Logo IeD

La blockchain e i profili tributari delle monete virtuali

Scritto da Mattia Midena • mar 2020

Sintesi

La blockchain è una recente tecnologia alla base di diverse innovazioni, la quale ha permesso anche la creazione delle monete virtuali. Sono diversi gli interrogativi relativi alle monete virtuali e il presente articolo vuole analizzare i profili rilevanti ai fini del diritto tributario. L’esposizione può essere suddivisa in tre parti. Nella prima, sarà chiarita la ragione d’essere della tecnologia della blockchain. Nella seconda, si valuteranno le diverse qualificazioni delle monete virtuali (in particolare come moneta o come bene). Nella terza parte si analizzerà il trattamento tributario delle monete virtuali in relazione ai tre aspetti di maggior rilievo: lo scambio di monete virtuali con monete aventi corso legale, lo scambio di monete virtuali con beni o servizi e, infine, il processo di “mining”.

Abstract

The blockchain is a recent technology responsible of many implementations and virtual money is one of these. Virtual money has brought a large number of debates and this paper analyses its implications in tax law. The research is divided into three parts. The first part considers the blockchain phenomenon in order to clarify the main reason of this technology. The second part examines the qualification of virtual money, especially as money or as an asset. The third part analyses relevant activities connected to virtual money and their tax consequences: i) the exchange of virtual money for fiat money, ii) the exchange of goods or services for virtual money and iii) the “creation” of new units of virtual money with the “mining” process.

Contenuto


La blockchain e i profili tributari delle monete virtuali

di Mattia Midena


The blockchain is a recent technology responsible of many implementations and virtual money is one of these. Virtual money has brought a large number of debates and this paper analyses its implications in tax law.

The research is divided into three parts. The first part considers the blockchain phenomenon in order to clarify the main reason of this technology. The second part examines the qualification of virtual money, especially as money or as an asset. The third part analyses relevant activities connected to virtual money and their tax consequences: i) the exchange of virtual money for fiat money, ii) the exchange of goods or services for virtual money and iii) the “creation” of new units of virtual money with the “mining” process.


La blockchain è una recente tecnologia alla base di diverse innovazioni, la quale ha permesso anche la creazione delle monete virtuali. Sono diversi gli interrogativi relativi alle monete virtuali e il presente articolo vuole analizzare i profili rilevanti ai fini del diritto tributario.

L’esposizione può essere suddivisa in tre parti. Nella prima, sarà chiarita la ragione d’essere della tecnologia della blockchain. Nella seconda, si valuteranno le diverse qualificazioni delle monete virtuali (in particolare come moneta o come bene). Nella terza parte si analizzerà il trattamento tributario delle monete virtuali in relazione ai tre aspetti di maggior rilievo: lo scambio di monete virtuali con monete aventi corso legale, lo scambio di monete virtuali con beni o servizi e, infine, il processo di “mining”.


1. La tecnologia della blockchain

Lo scopo del presente articolo è analizzare il fenomeno delle c.d. monete virtuali e delinearne il trattamento tributario.1

A tal fine, sarà inizialmente descritta la blockchain, la tecnologia che è alla base del loro funzionamento. In seguito, si indagheranno le possibili qualificazioni giuridiche delle cosiddette monete virtuali, di cui il Bitcoin2 è l’esempio paradigmatico, e successivamente sarà analizzata la loro disciplina tributaria.

La blockchain è una tecnologia informatica di recente invenzione e la sua ragion d’essere è creare “ordine” in un sistema informatico distribuito.3 Ovvero, in termini generali e in via di massima sintesi, lo scopo della blockchain è validare gli scambi effettuati all’interno di un gruppo (di computer) in cui nessuno degli elementi può autonomamente farlo.4

Ad ogni modo, il termine blockchain può assumere significati diversi in base al suo utilizzo.5 Tuttavia, ricercando un comune denominatore,6 è possibile descrivere la blockchain come un “registro distribuito” (o un “libro mastro distribuito”)7 che contiene una lista sempre in aggiornamento di “registrazioni ordinate” chiamate blocks, collegate e rese sicure dalla crittografia.8

Per ragioni di semplicità e chiarezza, si può descrivere – in via figurata – la blockchain come una catena composta da blocchi: ogni anello (o block) della catena contiene le registrazioni ordinate degli scambi di dati tra i computer.

In alternativa, si può immaginare la blockchain come un libro. Le pagine di questo libro (gli anelli o blocks) sono numerate progressivamente e in ciascuna pagina sono trascritti gli scambi compiuti (tra i computer del sistema informatico). Il libro, le cui pagine aumentano con il moltiplicarsi degli scambi trascritti, è “distribuito”: esso non è nell’esclusiva disponibilità o controllo di un singolo ma è presente contemporaneamente presso tutti gli elementi del sistema (i computer del sistema informatico). Pertanto tutti hanno con sé una copia sempre aggiornata del libro.

Questa tecnologia permette molteplici applicazioni,9 dai Bitcoin10 a network di informazioni, dal coordinamento dell’attività di numerosi soggetti in processi e standard applicativi11 fino agli smart contracts.12

Comunque, la prima applicazione della blockchain riguarda specificamente i Bitcoin, esempio di quella che viene definita come una “moneta virtuale” che sarà qui oggetto di analisi.


2. La moneta virtuale e il problema della sua qualificazione giuridica

2.1. Brevi cenni sul funzionamento della moneta virtuale, l’esempio dei Bitcoin

La prima applicazione della tecnologia della blockchain è avvenuta con la creazione dei Bitcoin,13 che possono considerarsi come esempio paradigmatico di moneta virtuale.14 Per questa ragione, sarà brevemente delineato il loro funzionamento,15 in particolare sarà analizzato: l’accesso al sistema Bitcoin, come avvengono gli scambi della moneta virtuale, cosa è e come avviene il processo di mining e quali sono i metodi per ottenere Bitcoin.

Il Bitcoin è stato ideato da una o più persone sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto nel 2008.16 Nel 2009 è stata creata e resa operativa la blockchain dei Bitcoin, un network peer-to-peer che permette agli utenti di scambiare tale moneta virtuale in modo anonimo e senza l’intervento di terze parti.

Al fine di accedere al network, gli utenti devono creare un portafoglio virtuale, il quale può essere un software installato sul proprio computer oppure un account creato sul web in un sito dedicato (sarà il gestore del portale a “conservare i Bitcoin” dell’utente). Infatti, visto che i Bitcoin sono dati informatici, essi vengono “spesi” semplicemente inviando dei dati da un utente ad un altro.17

Il “trasferimento” dei Bitcoin da un computer a un altro avviene utilizzando un sistema crittografico e lo scambio è comunicato all’intero network. Questo procedimento, come illustrato in precedenza parlando della blockchain,18 è necessario per validare la transazione, evitando così la possibilità che uno stesso Bitcoin possa essere speso due volte,19 Infatti, tutti gli scambi di Bitcoin devono essere inseriti nel registro delle transazioni (o registro degli scambi o blockchain) per essere riconosciuti come effettivamente avvenuti.

Questo processo di verifica e raggruppamento degli scambi in un block avviene per intervalli regolari di tempo e prende il nome di mining.20 Qualsiasi utente può compiere il processo di mining21 ma è richiesta la soluzione di complessi calcoli matematici. Comunque, il primo utente che riesce a creare il block, riceve in premio una quantità prefissata di nuovi Bitcoin.

Dopo aver rilevato come si partecipa al sistema Bitcoin, come avvengono gli scambi di moneta virtuale e il procedimento di mining, è necessario indicare i metodi per ottenere i Bitcoin.22

Un primo metodo è stato già analizzato: mediante il processo di mining il primo utente che risolve il puzzle crittografico ottiene una quantità prefissata di Bitcoin.

In secondo luogo, è possibile scambiare Bitcoin con monete tradizionali. Infatti, nonostante le fluttuazioni nel prezzo, esistono diverse piattaforme in internet che offrono lo scambio di monete tradizionali con Bitcoin.

Infine, gli utenti possono ottenere Bitcoin in cambio di beni (reali o virtuali) o servizi.


2.2. Il problema della qualificazione giuridica

Dopo aver descritto il funzionamento dei Bitcoin, è necessario affrontare il problema della qualificazione giuridica delle monete virtuali. In particolare, bisognerà valutare se sia possibile o meno inserire questo nuovo fenomeno nelle attuali categorie giuridiche.

Pertanto, in primo luogo, si verificherà se sia possibile qualificare i Bitcoin all’interno del concetto di moneta. In seguito, si valuterà l’interpretazione che qualifica la moneta virtuale come un bene giuridico. Infine, si esaminerà il fenomeno alla luce della normativa in tema di prodotti finanziari e di mezzi di pagamento.


2.2.1. Le monete virtuali come moneta

Innanzitutto bisogna vagliare la possibile qualificazione delle monete virtuali (il Bitcoin sarà ancora utilizzato come esempio paradigmatico), nell’àmbito del concetto di moneta.23

Per tale ragione verrà brevemente delineato il concetto di moneta in base a diverse teorie. In seguito, si individuerà la possibile corrispondenza tra il fenomeno dei Bitcoin e le teorie indicate e, infine, alla luce delle considerazioni svolte, verranno chiariti i concetti di “moneta digitale”, “moneta elettronica” e “moneta virtuale”.

Come ampiamente riconosciuto dalla dottrina,24 non esiste una definizione condivisa di moneta e il concetto stesso non è unitario, prestandosi a diverse interpretazioni.

In estrema sintesi, è possibile individuare tre grandi filoni interpretativi nella ricerca di una definizione e qualificazione della moneta: la teoria economica, la teoria statalista e la teoria sociologica.

In base alla teoria economica,25 si può parlare di moneta in relazione a qualsiasi bene o entità a condizione che vengano soddisfatte tre funzioni: mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore.26 Qualsiasi entità o bene può essere considerato moneta a condizione che soddisfi tutti e tre i requisiti.

Diversamente, la teoria statalista,27 in via di estrema sintesi, segue l’assunto secondo cui è moneta ciò che lo Stato stabilisce che è moneta.28 In tal modo, è conferito alla moneta (statale) il potere liberatorio di estinguere le obbligazioni pecuniarie (il corso legale) e l’impossibilità di essere rifiutata come mezzo di pagamento (il corso forzoso).29

Una ricostruzione diversa del fenomeno viene invece fornita dalla teoria sociologica.30 Infatti, la moneta non è un’entità esclusiva dello Stato ma è una realtà sociale, basata su un equilibrio di fiducia socio-psicologica.

In altri termini, il fenomeno monetario si basa sul vincolo di credibilità che lega la moneta ai suoi utilizzatori.31

Sulla base di queste teorie, poter annoverare i Bitcoin (la moneta virtuale) come moneta non è affatto condiviso. Si procederà quindi a confrontare brevemente il fenomeno dei Bitcoin descritto in precedenza con le tre teorie appena analizzate.

Seguendo la teoria economica si può constatare come i Bitcoin possano –attualmente – assolvere imperfettamente le funzioni richieste dalla moneta.32

In particolare, i Bitcoin possono egregiamente svolgere la funzione di mezzo di scambio33 ma sono sorti numerosi dibattiti per quanto riguarda la funzione di unità di misura e quella di riserva di valore: a causa delle forti incertezze del mercato e della variabilità nel tempo del suo potere d’acquisto, l’opinione maggioritaria nega che queste due caratteristiche possano dirsi soddisfatte.34

Tuttavia, si sostiene come i Bitcoin abbiano tutte le potenzialità per divenire una moneta in senso economico35 una volta che la volatilità diminuisca e il suo valore divenga così anche più intuitivo.36

Seguendo la teoria statalista, è invece ancora più difficile qualificare i Bitcoin come moneta, visto che si presuppone l’adozione da parte di uno Stato sovrano che così conferisca loro corso legale.

Diversamente, possono rinvenirsi maggiori possibilità di successo applicando la teoria sociologica che, partendo dall’analisi fiduciaria della moneta, riconosce il denaro non come una creazione dello Stato ma come una realtà sociale.

Quindi, la diminuita fiducia nei confronti del sistema statale37 e l’affidamento nei confronti di questo nuovo mezzo, permettono di riconoscere la qualità di moneta ai Bitcoin.

Dopo aver confrontato le diverse teorie della moneta con il fenomeno dei Bitcoin (ed aver accertato se e in quali termini si possa parlare di moneta), adesso è possibile definire sinteticamente termini come “moneta digitale”, “moneta elettronica” e “moneta virtuale”.

La moneta digitale è un valore monetario dematerializzato e rappresentato in via digitale da una sequenza di bit.38 In altre parole, la moneta digitale non è altro che una forma digitalizzata di una moneta.

All’interno della moneta digitale si può compiere una bipartizione, distinguendo la moneta elettronica dalla moneta virtuale.

La moneta elettronica è un metodo di pagamento digitale per (e denominato in) moneta avente corso legale.39

Diversamente, la moneta virtuale è una rappresentazione digitale di valore, emessa da sviluppatori privati e/o pubblici e denominata nella propria unità di conto.40

La definizione di moneta virtuale è molto ampia e, in via di estrema sintesi, i Bitcoin possono inserirsi in questa categoria, specificamente come una moneta virtuale con flusso bidirezionale,41 decentralizzata42 che utilizza tecnologie crittografiche.43


2.2.2. I Bitcoin come bene giuridico

Secondo una diversa interpretazione,44 i Bitcoin potrebbero invece essere qualificati come un bene. In particolare, si tratterebbe di un bene giuridico meritevole di tutela per gli interessi economici sottesi, rientrando così nell’ampia nozione dell’art. 810 c.c..

In base alla natura descritta in precedenza, il Bitcoin sarebbe un bene mobile e immateriale.

La nozione di bene immateriale è molto ampia e diversificata, comprendendo al suo interno beni diversi tra loro, perciò si sostiene che, in assenza di una nuova figura giuridica, il Bitcoin possa essere inquadrato come una nuova categoria di bene immateriale che presenta punti di contatto con la proprietà intellettuale.45

Infatti, l’acquisto della proprietà a titolo originario di un Bitcoin avviene comunque con la soluzione di un problema e la creazione di un bene nuovo (in precedenza non esistente), univoco e privo di una materialità intrinseca.

Inoltre, la natura di bene immateriale dei Bitcoin non viene meno per il fatto di essere incorporata in un bene fisico (è possibile identificare un bene immateriale anche quando questo venga conservato o si estrinsechi tramite un supporto fisico): una cosa sono i supporti dove sono salvate e conservate le unità di criptovaluta, diverso è il diritto di disporne.

Diversamente, altri sostengono che, anche se la componente incorporale sia integrata dai numeri registrati sulla blockchain e l’elemento materiale sia il supporto fisico su cui registrare la chiave pubblica associata, il problema potrebbe essere rappresentato dal fatto che i diritti di esclusiva sui beni immateriali sono attribuiti in base ad un sistema di stretta tipicità.46

Ad ogni modo, si giunge a qualificare il Bitcoin come un bene anche seguendo un inquadramento storico-giuridico del denaro tradizionale.47

Infatti, le monete originarie nascono sotto forma di beni-merce. Si tratta di merci con caratteristiche peculiari perché devono poter adempiere alle funzioni di mezzo di scambio, unità di conto, riserva di valore e strumento per pagamenti futuri (come, ad esempio, i metalli preziosi).

In base a tale impostazione, il denaro cessa di essere percepito come una merce solo con la nascita di monete statali a corso forzoso prive di qualunque valore intrinseco di mercato.

Quindi, anche se il Bitcoin presenta delle differenze rispetto al denaro-merce tradizionale (tipicamente oro e argento) ed è rappresentato solo da codice informatico, è più vicino al denaro-merce in senso proprio di quanto non lo sia al denaro fiduciario delle banche centrali (fiat money).

Infatti, a differenza delle monete aventi corso legale, il Bitcoin ha valore non perché imposto da una banca centrale, ma perché le persone e le aziende presenti sul mercato decidono liberamente di attribuirgli valore.48


2.2.3. I Bitcoin come prodotto finanziario o come mezzo di pagamento

Nella ricerca di una qualificazione delle monete virtuali, si è posto l’interrogativo se potesse trattarsi di un prodotto finanziario (oppure di uno strumento finanziario) o di un mezzo di pagamento.

Considerando la funzione di riserva di valore, si potrebbe ipotizzare che la moneta virtuale sia un prodotto finanziario.49 Infatti, i Bitcoin possono essere estratti o acquistati anche con finalità di investimento dei propri risparmi, per guadagnare dall’atteso aumento di valore degli stessi.

Questa tesi si baserebbe nel ritenere i prodotti finanziari come una categoria aperta.50 Ad ogni modo, la definizione di prodotto finanziario nell’ordinamento italiano è contenuta nel D.Lgs. n. 58/1998 (Testo Unico della Finanza) all’art. 1, comma 1, lettera u), in cui è stabilito: “‘prodotti finanziari’: gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”.

A loro volta, gli strumenti finanziari sono indicati tassativamente in un apposito elenco e non vi sono indicate le monete virtuali.

Inoltre, l’art. 1, comma 2, T.U.F., stabilisce espressamente che “gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari”.

Secondo una diversa ipotesi, le monete virtuali potrebbero essere considerate come un mezzo di pagamento rientrante nella Direttiva 2007/64/CE, recepita in Italia con D.Lgs. n. 11/2010, relativa proprio ai servizi di pagamento.

In base alla natura convenzionale delle monete virtuali, sarebbe possibile considerarle come “dispositivi personalizzati tra l'utilizzatore e il prestatore di servizi di pagamento e di cui l'utilizzatore si avvalga per impartire ordini di pagamento” ex art. 1, comma 1, lettera s) del Decreto indicato.

Tuttavia, l’interpretazione corrente di tale normativa limita l’àmbito ai soli pagamenti denominati in moneta legale,51 escludendo così i Bitcoin.


3. Profili tributari delle monete virtuali

Dopo aver valutato le diverse ipotesi di qualificazione giuridica del fenomeno delle c.d. monete virtuali è ora possibile procedere con l’analisi di alcuni aspetti tributari relativi ad esse.

A tale fine, verranno presi in considerazione tre aspetti delle monete virtuali rilevanti ai fini tributari: lo scambio di monete virtuali con monete aventi corso legale, lo scambio di monete virtuali con beni o servizi e, infine, il processo di mining.

Ciascuno di questi aspetti verrà sviluppato mediante un raffronto sia con la tesi che collega le monete virtuali al concetto di moneta sia con quella che li qualifica come beni giuridici.


3.1. Lo scambio di monete virtuali con monete aventi corso legale

3.1.1. In caso di qualificazione delle monete virtuali come moneta

Lo scambio di monete virtuali con monete aventi corso legale è l’azione che più di tutte ha destato notevole interesse da parte della giurisprudenza e del legislatore.

Se si ritiene che le monete virtuali siano assimilabili a monete, allora scambiarle con altre monete (aventi corso legale) è un’operazione analoga a quella che si potrebbe effettuare sul mercato dei cambi valutari o da parte di un cambiavalute.

È importante sottolineare che su questo aspetto si è pronunciata la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza C-264/14 del 22 ottobre 2015 (Skatteverket vs David Hedqvist),52 la quale ha anche approfondito la questione attinente alla tassazione indiretta.

La Corte ha risposto a due importanti quesiti, anche se non si è dilungata sulla qualificazione delle monete virtuali.

In primo luogo, essa ha ritenuto che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva n. 2006/112 (Direttiva IVA) va interpretato nel senso che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della “valuta virtuale Bitcoin” e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e il prezzo al quale le vende ai suoi clienti, costituiscono prestazioni onerose di servizi.

In secondo luogo, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che le prestazioni di servizi, relative al cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “Bitcoin” e viceversa, costituiscono operazioni esenti sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione.53 Di conseguenza, le prestazioni di servizi indicate non ricadono nella sfera di applicazione dell’articolo 135, paragrafo 1, lettere d) e f), della medesima Direttiva.54

Il percorso argomentativo della Corte è molto prudente, infatti, essa sostiene che le esenzioni devono essere interpretate restrittivamente, in quanto deroghe al principio generale per cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo.55 Tuttavia, l’interpretazione restrittiva non deve comportare che i termini impiegati per definire le esenzioni debbano poi privare le esenzioni dei loro effetti.56

In base alla precedente giurisprudenza della Corte,57 le esenzioni previste dall’art. 135, paragrafo 1, lettere da d) a f) sono utili ad evitare le difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile e dell’IVA detraibile, quindi, a tal fine, possono considerarsi operazioni finanziarie anche attività non effettuate tramite banche.58

Inoltre, ribadendo quanto sostenuto dall’Avvocato Generale,59 la Corte ritiene che le diverse versioni linguistiche della lettera e) dell’art. 135, paragrafo 1, non permettano di determinare senza ambiguità se tale disposizione si applichi alle sole operazioni vertenti sulle valute tradizionali o se essa riguardi invece anche le operazioni relative ad altre valute. Ad ogni modo, in caso di differenze linguistiche, la portata del termine non può essere stabilita solo su un’interpretazione letterale ma in funzione del contesto in cui è inserita, della finalità e del sistema della Direttiva IVA.60

Le esenzioni previste in questa lettera, come specificato, servono ad ovviare alle difficoltà collegate alla determinazione della base imponibile e dell’importo IVA detraibile sorto nell’imposizione di operazioni finanziarie. Anche le operazioni relative a valute non tradizionali, cioè diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più paesi, costituiscono operazioni finanziarie a condizione che tali valute siano state accettate dalle parti della transazione come mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e non abbiano altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento.61

Pertanto, visto che l’interpretazione della lettera e) del suddetto articolo se riferita esclusivamente alle valute tradizionali costituirebbe una privazione di parte dei suoi effetti e “la valuta virtuale ‘bitcoin’ non abbia altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento e che essa sia accettata a tal fine da alcuni operatori”,62 la Corte conclude stabilendo che rientrano in tale lettera le prestazioni di servizi le quali consistono nel cambio di valuta tradizionale contro Bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e il prezzo al quale le vende ai suoi clienti.

Questa sentenza, la quale ricomprende le operazioni di scambio di Bitcoin con monete aventi corso legale nell’esenzione per divise, banconote e monete con valore liberatorio, ha permesso quantomeno un maggiore avvicinamento alla teoria che vede i Bitcoin similari ad una moneta.63

In Italia, la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 ha preso spunto da tale decisione per ribadire l’esenzione della prestazione di servizi volta a convertire moneta avente corso legale in moneta virtuale e viceversa ma è andata oltre interessandosi anche agli aspetti di imposizione diretta.64

L’Amministrazione finanziaria afferma genericamente che l’attività di intermediazione di Bitcoin in modo professionale ed abituale è un’attività rilevante ai fini IRES e IRAP. In particolare, sostiene che dovranno essere «assoggettate ad imposizione i componenti di reddito derivanti dall’attività di intermediazione nell'acquisto e nella vendita di bitcoin, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività».

Prosegue indicando che, in caso di “ordine di acquisto”, il cliente anticiperebbe le risorse finanziarie alla società che, una volta effettuato “l’acquisto” di Bitcoin, provvederebbe a registrare nel wallet del cliente i codici relativi ai Bitcoin “acquistati”. Invece, in caso di “ordine di vendere”, la società preleverebbe i Bitcoin e accrediterebbe, alla conclusione della “vendita”, la somma convenuta.

Di conseguenza, l’«elemento di reddito – derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla Società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere) – è ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto, contribuiscono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della materia imponibile soggetta ad ordinaria tassazione ai fini IRES (ed IRAP)».

Fino a questo punto, le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, dopo le affermazioni di principio iniziali secondo cui lo scambio di Bitcoin con monete aventi corso legale sarebbe una prestazione di servizi, utilizzano un linguaggio che potrebbe quasi far pensare che si tratti di beni.

Inoltre, per quanto riguarda le imposte dirette per i soggetti privati, la Risoluzione afferma che: «Per quanto riguarda, la tassazione ai fini delle imposte sul reddito dei clienti della Società, persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, si ricorda che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa».65

Quindi, l’Amministrazione finanziaria, per le persone fisiche che detengono Bitcoin al di fuori di attività d’impresa, applica la disciplina relative alle valute estere,66 così come disciplinato dall’art. 67, comma 1, lettera c-ter), del T.U.I.R.67

Perciò le plusvalenze sulle valute estere sono imponibili solo in caso di cessione a titolo oneroso di cui si sia acquisita oppure mantenuta la disponibilità per finalità di investimento, con la presunzione assoluta che si ritiene sussistere tale finalità quando le valute siano lasciate su depositi o conti correnti oppure abbiano costituito oggetto di cessione a termine.68

Per evitare di tassare fattispecie non significative, il comma 1-ter dell’art. 67 T.U.I.R. prevede la tassazione delle plusvalenze solo se, nel periodo d’imposta, la giacenza complessiva di tutti i depositi e conti correnti in valuta sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

Per il calcolo della base imponibile pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione ed il costo della valuta, si applicherà il criterio “L.I.F.O.” (“last in, first out”) ex art. 67 comma 1-bis T.U.I.R. Qualora non fosse possibile determinare il costo per mancanza di documentazione, si dovrebbe teoricamente far riferimento al minore dei cambi mensili determinati con Decreto del Ministero delle Finanze nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata conseguita.69

Prima di concludere il discorso relativo alla tassazione dello scambio tra Bitcoin (qualificati come monete) con valute aventi corso legale, è opportuno compiere alcune brevi considerazioni sul regime qui ipotizzato (e finora applicato).

A livello di imposte dirette si è constatato come, ex art. 67, comma 1, lettera c-ter) T.U.I.R., sia fiscalmente rilevante la plusvalenza realizzata mediante “cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d'investimento collettivo”.

Agli effetti dell'applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente».

Al riguardo, con il termine plusvalenza si può intendere la manifestazione dell'incremento di valore di un bene in un determinato lasso di tempo, ritenuto espressione di capacità contributiva,70 e perciò assunto a presupposto di una fattispecie imponibile.71

Pertanto, il principio della capacità contributiva è di estremo rilievo in questo caso. Infatti, la doverosità, legittimità e universalità della contribuzione, come espressa nell’art. 53 della Costituzione Italiana, svolge una funzione solidaristica72 che deve essere applicata nel caso delle monete virtuali.

In presenza di un fenomeno che può influenzare aspetti prossimi alle politiche monetarie (anche se vengono utilizzati metodi e schemi diversi, sia le monete virtuali sia le monete legali vengono coniate digitalmente), è necessario non sottovalutare l’impatto che può avere la diffusione delle monete virtuali. In particolare, se la capacità economica è un presupposto della capacità contributiva ma non coincide con essa,73 l’esistenza di una nuova forma di ricchezza impone necessariamente di domandarsi quali siano i nuovi limiti ed indici da considerare.

Pertanto, applicare il regime tributario previsto per le valute straniere (nonostante si possa negare la qualificazione delle monete virtuali come moneta in senso stretto) è perfettamente concorde sia alla logica per cui sono stati creati i Bitcoin sia all’approccio finora adottato.


3.1.2. In caso di qualificazione delle monete virtuali come bene giuridico

La discussione evolve con alcune differenze se, invece, i Bitcoin siano qualificati come un bene.

In questo caso vi sarebbe uno scambio di un bene (Bitcoin) con una moneta avente corso legale. Quindi tale operazione si potrebbe configurare come un contratto di compravendita.

Innanzitutto, per quanto riguarda la tassazione indiretta e specificamente al trattamento IVA, potrebbero sorgere numerosi dubbi sulle conclusioni della sentenza Hedqvist C-264/14 e dovrebbe invece riconoscersi, posto il rispetto dei requisiti soggettivi, oggettivi e territoriali, l’assoggettamento alla normale aliquota prevista dal D.P.R. n. 633/1972.74

Sarebbe indubbiamente un regime penalizzante per l’acquirente, comportando una maggiorazione di prezzo senza che questo esborso possa riflettersi nel valore intrinseco del bene.75

Vi sarebbero minori differenze concrete dal punto di vista della tassazione diretta. Infatti, tale attività potrebbe rilevare come commerciale76 e quindi comportare l’applicazione delle regole fiscali previste alla categoria reddituale dell’impresa, come descritto al paragrafo precedente.

Per le persone fisiche, che svolgono tale attività commerciale non abituale, l’operazione sarebbe da considerare imponibile ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera i) e dovrebbe seguire le disposizioni previste dall’art. 71, comma 2, TUIR (anche se, a parere di chi scrive, sarebbe da escludere un’applicazione così estesa). Infatti i Bitcoin sarebbero beni senza le particolarità di cui all’art. 67, comma 1, lettera c-ter) e quindi rientrerebbero all’interno dell’attività commerciale non abituale di cui alla lettera i) citata.


3.2. Lo scambio di monete virtuali per beni o servizi ed osservazioni sul processo di mining

3.2.1. Lo scambio di monete virtuali per beni o servizi in caso di qualificazione delle monete virtuali come moneta

Un discorso non dissimile da quello svolto finora può essere compiuto anche nel caso di scambio di monete virtuali per beni o servizi.

Se si considera la moneta virtuale come una moneta, allora è possibile ipotizzare77 lo scambio di tali monete con beni o servizi come un’operazione svolta in una valuta estera, con l’applicazione dell’art. 9 e 110 del T.U.I.R.


3.2.2. Lo scambio di monete virtuali per beni o servizi in caso di qualificazione delle monete virtuali come bene giuridico

Diversamente, se la moneta virtuale fosse considerata un bene, allora sarebbe possibile qualificare quest’operazione come un contratto di permuta.

Infatti, l’art. 1552 c.c. definisce la permuta come il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all'altro.

In quanto schema contrattuale tradizionalmente ricondotto al primitivo baratto,78 la permuta consiste in un contratto consensuale a prestazioni corrispettive, commutativo e normalmente ad effetti reali per il mezzo del quale si realizza il reciproco trasferimento della proprietà di cose o altri diritti.79

Nonostante il largo riconoscimento dell’efficienza del contratto di compravendita come strumento di scambio di cose e diritti, il quale ha storicamente travolto il contratto di permuta, quest’ultimo è riuscito a mantenere la sua autonoma funzione economica caratterizzata dalla presenza di una causa che consiste nello scambio di cosa con cosa.80

Dal punto di vista tributario, le osservazioni sono simili a quelle analizzate in tema di scambio di Bitcoin (intesi bene) per moneta avente corso legale81 a cui si possono aggiungere alcune precisazioni in tema di tassazione IVA.

Infatti, in relazione all’IVA, è da riconoscere l’applicabilità di tale imposta (ove ricorrano i presupposti soggetti, oggettivi e territoriali) adottando anche quanto previsto dagli articoli 11, 13 e 14 del D.P.R. n. 633/1972.82

Infatti l’art. 11, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 dispone che “Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in corrispettivo di altre cessioni di beni o prestazioni di servizi, o per estinguere precedenti obbligazioni, sono soggette all'imposta separatamente da quelle in corrispondenza delle quali sono effettuate”.83

In questo modo viene esclusa la struttura unitaria del contratto di permuta poiché vengono considerate distintamente le due prestazioni sinallagmatiche, scindendole in due separate cessioni, ciascuna soggetta ad imposta, ove ne ricorrano i presupposti.

Relativamente alla valutazione dei beni, l’art 13, comma 2, lettera d) del D.P.R. n. 633/1972 dispone che la base imponibile in caso di permuta è data dal valore normale dei beni e dei servizi che formano oggetto di ciascuna di esse.

Il valore normale è determinato in base ai criteri fissati dal art. 14 del D.P.R. n. 633/1972,84 con le difficoltà che si possono incontrare per stabilire il valore dei Bitcoin in un mercato globalizzato soggetto finora ad un non indifferente livello di volatilità.

Pertanto, ipotizzando l’applicabilità dell’IVA per entrambe le prestazioni sinallagmatiche, bisognerà tassare separatamente (calcolando in entrambi i casi il valore normale) sia la cessione dei Bitcoin sia quella del bene (o servizio) previsto come controvalore.


3.2.3. Il processo di mining in caso di qualificazione delle monete virtuali come moneta

Come descritto in precedenza,85 attraverso il processo di mining avviene la verifica e il raggruppamento degli scambi in un block e il conseguente “conio” di nuova moneta.

Relativamente ai profili tributari, se si accosta la moneta virtuale al concetto di moneta, difficilmente potrà applicarsi una qualche norma relativa alle monete aventi corso legale.

Infatti, la moneta avente corso legale è generalmente coniata da una Banca centrale la quale, per conto dello Stato di cui è talora organo, immette nel sistema la moneta generata senza aver originato profitto.

Il miner è invece generalmente orientato alla produzione di un profitto attraverso la commercializzazione di quanto ottenuto (Bitcoin) ma tale profitto sarà possibile solo attraverso le ipotesi analizzate in precedenza,86 cioè scambiando la moneta virtuale (intesa come moneta) con monete aventi corso legale oppure con beni e servizi.


3.2.4. Il processo di mining in caso di qualificazione delle monete virtuali come bene giuridico

Qualora la moneta virtuale sia qualificabile come un bene, gli aspetti tributari di maggior rilievo saranno i medesimi dei paragrafi precedenti (in cui le monete virtuali sono considerata come beni), tuttavia è necessaria una considerazione iniziale.

Infatti, l’insieme delle prestazioni svolte dal miner potrebbe essere assimilabile alla produzione di beni oppure, secondo alcune interpretazioni,87 all’erogazione di opere e servizi.

Ad ogni modo, assume maggiore rilevanza valutare la sussistenza o meno dei requisiti dell’abitualità e professionalità con cui queste attività sono poste in essere.

Infatti, in presenza di tali requisiti si applicherebbero le regole fiscali della categoria reddituale dell’impresa (o del lavoro autonomo).

Diversamente, per le persone fisiche, in caso di assenza dell’abitualità e professionalità, si dovrebbe ricorrere alla categoria dei redditi diversi.

In particolare, argomentando in modo non dissimile da quanto sostenuto nel caso di scambio di monete virtuali (intese come beni) con monete aventi corso legale,88 si dovrebbe applicare: i) l’art. 67, comma 1, lett. i) T.U.I.R. nel caso il mining sia da qualificare come attività commerciale non abituale oppure ii) l’art. 67, comma 1, lett. l) T.U.I.R. se il mining fosse considerato lavoro autonomo non abituale.


4. Conclusioni

Sulla base delle osservazioni compiute è possibile sostenere come siano numerose le innovazioni e le conseguenze relative alle applicazioni della tecnologia della blockchain. Alcune di queste, come le monete virtuali, hanno già iniziato a mostrare potenzialità rilevanti, tali da destare notevole interesse.

La moneta virtuale ha portato naturalmente anche numerosi interrogativi giuridici, innanzitutto al fine di qualificarla. Le interpretazioni sono state diverse, anche se, almeno a livello europeo e nonostante dichiarazioni di principio contrarie, l’iniziale tendenza (che ora sembra in parte avversata) era stata di avvicinarsi al concetto di moneta piuttosto che a quello di bene.

Il trattamento tributario delle monete virtuali, analizzato nei tre aspetti rilevanti (scambio per monete aventi corso legale, scambio per beni o servizi e, infine, il mining), riflette indubbiamente la qualificazione data in principio e, in àmbito europeo, l’intervento della Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso Hedqvist ha fissato un punto cardine. Tuttavia i profili tributari sono ancora incerti visti gli interventi di altre istituzioni europee.

Anche in Italia il regime tributario delle monete virtuali è dibattuto, tuttavia la risoluzione n. 72/E del 2016 dell’Agenzia delle Entrate – a cui sono seguiti altri interventi dell’Amministrazione finanziaria di simile tenore – è andata oltre la sentenza Hedqvist. Infatti, sono state fornite diverse indicazioni (anche per quanto riguarda l’imposizione diretta) e si è dimostrata una certa prossimità dei Bitcoin al concetto di moneta e, quindi, al relativo regime tributario.

1 Le monete virtuali hanno destato notevole interesse negli ultimi anni. Infatti, sono sorte diverse problematiche che hanno stimolato l’attenzione di governi nazionali, istituzioni internazionali e comunitarie (in primis della Banca centrale europea), corti internazionali e nazionali e così pure del mondo accademico. Sotto un profilo giuridico, l’interrogativo iniziale riguarda la loro qualificazione e la possibile collocazione (o meno) in categorie esistenti. In secondo luogo, da un punto di vista specificamente tributario, vi è il problema di individuare il loro trattamento fiscale.

2 Il Bitcoin è la prima applicazione della tecnologia della blockchain. È stato creato nel 2009 da una o più persone sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto come moneta digitale scambiata online attraverso un network peer-to-peer che permette agli utenti di interagire reciprocamente in modo anonimo e senza l’intervento di terze parti. Riguardo al progetto di Nakamoto si veda S. Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, in http://bitcoin.org/bitcoin.pdf, 2008.

3 Questa brevissima descrizione della tecnologia della blockchain vuole fornire alcuni degli elementi chiave per sviluppare il discorso. Ulteriori riferimenti tecnici ed indicazioni informatiche più precise saranno indicati in nota.

Ad esempio, il riferimento al “sistema informatico distribuito” è relativo all’architettura del software. Infatti, quando si crea un sistema informatico bisogna stabilire come i suoi componenti siano organizzati e quale sia il rapporto di uno con l’altro. Esistono (in estrema sintesi) due approcci relativamente all’architettura software: centralizzato e distribuito. In un sistema centralizzato, tutti i componenti sono posizionati e collegati ad un elemento centrale. Diversamente, i componenti di un sistema distribuito sono collegati senza un elemento centrale di coordinamento o controllo. Sul punto, D. Drescher, Blockchain Basics: A Non-Technical Introduction in 25 Steps, Frankfurt am Main, 2017, p. 11.

Pertanto, se un sistema informatico distribuito è un insieme di computer collegati tra di loro ma privi di un dispositivo centrale di coordinamento o controllo (cioè i computer si trovano in una condizione di parità gerarchica), allora creare “ordine” significa garantire che, quando due computer del sistema informatico distribuito si scambiano dei dati, tutti gli altri computer riconoscono la validità dello scambio effettuato. In altri termini, si ha la certezza che tra i due computer è avvenuto uno scambio e sono state trasmesse determinate informazioni.

4 Tale aspetto, oltre alle considerazioni tecnico-informatiche, ha anche importanti risvolti pratici sul piano della “fiducia” e dell’affidamento in àmbito di commercio digitale. Al riguardo, si veda D. Tapscott - A. Tapscott, Blockchain Revolution: How the Technology Behind Bitcoin Is Changing Money, Business, and the World, New York, 2016, cap. I. Infatti, secondo gli Autori, «trust in business is the expectation that the other party will behave according to the four principles of integrity: honesty, consideration, accountability, and transparency» ma la fiducia nei confronti della controparte può essere un grave problema nell’attuale età digitale. Pertanto è essenziale una tecnologia che permetta di conoscere diffusamente la validità di uno scambio oppure la verità di determinate informazioni.

5 Cfr. D. Drescher, Blockchain Basics, cit., p. 33, l’Autore precisa che con il termine blockchain si possa alludere a quattro concetti diversi: una struttura di dati, un algoritmo, un insieme di tecnologie o, infine, un sistema peer-to-peer completamente distribuito con un’area di applicazione comune. Il legislatore italiano ha fornito una definizione delle tecnologie basate su registri distribuiti all’art. 8-ter del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 12/2019, secondo cui: Si definiscono “tecnologie basate su registri distribuiti” le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”.

6 Questa possibile definizione cerca di conciliare le caratteristiche fondamentali di questa tecnologia, le quali sono diffusamente analizzate in: M. Swan, Blockchain: Blueprint for a New Economy, Sebastopol, 2015, pp. ix e ss.; The economist, The great chain of being sure about things: The technology behind bitcoin lets people who do not know or trust each other build a dependable ledger. This has implications far beyond the cryptocurrency, in https://www.economist.com/news/briefing/21677228-technology-behind-bitcoin-lets-people-who-do-not-know-or-trust-each-other-build-dependable, 2015; D. Tapscott - A. Tapscott, Blockchain Revolution, cit.; G. Karame - E. Androulaki, Bitcoin and Blockchain Security, London, 2016, cap. 1; R. Wattenhofer, The Science of the Blockchain, 2016, pp. 2 e ss.; D. Drescher, Blockchain Basics, cit.; I. Bashir, Mastering Blockchain, London, 2017, cap. 1; D. Gerard, Attack of the 50 Foot Blockchain: Bitcoin, Blockchain, Ethereum and Smart Contracts, 2017, cap. 1.

7 L’espressione inglese utilizzata è infatti “distributed ledger”. Per un’analisi specifica sulla distributed ledger si veda UK Government Office for Science, Distributed Ledger Technology: Beyond Block Chain, London, 2016, p. 17, e World Bank, Distributed Ledger Technology (DLT) and Blockchain, Washington, 2017, pp. 1 e ss.

8 Sono i concetti chiave di “registro distribuito” e “registrazioni ordinate” ad accomunare le diverse definizioni. Un “registro distribuito” è un database di scambi di dati tra i computer di un sistema informatico distribuito, il quale è replicato, condiviso e sincronizzato tra i computer stessi. In altri termini, si tratta di un libro mastro di scambi effettuati tra gli appartenenti ad un gruppo (di computer), il quale è costantemente aggiornato e presente tra tutti gli elementi del suddetto gruppo. Cfr. World Bank, Distributed Ledger Technology, cit., p. iv. Le “registrazioni ordinate” non sono altro che le registrazioni degli scambi di informazioni effettuate tra i computer di un sistema informatico distribuito. Tali registrazioni sono raggruppate in modo ordinato in base ad un algoritmo.

9 Delle possibili applicazioni è doveroso segnalare il modello proposto in M. Iansiti - K.R. Lakhani, The truth about Blockchain, in Harvard Business Review, n. 1, 2017, pp. 119 e ss. Secondo gli Autori le potenzialità sono paragonabili al protocollo TCP/IP (il protocollo che ha permesso lo sviluppo di internet), tanto da poter definire questa tecnologia come “fondante”. In base al loro modello, gli Autori suggeriscono un percorso evolutivo dell’applicazione della blockchain: dalla creazione di un nuovo mezzo di pagamento (e di moneta digitale), si passerà alla creazione di network privati per accedere a registri distribuiti di informazioni (ad esempio, registri relativi alle transazioni finanziarie) fino a giungere alla sostituzione di standard applicativi (come gli smart contacts). Di diversa impostazione invece M. Swan, Blockchain, cit., p. ix, infatti l’Autrice preferisce parlare di blockchain 1.0 (moneta), 2.0 (contratti) e 3.0 (oltre finanza e mercati).

10 Sul funzionamento dei Bitcoin e le diverse qualificazioni si veda infra § 2.

11 Cfr. M. Swan, Blockchain, cit., p. 27: l’idea di fondo è quella che la blockchain sia sostanzialmente un nuovo paradigma per organizzare le attività con minori frizioni e maggiore efficienza a cui si può aggiungere, richiedendo il consenso degli utenti per operare, anche maggiore libertà, equità e legittimazione. Da questo, per quanto riguarda il settore pubblico, si veda: J. Killmeyer - M. White - B. Chew, Will blockchain transform the public sector?, 2017, p. 2.

12 Per smart contracts si intende generalmente a protocolli computerizzati di scambio che possono facilitare, verificare o applicare la negoziazione o l’esecuzione di un contratto. La natura e la qualificazione degli smart contracts sono tutt’ora oggetto di indagine, per quanto riguarda la loro teoria fondamentale si veda: N. Szabo, Formalizing and Securing Relationships on Public Networks, in http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/548/469, 1997, e N. Szabo, The Idea of Smart Contracts, in http://szabo.best.vwh.net/idea.html, 1997. In base ad alcune ricostruzioni gli smart contracts non rappresenterebbero neppure veri e propri contratti, bensì sarebbero strumenti solo per implementare i contratti, cfr. M. Kolvart - M. Poola - A. Rull, Smart Contracts, in T. Kerikmäe - A. Rull (a cura di), The Future of Law and eTechnologies, New York, 2016, pp. 133 e ss. Il legislatore italiano ha fornito una definizione di smart contract all’art. 8-ter, comma 2, del D.L. n. 135/2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 12/2019, secondo cui: “Si definisce smart contract un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'Agenzia per l'Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

13 Nella prassi si utilizza la forma maiuscola “Bitcoin” per alludere all’infrastruttura mentre la forma minuscola “bitcoin” viene utilizzata quando ci si riferisce esclusivamente ad una quantità di tale moneta virtuale, al riguardo si veda https://bitcoin.org/en/vocabulary.

14 La definizione di moneta virtuale verrà specificamente analizzata infra § 2.2.

15 La breve descrizione relativa ai Bitcoin vuole sviluppare gli elementi chiave di questa tecnologia al fine di comprendere gli aspetti essenziali. Ulteriori riferimenti tecnici ed indicazioni informatiche più precise saranno indicati nelle successive note.

16 Il documento è S. Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, in http://bitcoin.org/bitcoin.pdf, 2008.

17 In realtà, gli utenti non possiedono direttamente bitcoin ma delle chiavi che permettono di provare la loro identità all’interno del network Bitcoin. In base alla loro identità all’interno della Blockchain possono essere registrati come proprietari (o meno) di una certa quantità di bitcoin. Pertanto, un utente “spende” i propri bitcoin trasferendone la proprietà ad un altro soggetto. Cfr. A.M. Antonopoulos, Mastering Bitcoin, unlocking digital crypto-currencies, Sebastopol, 2016, pp. 8 e 15; L. Pak Nian - D. Lee Kuo Chuen, Bitcoin and alternative cryptocurrencies, in D. Lee Kuo Chuen (a cura di), Handbook of digital currency, Bitcoin, innovation, financial instruments and big data, London, 2015, p. 15.

18 Si veda supra § 1.

19 Il problema della double spending in un sistema distribuito è di non facile soluzione ma la tecnologia della blockchain ha risolto questo aspetto, si veda M. Crosby - M.C. Nachiappan - P. Pattanayak - et al, BlockChain Technology Beyond Bitcoin, Berkeley, 2016, p. 8.

20 Cfr. A.M. Antonopoulos, Mastering Bitcoin, cit., p. 213; da un punto di vista matematico-informatico si veda A. Judmayer - N. Stifter - K. Krombholz - et al, Blocks and Chains Introduction to Bitcoin, Cryptocurrencies, and Their Consesus Mechanisms, 2017, p. 37.

21 In genere, vista la sempre maggiore necessità di potenza di calcolo necessaria per risolvere i puzzle crittografici, gli utenti intenzionati a compiere comunque tale processo, partecipano a gruppi di mining per condividere la potenza dei propri computer.

22 Oltre ai mezzi qui indicati è possibile ottenere monete virtuali di nuova creazione attraverso la partecipazione ad una Initial Coin Offering (ICO), ovvero un sistema di crowdfunding non regolamentato, cfr. P. Hacker - C. Thomale, Crypto-Securities Regulation: ICOs, Token Sales and Cryptocurrencies under EU Financial Law, 2017, p. 1.

23 Parlando di monete virtuali, talora vengono utilizzate espressioni diverse, ad esempio quella di “valute virtuali”. In base ad alcuni Autori (di cui si condivide il pensiero), il termine “moneta” sarebbe più corretto di quello di “valuta” perché la valuta sarebbe una species del più ampio genus di moneta. Infatti una valuta sarebbe una moneta con corso legale (il potere liberatorio di estinguere le obbligazioni pecuniarie) e corso forzoso (l’impossibilità di essere rifiutata come mezzo di pagamento), sul punto R. Bocchini, Lo Sviluppo della Moneta Virtuale: Primi Tentativi di Inquadramento e Disciplina tra Prospettive Economiche e Giuridiche, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, n. 1, 2017, p. 27. Inoltre, si vedano anche: M. Passaretta, Il primo intervento del legislatore italiano in materia di «valute virtuali», in Nuove Leggi Civili Commentate, n. 5, 2018, p. 1171; M.F. Campagna, Criptomonete e Obbligazioni Pecuniarie, in Rivista di Diritto Civile, n. 1, 2019, p. 183; G. Arcella - M. Manente, Le Criptovalute e le loro Contraddizioni: Tra Rischi di Opacità e di Eccessiva Trasparenza, in Notariato, n. 1, 2020, p. 23.

24 Si ricordano, ex multis: T. Ascarelli, La moneta. Considerazioni di diritto privato, Padova, 1928; T. Ascarelli, Studi giuridici sulla moneta, Milano, 1952; G. Stammati, Moneta, in Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976; K. Olivecrona, La struttura dell’ordinamento giuridico, Milano, 1992; B. Inzitari, Moneta, in Digesto, 1994; E. Ruggiero, Moneta, cambio, valuta, in Digesto, 1995; C. Proctor, Mann on the Legal Aspect of Money, VII, Oxford, 2012; M. Cian, La criptovaluta Alle radici dell’idea giuridica di denaro attraverso la tecnologia Spunti preliminari, in Banca Borsa Titoli di Credito, n. 3, 2019, p. 315.

25 Per quanto riguarda i caratteri delineati, si veda: European Central Bank, Virtual Currency Schemes, Francoforte, 2012, pp. 9 e ss.

26 La moneta deve essere un mezzo di scambio perché deve consentire di effettuare scambi senza dover ricorre al baratto (rectius permuta). Al tempo stesso la moneta deve svolgere la funzione di unità di conto così da essere un’unità numerica standardizzata per misurare ed esprimere il valore di beni, servizi ed altri attivi patrimoniali, rendendoli anche comparabili tra loro. Per essere un’efficiente unità di conto, una moneta deve essere divisibile (ovvero frazionabile) e di intuibile valore: deve essere sufficientemente comprensibile per gli utilizzatori la sua unità di misura. Infine la moneta deve poter svolgere la funzione di riserva di valore: una riserva di attivo patrimoniale per soddisfare spese future. In altre parole, la moneta in possesso di un soggetto deve poter essere spesa in futuro.

27 Cfr. G.F. Knapp, Staatliche Theorie des Geldes, Lipsia, 1905; C. Proctor, Mann on the Legal Aspect of Money, VII, Oxford, 2012.

28 Questa definizione tautologica attiene a caratteri e necessità storiche. Infatti, gli Stati si avvalgono di una propria moneta come istituzione creata e garantita da loro stessi, esplicando così il principio di sovranità. Pertanto, alla moneta viene garantito corso legale, un controllo centralizzato da parte dello Stato stesso e un supporto fisico (monete e banconote). Al riguardo: G.F. Knapp, Staatliche, cit.; C. Proctor, Mann on the Legal, cit.; R. D’Orazio, Moneta elettronica, in Digesto, 2005; M. Mancini, Valute virtuali e «Bitcoin», in Analisi giuridica dell’economia, n. 1, 2015.

29 Si veda al riguardo G. Gasparri, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del «Bitcoin»: miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema?, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 3, 2015, p. 417.

30 Per quanto riguarda questa teoria, si veda M. Aglietta - A. Orlean (a cura di), La monnaie souveraine, Parigi, 1998, riportata anche in J. Grahl, Money as sovereignty: The economics of Michel Aglietta, in New Political Economy, vol. 5, n. 2, 2000.

31 Questa interpretazione ha il pregio di rilevare con accuratezza l’impatto di crisi istituzionali e/o economiche. Esemplificativa può essere la diffusione di monete virtuali in Venezuela nel 2018 in seguito alla crisi economica, si veda al riguardo: P. Soldavini, Venezuela in crisi, boom delle criptovalute per difendersi dall’iperinflazione, in http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2018-08-24/venezuela-crisi-boom-criptovalute-difendersi-dall-iperinflazione-175659.shtml?uuid= AEJMk3 eF&refresh_ce=1, 2018.

32 Sebbene le funzioni previste dalla teoria economica della moneta siano attualmente assolte in modo imperfetto dai Bitcoin, vi sono tutte le potenzialità affinché queste siano rispettate completamente in futuro.

33 Visto che è proprio questo lo scopo per cui sono stati creati e il loro formato risponde a logiche di standardizzazione.

34 Talora si utilizza il concetto di quasi-moneta per riferirsi ad un sistema che soddisfa alcune delle caratteristiche della moneta, sul punto J.A. Bergstra - K. De Leeuw, Bitcoin and Beyond: Exclusively Informational Money, in https://arxiv.org/abs/1304.4758, 2013.

35 Cfr. A. Bal, Taxing Virtual Currency: Challenges and Solutions, in Intertax, n. 5, 2015, p. 382.

36 Il problema maggiormente dibattuto riguarda il carattere di riserva di valore: il mercato dei Bitcoin presenta un’elevata volatilità che pone numerosi interrogativi sulla sua affidabilità e sicurezza. Anche se la sua decentralizzazione conferisce una resistenza a fenomeni inflattivi e risponde di più alle esigenze di mercato rispetto alle politiche dei governi, le numerose incertezze sul suo futuro sono un ostacolo di difficile superamento se non si vogliono accettare i caratteri tipici di una moneta nelle prime fasi di creazione. Diversamente, sarebbe da valutare l’ipotesi di considerarla una moneta complementare.

37 Indicativo il fatto che il fenomeno dei Bitcoin compaia successivamente alla grave crisi economica mondiale del 2008.

38 Sebbene non vi sia una definizione ufficiale di moneta digitale, si veda, a titolo esemplificativo: European Central Bank, Virtual Currency Schemes, Francoforte, 2012, pp. 9 e ss; European Banking Authority, EBA Opinion on ‘virtual currencies’, 2014, pp. 10 e ss.; N. Mancini, Bitcoin: rischi e difficoltà normative, in Banca Impresa Società, n. 1, 2016.

39 Cfr. R. D’Orazio, Moneta elettronica, in Digesto, 2005. In altri termini, si tratta di una forma dematerializzata di una valuta avente corso legale. Comunque l’art. 1, comma 2 lett. h-ter del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia - T.U.B.) definisce: “'moneta elettronica': il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell'emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento come definite all'articolo 1, comma 1, lettera c), del Decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, e che sia accettato da persone fisiche e giuridiche diverse dall'emittente. Non costituisce moneta elettronica: 1) il valore monetario memorizzato sugli strumenti previsti dall'articolo 2, comma 2, lettera m), del Decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11; 2) il valore monetario utilizzato per le operazioni di pagamento previste dall'articolo 2, comma 2, lettera n), del Decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11”.

40 Anche per il concetto di moneta virtuale non esiste un’unica definizione ufficiale. Indicativi sul punto i lavori della BCE e del Fondo Monetario Internazionale: European Central Bank, Virtual Currency, cit., pp. 9 e ss.; D. He - K. Habermeier - R. Leckow - et al, Virtual Currencies and Beyond: Initial Considerations, 2016, pp. 6 e ss. Tuttavia, in àmbito europeo, la Direttiva (UE) 2018/843 ha modificato la Direttiva (UE) 2015/849 e ha fornito una definizione di moneta virtuale ai fini del contrasto al fenomeno del riciclaggio. Infatti, in base all’art. 3, n. 18, della Direttiva (UE) 2015/849 le “valute virtuali” sono “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. Di conseguenza, il legislatore italiano ha così definito le valute virtuali all’art. 1, comma 2, lett. qq, del D.Lgs. n. 231/2007: “valuta virtuale: la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

41 All’interno delle monete virtuali possono essere compiute diverse classificazioni, tanto che si parla anche di “schemi di monete virtuali” come analizzato dalla Banca centrale europea, al riguardo: European Central Bank, Virtual Currency Schemes, Francoforte, 2012, pp. 13 e ss. Quindi, volendo distinguere le monete virtuali in base alla loro rappresentazione digitale di valore (che può essere trasferita tra le parti) e al sottostante sistema di pagamento-trasferimento è possibile individuare tre schemi di monete virtuali. Il primo schema di monete virtuali, detto anche schema chiuso di moneta virtuale, riguarda monete che operano in un ambiente virtuale completamente separato dal mondo reale. Il secondo schema riguarda monete virtuali con flusso unidirezionale: la moneta virtuale può essere acquistata usando moneta reale ad un tasso di scambio prefissato (a cui si aggiungono eventuali ulteriori condizioni stabilite dal gestore dello schema stesso) ma non è possibile scambiarla per ottenere nuovamente moneta reale. Infine, la terza ipotesi concerne schemi di monete virtuali con flusso bidirezionale. Pertanto, in base a questa classificazione, è possibile qualificare i Bitcoin come una moneta virtuale con flusso bidirezionale.

42 Un altro criterio per classificare le monete virtuali concerne la loro struttura “interna”. Una sintetica ma chiara classificazione di questo tipo è indicata in D. He - K. Habermeier - R. Leckow - et al, Virtual Currencies and Beyond: Initial Considerations, 2016, p. 8. In questo caso sono tre i parametri da valutare: l’emissione e la rimborsabilità della moneta; i meccanismi di attuazione e applicazione delle norme interne sull’uso e la circolazione della moneta virtuale; il processo di pagamento e di regolamento. Senza voler specificare ognuno dei criteri, è sufficiente segnalare che ciascuna di queste operazioni può essere effettuata da un soggetto centralizzato oppure in maniera decentralizza da parte degli utenti che utilizzano la moneta stessa. Pertanto, sono possibili tre diversi modelli: centralizzato, decentralizzato oppure ibrido. Seguendo questa classificazione, è possibile annoverare i Bitcoin tra le monete virtuali decentralizzate.

43 All’interno delle monete virtuali decentralizzate è, inoltre, possibile individuare un’ulteriore sottocategoria: se le monete virtuali decentralizzate si avvalgono di tecniche crittografiche per le proprie operazioni (quei processi necessari al funzionamento in un sistema in cui non esiste un soggetto centrale che amministra o emette la moneta e la sua funzione è svolta da un sistema di protocolli interni che governano le operazioni e permettono la verifica delle operazioni compiute dagli stessi partecipanti), esse prendono il nome di “criptomonete” o “criptovalute”. In realtà, è opportuno compiere una precisazione sull’utilizzo del termine “criptomonete” o “criptovalute”. Infatti, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la maggioranza delle criptomonete sono pseudo-anonime in quanto le transazioni sono presenti in un registro pubblico ma gli utenti sono conosciuti esclusivamente attraverso i loro “indirizzi”, i quali non sono normalmente tracciabili con identità del mondo reale. Per tale motivo gli scambi di criptomonete hanno in genere un livello di trasparenza maggiore del denaro contante ma garantiscono un anonimato minore di altre forme di pagamento online.

44 Al riguardo, si veda: A. Bal, Taxation of Virtual Currencies, 2014, p. 66; N. Vardi, «Criptovalute» e dintorni: alcune considerazioni sulla natura giuridica del «Bitcoin», in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, n. 3, 2015; G. Gasparri, Timidi tentativi, cit.; C. Sacchetto - F. Montalcini (a cura di), Diritto Tributario Telematico, 2, Torino, 2017, p 279; R. RAZZANTE, Bitcoin: tra diritto e legislazione, in Notariato, n. 4, 2018, p. 383; G. Rinaldi, Approcci Normativi e Qualificazione Giuridica delle Criptomonete, in Contratto e Impresa, n. 1, 2019, p. 257; S. Rapuano - M. Cardillo, Le Criptovalute: tra Evasione Fiscale e Reati Internazionali, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 1, 2019, p. 42. Sul punto, per quanto riguarda la giurisprudenza è necessario ricordare la recente sentenza del TAR Lazio n. 01077 del 27 gennaio 2020.

45 Così P.L. Burlone - R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, Inquadramento giuridico e fiscale, in http://www.brunoleonimedia.it/public/Focus/IBL_Focus_234-De_Caria_Burlone.pdf,2014, e anche C. Sacchetto - F. Montalcini (a cura di), Diritto Tributario Telematico, cit., p. 280.

46 Cfr. R. Bocchini, Lo Sviluppo della Moneta Virtuale, cit.

47 Così C. Sacchetto - F. Montalcini (a cura di), Diritto Tributario Telematico, cit., p. 280.

48 In realtà, se si seguisse la teoria sociologica della moneta, tale ricostruzione porterebbe ad affermare che il Bitcoin sia una moneta. Inoltre, bisogna ammettere che il confine tra moneta e bene giuridico sia molto labile per determinati aspetti. Infatti, se è appena stata rilevata una somiglianza dei Bitcoin con le monete tradizionali (ovvero di moneta-merce che ha un valore indipendentemente dalla volontà dello Stato), bisogna sottolineare come i Bitcoin siano privi di valore intrinseco proprio come le monete attuali (fiat money). Pertanto, si potrebbe idealmente porre un interrogativo relativo al fenomeno monetario in questi termini (al netto del valore intrinseco - nullo - della moneta): è moneta solo ciò che lo Stato (o una banca centrale) stabilisce, indipendentemente da qualsiasi requisito oggettivo, oppure è moneta anche quello che la società ritiene essere moneta?

49 Sul punto: P.L. Burlone - R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, cit.; R. Bocchini, Lo Sviluppo della Moneta Virtuale, cit.; C. Sacchetto - F. Montalcini (a cura di), Diritto Tributario, cit., p. 279.

50 Cfr. A. Caloni, Bitcoin: Profili Civilistici e Tutela dell’investitore, in Rivista di Diritto Civile, vol. 1, 2019, p. 159.

51 Così R. Bocchini, Lo Sviluppo della Moneta Virtuale, cit.

52 Corte Giust., 22 ottobre 2015, C-264/14, Skatteverket c. David Hedqvist, in Banca Dati InfoCuria.

53 L’esenzione prevista all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA è relativa a divise, banconote e monete con valore liberatorio.

54 L’esenzione prevista dalla lettera d) dell’articolo 135, paragrafo 1, della Direttiva IVA concerne depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti, assegni e altri effetti commerciali mentre quella della lettera f) del citato articolo riguarda azioni, quote, parti di società o associazioni, obbligazioni e altri titoli

55 Al riguardo si vedano le sentenze della Corte Giust.: Ludwing, C-453/05, punto 21, e DTZ Zadelhoff, C-259/11, punto 20.

56 Sul punto si vedano le sentenze della Corte Giust.: Hedqvist C-264/14, punto 35; Don Bosco Onroerend Goed, C-461/08, punto 25; DTZ Zadelhoff, C-259/11, punto 21.

57 Al riguardo Velvet & Steel Immobilien, C-455/05, punto 24.

58 Sentenza Hedqvist, C-264/14, punto 37.

59 Si vedano in particolare i paragrafi da 31 a 34.

60 Sentenza Hedqvist, C-264/14, punto 47.

61 Sentenza Hedqvist, C-264/14, punto 49.

62 Sentenza Hedqvist, C-264/14, punto 52; da notare che, sebbene la Corte non si soffermi a qualificare espressamente i Bitcoin e le valute (rectius monete) virtuali, adotti spesso una terminologia prossima al concetto di moneta o, come in questo caso, le descriva come non aventi finalità ulteriori se non quella di mezzo di pagamento.

63 A livello europeo, per quanto concerne le monete virtuali, è opportuno parlare di una certa prossimità al concetto di moneta poiché vi sono diverse affermazioni di principio che escludono la qualifica di moneta ai Bitcoin. Infatti, la Banca centrale europea, in European Central Bank, Virtual Currency, cit., ha definito le monete virtuali come «a type of unregulated, digital money, which is issued and usually controlled by its developers, and used and accepted among the members of a specific virtual community» (p. 5) e ha aggiunto che «Although Bitcoin is a virtual currency scheme, it has certain innovations that make its use more similar to conventional money» (p. 21). Più di recente, è doveroso ricordare come la Direttiva (UE) 2018/843, modificando la Direttiva (UE) 2015/849, abbia fornito una definizione di moneta virtuale ai fini del contrasto al fenomeno del riciclaggio. Infatti, in base all’art. 3, n. 13, della Direttiva (UE) 2015/849 le “valute virtuali” sono “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. Successivamente, il legislatore italiano ha così definito le valute virtuali all’art. 1, comma 2, lett. qq, del D.Lgs. n. 231/2007: “valuta virtuale: la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

64 Le medesime considerazioni sono state riprese anche nel più recente interpello n. 956-39/2018 della Direzione Regionale della Lombardia, in cui sono state inserite brevi osservazioni in tema di normativa antiriciclaggio e sulla valorizzazione dei campi del Modello Redditi - Persone Fisiche. Per una disamina critica di tale metodo ed impostazione si veda tra l’altro: G. Corasaniti, Il trattamento tributario dei bitcoin tra obblighi antiriciclaggio e monitoraggio fiscale, in Strumenti finanziari e fiscalità, n. 36, 2018, p. 45; M. Pierro, La qualificazione giuridica e il trattamento fiscale delle criptovalute, in Rivista di Diritto Tributario, n. 2, 2020, p. 103.

65 Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 della Agenzia delle Entrate, p. 7.

66 Si continuerà a parlare di trattamento relativo alle valute estere ed a considerare i Bitcoin, a fini tributari, come una “valuta estera” con le riserve indicate in precedenza (in particolare si veda supra alla nota n. 62). Infatti, da parte di diverse istituzioni europee si nega la qualifica di moneta anche se si applicano norme relative alle stesse.

67 Al riguardo S. Capaccioli, Regime impositivo delle monete virtuali: poche luci e molte ombre, in Il Fisco, n. 37, 2016, p. 3538, infine l’Autore sostiene che sarebbe invece meglio considerare i Bitcoin come titoli non rappresentativi di merce. Più in generale, si veda: S. Capaccioli, VAT & BITCOIN, in EC tax review, n. 6, 2014, p. 361; P. Claps - M. Pignatelli, L’acquisto e la vendita per conto terzi di «bitcoin» non sconta l’IVA ma rileva ai fini IRES e IRAP, in Corriere tributario, n. 40, 2016, p. 3073; G. Palumbo, Il trattamento tributario dei «bitcoin», in Diritto e Pratica Tributaria, n. 1, 2016; M. Piasente, Esenzione IVA per i «bitcoin»: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione «divise», in Corriere tributario, n. 2, 2016, p. 141; C. Perno, Trattamento Tributario dei Token Ceduti in Sede di Initial Coin Offering, in Fisco, n. 47, 2018, p. 4521.

68 Pertanto, non sono rilevanti le cessioni a pronti delle valute, così M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2006, p. 1064.

69 Cfr. C. Sacchetto - F. Montalcini (a cura di), Diritto Tributario Telematico, cit., p. 282; Istruzioni al Modello Unico Persone Fisiche 2016, 2, p. 22. Inoltre, in base alla circolare n. 165/E del 24 giugno 1998 dell’Agenzia delle Entrate, le eventuali minusvalenze realizzate sono indeducibili qualora non vengano rispettate le condizioni indicate. Tuttavia, bisogna ricordare che non vi è alcuna indicazione ufficiale del cambio dei Bitcoin.

70 In base ad alcune tesi sarebbe proprio il trattamento fiscale dei guadagni di capitale occasionale che contribuirebbe a distinguere la nozione di reddito-prodotto e reddito-entrata, così G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte Speciale, 8, Padova, 2012, p. 50. Più in generale, sulla nozione di reddito-entrata e di reddito-prodotto, si cita a fini meramente esemplificativi: E. Vanoni, Osservazioni sul concetto di reddito in finanza, in Opere giuridiche, vol. II, Milano, 1962, pp. 351 e ss.; G. Falsitta, Le plusvalenze nel sistema dell’imposta mobiliare, Milano, 1966; P. Russo, Manuale di diritto tributario, 3, Milano, 1999, p. 558; M. Beghin, Princìpi, istituti e strumenti per la tassazione della ricchezza, vol. 1, Torino, 2010, p. 132; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte Speciale, 8, Padova, 2012, p. 2; F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario 2 - Parte speciale, 11, Milano, 2018, pp. 7 e ss.

71 Cfr. D. Stevanato, Plusvalenze e minusvalenze nel diritto tributario, in Digesto, 1995.

72 Si veda, in via sintetica: F. Moschetti, Il principio di capacità contributiva, Padova, 1973; L. Antonini, Dovere tributario, interesse fiscale e diritti costituzionali, Milano, 1996; G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte Generale, 4, Padova, 2004, p. 133.

73 Così in F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario 1 - Parte generale, 13, Milano, 2017, p. 66, e G. Falsitta, Manuale di diritto tributario. Parte Generale, cit., p. 140.

74 Infatti non si potrebbe – a stretto rigore logico – applicare l’esenzione di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA. Più in generale, l’intera ricostruzione della Corte di Lussemburgo nella sentenza Hedqvist C-264/14 dovrebbe essere messa in discussione. In primo luogo, difficilmente potrebbe ancora sostenersi che l’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della Direttiva n. 2006/112 (Direttiva IVA) dovrebbe essere interpretato nel senso che costituiscono prestazioni onerose di servizi, le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “Bitcoin” e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo al quale l’operatore interessato acquista le valute e il prezzo al quale le vende ai suoi clienti. In secondo luogo, difficilmente si potrebbe sostenere che l’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che le prestazioni di servizi, relative al cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale “Bitcoin” e viceversa, costituiscono operazioni esenti sul valore aggiunto ai sensi di tale disposizione.

75 Così P.L. Burlone - R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, cit., p. 10.

76 Nel caso di abitualità e professionalità nello svolgimento della vendita di Bitcoin (intesi come beni) si applicherà la categoria reddituale dell’impresa.

77 Al riguardo P.L. Burlone - R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, cit.

78 Cfr. C. Giannattasio, La permuta - il contratto estimatorio - la somministrazione, Milano, 1974, p. 4, e F. Fezza - V. Ivone, Somministrazione e permuta, in A. Cicu - F. Messineo - L. Mengoni (a cura di), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2017, p. 103.

79 Così R. Degli innocenti, Della permuta, in G. Alpa - V. Mariconda (a cura di), Codice Civile Commentato, Milano, 2013 e F. Fezza - V. Ivone, Somministrazione, cit.

80 Cfr F. Fezza - V. Ivone, Somministrazione, cit., p. 106: sull’attualità della figura negoziale, infatti, due tesi riassumono il dibattito in corso. Da un lato vi è chi è convinto che la permuta corrisponda ad un relitto storico e ne relega il ricorso ad un àmbito puramente occasionale, apparendo ormai la funzione del baratto “largamente estranea ai fenomeni della produzione e della circolazione di massa di un’economia moderna” (in tal senso C.M. Bianca, La vendita e la permuta, in F. Vassalli (a cura di), Trattato di Diritto Civile, VII, 2, Torino, 1993, p. 1138). Dall’altro lato, tuttavia, si sottolinea come anche nei più evoluti sistemi economici possano presentarsi contingenze tali da rendere la permuta lo strumento più utile per soddisfare interessi privati o esigenze generali dell’economia. Circostanze come l’aumento del costo del denaro e la svalutazione monetaria o l’inflazione hanno senz’altro contribuito a portare in auge la permuta che, infatti, a prescindere dagli orientamenti più o meno apprezzabili in merito, sta effettivamente conoscendo una notevole ridiffusione; cfr. L. Ricca, Permuta (diritto privato), in Enciclopedia del Diritto, XXXIII, Milano, 1983, p. 126; G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Commentario al Codice Civile, Torino, 1991, p. 220; M. E. Poggi, Della permuta, in Paolo Cendon (a cura di) Commentario al Codice Civile, IV, Torino, 1993, p. 1052.

81 Si veda supra § 3.1.1 e § 3.1.2.

82 Questo perché, come esposto supra § 3.1.2, risulterebbe difficoltoso giustificare l’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva IVA, relativa a divise, banconote e monete con valore liberatorio.

83 Per quanto riguarda i problemi dell’applicazione dell’IVA alle operazioni di permuta, anche in relazione alla giurisprudenza europea, si ricorda: P. Boria, Permuta nel diritto tributario, in Digesto, 1995; S. Cannizzaro, Permuta, operazioni permutative e datio in solutum tra normativa europea e disciplina interna, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, n. 2, 2014; P. Centore, IVA, 2019.

84 L’art. 14 del D.P.R. n. 633/1972 stabilisce che:

1. Per valore normale si intende l'intero importo che il cessionario o il committente, al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la cessione di beni o la prestazione di servizi, dovrebbe pagare, in condizioni di libera concorrenza, ad un cedente o prestatore indipendente per ottenere i beni o servizi in questione nel tempo e nel luogo di tale cessione o prestazione.

2. Qualora non siano accertabili cessioni di beni o prestazioni di servizi analoghe, per valore normale si intende:

a) per le cessioni di beni, il prezzo di acquisto dei beni o di beni simili o, in mancanza, il prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni;

b) per le prestazioni di servizi, le spese sostenute dal soggetto passivo per l'esecuzione dei servizi medesimi.

3. Per le operazioni indicate nell'articolo 13, comma 3, lettera d), con Decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti appositi criteri per l'individuazione del valore normale”.

85 Si veda supra § 2.1.

86 Si vedano al riguardo supra § 3.1 e 3.2.

87 Cfr. P.L. Burlone - R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, cit.

88 Al riguardo, si veda supra § 3.1.2.

8