essere un risparmio di imposta “legittimo”), ma il suo carattere “indebito”, ossia in contrasto con le finalità delle norme fiscali o dei principi dell’ordinamento tributario (per approfondimenti su questo profilo, v., da ultimo, G. Zizzo, La clausola generale antiabuso, Pisa, 2022, 163 ss.)

E’, dunque, la sussistenza o meno dell’indebito a segnare il confine tra le figure dell’abuso, censurabile, e del lecito risparmio d’imposta, non censurabile [v., in una prospettiva evolutiva, S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992; S. Fiorentino, L’elusione tributaria, Napoli, 1996, 25 ss.; A. Contrino, Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996, 18 ss.; L. Carpentieri, L’abuso del diritto e la sua rinnovata rilevanza “trasversale”, in L. Carpentieri (a cura di), L’abuso del diritto. Evoluzione del principio e contesto normativo, Torino, 2018, 18 ss.].


2. La tesi dogmaticamente errata, sia in vigenza dell'art. 37-bis sia in costanza dell'art. 10-bis, di considerare "indebito" ogni risparmio fiscale non assistito da valide ragioni extratributarie.

Ancorché non necessaria, la positiva definizione della figura del legittimo risparmio di imposta, con individuazione del confine con l’abuso nel carattere indebito del vantaggio fiscale, è stata da subito accolta con favore dalla dottrina, ritenendosi che la chiara e inequivocabile definizione potesse contribuire a porre fine alle incertezze manifestatesi in sede di applicazione sia della clausola semi-generale di cui all’art. 37-bis, sia del “divieto abuso” di origine giurisprudenziale, ove era invalsa la prassi dogmaticamente errata, ma fatta propria anche della Corte di Cassazione, secondo cui “ogni risparmio fiscale era indebito se non assistito da valide ragioni extrafiscali non marginali” [per una critica a tale prassi giurisprudenziale, e prima ancora amministrativa, C. Buccico, Brevi osservazioni sull’abuso del diritto o elusione fiscale, in Innovazione e diritto, 2015, 51; A. Contrino - A. Marcheselli, Art. 10-bis, legge n. 212/2000, in C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino (a cura di), Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, 3 – 64].

Nel contesto dell’art. 10-bis le “valide ragioni extrafiscali” non sono, in realtà, un elemento costitutivo della fattispecie legale di abuso, ma operano come “controlimite” di garanzia che inibisce l’operatività del divieto laddove un’operazione consenta (i) il raggiungimento di un vantaggio fiscale indebito e (ii) risulti priva di sostanza economica, elementi, questi due, che sono gli unici a essere elementi costitutivi della fattispecie legale dell’abuso.

In altri termini (come sostiene anche G. Zizzo, La clausola generale antiabuso, Pisa, 2022, 86, in contrapposizione alla tesi di A. Contrino - A. Marcheselli, op. cit., 3 – 64, secondo cui nella nuova clausola sarebbero elemento costitutivo della fattispecie di abuso), le valide ragioni extrafiscali, nel contesto dell’art. 10-bis, operano come mero “fatto impeditivo” dell’abuso, ossia come una sorta di “scriminante fiscale” idonea a legittimare nel nostro ordinamento operazioni che sarebbero altrimenti patologiche, elusive e, per ciò, in principio censurabili (questa tesi era stata sostenuta in passato con riguardo alle valide ragioni economiche nel contesto dell’art. 37-bis, tra gli altri, da: R. Lupi, Elusione e legittimo risparmio d’imposta nella nuova normativa, in Rass. trib., 1997, 1100; P. Russo, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in Rass. trib., 1999, 75; contra G. Zizzo, op. cit., 86, secondo cui, nell’assetto dell’art. 37-bis, le valide ragioni economiche sarebbero state invece elemento costitutivo della fattispecie legale di elusione).


3. Le recenti "aperture" della prassi amministrativa verso una corretta delimitazione dei confini tra lecito risparmio d'imposta e abuso del diritto.

La linea di demarcazione tra operazioni abusive (ossia che integrano gli elementi costitutivi dell’abuso e che possono essere legittimate solo in presenza di valide ragioni extrafiscali) e operazioni che abusive non sono, perché consentono la realizzazione di un risparmio d’imposta “lecito” e – in quanto tale – non abbisognevole di valide ragioni economiche extrafiscali, sembra in fase di assestamento nella prassi dell’Agenzia delle Entrate.

In tale senso si segnala un orientamento – palesatosi in occasione dell’estromissione agevolata dei beni d’impresa (art. 1, commi 115-120, L. n. 208/2015) – secondo cui l’accesso a un regime fiscale di favore, derogatorio di quello ordinario, è lecito a prescindere dalla dimostrazione di valide ragione extrafiscali e anche laddove il contribuente ponga in essere operazioni specificamente preordinate a usufruire del regime di vantaggio o, comunque, a rimuovere eventuali ostacoli alla sua fruizione (cfr. Ris. Ag. Entr. 17 ottobre 2016, n. 93/E e Ris. Ag. Entr. 3 novembre 2016, n. 101/E e Circ. Ag. Entr. 1 giugno 2016, n. 26/E).

Sotto altro e diverso profilo, si registrano poi alcune aperture dell’Agenzia alla possibilità di passare da una forma societaria ad un’altra anche laddove il passaggio sia volto ad ottenere un vantaggio fiscale non conseguibile in base alla forma societaria originariamente assunta (cfr. Ag. Entr., risposta a interpello, 28 novembre 2019, n. 503; in senso contrario cfr. Ag. Entr., risposta a interpello, 11 giugno 2019, n. 185, nonché la più risalente posizione, avallata anche da taluna giurisprudenza, espressa in Ris. Ag. Entr. 28 aprile 2008, n. 177/E, secondo cui sarebbe elusivo il passaggio da una s.p.a. ad una s.r.l. per fruire del regime agevoltato delle società agricole: per una serrata critica a questo orientamento, D. Stevanato, Trasformazione in srl agricola ed elusione tributaria: è davvero aggirato lo spirito della legge? , in Corr. trib., 2008, 1720 ss. e M. Beghin, L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013, 271 ss).

In effetti, in tutti i casi considerati si tratta di vantaggi fiscali preventivati e voluti dallo stesso legislatore fiscale, che ne ha vagliato “a monte” l’opportunità e la meritevolezza, incentivando addirittura le relative condotte.


4. Le "vischiosità" nella giurisprudenza di legittimità recente: il caso, scolastico, oggetto della pronuncia Cass., sez. trib., 19 novembre 2021, n. 35398.

Se la linea di demarcazione tra abuso e lecito risparmio d’imposta sembra in fase di assestamento nella prassi amministrativa, non altrettanto può dirsi con riguardo alla più recente giurisprudenza di legittimità.

Si porta l’esempio di un caso eclatante, se non scolastico, di lecito risparmio di imposta – quello oggetto della pronuncia di cassazione n. 35398 del 19 novembre 2021 – rispetto al quale la Suprema Corte sembra continuare la reiterazione dell’assunto, errato prima e ancora di più oggi nel contesto dell’art. 10-bis, secondo cui “ogni risparmio fiscale è indebito se non assistito da valide ragioni extrafiscali non marginali”.

Il caso riguardava un riorganizzazione societaria conclusasi con una fusione per incorporazione di alcune società di persone in una società di capitali.

L’Agenzia delle Entrate aveva giudicato elusiva l’operazione, ai sensi del previgente art. 37-bis, assumendo che l’operazione di fusione, neutrale ai fini fiscali, fosse stata realizzata realizzata al solo scopo di evitare la tassazione delle plusvalenze che sarebbero emerse se le società di persone, anziché fuse per incorporazione, fossero state liquidate. Tesi, questa, accolta poi dalla Commissione Tributaria Provinciale e dalla Commissione Tributaria Regionale.

Questo – come anticipato – è un caso eclatante e scolastico di lecito risparmio d’imposta, rispetto al quale non è necessario valutare l’esistenza o meno di valide ragioni extrafiscali per ritenere l’operazione non censurabile (cfr. A. Contrino, La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir prat. Trib., 2016, 1424).

Non sembrano, infatti, esservi dubbi sul fatto che la mancata tassazione delle plusvalenze latenti sui beni d’impresa delle società incorporate, quale effetto della neutralità fiscale della fusione, non costituisca un “aggiramento” delle regole di tassazione delle plusvalenze di impresa (che sono le regole ritenute “aggirate” nel caso di specie).

E infatti, per un verso, la fusione non determina né una “cessione a titolo oneroso”, né una “assegnazione ai soci”, né la destinazione “a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” dei beni dell’incorporata, in quanto la fusione non è accompagnata da una fase di “liquidazione” della società incorporata che – in tesi – si estingue. Per altro verso, il fatto che i beni d’impresa “transitino” in capo all’incorporante mantenendo inalterato il valore fiscale che avevano nella società incorporata non determina alcun “salto d’imposta”, ma solo un mero “rinvio” della relativa tassazione (in capo all’incorporante) in un momento successivo e, segnatamente, in quello in cui si realizzerà una delle descritte ipotesi cui l’art. 86 t.u.i.r. ricollega il realizzo di plusvalenze).

E non sembrano esservi dubbi neanche sul fatto che, nel nostro ordinamento, non esista alcun obbligo di procedere, in luogo della fusione per incorporazione, alla liquidazione delle società.

Del resto, se un siffatto obbligo esistesse, le operazioni di fusione sarebbero giocoforza (sempre) elusive/abusivo, visto che l’effetto tipico della fusione è proprio quello di ricondurre sotto un unico «tetto» le compagini sociali e i patrimoni di due o più società ancora in funzionamento, senza il previo smembramento di alcuna di queste ultime (cfr., per tutti, R. Lupi, Profili tributari della fusione tra società, 1989, e G. Zizzo, Le riorganizzazioni societarie nelle imposte sui redditi, Milano, 1996).

Non è, per ciò, un caso che nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 158/2015 (che – come noto – ha introdotto l’art. 10-bis) lo stesso legislatore ha riconosciuto espressamente che “non è possibile configurare una condotta abusiva laddove il contribuente scelga (…) di procedere a una fusione anziché alla liquidazione” in quanto se è “vero che la prima operazione è di carattere neutrale e che la seconda ha, invece, carattere realizzativo”, “nessuna disposizione tributaria mostra preferenza per l’una o per l’altra operazione”.

Come ha deciso la Corte di Cassazione in questo caso eclatante e scolastico di lecito risparmio di imposta?

Non ha deciso la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, del c.p.c. (come avrebbe dovuto se avesse ritenuto sussitente un lecito risparmio d’imposta, trattandosi di valutazione di “puro diritto” che non richiede alcun accertamento di fatto), ma ha cassato con rinvio la sentenza di appello sul presupposto che la Commissione Tributaria Regionale aveva omesso di rivolgere la propria indagine a una serie di “fatti di causa”, tra cui gli “elementi a discarico offerti dai contribuenti” per dimostrare le valide ragioni extrafiscali dell’operazione (ossia che “la fusione era diretta a riorganizzare il gruppo societario, così da accorciare la «catena di controllo», realizzare risparmi di costi di struttura e snellire la gestione amministrativa”, in una prospettiva di continuità del ciclo dell’impresa).

Ancora una volta, le valide ragioni economiche, in luogo del carattere “indebito” o meno del vantaggio fiscale, sono state invocate come “errato” discrimine tra abuso, censurabile, e legittimo risparmio di imposta, non censurabile.


5. Conclusioni: sul rischio trasfigurare l'abuso da strumento per assicurare l'equità fiscale e il rispetto del principio di capacità contributiva in strumento fonte di iniquità e sistematicamente distorsivo.

In conclusione, nonostante le inequivocabili e risolutive indicazioni fornite dal legislatore con l’introduzione dell’art. 10-bis e nonostante le aperture della stessa Agenzia delle Entrate, la giurisprudenza di legittimità continua imperterrita lungo la vecchia strada dalla stessa tracciata – come se nulla fosse successo – secondo cui la distinzione tra lecito risparmio d’imposta e abuso dipenderebbe dall’esistenza o meno di valide ragioni economiche nell’operazione che è stata posta in essere. Interpretazione, questa, che oblitera la figura stessa del lecito risparmio di imposta, posto che le valide ragioni economiche non sono in realtà necessarie per considerare lecita un’operazione che è vantaggiosa ai fini fiscali per una precisa scelta ordinamentale, e che esse sono necessarie soltanto per mettere in bonis, sotto il profilo fiscale, operazione che sarebbero in principio abusive, ma che vengono “salvate” in ragione dell’esistenza e della prevalenza di ragioni extrafiscali.

Tutto ciò con l’inevitabile conseguenza di trasfigurare l’abuso da strumento per assicurare l’equità fiscale e il rispetto del principio di capacità contributiva in strumento fonte di sostanziale iniquità e sistematicamente distorsivo.


6. Bibliografia essenziale

F. Amatucci - R. Cordeiro Guerra (a cura di), L’evasione e l’elusione fiscale in ambito nazionale e internazionale, Roma, 2016; M. Basilavecchia, L’art. 10-bis dello Statuto: the “day after”, in GT – Riv. giur. trib., 2016, 5; M. Beghin, L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013; M. Beghin, L’elusione tributaria tra sviste interpretative sul concetto di aggiramento e conseguenti fenomeni di di illusione ottica quanto all’asistematicità dei vantaggi fiscali conseguiti, in Riv. dir. trib., 2007, II, 237 ss.; C. Buccico, Brevi osservazioni sull’abuso del diritto o elusione fiscale, in Innovazione e diritto, 2015, 44 ss.; A. Carinci e D. Deotto, Abuso del diritto ed effettiva utilità della novella: Much Ado about nothing?, in Il fisco, 2015, 3107 ss.; S. Cipollina, La legge civile e la legge fiscale, Padova, 1992; S. Cipollina, Abuso del diritto o elusione fiscale, in Dig. disc. priv. sez. comm., Torino, 2017, 1; A. Contrino, Elusione fiscale, evasione e strumenti di contrasto, Bologna, 1996; A. Contrino, Il divieto di abuso del diritto fiscale: profili evolutivi, (asseriti) fondamenti giuridici e connotati strutturali, in Dir. prat. trib., 2009, 463 ss.; A. Contrino, La trama dei rapporti tra abuso del diritto, evasione fiscale e lecito risparmio d’imposta, in Dir prat. Trib., 2016, 1407 ss.; A. Contrino, A. Marcheselli, Art. 10-bis, legge n. 212/2000, in C. Glendi, C. Consolo, A. Contrino (a cura di), Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016, 3 – 64; G. Corasaniti, Il dibattito sull’abuso del diritto o elusione fiscale nell’ordinamento tributario, in Dir prat. trib., 2016, 465 ss.; L. Carpentieri, L’abuso del diritto e la sua rinnovata rilevanza “trasversale”, in L. Carpentieri (a cura di), L’abuso del diritto. Evoluzione del principio e contesto normativo, Torino, 2018, 1 – 21; E. Della Valle - V. Ficari - G. 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