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La liquidazione controllata del sovraindebitato nel Codice della crisi. Aspetti procedimentali e profili applicativi

Scritto da Luigi Scipione • gen 2023

Sintesi

Nei primi anni di applicazione della Legge n. 3/2012 le prassi in uso nei Tribunali hanno messo in luce non pochi aspetti controversi della normativa sulle crisi da sovraindebitamento. Con l’introduzione della liquidazione controllata il Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza introduce per il debitore non fallibile, anche se è un consumatore, in stato di sovraindebitamento, la possibilità di beneficiare di una procedura di liquidazione controllata dei suoi beni. Tale procedura mira a disporre del patrimonio del soggetto sovraindebitato per tutelare i creditori, ma anche lo stesso debitore. Sulla base di un confronto tra vecchia e nuova normativa l’obiettivo del presente scritto è quello di illustrare il funzionamento ed i principi che caratterizzano l’istituto della liquidazione controllata sul piano procedimentale e degli effetti applicativi.

Abstract

In the first years of application of the Law no. 3/2012 the practices in use in the Courts have highlighted many controversial aspects of the legislation on over-indebtedness crises. With the introduction of controlled liquidation, the Code of the company crisis and insolvency introduces for the non-fallible debtor, even if he is a consumer in a state of over-indebtedness, the possibility of benefiting from a controlled liquidation procedure of his assets. This procedure aims to dispose of the assets of the over-indebted person to protect the creditors, but also the debtor himself. Based on a comparison between the old and new legislation, the objective of this paper is to illustrate the functioning and the principles that characterize the institute of controlled liquidation in terms of procedure and application effects.

Contenuto

1. Natura e finalità dell’istituto del sovraindebitamento

A partire dal 2005 il diritto concorsuale e più in particolare gli strumenti di composizione della crisi sono stati oggetto di molteplici interventi normativi, che in più circostanze hanno permesso di rivisitare le disposizioni contenute nella L. fall. Le modifiche e le interpolazioni intervenute, pur ispirate all’apprezzabile intento di rispondere con urgenza e straordinarietà a momenti di profonda crisi del tessuto economico, hanno ineluttabilmente eroso la sistematicità dell’impianto del 1942. Malgrado si rivelasse un’impronta marcatamente autoritativa, tale corpo normativo era unanimemente considerata di ottima fattura, poiché connotato da organicità e coerenza rispetto alle esigenze scaturenti dal contesto sociale dell’epoca.

Tuttavia, la sovrapposizione degli interventi suddetti ha introdotto nell’edificio della L. fall. elementi di frammentazione e di farraginosità rendendo tale impianto non sempre di facile interpretazione e applicazione da parte della giurisprudenza chiamata a colmarne le lacune e a raccordare le tesi contrastanti emerse in dottrina. Di qui l’esigenza di rivedere integralmente la materia, al fine sia di recuperare quella sistematicità originaria ormai andata persa nonché di annettervi quelle innovazioni che la prassi giurisprudenziale aveva con tanta fatica, superando accesi contrasti e allacciando posizioni in partenza antitetiche, in quegli anni prodotto.

A latere di questa evoluzione del diritto fallimentare e delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa, all’interno del CCII vengono a trovare la propria sedes materiae le procedure di sovraindebitamento.

Il sovraindebitamento è una procedura di composizione della crisi e della situazione debitoria. Si può parlare di sovraindebitamento riferendoci alla disagiata condizione in cui una persona si trova quando non riesce a far fronte ai propri debiti diventati, per una serie di eventi sopravvenuti, nettamente superiori rispetto ai mezzi economici a sua disposizione.1

Come è noto, il percorso che ha condotto all’introduzione della procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento è stato lungo e tortuoso. La prima disciplina venne a configurarsi con il D.L. n. 212/2011 rubricato “Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile”; tuttavia, a seguito dell’introduzione della L. n. 3/2012, il Decreto Legge non venne convertito nella parte relativa alle norme sul sovraindebitamento e la suddetta Legge, in seguito integrata e corretta dal decreto “Crescita-bis” del 4 ottobre 2012, divenne l’unica disciplina di riferimento in materia.

Tale assetto normativo ha avuto il pregio, tra le altre novità di rilievo, di estendere ai soggetti con debiti contratti al di fuori dell’attività professionale e d’impresa la possibilità di giungere ad un accordo con i propri creditori e ciò in considerazione del contesto di crisi economica che può investire indifferentemente famiglie e imprese.

Il CCII attua i principi e i criteri direttivi in materia di esdebitazione, contenuti negli artt. 8 e 9 della Legge delega n. 155/2017, procedendo ad una revisione della disciplina della crisi da sovraindebitamento al fine precipuo di armonizzare e coordinare il fenomeno della crisi delle imprese minori e dell’insolvente civile con i principi generali che regolano l’insolvenza e la crisi d’impresa, semplificando la regolazione del sovraindebitamento – contrassegnato da criticità e vuoti precettivi – e ampliando l’esdebitazione nell’auspicio che la normativa di nuovo conio possa raggiungere i risultati delle omologhe leggi presenti negli ordinamenti di altri paesi europei.

Sul piano sistematico, le innovazioni contenute nel Codice rispetto all’impianto originario descritto sono molteplici, come ad esempio la previsione di procedure volte a superare il sovraindebitamento familiare, l’esdebitazione dei soggetti incapienti o la più ampia legittimazione processuale riconosciuta al liquidatore della liquidazione controllata.2 Tuttavia, gran parte di esse erano state anticipate attraverso il D.L. n. 137/2020 (c.d. “Ristori”) e la successiva Legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176.3

Giova incidentalmente segnalare che tra le disposizioni sulle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza e quelle afferenti alle procedure da sovraindebitamento non sembra sussistere una distinzione netta e costante, sia perché il sovraindebitamento è definito dall’art. 2, comma 1, lett. c), CCII come stato di crisi o insolvenza di determinati soggetti; sia perché, al di là del profilo meramente lessicale, le disposizioni relative alla liquidazione controllata sono collocate nel Capo IX del Titolo V, mentre quelle delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento – sul piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e quelle sul concordato minore (dagli artt. 65 all’art. 83) – sono inserite accanto alla disciplina concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti degli imprenditori nel Titolo IV relativo agli «Strumenti di regolazione della crisi»; sia, infine, perché le disposizioni sulla procedura di liquidazione controllata e l’esdebitazione sono collocate nel Titolo V sulla “Liquidazione giudiziale”, che è procedura riservata agli imprenditori commerciali (dagli artt. 268 a 283).


2. La liquidazione controllata. Inquadramento sistematico

La liquidazione giudiziale è procedura che, al di là della sua formulazione lessicale, sostituisce il fallimento, e ciò in attuazione di quanto espressamente previsto ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. A) della Legge delega n. 155/2017. La nuova definizione nasce dal fatto che, nel corso del tempo, il termine “fallimento” ha perso la propria connotazione marcatamente afflittiva. Invero, un aspetto meno tecnico della riforma ma non per questo privo di significato sul teleologico, che ha attirato da subito l’attenzione non solo degli addetti ai lavori, è la rimozione da tutta la materia concorsuale di qualsiasi termine che abbia a che vedere con il disdoro sociale ed economico del “fallimento” e di tutti i termini da esso derivanti: è stata così prevista la sostituzione del risalente stigma legato al termine (qualifica) di “fallito con quello di “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale”, di “fallimento” con “liquidazione giudiziale”, e di “procedura fallimentare” che è divenuta “procedura di liquidazione giudiziale”.4 Per inciso, il termine “debitore” viene utilizzato dal legislatore della riforma non solo in riferimento agli imprenditori commerciali individuali o in forma societaria diversi dalle imprese minori, quindi assoggettabili alla liquidazione giudiziale, ma in senso più ampio: “… sia esso consumatore o professionista, ovvero imprenditore che eserciti, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale, artigiana o agricola, operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di imprese o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti pubblici” (art. 1 CCII).

Sia pure con alcune variabili nella relativa elaborazione teorica, la liquidazione controllata, in quanto procedura equivalente alla liquidazione giudiziale, trova il suo corrispondente tipologico in quella contenuta nella sezione II del Capo II della L. n. 3/2012 riguardante la liquidazione del patrimonio.5 A differenza dell’accordo e del piano del consumatore, che presentano numerose analogie con le soluzioni concordatarie della crisi d’impresa, la liquidazione del patrimonio aveva mutuato lo stesso impianto del fallimento. Siffatta assimilazione si ritrova ancor più marcata a proposito della liquidazione controllata del sovraindebitato. Tale assetto è intuitivamente comprensibile, preso atto che ambo le procedure implicano lo spossessamento del debitore, il cui patrimonio è liquidato da un apposito organo per soddisfare la massa dei creditori ammessi al passivo.

Rispetto alla “liquidazione del patrimonio” cambia parzialmente il nome, poiché la parola “liquidazione” perde il riferimento specificativo al “patrimonio” o ai “beni” (del debitore sovraindebitato) e acquista l’aggettivo “controllata” che evoca l’ormai abrogata amministrazione controllata.6

E non si accosta neppure agli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui si sono ugualmente negate la concorsualità e anche la prevalenza di una maggioranza di creditori che s’impongono sulla minoranza.

La procedura, pertanto, è strutturata sul paradigma classico di quelle concorsuali. Per vero, già in costanza della L. n. 3/2012, si era di fronte ad una procedura di natura ibrida, giacché si contemplava la possibilità per il debitore, ancorché consumatore, di liberarsi dei suoi debiti, avvalendosi di un diverso schema procedimentale appositamente deputato a trattare con maggiore oculatezza specifiche esigenze tanto del debitore imprenditore quanto del debitore consumatore.7


3. Presupposti soggettivi di applicazione

Il CCII mantiene sostanzialmente immutata la nozione di sovraindebitamento per diversi motivi: i) vuoi perché essa include tanto lo stato di crisi quanto quello di insolvenza; ii) vuoi per scongiurare possibili sovrapposizioni lessicali rispetto all’ordinamento penale, volendo discernere lo status dell’imprenditore insolvente, sottoponibile alla liquidazione giudiziale (e quindi alle fattispecie delittuose di bancarotta), da quello dell’imprenditore sovraindebitato, assoggettabile alla liquidazione controllata, che, in quanto titolare di un’impresa agricola o di un’impresa minore, il non risponde di quei reati.

Se, tuttavia, le procedure di sovraindebitamento “minori” costituiscono strumenti alternativi del solo debitore, diversamente la liquidazione controllata, al pari di quella giudiziale, costituisce lo strumento residuale per la definizione della crisi da sovraindebitamento aperto all’iniziativa di terzi.

Ne consegue che le condizioni di accesso sono meno stringenti rispetto alla ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore, perché non costituisce un beneficio per il sovraindebitato, bensì un’opportunità di liquidazione collettiva a favore di tutti i creditori.

A rigor di termini, alle suddette procedure si accede in presenza di presupposti oggettivi e soggettivi, definiti dall’art. 2 del CCII.

 In particolare, sul versante soggettivo si assiste ad un irrigidimento, sul piano dei presupposti di ammissibilità dell’accesso alle procedure da sovraindebitamento. Nel confermare l’impianto della L. n. 3/2012, a seguito del correttivo, possono accedere alla nuova procedura il consumatore, il professionista, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, le start-up innovative, e ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza, che versano in stato di sovraindebitamento inteso quale stato di crisi o di insolvenza (art. 2, comma 1, lett. c).

Il CCII introduce, per di più, una rilevante novità, attuando un preciso criterio direttivo della Legge delega, laddove – nel definire il consumatore come persona fisica8 – ha cura di chiarire all’art. 2, comma 1, lett. e) che alle procedure di sovraindebitamento possono ricorrere anche i soci illimitatamente responsabili di società di persone commerciali (s.n.c. e s.a.s.) e di società in accomandita per azioni, per debiti estranei a quelli sociali.9 A ben intendere, detta previsione replica il rimedio che l’art. 184, comma 2, L. fall., impiegava per ricomprendere tale categoria di soci nell’ambito del concordato preventivo.

Spicca, da un lato, la nuova definizione di “impresa minore”, di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), da ricondursi a quella di “impresa sottosoglia” di cui all’art. 1, comma 2, L. fall.; dall’altro, la ricomprensione dell’impresa agricola, anche se non minore, nell’area del sovraindebitamento, benché inizialmente, in sede di lavori preparatori, tale riconoscimento fosse stato escluso preferendosi parificarla all’impresa commerciale sì da assoggettarla alla liquidazione giudiziale e al concordato preventivo.10

Non ha mancato di destare qualche perplessità la mancanza di alcuna previsione che espressamente si occupi della crisi da sovraindebitamento degli enti privati non commerciali (come i comitati, le associazioni riconosciute e non riconosciute, le fondazioni e tutti gli altri enti privati rientranti nel c.d. terzo settore). Nonostante tale “dimenticanza” si fa notare, in proposito, che tali enti rientrino nella nozione di “ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero alla liquidazione coatta amministrativa” essendo la prima (art. 121 CCII) destinata agli imprenditori commerciali non minori, mentre la seconda (art. 293 CCII) da applicarsi nei casi espressamente previsti dalla legge. Donde si è indotti a ritenere che la procedura coattiva applicabile a tali soggetti debba comunque rinvenirsi nella liquidazione controllata di cui all’art. 268.

Per accedere alla procedura di liquidazione non è necessario il consenso dei creditori né tantomeno deve ricorrere il requisito della meritevolezza, richiesta invece per l’ottenimento dell’esdebitazione finale del debitore.11 L’esclusione della malafede del debitore, poggia sull’assunto che lo stato di dissesto, al di là di ogni ragionevole dubbio, sia scaturito da avvenimenti inaspettati e sicuramente non prevedibili all’atto della richiesta del credito.12

Mentre il debitore non consumatore immeritevole può accedere al concordato minore, oltreché alla liquidazione controllata, l’imprenditore commerciale non minore, che con colpa grave ha causato la sua crisi, può ricorre al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale, così come agli altri strumenti di regolazione della crisi (il piano attestato e gli accordi di ristrutturazione dei debiti).

Beninteso, alla sussistenza di un criterio selettivo ispirato non tanto alla natura del soggetto istante quanto alla sua condotta, che nella previgente disciplina era oggetto di accertamento in sede di omologa ex art. 12-bis L. n. 3/2012, si fa menzione nell’incipit dell’art. 283 in materia di esdebitazione da potersi riconoscere al debitore solo se “meritevole”.13 Si noti difatti che, stante il sistema previgente, la formulazione dell’art. 14-quinquies L. n. 3/2012 precludeva, quasi in rito, l’accesso al debitore sovraindebitato non meritevole, reo di un qualche atto frodatorio sui generis, che avesse formulato istanza di liquidazione del patrimonio.14 Sul punto, la dottrina maggioritaria era concorde nel ritenere che il compimento di atti fraudolenti risultasse aprioristicamente ostativo, oltre che per il piano, altresì per l’apertura dell’accordo di composizione della crisi; ma non altrettanto per l’accesso alla liquidazione del patrimonio, posto che “solo con quest’ultima il liquidatore può far valere le ragioni di cui alla actio pauliana”.15

Per inciso, il diniego dell’omologazione del piano del consumatore della crisi non era da identificare in un giudizio di merito, “bensì nella [mera] impossibilità, giusto il limitato ambito operativo concesso al liquidatore di porre in essere una qualsivoglia azione riparatoria dell’eventuale atto in frode posto in essere dal debitore”.16 Come noto, infatti, le procedure volte al superamento di una situazione di sovraindebitamento introdotte nel nostro ordinamento dalla L. n. 3/2012, riguardavano fondamentalmente i soggetti “non fallibili” per dimensione o natura (c.d. imprese “sotto soglia” e debitori non imprenditore commerciali, quali ad esempio, ma non solo, imprese agricole e consumatori).


3.1. (Segue): presupposti oggettivi di applicazione

Tra le novità di maggior rilievo, merita di essere segnalato anche il chiarimento sul presupposto oggettivo delle procedure: se, infatti, la Legge del 2012 definiva lo stato di sovraindebitamento come «una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, che determina la rilevante difficoltà di adempiere le proprie obbligazioni, ovvero la definitiva incapacità di adempierle regolarmente», la riforma lo definisce come uno «stato di crisi o di insolvenza» tout court.

E la “crisi” trova a sua volta, per effetto della riforma, una definizione di cui fino a oggi risultava priva nella Legge fallimentare, considerato che tale disciplina si limitava a fare riferimento alla «crisi» senza mai definirla.17 Questo presupposto oggettivo per l’accesso alle procedure di sovraindebitamento poteva, invero, essere anche inteso anche come corrispondente allo stato di d’insolvenza. In effetti, l’espressione impiegata dal legislatore ricercava stentatamente di raggiungere un condensato tra l’insolvenza del debitore civile e quella dell’imprenditore non fallibile, finendo tuttavia per sussumere in un’unica definizione elementi patrimoniali e finanziari dell’uno e dell’altro non sempre tra loro uniformabili. Ciononostante tale definizione abbisognava di essere completata precisando che non si può parlare a tal proposito solo della definitiva incapacità di adempiere le proprie obbligazioni in modo regolare, ma andava debitamente presa in considerazione anche l’ipotesi in cui il debitore incontri significative difficoltà di farvi fronte.

Ad ogni buon conto, ai sensi del Codice della crisi, affinché si possa accedere alla procedura in oggetto, è quindi sufficiente una situazione equiparabile allo stato di crisi dell’imprenditore, in cui l’incapacità di adempiere le proprie obbligazioni sia statisticamente probabile, seppure non certa.

A tal proposito, l’art. 2, comma 1, lett. a) e b) definisce: a) la crisi, come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi;18 b) l’insolvenza, come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Del resto, a conferma di quanto detto, il giudice investito della liquidazione controllata è chiamato a verificare, oltre alla condizione di uno stato di sovraindebitamento, anche (ii) l’esistenza di beni da aggredire; poiché, laddove non ve ne fossero, la sola opzione residua potrebbe essere costituita dall’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII), per la quale la legittimazione potrebbe sostenersi che spetti al solo debitore, quantomeno per una questione di evidente assenza di interesse ad agire da parte dei creditori.

D’altra parte, pure nella nuova disciplina della liquidazione controllata deve aversi riguardo alla economicità ed efficienza della procedura, ovvero alla sua utilità rispetto allo scopo di distribuzione ai creditori di un qualche attivo, in analogia a quanto previsto in materia di liquidazione giudiziale, ove si dispone la chiusura quando nel corso della procedura si accerti che la sua prosecuzione non consenta di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura.19

Si aggiunga che, qualora non risulti un’esecuzione individuale pendente, non vi sarebbero beni aggredibili da liquidare né potrebbe essere dimostrato sempre lo stato di sovraindebitamento per via di un singolo inadempimento. In simili circostanze il procedimento su richiesta di terzi non avrebbe, pertanto, alcun significato e dovrebbe essere dichiarato inammissibile. Fermo restando che, in siffatte evenienze, tuttavia, la liquidazione controllata senza beni potrebbe essere aperta su richiesta del debitore che non possegga i requisiti per accedere alla esdebitazione del debitore incapiente.

Ove la domanda sia proposta da un creditore nei confronti di un debitore persona fisica, l’apertura della liquidazione controllata viene però negata in due fattispecie opportunamente specificate dal legislatore al secondo comma dell’art. 268.

Nella prima ipotesi si fa luogo all’apertura della liquidazione controllata se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria è inferiore a euro cinquantamila. Tale importo, superiore alla soglia minimale di euro trentamila prevista all’esito dell’istruttoria che precede la liquidazione giudiziale per le imprese “maggiori”, è periodicamente aggiornato con le modalità di cui all’art. 2, comma 1, lett. d).

La seconda opera allorquando l’OCC, su richiesta del debitore, attesti che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie.


4. Soggetti legittimati alla presentazione della domanda e foro competente

Il Codice della crisi prevede, per il debitore non fallibile in stato di sovraindebitamento, anche se trattasi di consumatore, la possibilità di domandare con ricorso al tribunale territorialmente competente l’apertura di una procedura di liquidazione controllata dei suoi beni.20

Secondo l’art. 14-ter, comma 2, L. n. 3/2012, la domanda di liquidazione doveva essere depositata presso il tribunale del luogo in cui il debitore aveva la residenza e non poteva essere proposta dal debitore che avesse fatto ricorso ad altra procedura da sovraindebitamento nei precedenti cinque anni.21

Gli è che, tale preclusione all’accesso alla liquidazione scompare nel Codice della crisi, in coerenza con la nuova regola che riconosce anche al creditore, se il debitore è in stato di insolvenza o pendono su di lui procedure esecutive individuali ritenute chiaro indizio di crisi o insolvenza,22 la legittimazione a chiedere l’apertura della procedura e, più in generale, con la scelta di configurare come istituto premiale solo l’esdebitazione e non più anche la procedura di liquidazione. Per giunta, in tale ipotesi, l’attività dell’OCC non sembra richiesta, poiché senza adeguati poteri e senza la collaborazione del debitore non è possibile per il gestore ricostruire il patrimonio.

In fase di recepimento della “direttiva insolvency”, il D.Lgs. n. 83/2022 ha abrogato il disposto contenuto nell’art. 268 CCII che prevedeva la possibilità per il P.M. di presentare domanda di liquidazione controllata. Beninteso, l’interesse pubblico che giustificava tale legittimazione sussisteva solo se il debitore fosse un imprenditore e unicamente se lo stesso si trovasse in stato di insolvenza. Diversamente, l’estensione di tale legittimazione ai creditori (e, prima della novella del 2022, al pubblico ministero) costituisce attuazione dello specifico criterio di delega di cui all’art. 9, comma 1, lett. h), della L. n. 155/2017.

Senz’altro innovativa e persino inedita è invece la scelta di consentire a qualsiasi creditore, anche non necessariamente dotato di un titolo esecutivo, di richiedere la liquidazione dell’intero patrimonio nei confronti del debitore inadempiente (anche per un debito non particolarmente rilevante). Vale la pena notare che nell’art. 273 della originaria versione del Codice della crisi tale la possibilità era prevista solamente in presenza di azioni esecutive pendenti. La ragione d’essere di tale previsione è da ricercarsi nel presupposto che l’esistenza di procedure esecutive individuali potesse costituire un chiaro indizio di crisi o di insolvenza.23

È lecito ritenere che un simile ampliamento abbia l’obiettivo di estendere i benefici del concorso ai creditori frenati nella tutela dei propri diritti dagli elevati costi delle espropriazioni immobiliari individuali. Se, infatti, sussiste un unico creditore, la pendenza di una sola procedura esecutiva non giustificherebbe il ricorso alla liquidazione controllata. Di contro, l’esistenza di più creditori potrebbe rendere preferibile l’opzione concorsuale ove già fosse pendente un’espropriazione.

Quanto alla competenza, occorre far riferimento all’art. 27 CCI, il cui comma 3 dispone che la competenza appartiene al tribunale nel cui circondario il debitore ha il centro degli interessi principali. Trattasi di un foro oltre che inderogabile anche esclusivo. In effetti, l’art. 27 disciplina la competenza con riferimento alla generalità degli strumenti regolativi della crisi e dell’insolvenza e delle procedure d’insolvenza, compresi quelli che riguardano l’area del sovraindebitamento. Lo si desume chiaramente dalle presunzioni di ubicazione del “centro d’interessi principale” (COMI), da intendersi come “il luogo in cui il debitore gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi” (art. 2, comma 1, lett. m) e che alludono anche a soggetti non esercenti attività d’impresa.

Posto che nel sistema previgente la delimitazione della giurisdizione risultava affidata ad un criterio prettamente territoriale poiché ancorato alla sede legale dell’imprenditore (art. 9, comma 1, L. fall.) o a quella effettiva ove non coincidente con la prima, va incidentalmente segnalato che il riferimento al “centro degli interessi principali del debitore” tende peraltro a conformarsi ai vecchi criteri alla luce delle presunzioni di coincidenza di tale centro d’interessi fissate dallo stesso Codice (art. 27, comma 3).

Il richiamo alle norme del procedimento unitario, di cui si dirà più avanti, dovrebbe, peraltro, confermare l’operatività del successivo art. 28, così superandosi i problemi determinati dalla disciplina previgente del sovraindebitamento, secondo cui eventuali trasferimenti di residenza (o di sede), seppure attuati in modo strumentale o dilatorio, non determinano la declaratoria di incompetenza del tribunale.


4.1. (Segue): deposito e contenuto della domanda. Il ruolo dell’OCC

Anche sotto il profilo dell’accesso alla procedura, il CCII ha disciplinato in modo organico e complessivo la crisi e l’insolvenza delle persone fisiche e giuridiche. In particolare, in attuazione dell’art. 2, comma 1, lett. e) e l) della L. n. 155/2017, trova attuazione il principio di unitarietà della procedura, sia allorché si tratti di appurare lo stato di crisi o di insolvenza sia quando si proceda ad identificare la procedura concorsuale più adeguata.24 Nella relazione illustrativa della novella si legge che il procedimento è unico e l’ingresso nella concorsualità è tendenzialmente crescente e a protezione progressiva della proposta procedura.

A prescindere dall’instaurazione di un procedimento unitario, resta salvo il principio della domanda – nell’unica denominazione di ricorso indipendentemente dalla provenienza – il cui esito rimane condizionato al petitum oggetto della domanda medesima.

Entrando nel merito della liquidazione controllata, si evidenzia come l’apertura della stessa sia improntata ai criteri di rapidità e snellezza senza affrancarsi dai caratteri fondamentali tipici di una procedura concorsuale.

Con approccio pragmatico, stante il tenore letterale dell’art. 269 CCII, non è necessario, al fine soprattutto di contenere i costi della procedura, il patrocinio di un legale rappresentante per la presentazione del ricorso contenente la domanda di liquidazione. Il debitore può depositare personalmente la domanda avvalendosi dell’“assistenza” dell’OCC costituito nel circondario del tribunale competente (art. 27 CCII).25 Per vero, solo nel concordato minore, a causa della maggiore complessità del procedimento, è richiesta, oltre all’assistenza dell’OCC, quella di un difensore.

Dunque, la tutela del debitore si realizza grazie all’assistenza di tale organismo, il quale non è solo il tramite del deposito ma incarna una figura più vicina al debitore.26 D’altro canto, occorre tener presente che, in linea generale, nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento la nomina di un “attestatore” deve ritenersi sempre facoltativa. Ciò, come è facile intuire, al duplice fine di semplificare la procedura e di contenere i costi della medesima.

È compito esclusivo dell’OCC, entro sette giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, darne notizia con deposito del ricorso all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche presso gli enti locali, competenti in base all’ultimo domicilio fiscale del debitore. La disposizione è chiaramente funzionale a consentire agli uffici di predisporre tempestivamente la documentazione necessaria per far valere eventuali crediti nella liquidazione e, se possibile, a comunicare la situazione debitoria all’OCC, in modo che questi ne possa tener conto nella redazione della relazione che è ai sensi di legge è deputato a redigere.

Pur in mancanza di una norma generale o della riproduzione nella disciplina del sovraindebitamento di una previsione corrispondente a quella contenuta nell’art. 9, comma 3-ter, L. n. 3/2012, anche con riferimento alla procedura di liquidazione controllata (e alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore e al concordato minore) deve reputarsi ammissibile un potere di interlocuzione del tribunale finalizzato a superare eventuali carenze dell’istanza o della documentazione secondo lo schema previsto dall’art. 47, comma 4, CCII per il concordato preventivo. Una scelta che si giustifica in ragione soprattutto del fatto che quel potere risponde ad un principio generale di economia processuale e ad esigenze di ragionevolezza, valevoli per qualsiasi istanza veicolata con il procedimento unitario.

Quanto all’onere della prova, il debitore deve provare di possedere la qualifica di “consumatore”, da intendersi ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e), come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta […]”.

Se imprenditore, oltre allo stato di crisi o di insolvenza, deve altresì di­mostrare, con riferimento all’arco temporale degli ultimi tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza, il mancato superamento di alcuna delle soglie previste dall’art. 2, comma 1, lett. d), relative all’attivo patrimoniale, ai ricavi e ai debiti. L’imprenditore, alternativamente, potrà far valere la natura agricola dell’impresa (art. 2135 c.c.) o quella di start-up innovativa, o ancora l’assenza, al momento di presentazione della domanda, di condizioni che altrimenti lo avrebbero reso “assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza”.

Va notato che, diversamente da quanto previsto nell’art. 14-ter, comma 3, L. n. 3/2012, il contenuto della suddetta documentazione non è analiticamente indicato dalla legge. Di talché, non si capisce in cosa debba consistere nello specifico né tantomeno come possa essere ritenuta “completa” dall’OCC.27

Tuttavia, la conclamata unitarietà del procedimento induce a ritenere applicabile anche a tale procedura i primi due commi dell’art. 39 CCII, ove si elencano i documenti che il debitore deve depositare nel caso richieda l’accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza o ad una procedura di insolvenza.28 Con ciò rendendo plausibile il deposito di una produzione documentale sostanzialmente corrispondente a quella indicata dalla Legge n. 3/2012.29

Sicché, ove si adottasse una lettura estensiva di tale precetto, anche nell’ambito della procedura di liquidazione controllata si dovrebbe considerare tale documentazione utile per consentire agli organi della procedura, oltre che di conoscere la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore, di individuare eventuali atti assoggettabili a revocatoria ordinaria e la parte dei guadagni del debitore necessaria al mantenimento della famiglia.


4.2. (Segue): relazione dell’OCC

Ai sensi del comma 2 dell’art. 269, in persona del gestore della crisi, nella suddetta relazione l’OCC deve esporre la situazione economico finanziaria del debitore (dalla quale deve risultare la sussistenza dello stato di crisi o insolvenza) ed esprimere una valutazione sull’attendibilità della documentazione allegata dal debitore al ricorso.

Ineluttabilmente, la laconicità poco sopra segnalata riguardo alla documentazione che il debitore deve presentare si riverbera sul contenuto della relazione che l’OCC è deputato ad allegare al ricorso dell’istante. Nel testo della Legge non vi è più traccia dell’esigenza di illustrare le cause del sovraindebitamento, la diligenza nell’assumere le obbligazioni e le ragioni che hanno impedito l’adempimento così come ogni riferimento agli atti di frode eventualmente da questi compiuti nel passato.

Per contro, la disposizione previgente indicava nello specifico che la relazione dovesse contenere: a) l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata dal debitore persona fisica nell’assumere volontariamente le obbligazioni; b) l’esposizione delle ragioni dell’incapacità del debitore persona fisica di adempiere le obbligazioni assunte; c) il resoconto sulla solvibilità del debitore persona fisica negli ultimi cinque anni; d) l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori; e) il giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda.

Preso atto che il giudice, nell’ammettere la liquidazione del patrimonio, non debba più verificare l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni, si deduce altresì che qualsiasi profilo di premialità relativo alla liquidazione del patrimonio sia venuto meno.

Si badi che, mentre nel concordato minore è divenuta facoltativa la relazione attestativa sulla fattibilità economica del piano, la relazione particolareggiata a cura dell’OCC, già contemplata dalla L. n. 3/2012, nel CCII è prevista solo per il piano del consumatore. In relazione a tali profili, la norma in commento si limita a stabilire che l’OCC “illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore”.

Malgrado, non sia prevista l’attestazione sulla fattibilità del piano, pare lecito supporre, anche qui in maniera estensiva, che la relazione dell’OCC nell’ambito della liquidazione controllata debba, oltre che confermare l’esistenza dei presupposti per accedere alla procedura, fornire, sebbene sulla base delle sole informazioni rese accessibili dall’istante, alcuni elementi utili per formulare perlomeno un giudizio prognostico in merito alla fattibilità del programma di esecuzione che spetterà al liquidatore elaborare e portare a termine nell’interesse dei creditori.

Sembra fornire un argomento a sostegno di tale tesi la previsione per cui la domanda di liquidazione deve reputarsi comunque inammissibile se la documentazione prodotta non consente di ricostruire compiutamente la situazione economica e patrimoniale del debitore.

Come ulteriore elemento comprovante la suddetta interpretazione, si tenga da conto che, in mancanza dell’attestazione di fattibilità economica del programma di liquidazione redatto dal liquidatore ex art. 272, tale giudizio deve essere formulato, in ultima istanza, dal tribunale in composizione monocratica. Il che non esclude che – se lo ritenga necessario – il giudice possa fare riferimento anche alla relazione dell’OCC.


4.3. (Segue): effetti immediati conseguenti al deposito della domanda

Come si è già chiarito, è da ritenersi che il Codice della crisi non abbia voluto cancellare l’istituto della “liquidazione del patrimonio” prevista dall’art. 14-ter della L. n. 3/2012, bensì solamente semplificarne la disciplina.

Pertanto, ricalcando quanto già previsto dal comma 6, della succitata disposizione, al quarto comma dell’art. 268 il legislatore ha cura di precisare che siano espunti dalla liquidazione del patrimonio del debitore alcuni componenti. Nello specifico trattasi di: a) i crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 c.p.c.; b) i crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia;30 c) i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto disposto dall’art. 170 c.c.; d) le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

Il disancoramento dalle regole civilistiche di governo del rapporto credito/debito e della responsabilità patrimoniale presuppone, dunque, una situazione di sovraindebitamento già incanalata dentro una procedura concorsuale; pertanto, l’effetto di rottura non si compie, o non si compie ancora, in generale con il modello classico dell’obbligazione ove considerata nella sua dimensione interindividuale.

Stante questo nuovo assetto dei dispositivi giuridici in materia di crisi, l’art. 170 c.c. dispone che l’esecuzione sui beni del fondo non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Occorre dunque coordinare le due norme. Gli è che, qualora si accettasse l’interpretazione secondo cui le azioni intentate dal creditore titolare di un credito derivante da esigenze familiari del debitore si arresterebbero di fronte al blocco di azioni esecutive e cautelari previsto dall’art. 270, comma 5, CCII, il richiamo al disposto di cui all’art. 170 c.c. perderebbe automaticamente di significato. Invero, ove si ampli lo sguardo all’art. 274 CCII, che attribuisce al liquidatore il potere di esperire o continuare le azioni relative al patrimonio oggetto di liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie, si potrebbe giungere ad ipotizzare che spetti al liquidatore agire per la revoca del fondo patrimoniale.

Infine, come previsto anche per la liquidazione giudiziale, il deposito della domanda determina un primo effetto tipico – seppure non necessario – delle procedure concorsuali, giacché sospende, agli effetti del concorso, la maturazione degli interessi convenzionali o legali fino alla chiusura della liquidazione, salvi gli interessi sui crediti privilegiati per il periodo determinato ai sensi degli artt. 2749, 2788 e 2855 c.c.31 Riguardo a tali effetti, è peculiare osservare che in una procedura esclusivamente liquidatoria, la quale per certi versi costituisce l’omologo del fallimento, la sospensione si produca fin dalla data del deposito della domanda (sul modello del concordato preventivo e del concordato minore), invece che a decorrere dal provvedimento di apertura della procedura (sul modello del fallimento e della nuova liquidazione giudiziale dell’impresa commerciale insolvente).32 Si tratta, con tutta evidenza, di una regola volta sostanzialmente ad evitare l’incremento dell’esposizione debitoria in vista dell’apertura della procedura.


5. Profili di unitarietà del procedimento e implicazioni ricostruttive

Nella sistematica del Codice della crisi è emblematico l’intento del legislatore di unificare la disciplina dei profili procedurali comuni ai diversi strumenti regolativi della crisi e dell’insolvenza.

Occorre prendere atto, in proposito, che il compilatore del Codice ha profondamente innovato la disciplina del procedimento giudiziale attraverso il quale si accede agli strumenti regolativi della crisi e dell’insolvenza, sia nella metodica che nei contenuti.

Il nuovo testo normativo, seguendo una logica antitetica a quella sottesa alla L. fall., che del procedimento di accesso alle diverse procedure concorsuali si occupava di fianco ai relativi profili sostanziali e, quindi, in sedi diverse e con previsioni prive di respiro trasversale, ha provveduto anzitutto ad isolare, con riferimento agli istituti regolativi di carattere giudiziale, la dimensione processuale, ossia quella che postula l’esercizio di una funzione giurisdizionale in senso stretto, da ogni altra dimensione (che processuale non sia), dedicando alle prime e alle seconde plessi distinti di norme rispettivamente collocati nel Tit. III e nei Tit. IV e V.33

Siffatta scissione tra norme “processuali” e norme “non processuali”, ancorché sia deputata ad operare con maggiore slancio nell’ambito delle procedure concorsuali “maggiori” – ossia per gli accordi di ristrutturazione, i piani di ristrutturazione soggetti ad omologazione, il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale – abbracciano anche gli istituti che appartengono all’area del sovraindebitamento, atteso il rinvio alle disposizioni del Tit. III “in quanto compatibili e per quanto non diversamente disposto nel Tit. IV”, operato dalla norma con la quale si apre, nell’ambito del Tit. V, la regolamentazione delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (art. 65, comma 2, CCII).

Ad ogni modo, la logica che ispira, nei termini suindicati, la distribuzione dei contenuti normativi tra i menzionati Tit. III, IV e V del CCI, non è fine a sé stessa, ma si rivela servente alla scelta di far confluire le istanze regolative di diversa natura proponibili a fronte di una medesima condizione di crisi o di insolvenza, all’interno di un unico procedimento, nel cui ambito le stesse sono esaminate assegnando priorità alle domande dirette a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o da quella controllata (art. 7, comma 2, CCII).

Ciò non significa che l’unicità procedimentale si traduca sic et simpliciter in una indistinta coincidenza di adempimenti di parte, di istruttoria processuale e di sindacato giudiziale. Ad una completa uniformazione del procedimento di accesso alle diverse procedure concorsuali ostano, infatti, le peculiarità del modello gestionale della crisi e dell’insolvenza che in ciascuna di esse trova espressione.

La scissione dei profili processuali postulanti l’esercizio di funzione giurisdizionale da quelli procedimentali attinenti alla dimensione negoziata degli strumenti regolativi della crisi – si pensi al procedimento deliberativo dei creditori sulla proposta di concordato del debitore – non poteva, essere perseguita in modo assoluto, attesa la stretta commissione tra i due momenti.

I punti di sostanziale uniformità di disciplina si riscontrano in ordine ai criteri determinativi della giurisdizione e della competenza, alla struttura di base del procedimento giudiziale per l’accesso agli strumenti regolativi, ai mezzi di impugnazione avverso la sentenza di regolazione della crisi e alle misure cautelari e protettive attivabili nel corso del procedimento.

Dato l’assetto descritto, differentemente da quanto previsto dalla disciplina preesistente, la nuova normativa innesta anche la liquidazione controllata del sovraindebitato nel procedimento unitario regolato e disciplina la procedura di liquidazione controllata sullo schema della liquidazione giudiziale, conformandola alle peculiarità dei soggetti sovraindebitati. Così come, a quest’ultima occorrerà, verificatane pur sempre la compatibilità, fare riferimento per l’eventuale applicazione di disposizioni mancanti nella liquidazione controllata.34 Benché trattasi di procedure sostanzialmente simili, per vero, non si ritrova sempre nelle pieghe della disciplina de qua uno specifico rinvio alla liquidazione giudiziale e ciò rischia di alimentare incertezze interpretative ogniqualvolta le norme sulla liquidazione controllata del sovraindebitato presentino dei vuoti normativi, non essendo chiaro se la voluntas legis sia realmente quella di ricorrere, quando necessario, ad un’applicazione analogica o estensiva della corrispondente norma dettata per la liquidazione giudiziale.

Cosicché, per effetto del rinvio gli artt. 40 e 41 CCII, può desumersi che in sede di apertura della procedura di liquidazione controllata, laddove non siano individuabili specifici contraddittori, possa essere omessa la fissazione da parte del tribunale di un’udienza per la convocazione delle parti, nel caso di ricorso depositato dall’imprenditore. Peraltro, in tal modo si darebbe continuità a quell’orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione all’art. 14 L. fall., secondo cui il procedimento promosso dal debitore diviene contenzioso in senso proprio e richiede, quindi, la convocazione delle parti solo nell’ipotesi in cui siano individuabili, appunto, specifici contraddittori.

Nell’ipotesi di morte del debitore, si ritiene che possa estendersi alla liquidazione controllata quanto previsto dall’art. 35 CCII, a detta del quale se il decesso avviene dopo l’apertura della procedura concorsuale, questa prosegue nei confronti degli eredi, anche ove abbiano accettato con beneficio d’inventario. E qualora siano presenti più eredi, tale effetto si produce a carico di colui che è designato come rappresentante.


5.1. Alcuni difetti di coordinamento con le altre procedure

Nel regime preesistente, la composizione della crisi da sovraindebitamento non era una procedura concorsuale che si affiancava al fallimento o a quelle preventive, ma neppure una procedura esecutiva perché non la sostituiva e non sopperiva né alle lacune emerse dalla riforma della Legge fallimentare, né a quelle dell’esecuzione individuale alla quale continuavano ad essere assoggettati i debitori gravati da debiti scaduti e preda delle iniziative di creditori spregiudicati.35

A latere dell’evoluzione del diritto fallimentare e delle soluzioni negoziali della crisi d’impresa, le procedure di sovraindebitamento vengono a trovare piena cittadinanza nel nuovo corpus del CCII, nell’ambito del quale si pongono in perfetta sintonia con i principali istituti dell’ordinamento concorsuale.

Quando la procedura di liquidazione si apre per spontanea iniziativa del solo debitore, essa costituisce un’alternativa volontaria alle procedure di omologa del piano di ristrutturazione del consumatore o del concordato minore. Pertanto, se chiesta e ottenuta per prima, la liquidazione esclude necessariamente la possibilità di un successivo accesso alle altre due procedure di composizione della crisi.

Diversamente, proprio in ragione del carattere residuale della liquidazione controllata, l’art. 271 CCII stabilisce che la domanda proposta dal creditore (o, per via di un refuso, dal pubblico ministero…), non preclude al debitore di chiedere l’accesso ad una delle due procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento,36 ossia la ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 CCII) ed il concordato minore (art. 74 CCII). Si pensi all’ipotesi in cui, nel corso dell’istruttoria, ci si avveda che il debitore imprenditore commerciale superi le soglie di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), CCII potendosi allora qualificare quale impresa che non rientra fra quelle “minori”, sì da imporre al tribunale di trattare la procedura quale procedura di liquidazione giudiziale per effetto di una specie di mutamento automatico, pur nella consapevolezza che problemi di mancato o impreciso collegamento potrebbero insorgere, in special modo con riguardo agli strumenti di composizione della crisi cui l’imprenditore commerciale non minore può avere accesso.37

Altra fattispecie che non viene presa in considerazione dall’art. 271 CCII, riguarda il concorso fra l’istanza di liquidazione del patrimonio da parte del creditore e la sussistenza o introduzione di una procedura di composizione negoziata della crisi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 del Codice della crisi. A destare ulteriori perplessità, concorre anche la circostanza per cui le stesse norme in tema di composizione negoziata non fanno cenno alla sospensione della procedura di liquidazione ex art. 268 CCII.

Si segnala che, fermi restando i principi generali di cui all’art. 7, in caso di pendenza di più domande nel procedimento unitario, e di preferenza accordata alle procedure volontarie rispetto alla liquidazione giudiziale e alla liquidazione controllata, il primo comma dell’art. 49 presenta una certa ambiguità sulla necessità o meno di un’apposita pronuncia giurisdizionale di inammissibilità, di improcedibilità o di non accoglimento/rigetto della domanda di accesso a una procedura di regolazione della crisi non liquidatoria, prima di dichiarare con sentenza l’apertura della liquidazione giudiziale.38

Se, dunque, la liquidazione può essere disposta solo quando non siano proposte o non siano percorribili soluzioni concorsuali alternative, durante il termine concesso la procedura in esame deve considerarsi sospesa e, ove si dia luogo ad una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, la domanda di accesso alla medesima deve essere dichiarata improcedibile.39

Assodato che la liquidazione concerne patrimoni tendenzialmente di limitato valore e situazioni economico finanziarie connotate da limitata complessità, la procedura è semplificata rispetto alla liquidazione giudiziale.40 Ergo, uno dei principali vantaggi è che la stessa si svolge in modo rapido e snello proprio in virtù del fatto che per accedervi occorre quale condizione soggettiva che al debitore non possa essere applicata la procedura di liquidazione giudiziale e quale condizione oggettiva che il debitore debba effettivamente trovarsi in una situazione economica di sovraindebitamento, giacché impossibilitato a far fronte ai debiti contratti.

Orbene, l’introduzione di una variante semplificata rispetto alla disciplina del processo unitario per il caso di concorso di procedure, presenta taluni profili di criticità. Nel complesso la struttura dell’art. 271 dà contezza di un difetto di coordinamento tra le disposizioni degli istituti di regolazione della crisi da sovraindebitamento e quelle dettate per la liquidazione controllata.

Il comma primo stabilisce che se la domanda di liquidazione controllata è proposta dai creditori o dal pubblico ministero41 e il debitore chiede l’accesso ad una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, il giudice concede un termine per l’integrazione della domanda. Non è da escludersi, ad esempio, che il debitore resistente nella liquidazione controllata possa formulare una domanda con un difensore (poiché si tratta di attività contenziosa) manifestando la sola volontà di presentare un ricorso per sovraindebitamento “minore” in funzione difensiva riservandosi di optare per la procedura più idonea.

Se, tuttavia, alla scadenza del termine accordato il debitore non integra la domanda o la procedura di composizione non è aperta o è dichiarata cessata, il tribunale dispone l’apertura della liquidazione controllata con sentenza reclamabile innanzi alla Corte di appello. Va da sé, che la previsione per cui, a fronte della richiesta del debitore di accesso ad una procedura alternativa, il giudice debba concedere “un termine per l’integrazione della domanda” induce ad ipotizzare una sorta di domanda di “sovraindebitamento in bianco” all’interno della liquidazione controllata instaurata da un terzo.

Proseguendo in tale disamina si nota come la norma in oggetto non precisi dinnanzi a quale giudice il debitore debba presentare la domanda per accedere ad un altro dispositivo. Infatti, il giudice competente per la ristrutturazione dei debiti del consumatore e per il concordato minore è il tribunale in composizione monocratica (artt. 67, comma 6, e 76, comma 6, CCIII), mentre quello competente per la liquidazione controllata è il tribunale in composizione collegiale (art. 270 CCII). Di conseguenza, il debitore che intenda resistere ad un’istanza di liquidazione controllata si troverebbe a dover depositare una domanda di accesso alle procedure di sovraindebitamento dinnanzi ad un giudice in composizione diversa da quella ordinaria, il che potrebbe comportare incertezze circa il regime delle impugnazioni. Nonostante questo punto resti controverso, ragioni di connessione soggettiva e oggettiva oltreché di economia processuale, nonché lo stesso principio di trattazione unitaria delle procedure imposto dall’art. 7 CCII, inducono a ritenere che sia competente il medesimo giudice già adito dal creditore o dal P.M.

È doveroso segnalare sul piano esegetico che il richiamo operato dall’art. 271 CCII agli artt. 51-55 CCII in tema di impugnazioni nel procedimento unitario e il reclamo in Corte d’Appello entro trenta giorni dalla comunicazione del decreto (di accoglimento o di rigetto) in esso previsto offrono argomenti anche a favore di una soluzione di segno opposto.

6. Apertura della liquidazione

Constatata l’assenza di domande di accesso alle procedure di cui al Titolo IV relativo agli «Strumenti di regolazione della crisi» e verificati i presupposti di cui agli articoli 268 e 269, il tribunale dichiara con sentenza, che ha un contenuto analogo a quella dichiarativa della liquidazione giudiziale, l’apertura della liquidazione controllata. Con la riforma muta, dunque, la natura del provvedimento, non trattandosi più di decreto, bensì di sentenza.

Sul punto la disciplina di cui alla L. n. 3/2012 presentava aspetti di maggiore rigore, dato che richiedeva l’assenza delle condizioni di inammissibilità di cui all’art. 7, comma 2, lett. a) e b), e l’inesistenza di atti di frode ai creditori negli ultimi cinque anni.

In sede di verifica dei presupposti richiesti ai fini dell’accoglimento della domanda del debitore di accesso alla procedura di liquidazione controllata, il tribunale accertata la propria competenza, verifica  preliminarmente che il ricorrente versi in stato di sovraindebitamento ai sensi degli artt. 2, comma 1, lett. c) e 268 CCII.42 Tale condizione risulta sussistente allorché il debitore non disponga più del credito di terzi e di mezzi finanziari propri per soddisfare con mezzi normali le sue obbligazioni e laddove, secondo una definizione di stampo aziendalistico, l’attivo patrimoniale, depurato delle attività non prontamente liquidabili, risulti inferiore al totale dei debiti scaduti o scadenti a breve.43

Sempre ai fini dell’ammissibilità, occorre valutare, in termini di economicità, l’utilità prospettica della procedura controllata rispetto allo scopo, che è quello di distribuire ai creditori un qualche attivo di liquidazione, anche in relazione ai costi professionali che l’attività liquidatoria e distributiva esige.

Ne discende che non possano essere aperte procedure di sovraindebitamento che di fatto comportino unicamente la maturazione di debiti prededucibili, in evidente pregiudizio delle ragioni dei creditori ed in spregio dei criteri di efficienza e di economicità cui l’attività processuale (pure esecutiva/concorsuale) deve essere improntata.44

Per le medesime ragioni, il tribunale dovrà dichiarare inammissibile la domanda di liquidazione controllata che, in carenza di beni e redditi futuri del ricorrente, risulti fondata esclusivamente sul contributo di un soggetto esterno, non potendo la finanza esterna essere considerata come bene proprio del debitore istante.45


6.1. Nomina del liquidatore

Il tribunale, a seguito dell’apertura della procedura, nomina il giudice delegato e il liquidatore, confermando in caso di domanda presentata dal debitore, l’OCC o, in caso di giustificati motivi, scegliendolo nell’elenco dei gestori della crisi; ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie oltreché dell’elenco dei creditori.

Al liquidatore si applicano le disposizioni dettate dal Codice delle leggi antimafia in materia di nomina e requisiti dell’amministratore giudiziario (artt. 35, comma 4-bis, 35.1 e 35.2 D.Lgs. n. 159/2011).

Nella procedura di liquidazione del patrimonio ex L. n. 3/2012, la disposizione di cui all’art. 14-quinques, comma 2, lett. a), non prevedeva alcuna incompatibilità tra la figura dell’OCC e quella del liquidatore. Invero, detta norma stabiliva quale ipotesi di incompatibilità quelle previste dall’art. 28 L. fall., tra cui il divieto di compiere atti di gestione durante lo stato di dissesto e l’esistenza di un conflitto di interessi (art. 28, comma 2, L. fall.). Si tratta, in effetti, di fattispecie che non si riscontrano per l’OCC. Tale interpretazione trovava ulteriore conferma sulla base del duplice assunto per cui: 1) trattavasi comunque di soggetto terzo nominato dal giudice, che procedeva al deposito dell’accordo, del piano del consumatore o della domanda di liquidazione; 2) la possibilità di nomina dell’OCC quale liquidatore era espressamente prevista dall’art. 15, comma 8, L. n. 3/2012.46

Al tempo stesso doveva ritenersi che la norma citata di cui all’art. 14-quinques, comma 2, lett. a), non vincolasse neppure il tribunale alla nomina del liquidatore nella persona dello stesso professionista già nominato quale OCC. La qual cosa consentiva di procedere alla nomina di un diverso professionista quale liquidatore ogni qualvolta sussistessero ragioni di opportunità in relazione al caso concreto.47

In merito, va dato atto anche dell’esistenza di orientamenti giurisprudenziali di segno contrario, che non ammettevano che il liquidatore potesse essere nominato nella medesima persona dell’OCC. Ciò in base alla considerazione per cui il richiamo espresso all’art. 28 L. fall. contenuto nell’art. 3 L. n. 3/2012 comportava l’incompatibilità dei soggetti “creditori” del debitore, quale è l’OCC, essendo intercorso tra le parti un rapporto professionale funzionale alla presentazione della procedura.48

In siffatta procedura, dunque, la natura della legittimazione del liquidatore risulta di impervia identificazione ed inquadramento sistematico, rivelandosi oltremodo problematico sussumerla, anche solo in via analogica, in alcuna delle figure professionali che il CCII prevede nelle procedure maggiori.

Al limite, come si analizzerà più avanti, si potrebbe investire il liquidatore della capacità, non tanto di una sostituzione processuale49 con il debitore, bensì di una sostituzione con il creditore, particolare o generale; con ciò differenziandosi rispetto a quanto riconosciuto al curatore, deputato ad agire per la tutela generale della massa.


6.2. Gli effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui beni del debitore

La disciplina delle misure cautelari e protettive del Codice della crisi sconta un importante cambiamento di impostazione rispetto alla L. fall.50 Nel solco del rito uniforme, le misure cautelari e protettive sono disciplinate unitariamente negli artt. 54 e 55 per tutte le procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, affrontandosi in tali disposizioni rispettivamente tipi e presupposti delle medesime e il procedimento per ottenerle.

Di talché, in piena assonanza con la procedura di liquidazione “maggiore”,51 quella controllata detta una disciplina dei rapporti pendenti che ne determina la loro sospensione in attesa che il liquidatore dichiari di volervi subentrare ovvero di sciogliersi.52

Quanto, in particolare, alle misure cautelari, la reale innovazione può cogliersi nel riconoscimento espresso della portata anticipatoria degli effetti della sentenza che apre la procedura concorsuale e che la giurisprudenza consolidata non ammetteva per quelle adottate in sede prefallimentare.

Resta ferma l’impostazione invalsa nella Legge fallimentare per cui le misure cautelari non sono oggetto di un catalogo tassativo sì da lasciare spazio anche a misure atipiche. Beninteso, ad alcune tipologie di provvedimenti emessi dalla giurisprudenza formatasi in costanza del regime previgente si possono aggiungere, con la riforma, provvedimenti idonei a precorrere gli effetti della sentenza (si pensi alla possibilità di emettere provvedimenti di sospensione dell’efficacia dei contratti in corso, anticipando gli effetti degli artt. 172 e ss.).53

Si esclude, di poi, che il provvedimento cautelare possa anticipare gli effetti costitutivi della sentenza di apertura della procedura: dalla relazione accompagnatoria allo schema di programma di liquidazione si desume che l’utilizzo dell’espressione “effetti della sentenza” rispetto a “effetti della decisione” sarebbe dettato proprio per evitare che il contenuto della misura richiesta sia modellato interamente sul contenuto di quelle pronunce e quindi anticipi l’apertura della procedura. Di guisa che, sarebbero ad esempio da escludersi, nella prospettiva data, provvedimenti tesi ad anticipare il termine da cui calcolare il periodo sospetto delle azioni revocatorie.

Quale portato delle modifiche indotte dal D.Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147, la sentenza produce i suoi effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili. Trova in tal caso applicazione, in quanto compatibile, l’art. 256 CCII.

Analogamente alla procedura di liquidazione giudiziale, peraltro come già previsto per quella del patrimonio del debitore, non v’è bisogno di raggiungere l’adesione di un numero di creditori corrispondente ad una percentuale dei crediti indicati nello stato passivo. La legge fa affidamento chiaramente sull’interesse dei creditori a partecipare alla liquidazione, tanto più che, come si è appena sottolineato, a partire dalla data della sentenza di apertura fino a quella del decreto di chiusura i creditori non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni cautelari54 o esecutive né acquistare diritti di prelazione sui beni facenti parte del patrimonio oggetto della liquidazione stessa.

Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore [art. 270, comma 2, lett. e)]. Con l’avvio della procedura il debitore è privato della disponibilità (“segregazione”) del patrimonio la cui amministrazione viene devoluta ad un organo terzo, il liquidatore, affinché si occupi della sua liquidazione e della distribuzione del ricavato ai creditori secondo i principi che regolano la materia concorsuale (art. 275, comma 2).55 In presenza di gravi e specifiche ragioni, resta fermo il potere del tribunale di autorizzare il debitore o il terzo ad utilizzare alcuni dei beni attratti alla procedura.

Nel provvedimento si concede anche un termine non superiore a sessanta giorni entro il quale, a pena di inammissibilità, i creditori devono trasmettere al liquidatore, la domanda di restituzione, di rivendicazione o di ammissione al passivo, predisposta ai sensi dell’art. 201 CCII.

Per quanto attiene alla pubblicità, il legislatore appronta un regime che può giudicarsi congruo rispetto agli interessi coinvolti nella procedura. Trattasi nell’insieme di un misure ad ampio raggio con cui si intende ottenere la più ampia divulgazione della proposta e del provvedimento giurisdizionale in modo da informarne tutti i soggetti interessati, non esclusi coloro i cui diritti o interessi sono coinvolti nella procedura. Nel dettaglio, la legge dispone che sia compito del liquidatore provvedere all’inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale o del Ministero della giustizia e all’iscrizione della medesima nella rispettiva sezione del registro delle imprese nel caso in cui il debitore svolga attività d’impresa agricola o minore; nonché di provvedere alla trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti, in presenza di beni immobili o beni mobili registrati. La sentenza, inoltre, deve essere notificata al debitore, ai creditori e ai titolari di diritti sui beni oggetto di liquidazione.56


6.3. Procedimento e misure protettive

Un elemento di assoluta novità è costituito dalla produzione automatica degli effetti naturali della sentenza attraverso il richiamo, nel comma 5 dell’art. 270, agli artt. 143, 150 e 151 CCII.57

Nello specifico, in virtù del rinvio agli artt. 150 e 151 CCII, con la sentenza scatta il divieto di intraprendere o proseguire qualsiasi azione individuale esecutiva o cautelare anche per crediti maturati durante la liquidazione controllata, sui beni compresi nella procedura, e si apre il concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, stabilendosi che ogni credito, anche quello esentato dal blocco delle azioni esecutive e cautelari, deve essere acclarato dagli organi della procedura secondo il procedimento di accertamento del passivo.

In particolare, l’art. 150 produce alcuni effetti di assoluto rilievo.

In primis, riproponendo quanto previsto dall’art. 51 L. fall., si precisa che il divieto in parola opera anche per i crediti sorti durante la procedura, colmando così una lacuna che invece albergava nell’art. 14-quinquies.

In secundis, facendo salva ogni “diversa disposizione della legge”, l’art. 150 limita l’improseguibilità delle procedure, inducendo con ciò a ritenere che il creditore fondiario possa proseguire l’esecuzione anche in pendenza di una procedura di liquidazione controllata del patrimonio.

Per completezza, preme segnalare in questa sede, che, in forza dell’art. 152 CCII, i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli artt. 2756 e 2761 c.c. possono essere realizzati al di fuori della liquidazione giudiziale anche se la procedura è pendente, una volta che si sia proceduto ad ammetterli al passivo con la relativa causa di prelazione.58

In terzis, dal rinvio all’art. 150 discende un effetto di riconduzione, all’interno della disciplina della liquidazione controllata, pure dell’art. 216, comma 10, CCII. Di talché, nel caso risulti pendente una procedura esecutiva individuale, il tribunale può invitare il nominato liquidatore a valutare attentamente la possibilità di non subentrare nella procedura esecutiva già in corso, ove lo stesso ritenga maggiormente profittevole per i creditori che la liquidazione del bene oggetto di detta esecuzione avvenga nel corso della procedura di sovraindebitamento.59

Dunque, nel complesso, non sono previste modifiche di rilevante portata per quanto concerne la disciplina delle azioni revocatorie e dei rapporti pendenti, rimanendo invariata l’idea per cui la funzione liquidatoria della procedura deve compiersi sia tramutando in denaro diritti e beni (materiali o immateriali) del debitore, sia procedendo alla definizione dei rapporti giuridici patrimoniali scaturenti da contratti stipulati illo tempore dal debitore e ancora in corso al momento dell’avvio della procedura.

Ciononostante, ancor più che rispetto alle misure alternative del soggetto sovraindebitato, nella liquidazione controllata, v’è da interrogarsi sulle conseguenze a scapito dei creditori che possono scaturire dall’aver introdotto una riserva dell’iniziativa in capo al solo debitore, tenuto conto dell’arresto delle iniziative esecutive e cautelari o dell’acquisto di diritti di prelazione sul patrimonio del ricorrente che si producono ove tale richiesta venga accolta dal tribunale. Dovendosi, per giunta, in tale evenienza prendere in considerazione anche l’impossibilità per i creditori di promuovere la liquidazione giudiziale.60

Si è detto poco sopra che, in virtù di tali disposizioni, i rapporti processuali si interrompono, le procedure esecutive e cautelari individuali anche e si apre il concorso dei creditori. Gli eventuali giudizi di cognizione sono, su autorizzazione del giudice, proseguiti dal liquidatore. In base all’art. 143, il liquidatore potrà pertanto sostituirsi al creditore attore in revocatoria ordinaria già pendente o intraprenderne autonomamente una ex novo durante la procedura, anche ai sensi del successivo art. 274, comma 2, secondo lo stato del processo eventualmente pendente.

D’altronde, se un atto venisse revocato a vantaggio di un solo creditore, questi non potrebbe agire esecutivamente sul bene oggetto della revoca, atteso il divieto ex art. 150 di soddisfazione fuori concorso. Per contro, quello stesso bene dovrebbe refluire, ai soli fini esecutivi e a vantaggio della massa, nel patrimonio del debitore, radicando così la competenza del gestore della crisi ad occuparsi di quell’asset ai fini liquidatori (e, ancor prima, nel giudizio di cognizione ed accertamento a ciò preordinato).

Le misure protettive ex lege operano per l’intera durata della procedura, per la naturale e ovvia considerazione che esiste una incompatibilità radicale tra un’esecuzione concorsuale, ispirata a canoni solidaristici e di rispetto della par condicio creditorum, in cui tutti i creditori trovano una paritetica e proporzionale soddisfazione, ed un’esecuzione forzata individuale, caratterizzata da meri intenti egoistici in contrasto con l’interesse comune facente capo alla massa creditoria.

Per di più, tali effetti fanno chiaramente intendere come operi uno spossessamento completo dei beni del debitore, sebbene al netto di quelli – per vero, già indicati dall’art. 14-ter L. n. 3/2012 – sottratti alla liquidazione e che si concentrano nei beni impignorabili e in quanto stabilito dal giudice a garanzia del mantenimento personale e della propria famiglia.


6.4. La disciplina dei rapporti pendenti

Il Codice della crisi detta la disciplina dei rapporti pendenti, di cui si era avvertita l’assenza in costanza della L. n. 3/2012, che non conteneva norme specifiche per regolare la sorte dei rapporti ancora in vita alla data di apertura della procedura.

Di talché, con contenuto identico alla regola generale contenuta nell’art. 72 L. fall., il sesto comma dell’art. 270, prevede che, se all’atto dell’apertura della procedura, un contratto sinallagmatico funzionale è ancora ineseguito (o non compiutamente eseguito) nelle prestazioni principali da entrambe le parti, l’esecuzione del medesimo rimane sospesa sino a quando il liquidatore, sentito il debitore, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del predetto debitore, assumendo (a decorrere dalla data del subentro) tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal rapporto, fatta salva la circostanza, nei contratti ad effetti reali, in cui il trasferimento del diritto si sia già manifestato facendo venir meno la sinallagmaticità funzionale.

Sempre ricalcando il disposto dell’art. 72 L. fall., si stabilisce che la parte in bonis possa far mettere in mora la procedura, chiedendo al giudice delegato di fissare un termine affinché il liquidatore decida se proseguire o sciogliersi dal rapporto contrattuale.

Questa sospensione ope legis del contratto innesca, nei fatti, una fase per così dire transitoria, poiché subordinata ad una valutazione di opportunità e convenienza del subentro da parte del liquidatore, sentito il debitore. In tal caso, i relativi diritti e obblighi andranno a vantaggio e a carico dei creditori della procedura, mentre nell’ipotesi di scioglimento il contraente avrà diritto di iscrivere il credito per mancato adempimento nel passivo, non potendosi tuttavia fare altrettanto per l’eventuale risarcimento del danno.


7. Elenco dei creditori, inventario dei beni e programma di liquidazione

La procedura di liquidazione del debitore sovraindebitato si svolge secondo un iter che parte dalla formazione dell’inventario e dell’elenco dei creditori, passando per la presentazione delle domande di partecipazione (anche tardive), la formazione del passivo e la liquidazione dell’attivo.

La liquidazione ha natura concorsuale e collettiva, tant’è che al liquidatore, la cui attività è scandita analiticamente nell’art. 272, sono di fatto attribuite le medesime funzioni del curatore, pur riscontrandosi un aggravio di responsabilità per quanto attiene la formazione dello stato passivo.

Costui, entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza (che nel frattempo il debitore dovrebbe aver depositato ai sensi dell’art. 270, comma 2, lett. c), deve aggiornare l’elenco dei creditori a cui peraltro dovrà notificare la sentenza, così come avvenuto in precedenza per quelli già noti al momento dell’apertura della procedura. Tale formalità deve essere adempiuta entro il termine suindicato, in modo da consentire la tempestiva presentazione della domanda di ammissione al passivo.

Aperta la liquidazione, il liquidatore ha tempo novanta giorni per completare l’inventario dei beni del debitore e redigere il programma di liquidazione che deve svolgersi in modo da garantire una durata della procedura reputata “ragionevole”.

Il programma, di poi, deve essere depositato in cancelleria affinché il giudice delegato proceda alla sua approvazione. A differenza dell’art. 14-novies, L. n. 3/2012, non è più previsto l’obbligo per il liquidatore di comunicare il programma di liquidazione ai creditori e al debitore.

Per la forma del programma di liquidazione, il legislatore rinvia espressamente al medesimo atto previsto nella liquidazione giudiziale con esplicito richiamo dei commi 3 e 4 dell’art. 213.61

7.1. (Segue): accertamento e formazione del passivo

Nella liquidazione è prevista l’apertura di una c.d. “parentesi cognitoria” di accertamento del passivo. La formazione dello stato passivo è basata sulla semplificazione del rito rispetto a quello della liquidazione giudiziale e prevede l’intervento del giudice solo in caso di contestazione non superabile nella fase di predisposizione dello stato passivo operata dal liquidatore.

Per la predisposizione di tale progetto non è previsto un termine, ma ragioni di sollecito svolgimento della procedura impongono di ritenere che il liquidatore debba assolvere tale compito entro i trenta (massimo sessanta) giorni successivi.62

Una volta completato, il progetto di stato passivo deve essere comunicato ai creditori a mezzo pec o, mancando l’indicazione dell’indirizzo pec, mediante deposito in cancelleria.

Entro quindici giorni possono essere proposte osservazioni da parte dei creditori avverso il progetto, con le stesse modalità della domanda di cui all’art. 270, comma 2, lett. d).

In presenza di osservazioni che il liquidatore ritiene fondate, costui deve predispone un nuovo progetto di stato passivo.

Laddove, invece, le contestazioni sollevate in sede di osservazioni si rivelino non superabili ai sensi del comma 4, il liquidatore deve rimettere gli atti al giudice delegato, il quale provvede alla definitiva formazione del passivo con decreto motivato, pubblicato ai sensi del comma 3, e reclamabile davanti al collegio.

Diversamente da quanto previsto per le insinuazioni passive nel fallimento ex artt. 101 ss. L. fall.,63 di disposizioni volte a regolamentare l’ipotesi in cui la domanda fosse inoltrata oltre il termine indicato non ve ne era traccia nella precedente disciplina sul sovraindebitamento. Sennonché, a detta della dottrina maggioritaria, le domande tardive ex L. n. 3/2012 dovevano considerarsi ammissibili, purché pervenute dopo la scadenza del termine fissato dal liquidatore, ma prima che questi avesse predisposto e trasmesso agli interessati il progetto di stato passivo.64

Una lacuna che si era riproposta nella versione originaria del Codice della crisi e che soltanto per effetto delle modifiche arrecate con il D.Lgs. n. 147/2020 si è provveduto a colmare. Nello specifico, il comma 7 dell’art. 273 stabilisce che l’ammissibilità della domanda tardiva – identificandosi come tale quella presentata decorso il termine di cui al comma 1, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo della (secondo il principio “qui primi veniunt”) – è sottoposta al verificarsi di una duplice condizione: 1) che l’istante dimostri che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e 2) che l’invio della domanda al liquidatore avvenga non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo.

Ciononostante, è possibile che la domanda risulti manifestamente inammissibile, vuoi perché l’istante non ha indicato le circostanze da cui è dipeso il ritardo o non ne ha offerto prova documentale vuoi perché non ha indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità. Al verificarsi di tali circostanze, l’inammissibilità della domanda è dichiarata dal giudice delegato dichiara con decreto, verso cui è possibile formulare un reclamo a norma dell’art. 124.


7.2. (Segue): azioni esperibili, responsabilità e legittimazione processuale del liquidatore

In ordine alla liquidazione del patrimonio del soggetto sovraindebitato, il regime previgente delineava l’ambito applicativo delle azioni consentite al liquidatore una volta omologato il piano, legittimandolo a compiere esclusivamente gli atti diretti ad una “azione […] finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare ed […] altresì esercitare – quelle […] volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione”.

Rispetto al contenuto degli artt. 14-novies e 14-decies, L. n. 3/2012 può evidenziarsi nell’art. 274 CCII una maggiore specificità dei compiti attribuiti al liquidatore, anche se nella sostanza non si denota una sostanziale modifica degli stessi. Tant’è che il liquidatore, autorizzato dal giudice delegato, esercita tutte le azioni finalizzate a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio del debitore e per il recupero dei crediti.

Inoltre, sempre previa autorizzazione del giudice, il liquidatore esercita o, se pendenti, prosegue le azioni dirette ad ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori secondo le norme del codice civile. Si tratta, più precisamente, di quegli atti in frode ai creditori revocabili ex art. 2901 c.c., il cui compimento (perlomeno di quelli che possono costituire oggetto di revocatoria ordinaria) non è mai di ostacolo all’apertura della procedura, posto che il giudice potrebbe non riscontrare un’utilità nell’autorizzare la revoca di un atto di tal specie. Per giunta, la norma, non distinguendo, prevede che il liquidatore intraprenda le azioni revocatorie anche per atti conosciuti prima dell’apertura della procedura che, quindi, non risulta giammai condizionata negativamente dal compimento di atti di frode.65

Per vero, l’eliminazione dal primo comma dell’art. 270 dell’inciso condizionante l’apertura della liquidazione, “verificata l’assenza di atti in frode ai creditori negli ultimi cinque anni”, il cui compimento in fondo non ha mai precluso neppure la dichiarazione di fallimento ed oggi non impedisce la liquidazione giudiziale, è un chiaro precipitato del mutamento di prospettiva che ha ispirato la riforma.66

Il comma terzo può essere considerato norma di chiusura dell’art. 274 corrispondendo all’intento del legislatore di precisare che l’autorizzazione con cui il giudice delegato legittima il liquidatore nell’espletamento delle suindicate attività che riguardano il patrimonio oggetto della liquidazione, ivi comprese le azioni revocatorie ordinarie, deve essere finalizzata a perseguire il miglior soddisfacimento dei creditori.

Il liquidatore risponde direttamente nei confronti del debitore, dei creditori e di terzi per i danni cagionati nell’esercizio delle sue funzioni. La diligenza richiesta al liquidatore nell’espletamento dei suoi compiti non è quella media del buon padre di famiglia, bensì quella specifica imposta dalla natura dell’incarico (art. 1176, comma 2. c.c.). Nei confronti della procedura la sua responsabilità ha natura contrattuale. Per azionare tale responsabilità durante il corso della procedura non è necessario revocare preventivamente il liquidatore (come, invece, previsto per il curatore), ben potendo il giudice nominare un curatore speciale, al quale affidare tale esercizio.

La correlazione tra il subentro nei processi (ovvero, la legitimatio ad processum attribuita al liquidatore) e lo spossessamento del debitore sul terreno sostanziale sancito dagli artt. 270 e 275 CCII (e, dunque, l’attribuzione allo stesso liquidatore, altresì, della legitimatio ad causam) è in re ipsa. La perdita dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, il sovraindebitato comporta la perdita della capacità di stare in giudizio nelle controversie relative al suo patrimonio. La legittimazione processuale, attiva e passiva, per i giudizi a venire e per quelli in corso è pertanto conferita esclusivamente al liquidatore che deve esercitarla fino alla cessazione della procedura, atteso che con la chiusura hanno termine gli effetti sul patrimonio del debitore e decadono gli organi preposti.


7.3. (Segue): programma di esecuzione

L’art. 275 del CCII, nel disciplinare l’ulteriore corso della procedura, conferma lo spossessamento del debitore come effetto dell’apertura della liquidazione controllata e attribuisce al liquidatore l’amministrazione dei beni, compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni del debitore.

Il liquidatore ha il compito di liquidare il patrimonio del debitore seguendo le indicazioni contenute nel programma di liquidazione e riferendone periodicamente al giudice con apposita relazione circa l’andamento della procedura. Il mancato ottemperamento di tale onere è ritenuto causa di revoca dell’incarico del liquidatore ed incide negativamente sulla determinazione del suo compenso.

Il CCII, per tale via, colma una lacuna presente nella L. n. 3/2012, che non si preoccupava di sottoporre a controlli l’attività esecutiva espletata dal liquidatore. I rapporti informativi semestrali devono, perciò, risultare coerenti con il programma quantomeno sotto il profilo esecutivo oltre che contenutistico.67

Nell’ambito dell’attività esecutiva, il liquidatore esercita le azioni di recupero dei crediti, le azioni revocatorie, aliena i beni. Si applicano le disposizioni sulla vendita di cui alla liquidazione giudiziale, in modo da assicurare il rispetto, anche in questa procedura, del principio della necessaria competitività delle alienazioni funzionale al miglior esito della liquidazione,68 esclusa ogni forma di trattativa privata.

Pertanto, malgrado lo scarno dettato normativo, deve ritenersi che le vendite e gli altri atti di liquidazione sono effettuati tramite procedure competitive, sulla base cioè di stime effettuate, fatta eccezione per i beni di modesto valore, da operatori specializzati, e assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati.69

In costanza della L. n. 3/2012, l’art. 14-undecies precisava che i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione costituissero oggetto di quest’ultima, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione. Ne conseguiva per il debitore l’obbligo di integrare l’elenco dei suoi beni di cui al comma 2 dell’art. 9 richiamato dall’art. 14-ter, comma 2, e di aggiornare l’inventario dei beni del debitore. Nello stesso arco temporale di riferimento, il liquidatore era obbligato altresì a cedere i crediti, anche se oggetto di contestazione, dei quali non fosse probabile l’incasso.

Una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice deve ordinare la cancellazione: i) delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione; ii) delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi; iii) di ogni altro vincolo.

Riguardo, invece, alla sorte dei crediti “posteriori”, le previsioni contenute nell’art. 277 corrispondono a quanto già previsto dall’art. 14-duodecies, L. n. 3/2012. Mentre, il comma 1 prevede l’improcedibilità di azioni esecutive sui beni oggetto di liquidazione da parte dei creditori per titolo o causa posteriore alla pubblicazione della sentenza di apertura della procedura sul sito web del Ministero e, se si tratta di imprenditore, presso il registro delle imprese, il comma 2 attribuisce la prededucibilità ai crediti sorti in occasione o per effetto della liquidazione, precludendo la possibilità di soddisfazione sul ricavato della alienazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca, per la parte riconosciuta ai creditori garantiti.


7.4. (Segue): rendiconto, progetto di riparto e chiusura della procedura

Anche nella nuova veste, la procedura di liquidazione controllata deve essere improntata all’economicità ed efficienza, ovvero fortemente caratterizzata dalla sua utilità rispetto allo scopo di distribuzione ai creditori di un qualche attivo, in analogia a quanto previsto in materia di liquidazione giudiziale.

La legge prevede che, esaurita la fase di esecuzione, il liquidatore presenti al giudice il rendiconto affinché costui verifichi la conformità degli atti dispositivi al programma di liquidazione. Se il giudice delegato approva il rendiconto, liquida il compenso del liquidatore; in caso contrario, indica gli atti necessari al completamento della liquidazione o le opportune rettifiche da apportare al rendiconto e fissa un termine per il loro espletamento, decorso il quale, nell’ipotesi di mancato ottemperamento, provvede alla sostituzione del liquidatore con conseguenti ricadute anche sull’entità del suo compenso.

Se non vi sono osservazioni, il liquidatore comunica il progetto di riparto al giudice, che senza indugio ne autorizza l’esecuzione. Laddove, invece, sorgano delle contestazioni ed il liquidatore non può comporle autonomamente, rimette gli atti al giudice delegato, che provvede con decreto reclamabile.70

Una volta approvato il rendiconto, il liquidatore può procede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione previa formazione di un progetto di riparto, da comunicare al debitore e ai creditori con termine non superiore a quindici giorni per formulare delle osservazioni.

Il liquidatore provvede, quindi, alla distribuzione secondo l’ordine di prelazione risultante dallo stato passivo approvato. Analogamente a quanto previsto per l’accordo di ristrutturazione dei debiti, è ipotizzabile che la formulazione di un programma di riparto assicuri, tra le altre cose, il regolare pagamento ai titolari di crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c. (o per effetto di altre disposizioni speciali); preveda, inoltre, scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche suddivisi in classi e indichi le eventuali garanzie per l’adempimento dei debiti e per le modalità di liquidazione dei beni.71

È altresì possibile stabilire che i creditori assistiti da privilegio, pegno o ipoteca non siano soddisfatti integralmente a condizione che ne sia assicurato il pagamento nella misura non inferiore a quella ricavabile dalla liquidazione dei beni in ragione della collocazione preferenziale, secondo la stessa attestazione dell’OCC.72

Con il decreto che sancisce, su istanza del liquidatore, la chiusura della procedura, il giudice autorizza il pagamento del suo compenso e lo svincolo delle somme eventualmente accantonate.

L’art. 277 contiene un rinvio all’art. 233 rubricato “Casi di chiusura” con cui si apre il Capo VI ove si colloca la disciplina inerente alla “Cessazione della procedura di liquidazione giudiziale”. Tale norma del CCII stabilisce che “1. Salvo quanto disposto per il caso di concordato, la procedura di liquidazione giudiziale si chiude: a) se nel termine stabilito nella sentenza con cui è stata dichiarata aperta la procedura non sono state proposte domande di ammissione al passivo; b) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell’attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l’intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione; c) quando è compiuta la ripartizione finale dell’attivo; d) quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Tale circostanza può essere accertata con la relazione o con i successivi rapporti riepilogativi di cui all’articolo 130.

È stato eliminato il termine minimo della procedura di durata di quattro anni previsto dalla liquidazione del patrimonio di cui all’art. 14-novies, ult. comma, L. n. 3/2012, all’evidente fine di non consentire un troppo sollecito accesso all’esdebitazione.

Ad ogni buon conto, la durata di una procedura liquidatoria è ovviamente dipendente dal tempo richiesto per la liquidazione dei beni, con la conseguenza che, sempre che i creditori concorsuali non siano già stati soddisfatti, essa non può essere chiusa fin tanto che vi siano dei beni da liquidare. Pur tuttavia il CCI ha introdotto la possibilità per il debitore di ottenere comunque l’esdebitazione, trascorso un periodo di tempo, anche se l’attività di liquidazione dei beni non risulti cessata. Ed infatti, in relazione alla liquidazione giudiziale, l’art. 281 ha previsto espressamente la possibilità per il debitore di ottenere l’esdebitazione, trascorsi tre anni dall’apertura della procedura, fermo restando che quest’ultima rimane aperta al fine di terminare le operazioni di liquidazione. Soluzione analoga è stata adottata, sia pure con una disposizione più ermetica, dall’art. 282 con riferimento alla liquidazione controllata, con l’unica differenza che, se la procedura è pendente al termine del triennio dalla sua apertura, l’esdebitazione è dichiarata d’ufficio.


8. Brevi riflessioni conclusive

È ovviamente prematuro formulare un giudizio generale sulla nuova procedura di liquidazione controllata del soggetto sovraindebitato, nonché della stessa riforma, ancorché alcuni commentatori si siano già espressi con riferimento ad alcuni dei principi che paiono aver informato i lavori della Commissione Rordorf.

Il consolidamento della legislazione emergenziale nel Codice della crisi, certamente necessario, avrebbe dovuto comportare non solo un consolidamento formale, ma anche l’utilizzo di una modalità di redazione – tendenzialmente omogenea al Codice – nel rispetto di criteri ormai consolidati di qualità della regolazione, in senso formale e sostanziale, finalizzata alla semplificazione, chiarezza, coerenza e certezza delle regole e, quindi, una effettiva semplificazione sostanziale delle regole.

Oltre ad una valutazione terminologica, ad una prima lettura le nuove norme del Codice della crisi sembrano ictu oculi ricalcare le vecchie disposizioni contenute nella L. n. 3/2012 che in parte si rifacevano, a loro volta, alle soluzioni/formulazioni contenute nella L. fall. In realtà, il legislatore delegato della riforma ha operato perseguendo il fine di rendere la procedura di liquidazione controllata, in linea con quella giudiziale, più efficiente, rapida e snella agendo, in particolar modo, sulle diverse figure coinvolte e sugli aspetti procedimentali quali segnatamente – l’OCC e il liquidatore, le fasi di accertamento e di formazione del passivo e di elaborazione di un programma di liquidazione nonché di esecuzione del medesimo attraverso lo spossessamento e la successiva vendita dei beni del debitore.

È innegabile che la liquidazione impone un approccio nuovo, anche culturale, ai rapporti giuridici fra creditore e debitore. Soggetto giuridico quest’ultimo che, se in passato poteva essere sottoposto solamente a procedure esecutive individuali, aventi ad oggetto elementi specifici del suo patrimonio, nel mutato contesto normativo può invece accedere in maniera anche proattiva a procedure di liquidazione che investono l’intero patrimonio detenuto.

L’impostazione generale che connota l’intera riforma – in buona parte già emersa nel corso degli interventi normativi succedutisi fino al 2016 e corrisponde ad una precisa volontà del legislatore – segna per certi versi arretramento nel processo di degiurisdizionalizzazione avviato nel 2005. Le principali criticità si rinvengono nella previsione della non necessità del patrocinio legale a difesa del debitore, nella necessità o meno che anche nella procedura di liquidazione del patrimonio ad istanza del creditore sia prevista la presenza di un OCC, nella mancata previsione di un termine per la presentazione di un'istanza per l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente, nella presenza di talune ridondanze in particolare con riguardo all’articolo 271 CCII.

Talune carenze si rinvengono anche in ordine alle scarne disposizioni che la Legge delega dedicava alla liquidazione dell’attivo, se si eccettua la previsione del mercato unico telematico nazionale e di norme dirette ad incentivare la competitività delle vendite. Nello specifico, la Legge delega era piuttosto sommaria per quanto riguardava la previsione del c.d. Commons (beni del debitore per i quali nessuno è titolare di un diritto di escludere gli altri dal godimento)73 che avrebbe dovuto consentire ai creditori di utilizzare i loro crediti per rendersi acquirenti di beni di altre procedure in un mercato di scambio reso sicuro dal fatto di riguardare soltanto procedure e beni oggetto di stima, sistema che poi non ha avuto attuazione.

Da ultimo si segnala come la moltiplicazione costante delle procedure cui si è assistito a partire dalla prima riforma della Legge fallimentare del 2005-2007, pur essendone condivisibili gli obiettivi sostanziali, rischia di comportare sovrapposizioni tra gli istituti e difficoltà per gli operatori di individuare opportunità e presupposti specifici di accesso all’uno piuttosto che all’altro, orientando le scelte non sempre verso le soluzioni più adeguate allo stato di difficoltà in cui il debitore versa e alle prospettive di risanamento e/o di tutela del ceto creditorio.

Su questo fronte, l’introduzione di un procedimento unitario, inteso come sorta di raccoglitore processuale unificato attraverso il quale passano sia le proposte conservative che il solo debitore può proporre sia le proposte liquidatorie, ad un esame più attento appare non strutturato in maniera adeguata.74

Del resto, è del tutto evidente, che i punti in comune sono pochi. Ci si imbatte in una serie di criticità teoriche e pratiche in tema di autonomia dei procedimenti e che attengono, in special modo, alle modalità concrete di riunificazione tra procedimenti ampiamente disomogenei per natura, oggetto, struttura e disciplina processuale.75

Le disposizioni dell’ordinamento concorsuale che regolano tali istituti necessitano, pertanto, di essere maggiormente coordinate fra loro, ad esempio precisando in maniera più distinta i tratti che determinano lo stato di sovraindebitamento, i rapporti che intercorrono fra la liquidazione controllata e la liquidazione giudiziale e con la procedura di esdebitazione. Questo sforzo permetterebbe di semplificare l’accesso agli istituti di nuovo conio e a quelli in parte “rivisitati”, secondo livelli di invasività crescente (blocco delle azioni esecutive, omologa del piano, esenzione da revocatoria, ecc.). Come è stato segnalato, l’adozione di un approccio per strumenti e non per procedure può rivelarsi la soluzione più congeniale per ridurre i tempi e ottimizzare le soluzioni.76 In fondo è la stessa “direttiva insolvency” che suggerisce di restringere la gamma delle procedure per l’ordinata gestione delle crisi a due sole tipologie: quelle per la liquidazione e quelle per la continuità aziendale, cui accedere attraverso un’unica istanza, senza cesure tra strumenti giudiziali e procedure concorsuali.77

L’auspicio è che sulla base della prassi e dell’applicazione dei molti istituti ora esistenti si possa compiere una valutazione più matura di vecchi e nuovi dispositivi, al fine di mettere mano ad una più radicale razionalizzazione (recte semplificazione) del telaio normativo sì da conferire maggiore efficienza e competitività alle procedure concorsuali e consentire di guardare con fiducia alle nuove sfide imposte dall’attuale contesto di crisi generalizzata.

1 Lo Cascio, L’ennesima modifica alla legge sulla composizione della crisi
da sovraindebitamento (L. 27 gennaio 2012, n. 3)
, in Fall., 7, 2013, pp. 813 e ss; Battaglia, La composizione delle crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, I, pp. 423 e ss.; Guiotto, La continua evoluzione dei rimedi alle crisi da sovraindebitamento, in Fall., 2012, p. 1285.

2 Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2021, pp. 121 e ss.

3 Sulla vis espansiva delle procedure di sovraindebitamento che affiora dalla risistemazione operata nel CCII cfr., ex multis, Trentini, Le procedure da sovraindebitamento. L. 3/2012 e Codice della crisi d’impresa, Milano, 2021, passim; Pellecchia, La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Pellecchia e Modica (a cura di), La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Pisa, 2020, pp. 15 e ss.; R. Bocchini e De Matteis, Sovraindebitamento: profili civilistici nella legge delega di riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Corr. giur., 2018, pp. 649 e ss.; Pasquariello, Le procedure di sovraindebitamento alla vigilia di una riforma, in NLCC, 2018, pp. 731 e ss.; D’Amico, Il sovraindebitamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Contr., 2019, pp. 318 e ss.; Delle Monache, Sovraindebitamento del “debitore civile” e riforma del diritto della crisi d’impresa, in Giustiziacivile.com, Editoriale del 12 febbraio 2019; Cesare, Il nuovo sovraindebitamento modificato dalla legge di conversione del Decreto Ristori, in IlFallimentarista.it, 5 gennaio 2021, p. 3.

4 Il Codice della crisi, recependo le istanze provenienti dall’Unione europea con il Reg. Ue 2015/848 e la raccomandazione 2014/135/Ue del 12 marzo 2014, cancella l’espressione “fallimento” per valorizzare l’istituto del cosiddetto fresh start, più confacente all’attuale contesto socio-economico.

5 Nigro e Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021, § 305.

6 Al riguardo, il Trib. Pavia 9 settembre 2022 ritenere che con l’introduzione della “liquidazione controllata” il legislatore non abbia inteso espungere dall’ordinamento l’istituto della “liquidazione del patrimonio” prevista dall'art.14-ter della L. n. 3/2012, bensì solamente semplificarne la disciplina.

7 In tal senso cfr. Maffei Alberti, Sub art. 7, in Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, II, p. 2030; Di Marzio, Sulla composizione negoziale della crisi da sovraindebitamento (Note a margine dell’AC N. 2364), in Dir. fall., 2010, I, pp. 659 e ss.; Fabiani, La gestione del sovraindebitamento del debitore ‘‘non fallibile’’, in www.ilcaso.it, doc. 278/2012, p. 3; Guiotto, La nuova procedura d’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fall., 2012, p. 21; Battaglia, La composizione delle crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, I, p. 423; Maffei Alberti, Sub artt. 12 bis - 12 ter, in Commentario breve alla legge fallimentare, cit., II, p. 2048.

8 Per effetto della riscrittura intervenuta in forza della L. n. 167/2020, la nozione di “consumatore” diviene la seguente: “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, per i debiti estranei a quelli sociali”.

9 Bonaccorsi e De Santis, L’ambito soggettivo di applicazione delle “nuove” procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, in La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., pp. 43 e ss. Per Leuzzi, Come la Legge n. 176 del 18 dicembre 2020, ha modificato in melius la Legge n. 3 del 27 gennaio 2012, in www.InExecutivis.it, l’assenza di una disposizione che esplicitamente estendesse gli effetti del sovraindebitamento al socio illimitatamente responsabile rendeva estremamente “ostico richiamare “in supplenza”, il paradigma fallimentare, palesandosi l’art. 147 L. fall. quale norma eccezionale”.

10 D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, 2022, p. 389; Pacchi, Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Pacchi e Ambrosini (a cura di), Diritto della crisi e dell’insolvenza, Bologna, 2022, p. 124.

11 In proposito v. Galanti, Profili processuali del nuovo sovraindebitamento, tra interventi di riforma e prime esperienze applicative, in Dir. fall. e soc. comm., 2022, pp. 62 e ss.

12 Nel solco quivi indicato cfr. M. Campobasso, Dalla procedura di “liquidazione del patrimonio” alla “liquidazione controllata” del sovraindebitato, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di M. Sandulli, Torino, 2019, p. 138; Accettella, La liquidazione controllata del sovraindebitato: un primo commento, in NLCC, 2020, p. 664; Nanci, Il giudizio sulla meritevolezza del consumatore: dalla legge 27 gennaio 2012 n. 3 al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Giustiziacivile.com, 28 agosto 2020.

13 Minniti, L’insostenibile meritevolezza del sovraindebitato, in IlFallimentarista.it, 2021.

14 Sulla stessa linea interpretativa cfr. Trib. Milano 18 giugno 2021, in www.dirittodellacrisi.it; Trib. Benevento 23 aprile 2019, in www.ilcaso.it.

15 Così Pagano, Accesso al sovraindebitamento: la sorte degli atti dispositivi in frode ai creditori, in www.altalex.com, 19 gennaio 2022, p. 3. Al riguardo cfr., pure, Salerno, La rilevanza dei profili soggettivi della condotta nella composizione del sovraindebitamento del consumatore, in Giur. comm., 5, 2022, pp. 882 e ss.; Matteis, L’esdebitazione del sovraindebitato nel codice della crisi e della insolvenza, in Corr. giur., 2020, p. 1379; Limitone, Sovraindebitamento: requisito della meritevolezza e sproporzione del debito, nota a Trib. Livorno 6.11.20, in www.ilcaso.it., 6 novembre 2020; Modica, Effetti esdebitativi (nella nuova disciplina del sovraindebitamento) e favor creditoris, in Contr., 2019, pp. 471 e ss.; Burigo, Il piano attestato di risanamento: uno strumento di risoluzione della crisi finanziaria d’impresa tuttora efficace, in Ric. giur., vol. 5(2), 2016, pp. 272 e ss.

16 Così, ancora, Pagano, Accesso al sovraindebitamento: la sorte degli atti dispositivi in frode ai creditori, cit., p. 2.

17 Pellecchia, Il presupposto oggettivo: il sovraindebitamento, in La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., pp. 77 e ss. Più in generale cfr. Ambrosini, Il Codice della Crisi dopo il D.Lgs. n. 83/2022: brevi appunti su nuovi istituti, nozione di crisi, gestione dell’impresa e concordato preventivo (con una notazione di fondo), in Dir. fall. e soc. comm., pp. 844 e ss.

18 Per inciso, lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei dodici mesi successivi, anziché nei sei mesi successivi previsti dall’originaria versione del Codice della crisi. Con tale modifica il D.L. n. 118/2021 amplia l’orizzonte temporale di riferimento per valutare lo stato di crisi, allineandolo a quello previsto dalle scienze aziendalistiche per la perdita di continuità aziendale.

19 In senso conf. Trib. Mantova, 27 settembre 2022, in www.ilcaso.it; Trib. Verona, Sez. II, 20 settembre 2022, in www.ilcaso.it.

20 Biferali, Esclusione delle quote sociali dalla liquidazione del patrimonio e tutela della dignità della persona, in Riv. dir. bancario, 4, 2021, II, pp. 444 e s.

21 Sull’inderogabilità del foro cfr., tra gli altri, Donzelli, Il procedimento di liquidazione del patrimonio. La fase di apertura e la fase di accertamento, in Di Marzio, Macario e Terranova (a cura di), La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, Milano, 2013, p. 70.

22 A detta di D’orazio, Il nuovo appeal delle procedure di sovraindebitamento nella riforma in itinere, in Fall., 2016, p. 1127, la locuzione sembra suggerire che la domanda del terzo sia ammissibile “solo” allorquando pendano esecuzioni individuali. È d’uopo precisare che anche nella L. n. 3/2012 la possibilità per i creditori di richiedere l’apertura della liquidazione dei beni del debitore era circoscritta alle ipotesi stabilite dall’art. 14-quater e, quindi, alle ipotesi di conversione di una procedura di composizione della crisi in una procedura di liquidazione, in quanto un precedente piano o accordo veniva annullato o ne cessavano gli effetti.

23 In tal senso v. M. Bianchi e A. Miccio, Una novità significativa del Codice della Crisi: l’istanza dei creditori per la liquidazione del patrimonio dei debitori “non fallibili”, in www.dirittodellacrisi.it, 27 ottobre 2022, p. 1. All’art. 9, lett. H), Legge delega 155/2017, si prevede espressamente di “riconoscere l’iniziativa per l’apertura delle soluzioni liquidatorie, anche in pendenza di procedure esecutive individuali, ai creditori e, quando l'insolvenza riguardi l'imprenditore, al pubblico ministero”.

24 Il procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza trova la sua disciplina nella Sez. II del D.Lgs. n. 14/2019, agli artt. da 40 a 53.

25 De Filippis, La natura pubblica dell'organismo di composizione della crisi, in Giur. comm., 3, 2022, pp. 494 e ss.

26 Benedetti, Gli organismi di composizione della crisi, in La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., pp. 102 e ss.

27 L’art. 2, comma 1, lett. t), CCII definisce gli OCC come “organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento disciplinati dal decreto del Ministro della giustizia del 24 settembre 2014, n. 202 e successive modificazioni, che svolgono i compiti di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento previsti dal presente codice”. Del resto, anche in relazione agli strumenti di regolazione della crisi di cui al capo II del Titolo IV, la relazione illustrativa sottolinea la portata del ruolo attribuito a tale organismo, evidenziando che “la formulazione della domanda, del piano e della proposta nella stessa contenuti compete all’OCC”. Ne consegue che l’OCC venga a rivestire in siffatte procedure un triplice ruolo: 1) di consulente del debitore; 2) di garante nei confronti del tribunale e dei creditori della serietà e attendibilità della domanda (o proposta); 3) di ausiliario del tribunale quando se ne riveli la necessità.

28 Anche sotto il profilo della produzione documentale emerge il carattere unitario del procedimento, giacché in un’unica disposizione il Codice della crisi uniforma anche la tipologia di documentazione necessaria rispetto alla procedura prescelta. Per inciso l’unica differenziazione degna di nota riguarda il caso in cui l’istante richieda la concessione dei termini per il successivo deposito di un piano o di un accordo di ristrutturazione del debito.

29 Accettella, La liquidazione controllata del sovraindebitato: un primo commento, cit., p. 671.

30 Di talché, in sede di liquidazione controllata, ai fini della determinazione della quota di reddito di stipendio o pensione disponibile ai sensi dell’art. 268, comma 4, lett. b), CCII, la cessione del quinto, conseguente ad un finanziamento, sarebbe inopponibile alla procedura dopo la sua apertura, dovendosi dare continuità all’orientamento già espresso ai sensi dell’art. 14-ter sul punto sotto il vigore della Legge n. 3/2012. Si veda, in proposito, Trib. Milano 10 aprile 2019, con la possibilità per il giudice di rivedere i suindicati limiti solo in senso più favorevole per il debitore.

31 Ceccarini, L’attività del liquidatore e i controlli del giudice, in La “nuova” composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 80; Pagano e Sforzi, La tutela della maggior soddisfazione del ceto creditorio legittima la sospensione della procedura esecutiva su beni di terzi, in IlFallimentarista.it, 20 agosto 2021.

32 Cfr. Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in www.ilcaso.it, 14 febbraio 2019, p. 6. Trattasi di una previsione che risulta invariata rispetto alla formulazione di cui all’art. 14-ter, comma 7, L. n. 3/2012, e analogamente contemplata nell’ambito della liquidazione giudiziale, ove la sospensione opera d’ufficio per effetto della dichiarazione di apertura della procedura (art. 154, comma 1) e sino alla chiusura della stessa o all’archiviazione ai sensi dell’art. 234, comma 7.

33 Montanari, Il cosiddetto procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2019, 5, pp. 563 e ss.

34 D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 422.

35 Trentini, Rapporti tra procedimenti esecutivi individuali e procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, cit., pp. 4 e ss.

36 Così, ad esempio, come enunciato da Trib. Reggio Emilia 20 ottobre 2022, laddove dalla relazione dell’OCC non appaia conveniente l’alternativa costituita dalla liquidazione controllata ai sensi dell’art. 268 e ss. può darsi corso alla procedura unitaria di ristrutturazione dei debiti del consumatore.

37 Sull’ammissibilità dell’accesso congiunto alla liquidazione controllata v. Trib. Forlì 20 ottobre 2022, in www.ilcaso.it, ove si precisa che “Stante che l’art. 66 CCII, che prevede la possibilità della presentazione di un unico progetto di risoluzione della crisi da parte di membri della stessa famiglia laddove siano conviventi o il sovraindebitamento abbia origine comune, è collocato tra le disposizioni generali relative appunto alle procedure di composizione della crisi di quel tipo, in cui è inserito anche l’art. 65 che richiama, tra le disposizioni applicabili alle soluzioni della crisi a disposizione dei debitori di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), CCII, anche quelle del titolo V, capo IX (articoli da 268 a 277 CCII) che regolano la liquidazione controllata, si deve ritenere ammissibile l’accesso congiunto, in presenza dei medesimi presupposti richiesti nelle altre ipotesi, anche a quella procedura, ferma restando, ovviamente, anche in tal caso la distinzione delle masse attive e passive di ciascun debitore”.

38 Pur nell’assetto attuale di pluralità dei procedimenti, per una valutazione anche dell’elaborazione giurisprudenziale sul tema dei rapporti fra le due pronunce, cfr. Cass. S.U. n. 1521 del 2013; Cass. S.U. nn. 9934, 9935 e 9936 del 2015; Cass. S.U. n. 27073 del 2016; Cass. S.U. n. 9146 del 2017.

39 Con riferimento al regime previgente, per le evidenti analogie con le disposizioni de quibus, cfr. Maimeri, Presupposti soggettivi e oggettivi di accesso, in Fall., 2012, p. 1029 e p. 1034; Macario, Finalità e definizioni, Ambito soggettivo, in La "nuova" composizione della crisi da sovra indebitamento, cit., 2013, pp. 15 e s.; Maffei Alberti, Sub art. 7, in Commentario breve alla legge fallimentare, cit., p. 2032; Cordopatri, Presupposti di ammissibilità, in Il civilista, 2013, p. 21.

40 De Matteis, La liquidazione controllata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in Riv. dir. fall. soc. comm., 2, 2021, pp. 349 e ss.

41 Il riferimento quivi presente all’iniziativa del P.M. nei confronti del debitore che fosse anche imprenditore, deve ritenersi frutto in fase abrogativa di un refuso e di una mancata riconciliazione con l’art. 268, in cui tale legittimazione ad agire per presentare la domanda di ammissione alla procedura è stata espressamente eliminata.

42 Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 143.

43 Trib. Genova, sez. VII Fallimentare, 22 agosto 2022, in www.ilcaso.it.

44 Trib. Piacenza, 20 giugno 2022, in www.ilcaso.it.

45 Trib. Mantova, 23 giugno 2022, cit.

46 Trib. Lodi, 3 novembre 2013, in www.unijuris.it.

47 Trib. Busto Arsizio 18 marzo 2021, in www.unijuris.it.

48 Trib. Rimini 2 novembre 2022, in www.unijuris.it.

49 V. infra § 7.2.

50 Sulle rilevanti modifiche apportate dal D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, alla disciplina delle misure cautelari e protettive, si rimanda a Carratta, Le misure cautelari e protettive nel CCI dopo il D.Lgs. n. 83/2022, in Dir. fall. e soc. comm., 2022, pp. 859 e ss.

51 A detta di Panzani e Arato, Il codice della crisi: un rinvio o un addio?, in www.ilcaso.it., 5 ottobre 2020, pp. 3 e s., la disciplina della liquidazione giudiziale non ha subito una rivisitazione particolarmente significativa rispetto a quella fallimentare, benché si sia provveduto a semplificarne alcuni passaggi avvalendosi di soluzioni provenienti dal processo telematico. In particolare, “non si è voluto proseguire sulla strada, imboccata dalla riforma Vietti nel 2005-2006, di semplificazione della disciplina della liquidazione dell’attivo, attuando invece una sorta di controriforma e rafforzando i poteri del giudice delegato”.

52 Analogamente a quanto previsto nella liquidazione giudiziale, il creditore può far cessare lo stato di incertezza chiedendo al giudice di assegnare un termine al liquidatore per decidere della sorte dei rapporti pendenti.

53 Per tutti cfr. D’Attorre, Contratti pendenti nella liquidazione giudiziale e contemperamento tra interessi, in Dir. fall. e soc. comm., 2022, pp. 920 e ss.

54 La nuova formulazione espunge il riferimento alle misure “conservative”, che già la dottrina aveva degradato ad espressione priva di particolare valenza distintiva nella pratica fallimentare rispetto alle misure cautelari.

55 D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 426. Anche sotto tale aspetto, è del tutto evidente la corrispondenza con i tipici effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale sui beni del debitore previsti dall’art. 142 CCII.

56 Per inciso, all’art. 14-octies, L. n. 3/2012 era previsto che il liquidatore depositasse lo stato passivo in cancelleria e lo comunicasse alle parti.

57 Trib. Forlì 20 ottobre 2022, cit.; per il Trib. Verona 20 settembre 2022, cit., “Il divieto di iniziare o proseguire esecuzioni individuali o cautelari non deve essere dichiarato, come previsto dall’art. 14-quinquies L. n. 3/2012, nel provvedimento di apertura della liquidazione controllata in quanto costituisce un effetto automatico di quella ai sensi del combinato disposto degli artt. 270, comma 5, e 150 CCII”.

58 R. D’Alonzo, Le interferenze tra l’esecuzione forzata ed i procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento nel Codice della crisi d’impresa, in www.executivis.it, 24 giugno 2022, p. 6.

59 Per quanto concerne il trattamento riservato ai creditori, Panzani e Arato, Il codice della crisi: un rinvio o un addio?, cit., p. 7, evidenziano come, nonostante nella Direttiva 2019/1023 sia la “relative priority rule” ad elevarsi a regola di default, giacché consente di attribuire ai creditori di grado inferiore o postergati, come i soci, un trattamento positivo, purché non più favorevole di quello previsto per la classe poziore, il legislatore italiano abbia compiuto, in consonanza con il codice civile, una scelta diametralmente opposta poiché fondata sulla “absolute priority rule”, che impedisce di riconoscere alcun ristoro ai creditori di grado inferiore sino a quando i creditori poziori non sono integralmente soddisfatti.

60 Farina, Le procedure concorsuali di cui alla legge n. 3 del 2012 e la (limitata) compatibilità con la legge fallimentare. Le problematiche della domanda e dell’automatic stay, in Dir. fall., 2017, 1, p. 43. Nel dettaglio, l’art. 14-quinquies, comma 2, lett. b) aveva replicato il medesimo meccanismo disciplinato nell’art. 51 L. fall.

61 Rescigno, La liquidazione controllata: profili procedimentali, in La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., p. 302; Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., pp. 144 e ss.; Crivelli, Il piano e la proposta nelle procedure di componimento della crisi da sovraindebitamento nella L. 3/2012 e nel CCII, in Fall., 2019, p. 725.

62 D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 428.

63 Limitone, Le domande tardive nella liquidazione del sovraindebitato, in www.dirittodellacrisi.it, 18 marzo 2021, p. 1.

64 Leuzzi, La liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati fra presente e futuro, in www.executivis.it, 2020, 48; conf. Trib. Udine 7 luglio 2020; contra Trib. Ancona 19 novembre 2019.

65 Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 145.

66 Pacchi, Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento, in Diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 136.

67 D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 430.

68 In ordine alla fase di vendita dei beni nell’ambito della liquidazione giudiziale, appare significativo il numero minimo di tre tentativi di vendita annuale (art. 214) e il contestuale abbandono della vendita stessa per manifesta non convenienza in caso di esperimenti infruttuosi (art. 216).

69 I requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il liquidatore può avvalersi, nonché i mezzi di pubblicità e di trasparenza delle operazioni di vendita citate sono quelli previsti dal Regolamento del Ministro della Giustizia previsto dal comma 7 dell’art. 107 L. fall.

70 Rescigno, La liquidazione controllata: profili procedimentali, in La riforma del sovraindebitamento nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, cit., pp. 305 e ss.

71 Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, cit., p. 146.

72 Cerri, Contenuto della proposta e del piano del consumatore, in Il civilista, 2013, pp. 26 e ss.; Macario, Il contenuto dell’accordo, in Fall., 2012, p. 1039.

73 Michelman, Ethics, Economics and the Law of Property, in Nomos series, 24, 1982, pp. 3 e ss.; Heller, The Tragedy of the Anticommons: Property in the Transition from Marx to Markets, in Harvard Law Review, 111, 1998, pp. 621 e ss.; Buchanan e Yoon, Symmetric Tragedies: Commons and Anticommons, in Journal of Law and Economics, 43, 2000, pp. 1 e ss.; Baird e Rasmussen, Antibankruptcy, in Yale Law Journal, 119, 2010, pp. 648 e ss.; Fennel, Commons, Anticommons, Semicommons, in Research Handbook on the Economics of Property Law, diretto da Ayotte e Smith, London, 2011, pp. 35 e ss. 132; G. Ferri jr, Ristrutturazioni societarie e competenze organizzative, in Riv. soc., 2019, p. 235; Pulgar Ezquerra, “Holdout” degli azionisti, ristrutturazione di impresa e dovere di fedeltà del socio, in Dir. fall., 2018, I, pp. 13 e ss.

74 In tal senso v. Rana, La trattazione congiunta di istanze liquidatorie e ricorsi per soluzione negoziata nel Codice della Crisi e dell’Insolvenza, in Dir. fall. e soc. comm., 3-4, 2021, pp. 520 e ss.

75 Si pensi alle modalità di attuazione del contraddittorio; di trattazione e di istruzione dei procedimenti riuniti ed ai poteri delle parti; alla possibilità, infine, di ricorrere ad istituti classici del diritto processuale. Così, ad esempio, come evidenziano Panzani e Arato, Il codice della crisi: un rinvio o un addio?, cit., p. 5, “mentre nel primo caso non vi è contraddittorio tra i creditori ed il debitore, tale contraddittorio è imprescindibile nel secondo”.

76 In tal senso v. Bianchini, Proposte di modifica del Codice della crisi d’impresa e di insolvenza, Audizione del Vice Direttore di Assonime presso il Ministero della Giustizia, Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi sul «Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza», Roma, 23 maggio 2022, p. 7.

77 Ibidem.