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La modifica ex uno latere del contratto tra profili civilistici e fattispecie settoriali

Scritto da Gennaro Rotondo • ott 2024

Contenuto

1. Nozione di modificazione unilaterale del contratto e autonomia della vicenda modificativa

Nella fisiologica articolazione dei rapporti giuridici, tra gli estremi necessari della costituzione e dell’estinzione, si collocano taluni fenomeni di mutamento, alterazione, evoluzione delle dinamiche relazionali che vengono tipologicamente ricompresi nella categoria teorica della “modificazione”. In punto di inquadramento tassonomico di tali fattispecie si annoverano: con riguardo alla componente negoziale coinvolta, variazioni soggettive, quali moltiplicazione, concentrazione e sostituzione di soggetti, successioni universali e particolari, alienazione, ecc.; e variazioni oggettive, qualitative e quantitative, in ordine alle diverse modalità della prestazione obbligatoria; nonché quei mutamenti relativi alla tutela giuridica come quiescenza, affievolimento e rafforzamento della disciplina del rapporto.

Ipotesi che si connotano tutte per la circostanza che la modifica incide sul rapporto esistente senza pregiudicarne la sopravvivenza, realizzando al contempo effetti conservativi e trasformativi che si distinguono, per un verso, dalla costituzione, in quanto presuppongono l’esistenza attuale del rapporto, e per l’altro dall’estinzione, poiché tendono alla conservazione dello stesso, ferma restando la modificazione realizzata.1

La configurazione teorica della fase negoziale modificativa trova sostegno, sul piano ordinamentale, anzitutto nell’art. 1321 c.c., il cui riferimento alla “regolazione” di un rapporto giuridico patrimoniale attesta la legittimità sia dei negozi modificativi incidenti sulla struttura del rapporto, sia di quelli che ne modificano l’assetto di interessi o la disciplina.2 D’altronde, anche in difetto di un riscontro letterale, l’ammissibilità dei negozi modificativi emerge dall’ambito applicativo laddove sussistano interessi meritevoli di tutela a supporto giustificativo di simili accordi, tenendo conto altresì del fatto che l’autonomia privata consente di disporre della propria sfera giuridica e patrimoniale, purché conformemente ai principi costituzionali.3

Un altro riferimento normativo a conferma della fattispecie modificativa si rinviene nella descrizione degli effetti costitutivi delle sentenze dell’autorità giudiziaria (ex art. 2908 c.c.), non solo in senso costitutivo, ma anche estintivo o di modificazione di rapporti giuridici.4 Esito interpretativo che ben si attaglia, sul piano concreto, agli orientamenti decisionali dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF), nel contesto del suo ambito di cognizione settoriale.

Ebbene, pur riscontrandosi segnali del riconoscimento legislativo di una componente modificativa del rapporto nell’articolazione dell’efficacia giuridica, per poter affermare l’autonomia della fattispecie è necessario individuare profili regolatori peculiari e diversificati rispetto a fenomeni giuridici affini. In estrema sintesi (e rinviando alle conclusioni cui perviene la principale dottrina civilistica), si ritiene che l’elemento discriminante, per la vicenda modificativa, si possa individuare nel permanere in esistenza del rapporto. Ne consegue che la modificazione assicura la conservazione del rapporto che, sia pure parzialmente trasformato, resta intatto nella parte essenziale delle regole preesistenti.5



2. Ammissibilità e configurazione dell'istituto della variazione unilaterale delle condizioni contrattuali nel diritto comune

Nell’ambito della ricostruzione della fattispecie modificativa, va ricordato che il fondamentale principio dell’autonomia privata sancisce la facoltà di disporre della propria sfera giuridica senza subire imposizioni esterne,6 esprimendo il corollario, basato sul potere di autodeterminazione dei contraenti, per cui è possibile disporre della sfera giuridica altrui solo previo consenso della parte nei cui confronti l’atto è destinato a produrre effetti. Per tale motivo, la qualificazione del contratto come vincolo, tende al contempo a garantire le parti dall’eventualità che una di esse, unilateralmente, intacchi la sfera dall’altra modificando o persino sciogliendo il rapporto (contrattuale) precedentemente concordato.7

Un’esigenza che nasce, infatti, anche dalla circostanza che il Codice civile prevede talune ipotesi di attribuzione a una o ad entrambe le parti della facoltà di modificare ex uno latere il rapporto negoziale derivante dall’accordo concluso in precedenza,8 ponendosi in chiave evidentemente derogatoria rispetto ai principi generali del diritto dei contratti. Così, la norma fondamentale di cui all’art. 1372, comma 1, c.c., impone che le parti non possono modificare unilateralmente il contratto, finché è efficace, con la conseguenza che condotte in deroga alle pattuizioni integrano un inadempimento e legittimano la parte che lo subisce ad attivare i rimedi apprestati dall’ordinamento (i.e. risarcimento del danno e risoluzione).9

Una forma di potestà unilaterale è prevista dall’art. 1373 c.c. che riconosce espressamente la possibilità di recedere dal contratto. Raffrontando, però, la facoltà di recesso unilaterale con lo ius variandi appare evidente come la soggezione della controparte al recesso produca implicazioni meno gravose rispetto a quelle che deriverebbero dalla variazione dei contenuti negoziali che, se realizzata in modo unilaterale, entra in collisione con la necessaria base consensuale e paritaria del rapporto.10 Mentre l’atto di esercizio del diritto di recesso si presenta predeterminato nei contenuti, comportando la dissoluzione del rapporto, il ricorso allo ius variandi è invece astrattamente arbitrario in quanto può assoggettare la parte che lo subisce a un rinnovato regolamento negoziale suscettibile di assumere i contenuti più disparati.11

Se la modificazione di un rapporto giuridico in corso di svolgimento, nella maggioranza dei casi, rappresenta pertanto il risultato di una manifestazione di volontà dei soggetti titolari delle situazioni giuridiche coinvolte,12 non può disconoscersi che nell’ambito di tali pratiche modificative ha assunto sempre maggiore rilievo concreto il riconoscimento di effetti vincolanti a variazioni unilaterali di un precedente assetto di interessi apportate in modo tale da non alterare l’originaria fisionomia del rapporto.13 L’operatività di poteri unilaterali di modifica, esercitabili a prescindere dalla collaborazione della parte che subisce la fattispecie modificativa, esprime dunque una deroga sostanziale al principio dell’intangibilità del contratto espressa, con formula enfatica dal richiamato art. 1372, comma 1, c.c., che, oltre al principio della forza di legge del contratto, afferma l’ordinaria bilateralità delle fattispecie negoziali produttive di vicende modificative dello stesso.14

Sebbene la previsione di un potere unilaterale di modifica non sia formalizzato nella disciplina generale dei contratti, è evidente come le ipotesi legali e negoziali di ius variandi costituiscano un fenomeno frequente e stabile che ormai ha intaccato la perdurante validità del principio della forza di legge del contratto e dell’intangibilità dell’originario assetto di interessi concordato dalle parti, facendo dubitare della stessa opportunità di ricostruirle quali deroghe all’art. 1372 c.c.15 Si pensi, ad esempio, all’emersione di figure di ius variandi settoriali che hanno portata più ampia del singolo tipo legale (tra i quali è ricompreso anche l’ambito concernente i contratti bancari e finanziari).16

Va tenuto conto, inoltre, delle istanze solidaristiche di cooperazione sulla cui base la dottrina ha proposto di riformulare tale principio in termini di “tutela” e “rispetto” della sfera giuridica altrui. Del resto, l’applicazione del principio di assoluta immodificabilità di quest’ultima conferisce sovente protezione e garanzia del tutto formali alle parti del rapporto, mentre in realtà si rinvengono nell’ordinamento strumenti idonei a controbilanciare un’eventuale ius variandi, in modo da assicurare una tutela, in termini di possibile reazione, ai soggetti che subiscono l’esercizio di tale diritto. Peraltro, le previsioni normative e negoziali in tema di ius variandi sono conformi al principio di economia dei mezzi giuridici, vale a dire compatibili con l’esigenza di realizzare gli interessi delle parti attraverso meccanismi il più possibile semplificati, conservando le fattispecie negoziali già prodotte e consentendo la loro più ampia attuazione possibile, eventualmente anche grazie a interventi modificativi ex uno latere, capaci di dare ampia espressione alle potenzialità del rapporto.17

In linea di inquadramento dogmatico generale, ad ogni modo, è opinione diffusa che l’istituto dello ius variandi vada ricondotto alla categoria dei diritti potestativi, in quanto attribuisce a una parte il potere di modificare unilateralmente il rapporto contrattuale, incidendo sulla sfera giuridica della controparte che versa così in una situazione di soggezione rispetto alla modifica apportata.18 Come anticipato, l’esercizio di tale potere ha carattere discrezionale, seppure subordinato al verificarsi di determinati presupposti, mentre la parte che subisce la variazione (come è tipico dei diritti potestativi), non deve compiere alcun atto per consentire gli effetti della modifica, né può impedire che questa si verifichi.19

Inoltre, la natura potestativa del diritto consente di qualificarlo come “diritto secondario” poiché si innesta necessariamente su una preesistente situazione giuridica della quale deve tenersi conto per valutarne la legittimità.20 Per tale motivo, la natura giuridica dello ius variandi si coglie, anzitutto, nella connessione funzionale con il rapporto particolare cui attiene. In sostanza, il potere unilaterale di modifica non si configura mai come potere autonomo, ma si inserisce in una situazione soggettiva complessa da cui trae origine e di cui è parte integrante. Inoltre, la circostanza che l’atto di esercizio dello ius variandi non richieda l’accettazione della controparte per produrre effetto, riduce la fase relazionale del rapporto nella mera soggezione all’iniziativa del titolare del potere, purché ricorrano i presupposti di legittimità previsti dalla legge.

In definitiva, il potere di variazione unilaterale, pur differenziandosi quanto alla fonte di legittimazione e al piano di esercizio, risulta connotato dai medesimi tratti distintivi, rintracciabili nei requisiti della strumentalità alla situazione giuridica cui inerisce,21 dello stato di soggezione di chi la subisce, della discrezionalità più o meno ampia di cui gode il titolare e, infine, dell’autoritatività che contraddistingue gli atti di esercizio. In virtù di questi aspetti lo ius variandi va iscritto alla categoria dei poteri conformativi a effetti modificativi dell’altrui sfera giuridica.22


2.1. Segue. Tassonomia fondamentale delle fattispecie di Ius variandi

L’analisi delle fattispecie normativamente tipizzate di ius variandi23 è essenziale per individuare un eventuale comune denominatore e per stabilire se il sistema di diritto positivo esprima una regola generale in merito ai limiti di ammissibilità dell’istituto, ferma restando la necessità di indagare la specialità della declinazione assunta dallo stesso in ambito bancario.24

Per vero, ipotesi di ius variandi risultano previste in diverse tipologie di contratto,25 indipendentemente dalle connotazioni soggettive delle parti, dall’oggetto e dalla funzione negoziale.26 Nel disciplinare l’istituto, il legislatore ha previsto, in guisa di contrappeso, meccanismi di tutela della controparte,27 in ragione dei quali la dottrina28 ha configurato tre distinte tipologie di ius variandi: i) una prima fattispecie, di ambito applicativo alquanto ampio, in cui si riconosce al titolare del potere piena discrezionalità nell’azionare il diritto ponendo limitazioni solo alle modalità di esercizio (ad esempio, l’art. 1661 c.c., in tema di appalto; l’art. 2103 c.c., in tema di rapporto di lavoro; nonché, probabilmente, l’art. 768-septies, co. 2, c.c., in materia di patto di famiglia);29 ii) la seconda, che presenta una componente discrezionale più circoscritta, alla quale sarebbero riconducibili le norme previste in materia bancaria (art. 118 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, D.Lgs. n. 385/1993, in seguito anche “t.u.b.”) e di tutela del consumatore (art. 33, co. 2, D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in seguito anche Codice del consumo o “cod. cons.”), in cui l’esercizio del potere di modifica unilaterale deve trovare fondamento in un giustificato motivo e deve essere contenuto entro precisi limiti individuati dal legislatore;30 iii) la terza, di matrice più vincolata, in cui lo ius variandi è subordinato all’accertamento di circostanze sopravvenute alla conclusione del contratto (ad esempio, l’art. 1577 c.c., in tema di locazione; l’art. 1686, co. 2, c.c., sui contratti di trasporto; l’art. 1711, co. 2, c.c., sul mandato; l’art. 1770, co. 2, c.c., in tema di deposito).31

Secondo una diversa ricostruzione dogmatica, d’altro canto, le difficoltà di una ricognizione esaustiva delle ipotesi normativamente definite di ius variandi e la rilevanza del fenomeno consentono solo un tendenziale raggruppamento delle fattispecie considerate, in relazione alla funzione di adeguamento dell’assetto di interessi, rispetto alle sopravvenienze esterne e alle mutate esigenze di una parte, e di riequilibrio delle posizioni contrattuali a tutela di alcune categorie di contraenti.

Ciò premesso, partendo dai poteri unilaterali che trovano presupposto e legittimazione in eventi successivi alla stipula del contratto, si individuano anzitutto quelle figure di ius variandi il cui effetto modificativo sia da ricondursi, in via immediata, all’atto di esercizio del potere mediante il quale il soggetto manifesta in modo inequivoco la volontà di avvalersene.32 Difatti, nelle principali fattispecie normative, al sopravvenire di eventi che incidono su rapporti di durata, lo ius variandi si pone come rimedio per garantire il riequilibrio e l’esecuzione del rapporto, esito che spesso risulta maggiormente conforme agli interessi delle parti rispetto allo scioglimento dello stesso.33

In altre ipotesi, lo ius variandi assume una connotazione peculiare con riguardo all’esigenza di apprestare una tutela soggettiva rafforzata. In questi casi di presenza di contraenti caratterizzati da una posizione contrattuale di superiorità (in termini di forza economica e negoziale), la funzione di riequilibrio e adeguamento delle condizioni originariamente pattuite, assolta dallo ius variandi, si connota per uno spiccato profilo di garanzia. L’istituto tende, infatti, a fornire una tutela rafforzata ai contraenti che si trovino in una situazione di debolezza, anche relativa, con particolare riguardo ai soggetti appartenenti alla categoria dei consumatori. Il riconoscimento alla parte contrattuale in posizione di svantaggio di uno ius variandi di protezione si inserisce nella tendenza normativa diretta a tutelare i soggetti economicamente più esposti, facendo assurgere a principio di diritto interno e a valore costituzionalmente rilevante (ex art. 2 Cost.) la tutela della parte debole e specificamente del consumatore.34

Sotto il profilo da ultimo indicato, in particolare, va segnalato che la legislazione speciale, in diversi casi, attesta un’evidente apertura dell’ordinamento in favore dell’ammissibilità dello ius variandi che però viene controbilanciata, appunto, da un maggiore rigore nell’individuazione di limiti e condizioni di operatività e dalla precipua attenzione ai profili di tutela della parte destinata a subirne l’esercizio. Di conseguenza, si riscontrano nella pratica istanze di adeguamento e flessibilità dei rapporti di durata, specie di stampo imprenditoriale, che si manifestano in diversi settori in considerazione della tipologia di operazioni e dei relativi rischi economici e finanziari. Gli interventi legislativi, d’altro canto, sono espressione dell’esigenza, specie nei rapporti asimmetrici – caso tipico è il cliente della banca – di regolamentazione omogenea del potere di modificare unilateralmente e ad libitum il contratto originariamente concluso.35

Dalle forme di ius variandi attribuite in via negoziale sembra possibile inferire la legittimazione di scelte unilaterali idonee a incidere in senso modificativo su rapporti preesistenti (solitamente, come si vedrà, di durata e ad esecuzione complessa), per realizzarne l’adattamento all’evoluzione e ai cambiamenti della situazione sottostante, garantendo al contempo la conservazione del nucleo essenziale e la compiuta realizzazione dello stesso, ossia la “modifica nella conservazione”.36 A tal riguardo, risulta certamente pacifica l’ammissibilità di un potere unilaterale di modifica nei casi in cui lo stesso sia normativamente previsto (ius variandi legale) ovvero in cui sia la legge a consentirne l’attribuzione (ius variandi volontario).37 L’assenza, invece, nella disciplina codicistica del contratto di una generica previsione attributiva del potere di modifica unilaterale ha sollevato in dottrina dubbi circa l’ammissibilità di un potere di natura convenzionale, ossia previsto dalle parti al di fuori di specifiche norme e regimi legittimanti.38

Secondo un primo orientamento (minoritario), le previsioni con cui una parte si riserva la facoltà di modificare unilateralmente il regolamento negoziale sarebbero da considerarsi invalide, in quanto contrastanti con il principio dell’accordo tra le parti.39

Un diverso orientamento, che valorizza la componente dell’autonomia privata, considera non solo tali pattuizioni ammissibili, nei casi in cui la modifica si traduca esclusivamente in un vantaggio per la controparte, ma non ritiene necessaria neppure una specifica clausola che attribuisca formalmente il potere, salva pur sempre la facoltà per il destinatario di rifiutare la modifica.40

Altra linea interpretativa configura le ipotesi legali e negoziali di ius variandi come espressione di un generale principio di ammissibilità limitata e speciale dello stesso. Ammissibilità, per un verso, soggetta al principio di eguaglianza sostanziale delle parti, che sottopone il potere di modifica a limiti e condizioni posti a garanzia della parte che ne subisce l’esercizio; dall’altro, derogando al principio della vincolatività del contratto, pone lo ius variandi come istituto speciale; infine, la legittimità della variazione presuppone necessariamente la sussistenza di una specifica fonte legale o negoziale.41

In considerazione dei margini di utilità delle clausole attributive del potere di variazione unilaterale per le relazioni economiche, altra parte della dottrina respinge la tesi di un generale divieto dello ius variandi e propende per la previsione di sanzioni per il suo abuso,42 dal momento che, sebbene il potere di modifica unilaterale determini la soggezione di una parte alle scelte altrui, il suo esercizio non implica necessariamente un pregiudizio. Tuttavia, va detto che, in concreto, lo ius variandi si configura, a seconda dei casi, sia come strumento di possibile prevaricazione di una parte sull’altra, sia di composizione efficiente e ragionevole dell’equilibrio negoziale tra le parti.43

Alcuni autori,44 sulla base della distinzione fra le ipotesi di ius variandi attribuito nel prevalente interesse della parte che lo subisce e quelle in cui è funzionale al soddisfacimento dell’interesse della parte titolare del potere, discrimina di conseguenza l’ammissibilità e la liceità delle relative pattuizioni.

La prima ipotesi viene considerata senz’altro lecita, conformandosi l’esercizio dello ius variandi come espressione di un potere sindacabile alla luce dei principi di correttezza e buona fede, come tale idoneo a limitare l’arbitrio della parte che esercita il potere. Nella seconda fattispecie, invece, si opera una ulteriore distinzione, a seconda che la clausola assegni un potere illimitato a una delle parti ovvero ne fissi i criteri di esercizio. Tuttavia, nel primo caso, secondo un risalente orientamento dottrinale, la clausola sarebbe nulla per contrasto con i principi fondanti dell’accordo e del vincolo contrattuale.45 Mentre altri autori, viceversa, ritengono che la pattuizione potrebbe considerarsi valida ove diretta a consentire l’adeguamento del rapporto a eventi futuri, così come le modifiche apportate dalla parte titolare del potere possono considerarsi valide ed efficaci qualora tendano alla compiuta realizzazione dell’interesse sotteso al contratto.

Ciò nel rispetto del reciproco affidamento riposto dalle parti nella realizzazione dello stesso, nonché mantenendosi le variazioni entro la soglia della normale prevedibilità e ragionevolezza.46 Diversamente, nell’ipotesi opposta in cui l’esercizio dello ius variandi si traduca in un’alterazione unilaterale e arbitraria del programma contrattuale originariamente convenuto, verrebbe a configurarsi un’ipotesi di esercizio abusivo, censurabile alla luce del canone della buona fede, per cui l’eventuale modifica sarebbe sanzionabile con la dichiarazione di inefficacia.47

Nel secondo caso (i.e. fissazione contrattuale di criteri di esercizio dello ius variandi), la pattuizione sarebbe lecita, ma l’efficacia resta senz’altro subordinata alla conformità delle modifiche al principio di buona fede, il quale (ex art. 1375 c.c.) dovrebbe fungere sempre da criterio di riferimento nell’esercizio di poteri a base discrezionale, imponendo di compiere scelte coerenti con l’assetto di interessi per il quale il potere è stato conferito e consentendo di accertare l’illegittimità delle modifiche realizzate abusando della posizione di vantaggio.48


2.2. Segue. Ius variandi negoziale e tipologia contrattuale di riferimento

La vicenda modificativa unilaterale di fonte negoziale non può prescindere dalla tipologia contrattuale di riferimento adottata dalle parti, nella quale risulta inserita la clausola convenzionale attributiva dello ius variandi o a cui accede il negozio individuale a contenuto autorizzatorio49 proveniente dal soggetto destinato a subire la modifica, considerati i rischi di incompletezza dei tentativi di ridurre a unità una realtà complessa quale quella dell’autonomia negoziale.

In quest’ottica, vanno esclusi, in primo luogo, interventi modificativi con riguardo ai contratti a esecuzione istantanea e immediata,50 rispetto ai quali la contestualità tra conclusione ed esecuzione non permette la successiva variazione del rapporto, dovendosi configurare le eventuali vicende modificative in relazione alle ipotesi di inadempimento.

Differente è il caso in cui la legge o il contratto abbia dilazionato l’effetto negoziale a un momento successivo alla conclusione del contratto ovvero abbia differito l’esecuzione o, ancora, previsto l’adempimento entro un termine stabilito. In questi casi, la prassi ammette principalmente clausole con le quali le parti rimettono alla determinazione o alla rideterminazione successiva di una di esse il corrispettivo della prestazione.51 Tuttavia, clausole di questo genere, seppure diffuse, danno vita a fenomeni eterogenei sotto il profilo strutturale e fattuale e, pertanto, sono di complesso inquadramento normativo.

Per altro verso, gli interessi dei contraenti che concludono rapporti di durata,52 invece, sono soddisfatti dalla continuità dell’esecuzione, il che giustifica l’ampiezza e la varietà delle pattuizioni di ius variandi specie nei contratti di matrice commerciale, ove una variegata tipologia di clausole modificative si affianca alla disciplina legale ponendo inevitabili problemi di coordinamento.53 In queste ipotesi, la complessità dei rapporti contrattuali e la durata delle operazioni attestano le difficoltà di gestione del rischio contrattuale, di controllo del rapporto, di realizzabilità del risultato economico, nonché la necessità di flessibilità del regolamento di interessi in ragione delle mutate esigenze delle parti. Criticità cui i contraenti possono far fronte con il conferimento, in favore di entrambi o di uno di essi, di un potere di modifica unilaterale, agendo nello spazio concesso all’autonomia privata.

Le clausole attributive dello ius variandi possono riguardare le modalità di esecuzione, funzionalmente destinata a protrarsi nel tempo, e tutti gli elementi rilevanti ai fini dell’esecuzione di uno o più aspetti del rapporto (entità, tempi, modi dell’azione, prezzo, ecc.). È chiaro che, in sede di attribuzione, le parti delimitano la discrezionalità del titolare del potere modificativo, mediante l’imposizione di parametri di riferimento più o meno rigorosi. Ovviamente, è ammessa la possibilità di derogare alla disciplina legale dello ius variandi di carattere dispositivo, mutando i termini di operatività del potere di modifica individuati dal legislatore ovvero optando per l’immodificabilità delle condizioni di contratto. Mentre risultano intangibili e, quindi, sottratte alla disponibilità delle parti, le previsioni normative di carattere inderogabile, tipico al riguardo è il riferimento alla natura delle condizioni, alla tipologia dei contratti e al procedimento modificativo, contenuto nella normativa speciale bancaria e nella disciplina sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori.54


3. Modifica unilaterale e determinabilità dell’oggetto della prestazione

Come si accennava poc’anzi, lo ius variandi viene considerato da alcuni come un possibile strumento di arbitrio e prevaricazione in virtù della sua apparente collisione con alcuni fondamenti della teoria generale del contratto, quali la base consensuale dell’accordo, il principio del vincolo contrattuale e il requisito della determinatezza/determinabilità dell’oggetto (art. 1346 c.c.).55 Con riferimento a quest’ultimo aspetto, la Cassazione ha considerato invalida, per contrasto con il principio di certezza dell’oggetto del contratto, la clausola che attribuisce a una delle parti il potere di modificare unilateralmente il rapporto contrattuale, senza predeterminarne i criteri di esercizio.56

L’ordinamento richiede che le parti stabiliscano quantomeno il nucleo essenziale del contratto (causa e natura delle prestazioni principali),57 consentendo la possibilità di rimettere a un terzo la determinazione della prestazione negoziale (art. 1349 c.c.), operazione che tuttavia deve essere oggetto di equo apprezzamento, così come gli effetti della scelta devono risultare prevedibili e tollerabili dalla controparte.58

Sulla base di tali considerazioni e ritenendo lo ius variandi assimilabile a un’ipotesi di arbitraggio di parte,59 la Cassazione ha ritenuto nulla la clausola che rimette la determinazione della modifica al mero arbitrio, mentre la ha ritenuta valida, invece, qualora vi sia un equo apprezzamento ovvero quando sussistano criteri atti a escludere o a circoscrivere la discrezionalità del titolare del potere, consentendo così alla controparte di avere contezza dei suoi possibili effetti.60 In questa prospettiva, anche nel caso di una previsione convenzionale dello ius variandi, il limite risiede nel generale disfavore dell’ordinamento verso determinazioni arbitrarie di una parte contrattuale, confermato e rafforzato anche dal disposto dell’art. 1285 c.c.61 Affinché la previsione dello ius variandi sia compatibile con il principio del vincolo contrattuale, i suoi presupposti legittimanti devono essere esplicitati nel contratto, escludendosi (ex art. 1372 c.c.) che possano realizzarsi modifiche che non trovino fondamento nel medesimo testo contrattuale.62

D’altra parte, la decisione della S.C. del 1997 è stata oggetto di diverse critiche, dirette a evidenziare come l’attribuzione dello ius variandi a una delle parti non comporti di per sé l’indeterminabilità dell’oggetto del contratto, in quanto la relativa clausola non incide sulla fase genetica del vincolo contrattuale.63

La dottrina ritiene che il requisito della determinabilità sarebbe soddisfatto quantomeno dall’indicazione nel contratto del metodo attraverso cui l’oggetto viene definito, non rilevando l’esito dell’individuazione, né l’incertezza della prestazione, la quale inciderebbe solo sul grado di aleatorietà del contratto. La determinabilità dell’oggetto non può dipendere dai criteri che informano le sue modifiche successive, così come non dipende da quelli seguiti nella determinazione originaria del suo contenuto.64

In sostanza, l’esigenza di determinabilità del contenuto contrattuale sembrerebbe soddisfatta, in linea teorica, anche dalla previsione dello ius variandi, il quale prefigura un meccanismo mediante cui pervenire alla rideterminazione del regolamento contrattuale,65 ferma restando l’inammissibilità della modifica unilaterale della natura delle prestazioni principali del contratto (che realizzerebbe una novazione unilaterale) ovvero della clausola attributiva del potere stesso. In tale ultima ipotesi, infatti, verrebbe meno la possibilità di ricondurre le eventuali modifiche alla volontà della controparte, espressa in riferimento all’originaria formulazione della clausola.

I limiti contenutistici alla modificabilità del rapporto contrattuale, pertanto, anche qualora non esplicitamente previsti dalle parti, sarebbero in ogni caso rinvenibili nell’assetto di interessi che le stesse hanno concordato al momento della conclusione del contratto.

A ulteriore sostegno della tesi della compatibilità dello ius variandi con i principi dell’accordo e del vincolo contrattuale si aggiunge la circostanza che il relativo potere trova pur sempre legittimazione in un preventivo consenso tra le parti, per cui le modifiche apportate unilateralmente potrebbero ritenersi sorrette da un «accordo di secondo grado»,66 che non interferisce con la bilateralità negoziale, così come avviene nel caso della determinazione successiva del terzo (art. 1349 c.c.).67

L’inclusione nel regolamento contrattuale di una previsione di ius variandi, quindi, non violerebbe l’intangibilità del vincolo, sancita dall’art. 1372 c.c., con la conseguenza che il contratto potrebbe subire soltanto variazioni fondate sulla volontà delle parti o sulla legge. Il principio di vincolatività esclude, infatti, che le parti possano autonomamente attribuirsi il diritto di modificare (così come di sciogliere) il contratto, ma non impedisce che vi sia un accordo tra le parti in tal senso.68 È indubbio che, una volta concluso l’accordo e fissati i suoi contenuti, a fronte del mutare degli interessi o delle circostanze, le parti possano successivamente revocare in discussione quanto concordato ovvero prevedere (all’atto della stipula) un meccanismo di revisione dell’assetto contrattuale che rimetta a una di esse la scelta delle modifiche da apportare.

Del resto, anche la S.C., nell’ammettere a date condizioni la prevedibilità del potere di modifica unilaterale, ha affermato che la tenuta dei principi generali non sia messa in discussione dalla previsione di un simile potere, ove fondato, a monte, su di una rinnovata manifestazione di volontà delle parti.69

Sulla base di quanto precede, dunque, si può ritenere ammissibile una previsione convenzionale attributiva dello ius variandi, pur se priva dell’indicazione di criteri e limiti al suo esercizio, configurata nel prevalente interesse della parte titolare del potere, purché gli effetti prodotti rispettino i canoni (sui quali si ritornerà in seguito) della liceità e della meritevolezza degli interessi perseguiti.70


3.1. Segue. Natura e forma dell’atto di esercizio dello Ius variandi. Gli interessi concretamente perseguibili

L’atto di esercizio dello ius variandi si pone, rispetto al negozio originario, come logicamente e cronologicamente successivo ed esterno, anche se funzionalmente collegato al regolamento del rapporto, di cui viene a plasmare l’assetto di interessi in modo parzialmente nuovo. I tratti del rapporto giuridico originario, infatti, segnano il limite esterno oltre il quale la variazione non può dispiegare l’effetto conformativo-modificativo dell’originario assetto di interessi e consente, inoltre, di definire in concreto i limiti interni entro i quali deve attuarsi variazione che, come si è detto non può mai alterare l’identità del rapporto interessato.71

Alla luce di quanto precede, un ulteriore tratto che accomuna le diverse forme di ius variandi è rappresentato dalla necessaria natura recettizia degli atti negoziali di esercizio del diritto, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1334 e 1335 c.c. Connotazione giustificata dal fatto che l’esigenza di tutelare la parte che subisce la variazione unilaterale rende necessaria una puntuale informazione,72 in tutti quei casi in cui la stessa non sia chiamata a partecipare alla formazione della fattispecie modificativa.

In alcune manifestazioni settoriali dello ius variandi, tale requisito è espressamente richiesto, talvolta unitamente a specifiche modalità esecutive (si consideri, a contrario, l’inefficacia delle variazioni non comunicate, sancita dall’art. 118 t.u.b.). In alternativa, la natura recettizia si deve comunque ricavare dalla funzione che l’atto svolge nell’ambito dello ius variandi, in quanto il negozio unilaterale, per produrre i propri effetti, deve giungere a conoscenza del destinatario, assolvendo a un compito partecipativo e di garanzia nell’interesse del soggetto passivo del mutamento.73

Si ritiene acclarato, infine, l’obbligo di rispettare le modalità formali espressamente indicate nella previsione, legale o negoziale, attributiva del potere modificativo. Mentre, nelle ipotesi di silenzio del legislatore o delle parti, sembra potersi ricorrere, in via suppletiva, al principio dell’omogeneità della forma all’interno dell’operazione economica complessiva in cui si inserisce l’atto, potendosi sostenere l’identità formale tra il regolamento contrattuale originario, la fonte attributiva del potere e il negozio unilaterale di modifica.74 In questo caso, pertanto, si può considerare inefficace la modifica posta in essere con un atto avente forma diversa o non ammessa.

Le fattispecie di ius variandi legale si innestano in rapporti caratterizzati dal protrarsi nel tempo dell’operazione economica sottesa al contratto (si pensi all’appalto, alla locazione, al rapporto di lavoro subordinato, al conto corrente e così via), con la finalità di perseguire un’ampia gamma di interessi, in linea di principio tutti riconducibili alla generale esigenza di flessibilità propria dei tipi contrattuali destinati ad avere efficacia prolungata nel tempo75 ovvero che non rechino una regolamentazione dettagliata (si pensi ai contratti quadro). In simili casi, si ritiene necessario predisporre un meccanismo che consenta di gestire il rapporto contrattuale in linea con l’evolversi e il sopravvenire di circostanze rilevanti per la sua prosecuzione.76 È evidente, tuttavia, che l’ammissibilità di un potere unilaterale di modifica,77 pur trovando giustificazione nella richiamata esigenza di flessibilità, sia comunque subordinata all’accertamento, sul piano dell’interesse specifico perseguito dalle parti, della conformità ai principi di liceità (art. 1343 c.c.) e meritevolezza (art. 1322, co. 2, c.c.),78 nonché nel rispetto dei valori costituzionali,79 con particolare riferimento all’uguaglianza (formale e sostanziale) tra le parti, elemento fondante nello svolgimento dei rapporti interprivati.


4. Lo Ius variandi come strumento di adeguamento del regolamento contrattuale. Il rapporto con il rimedio dell'eccessiva onerosità sopravvenuta

Le considerazioni che precedono confermano, dunque, che il potere di modifica unilaterale rientra nel novero dei rimedi manutentivi del contratto,80 funzionale alla conservazione del rapporto, nei contratti di durata, anziché alla sua risoluzione,81 seppure con gli opportuni aggiustamenti, in considerazione di eventi sopraggiunti imprevedibili al momento della conclusione del contratto.

Può accadere che, in mancanza dei presupposti di legge necessari, le parti siano di fronte all’alternativa di procedere a una rinegoziazione del contratto (ai sensi dell’art. 1372 c.c.) ovvero al suo scioglimento. In particolare, nei contratti di impresa – che presentano un più rilevante impatto socioeconomico – la revisione giudiziale, come quella concordata, può essere vista come una procedura rigida e costosa che non risponde alle esigenze di efficienza e celerità di una gestione aziendale.82 Se così fosse, allora, lo ius variandi unilaterale potrebbe atteggiarsi a strumento più efficace rispetto alla modifica consensuale, nella gestione delle sopravvenienze negoziali, laddove il rapporto sia caratterizzato da un preminente interesse della parte titolare del potere di modifica, ovvero quando solo quest’ultima abbia le informazioni necessarie per modificare il rapporto in modo congruo.83

Lo ius variandi può essere visto anche come uno strumento atipico di gestione del contratto in alternativa al rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità ex art. 1467 c.c. Norma, peraltro, il cui carattere dispositivo è confermato dalla possibilità di stipulare contratti aleatori (art. 1469 c.c.) e di prevedere una ripartizione alternativa dei rischi contrattuali.84 L’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità si pone a tutela del valore del contratto quale strumento per la realizzazione di operazioni conformi agli interessi delle parti, configurandosi come rimedio di ultima istanza nell’impossibilità di realizzare gli scopi negoziali originari.

Ebbene, mediante il ricorso allo ius variandi, le parti potrebbero regolare ipotesi che non rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 1467 c.c., dando così rilievo a quelle sopravvenienze che non incidano sulla normale alea contrattuale o che non siano causate da avvenimenti straordinari o imprevedibili.85 Le parti, dunque, all’atto della conclusione dell’accordo – nell’ambito della propria autonomia – possono predisporre meccanismi di adeguamento ex post per far fronte a sopravvenienze onerose che incidono sul contratto.86 Trattandosi di clausole pattizie, la valutazione sull’incidenza degli elementi sopravvenuti spetta alle parti le quali, pertanto, sono libere di prevedere una clausola risolutiva espressa (ex art. 1456 c.c.) in presenza di un inadempimento ritenuto sufficientemente grave, oppure possono prevedere un meccanismo di revisione per contrastare circostanze sopravvenute che non incidono in misura rilevante sull’economia negoziale, utilizzando, ad esempio, una clausola di ius variandi.87

Tuttavia, se le parti predispongono una clausola generica, omettendo l’indicazione dei criteri (in punto di limiti e condizioni) per l’esercizio del potere di modifica unilaterale, la legittimità della stessa si ritiene circoscritta al verificarsi di eventi straordinari o imprevedibili che consentano al titolare del potere di chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità. È chiaro, infatti, che simili strumenti di revisione non possano mai andare oltre l’assetto di interessi divisato nell’accordo, dovendo assolvere alla necessità di garantire, nonostante le sopravvenienze, l’equilibrio degli interessi negoziali originari,88 per cui al titolare dello ius variandi è sempre precluso (come si dirà nel prossimo paragrafo) l’esercizio del potere al fine di mutare il nucleo fondamentale degli interessi del contratto.


5. Limiti all'esercizio dello Ius variandi

Le disposizioni in tema di ius variandi, in linea di massima, precisano le modalità di svolgimento e attuazione della variazione ex uno latere, specie in relazione ai limiti dell’esercizio del potere. Contribuiscono così alla certezza dei rapporti tra i contraenti, nonché a ridurre il disequilibrio delle posizioni negoziali, in funzione di una maggior tutela della parte economicamente e contrattualmente debole, generalmente destinata a subire l’iniziativa modificativa.89

Con particolare riguardo ai limiti all’esercizio dello ius variandi, oltre ai già menzionati controlli di liceità e di meritevolezza e al rispetto del canone della correttezza e della buona fede,90 si ritiene in generale che il titolare del potere di variazione unilaterale possa modificare qualsivoglia condizione contrattuale, sia economica sia regolamentare.91 Alcune disposizioni, invero, differenziano il trattamento normativo in ragione dei contenuti negoziali interessati dalla variazione, come si vedrà in merito alla disciplina dello ius variandi bancario ex art. 118 t.u.b., sebbene tale normativa presenti differenze incentrate sulla natura economica o disciplinare degli elementi sottoposti a modifica ovvero sulla tipologia e sulla durata del contratto che si giustificano in ragione delle peculiarità proprie dei rapporti regolati e che, di conseguenza, non sono suscettibili di generalizzazione, né idonei a condizionare una ricostruzione generale dell’istituto.92

Sempre con riferimento alla disciplina speciale bancaria, va detto che i dubbi circa la possibilità di realizzare la modifica attraverso l’introduzione di clausole nuove, sono stati risolti proprio in sede di applicazione dell’art. 118 t.u.b., in occasione della sopravvenuta normativa restrittiva sulla commissione di massimo scoperto (sul punto si rinvia al Capitolo Terzo), laddove le decisioni dell’ABF (supportate dall’azione di vigilanza) hanno sancito che lo ius variandi può incidere esclusivamente sui contenuti contrattuali già esistenti, salvo il limite, quindi, dell’introduzione di clausole nuove. Tale esito settoriale, tuttavia, secondo parte della dottrina, non sarebbe suscettibile di un’automatica generalizzazione, non sussistendo alcuna ragione, logica o giuridica, ostativa all’attuazione della modifica unilaterale attraverso l’introduzione di nuove clausole, piuttosto che mediante la modifica contenutistica del patto preesistente.93

Come si è detto, vi è accordo, poi, nell’escludere che lo ius variandi possa essere esercitato rispetto agli elementi essenziali del contratto, non potendo giungere sino a estinguere il rapporto precedente e crearne uno nuovo e distinto.94

A conferma di questa conclusione, si può ricordare che il carattere dispositivo della previsione che attribuisce alle parti la facoltà di recesso unilaterale (art. 1373 c.c.), depone nel senso dell’illegittimità del patto che riconosca a una o ad entrambe le parti il potere di sciogliere il vincolo contrattuale mediante il recesso, nonché quello, contestuale, di instaurare unilateralmente un nuovo rapporto giuridico, in deroga al principio generale di cui all’art. 1372 c.c. D’altronde, in tal modo, si finirebbe per ammettere la possibilità di compiere, in un rapporto contrattuale, atti unilaterali atipici, i quali divengono tuttavia fonte di obbligazione per tutte le parti, creando così una sorta di legislatore negoziale unilaterale. Per vero, tale possibilità risulterebbe revocata in dubbio anche sulla base dell’art. 1987 c.c., il quale confermerebbe l’esistenza nell’ordinamento di generale principio di tipicità degli atti unilaterali.95

Per altro verso, con riferimento al contratto con obbligazioni del solo proponente (art. 1333 c.c.), alcuni autori ricavano un principio generale per cui l’iniziativa di una parte può produrre effetti (incrementativi) nell’altrui sfera giuridica, salva la facoltà di rifiuto del destinatario. A tal riguardo, tuttavia, si è sostenuto in dottrina che il potere attribuito mediante la clausola sullo ius variandi non corrisponderebbe alla scansione procedimentale della fattispecie di cui all’art. 1333 c.c., non avendo la controparte l’effettiva possibilità di valutare in concreto gli effetti dell’atto posto in essere.96

Ulteriore conferma di quanto precede, può desumersi dalla disciplina in tema di novazione,97 in quanto i presupposti dell’istituto si identificano, da un lato, nella modificazione dell’oggetto o del titolo dell’obbligazione e, dall’altro, nella comune volontà delle parti di estinguere la precedente obbligazione.98

Fermo restando che i confini del potere di modifica unilaterale, così come di ogni altra ipotesi di variazione del rapporto contrattuale, si rinvengono negli artt. 1230 e 1231 c.c.,99 è chiaro che sia la fattispecie novativa sia quella modificativa rappresentano strumenti idonei a consentire alle parti una rimodulazione dei propri interessi, pur rimarcando necessariamente come le stesse si differenzino sul piano degli effetti: la novazione comporta l’estinzione della precedente obbligazione e la sua contestuale sostituzione, mentre la variazione unilaterale si sostanzia nella sola trasformazione del rapporto, fermi restando i suoi elementi fondativi.100

Dunque, la linea di demarcazione tra il fenomeno modificativo e quello novativo può rinvenirsi nell’accessorietà della modifica del regolamento negoziale, con riferimento a quanto previsto dall’art. 1231 c.c., in punto di esemplificazione delle ipotesi che non comportano novazione.101 Sulla base di tale dato, sembra possibile, da un canto, ritenere inammissibile una clausola che attribuisca a una delle parti il potere di modificare gli elementi essenziali del contratto e, dall’altro, di consentire un sindacato di merito sulla modifica posta in essere, al fine di verificarne l’eventuale sconfinamento dal naturale perimetro della vicenda modificativa. Naturalmente, non essendo possibile predeterminare in concreto l’accessorietà dell’elemento su cui incide il potere di modifica unilaterale, in ragione della matrice chiaramente soggettiva di tale profilo, occorre fare riferimento al concreto assetto di interessi nel contratto.102


5.1. Segue. Procedimentalizzazione dell’esercizio del potere di modifica unilaterale e trasparenza

Nelle varie declinazioni settoriali si rinviene la tendenza alla compressione del potere di modifica unilaterale per il tramite di una sorta di scansione procedurale del suo esercizio, ottenuta attraverso la previsione di una data sequenza di atti, prevalentemente in funzione informativa. Tale articolazione procedimentale – composta di atti informativi, comunicativi e di esercizio – è strettamente connessa all’attuazione del principio di trasparenza nei rapporti tra le parti, risultando preordinata a fornire informazioni complete e corrette al soggetto che subisce l’esercizio dello ius variandi, in funzione di riequilibrio delle posizioni reciproche del rapporto cui attiene l’esigenza di trasparenza.103

Con riguardo, in particolare, alla violazione degli obblighi di trasparenza connessi all’esercizio dello ius variandi, la sanzione dell’inefficacia derivata della modifica unilaterale sembra costituire, nel silenzio della legge, il rimedio più congruo alla ratio delle norme che impongono l’adozione di particolari misure informative.

In sostanza, il rispetto delle regole di trasparenza contribuisce a riequilibrare il rapporto contrattuale e a rafforzare la posizione della parte che subisce il mutamento. In alcuni casi, tale risultato è raggiunto, intervenendo direttamente a limitare e conformare lo ius variandi con la previsione di indicazioni obbligatorie (ad esempio, in termini di contenuto minimo della modifica); ovvero, in via indiretta la trasparenza è assicurata mettendo il soggetto passivo (attraverso la previsione di obblighi informativi) in condizione di valutare il rispetto del procedimento e il superamento dei limiti posti al potere modificativo, fermi restando gli strumenti di tutela previsti in via generale dall’ordinamento in fase esecutiva (tra cui, anzitutto, il risarcimento del danno).

Conferma la scelta interpretativa, nel senso dell’inefficacia del mutamento se ricorre la violazione delle regole di trasparenza, la previsione di cui all’art. 118 t.u.b. che (come si dirà nel prossimo Capitolo) sancisce espressamente l’inefficacia delle modifiche unilaterali, sfavorevoli per il cliente, di tassi, prezzi e altre condizioni contrattuali per i quali non siano state osservate le prescrizioni formali di comunicazione stabilite dal Cicr.

Accanto alle previsioni imposte in funzione di trasparenza, si colloca altresì la tendenza a recuperare margini di formalismo, inteso quale fenomeno di valorizzazione della forma a fini di informazione, in cui all’essenziale carattere di protezione si mescola quello pedagogico rispetto al contraente ritenuto “debole”.104

Infine, le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla violazione delle disposizioni in tema di forma passano attraverso una valutazione preliminare di derogabilità delle stesse. La natura inderogabile delle prescrizioni formali sembra potersi ricavare dalla funzione di garanzia105 e promozione dei valori, anche di rilevanza costituzionale, dell’uguaglianza sostanziale tra le parti e della solidarietà sociale,106 che la forma assolve in questi casi, incidendo in termini di riequilibrio e di protezione su rapporti intercorrenti tra soggetti di diversa forza economica e contrattuale, riferendosi a un istituto (lo ius variandi) caratterizzato dalla soggezione di un contraente all’iniziativa discrezionale dell’altro.107


6. Brevi considerazioni conclusive e presentazione della ricerca

Dall’analisi che precede, si desume chiaramente che le disposizioni normative in tema di potere unilaterale di modifica dei contratti – e, principalmente, la previsione di un giustificato motivo, la specificazione in contratto delle condizioni analitiche che legittimano il titolare al compimento della variazione, il richiamo ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione – consentono di individuare, in via interpretativa, i tratti generali di una disciplina del potere di variazione unilaterale. Istituto che, nella sostanza, deve trovare una meritevole giustificazione e non può giungere ad alterare, senza fondamento, la posizione dell’altra parte, per il tramite di modalità di esercizio arbitrarie o irragionevoli.

Dalle disposizioni del Codice civile e della legislazione speciale si ricava, pertanto, la riconducibilità delle regole in tema di ius variandi, sotto il profilo della tutela del soggetto passivo, a un sistema omogeneo, nelle sue linee essenziali, nel quale l’interprete possa agire concretamente per assicurare la prosecuzione del rapporto attraverso il mutamento. Ne consegue che gli strumenti di informazione, controllo e reazione apprestati dall’ordinamento in materia di modifiche unilaterali diventano parte integrante, opportunamente adattati, del regolamento contrattuale.

In questo quadro, seppure sinteticamente delineato, l’esercizio concreto dello ius variandi bancario presenta taluni elementi di discontinuità e differenza rispetto sia all’ambito generale, appena richiamato, sia ad altre fattispecie settoriali analoghe, peculiarità evidentemente connesse alla specificità della banca nell’esplicazione della sua sfera operativa principale. Come si è accennato, difatti, alcune delle soluzioni interpretative elaborate dalla dottrina con riferimento all’applicazione della fattispecie bancaria non sono suscettibili di automatica estensione al “modello” generale né ad altri ambiti legislativi speciali, in ragione di differenze incentrate sulla natura economica delle componenti negoziali soggette a modifica ovvero sulla tipologia dei contratti e delle situazioni soggettive. Si pensi in primis alle esigenze costituzionali di tutela del risparmio.

Per altro verso, gli esiti, qui prospettati sul piano dogmatico, trovano conferme fattuali nell’azione del principale sistema alternativo di risoluzione delle controversie attivo in ambito bancario (l’Arbitro Bancario Finanziario), il quale ha elaborato orientamenti di rilevante spessore, qualitativo e quantitativo, creando una proficua interazione con le prassi applicative delineate dalla giurisprudenza e sollecitando, altresì, i regolatori ad adeguare la disciplina alle esigenze emerse da questi processi sinergici.

1 Così, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, Napoli, 2020, pp. 552 e ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi, ESI, Napoli, 2000, pp. 25 e ss.

2 Principi che si sostanziano, in questi casi, nell’utilità e nella solidarietà sociale. Sul punto, v. tra gli altri, R. Sacco, in R. Sacco e G. De nova, Il Contratto, II, in Tratt. dir. civ., R. Sacco, Torino 1993, pp. 26 e ss.; P. Rescigno, Contratto I) in generale, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, pp. 5 e ss.; e, in precedenza, S. Romano, Autonomia privata (Appunti), Milano, 1957, pp. 110 e ss.; F. Messineo, Contratto (dir. civ.), in Enc. dir., IX, Milano 1961, pp. 784 e ss. Occorre, altresì, tenere in debito conto l’orientamento dottrinale che definisce i negozi regolamentari come quelli rivolti a variare la sola disciplina di rapporti giuridici patrimoniali già esistenti, senza modificarne in alcun modo la struttura; in tal senso, P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, Napoli, 2019, p. 32; Id., La dilazione come vicenda modificativa della disciplina del rapporto, in Dir. e giur., 1969, pp. 703 e s.

3 Così, tra gli altri, G. Criscuoli, Contributo alla specificazione del negozio modificativo, in Giur. comm., 1957, pp. 848 e ss. Mentre sul fondamento costituzionale dell’autonomia privata cfr. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., pp. 137 e ss.; v., altresì, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 28 e s. Mentre, per altro verso, nel senso della progressiva compressione dell’autonomia privata, v. S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, pp. 175 e ss.; F. Cosentino, Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazione dell’autonomia dei privati, in Quadrimestre, 1993, pp. 119 e s.; A. Guarneri, Meritevolezza dell’interesse, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1994, XI, pp. 324 e ss.; V. Scalisi, Regola e metodo nel diritto civile della postmodernità, in Riv. dir. civ., 2005, pp. 293 e s.; A. Nervi, I contratti di distribuzione tra causa di scambio e causa associativa, Napoli, 2011, pp. 171 e s. Si osservi, per inciso, che il suindicato processo di compressione è ragionevolmente riconducibile a spinte innovative generate da diversi fattori tra loro collegati: la partecipazione del sistema giuridico a processi di integrazione politica ed economica a livello europeo, la globalizzazione dei mercati, una diffusa istanza di giustizia contrattuale e di correttezza nelle relazioni commerciali. Sui vari profili di questa tendenza si rinvia, senza pretesa di esaustività, ai seguenti contributi: V. Scalisi, Regola e metodo nel diritto civile, cit., pp. 292 e ss.; F. Macario, I diritti oltre la legge: principi e regole nel nuovo diritto dei contratti, in AA.VV., Studi in onore di P. Rescigno, Milano, 1998, III, pp. 483 e ss. Sui processi di integrazione e globalizzazione economica, M. Franzoni, Il contratto nel mercato globale, in www.Iuscivile.it, 2013, pp. 3 e ss.; S. Patti, La «globalizzazione» e il diritto dei contratti, in Nuova giur. civ. comm., 2006, pp. 149 e ss.; F. Galgano, La globalizzazione e le fonti del diritto, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, pp. 313 e ss.; P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in www.Foro.it., 2002, V, co. 151. Sulla configurazione di un principio di giustizia contrattuale, v., per tutti, G. Alpa, Le stagioni del contratto, Bologna, 2012, pp. 152 e s.; G. Vettori, Giustizia e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2006, pp. 58 e s.; F. Denozza, Fallimenti del mercato: i limiti della giustizia mercantile e la vuota nozione di «parte debole», in Orizzonti del diritto commerciale, 2013, pp. 1 e ss.

4 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 29 e s.

5 Ad esempio, rispetto alla novazione i punti di contatto con la modificazione discendono dal fatto che entrambe operano su un preesistente rapporto e rappresentano uno strumento per predisporre una nuova regolamentazione degli interessi delle parti che si sostituisce, con efficacia ex nunc, alla precedente assicurando l’evoluzione e la realizzazione del rapporto; tuttavia, la novazione (di matrice estintivo-costitutiva) sostituisce un nuovo rapporto a quello originario – che si estingue – e introduce regole diverse e autonome dalle precedenti. Peraltro, non potendo approfondire il tema in questa sede, come meriterebbe, si rinvia alle condivisibili conclusioni sul punto di M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 31 e ss., nonché alla dottrina ivi richiamata. Mentre, per un’analisi dell’efficacia giuridica e per il raffronto tra i sottotipi di quella costitutiva individuati nelle fattispecie della costituzione, modificazione ed estinzione, v, ex multis, A. Falzea, Efficacia giuridica, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, pp. 490 e ss.

6 Assunto che trova fondamento nella previsione dell’art. 1322 c.c. Cfr. V. Roppo, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Iudica, P. Zatti, Milano, 2011, p. 24.

7 V. Roppo, Autonomia privata e poteri unilaterali di conformazione del contratto, in A. Belvedere, C. Granelli (a cura di), Confini attuali dell’autonomia privata, Padova, 2001, p. 142.

8 Cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., p. 523; L. Nivarra, Ius variandi e contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, in AA.VV., Diritto Privato, II, Condizioni generali e clausole vessatorie, Padova, 1997, p. 319. Negli stessi termini v. anche S. Savini, Brevi note in tema di arbitraggio e clausole di modificazione unilaterale del contratto, in Dir. econ. assicuraz., 1999, p. 218. Cfr. anche P. Gaggero, La modificazione unilaterale dei contratti bancari, Padova, 1999, p. 1, sottolinea come con riferimento ai contratti l’espressione evochi la modificazione del regolamento di fonte negoziale; v. anche M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 79.

9 In questo schema dogmatico lo ius variandi costituisce un’eccezione alla regola generale dell’immodificabilità del contratto in assenza del consenso di tutte le parti, soprattutto se configurato come un diritto potestativo, notoriamente eccezione legale al principio generale di intangibilità della sfera giuridica altrui.

10 Cfr. P. Schlesinger, Poteri unilaterali di modificazione (ius variandi) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, I, p. 19.

11 Così V. Roppo, Il contratto, cit.; Vedi anche F. Di Marzio, Clausola sullo ius variandi, in P. Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi commerciale, XXIV, Clausole ricorrenti. Accordi e discipline, Torino, 2004, p. 143.

12 In argomento v., ex multis, V. Panuccio, Le dichiarazioni non negoziali di volontà, Milano, 1966, pp. 311 e ss.; A. Falzea, Fatto giuridico, in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, pp. 948 e ss.; F. Galgano, Il negozio giuridico, in Trattato di dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu, F. Messineo, III, I, Milano, 1988, pp. 9 e ss.; M. Franzoni, Il dibattito attuale sul negozio giuridico in Italia, in Riv. trim., 1995, p. 418 ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 71 e ss.; specificamente sul negozio modificativo, G. Criscuoli, Contributo alla specificazione del negozio modificativo, cit., pp. 847 e ss.; G. Gorla, La rinuncia e il contratto modificativo, l’offerta irrevocabile nella civil law e nella common law, in Riv. dir. comm., pp. 341 e ss.

13 Per una definizione di carattere generale dello ius variandi, cfr. P. Gaggero, La modificazione unilaterale, cit., p. 4; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 79 e s.; L. Nivarra, Ius variandi e contratti aventi ad oggetto servizi finanziari, cit., p. 319; G.A. Rescio, Clausola di modifica unilaterale del contratto e bancogiro di somma erroneamente accreditata, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II, pp. 96 e s.

14 In argomento, v. G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, pp. XIV e ss.; F. Messineo, Dottrina generale del contratto (Artt. 1321-1469 Cod. civ.), Milano, 1952, pp. 373 e s.; P. Rescigno, Contratto I) in generale, cit., pp. 1 e ss.; R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, II, cit., pp. 11 e ss.; G. De Nova, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, pp. 52 e ss.; F. Galgano, La forza di legge del contratto, in Scritti in onore di R. Sacco, II, Milano, 1994, pp. 512 e ss.; V. Roppo, Il contratto del duemila, Torino, 2011, passim; A. Scarpello, La modifica unilaterale del contratto, Milano, 2010, pp. 99 e ss.; G. Iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, Milano, 2008, pp. 1 e ss.

15 Seppure, quanto affermato sopra si innesti in un quadro normativo che presenta ancora tratti disomogenei circa l’assunto dell’immodificabilità unilaterale del regolamento contrattuale, sia in base al principio della forza di legge del contratto (art. 1372 c.c.), sia traendo argomento dalla tipicità dei diritti potestativi, sia infine con riguardo al (connesso) principio del numerus clausus dei negozi unilaterali, nel cui ambito rientrano, in via generale, gli atti di esercizio dei poteri unilaterali modificativi. Sul punto, v. G. De nova, Il contratto ha forza di legge, cit., pp. 42 e ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 151 e s.

16 Circa l’eccezionalità delle norme sullo ius variandi quali deroghe al principio di cui all’art. 1372 c.c., cfr. G. De Nova, Il contratto ha forza di legge, in Scritti in onore di R. Sacco, II, Milano, 1994, p. 24; M. Bussoletti, La normativa sulla trasparenza: il ius variandi, in U. Morera, A. Nuzzo (a cura di), La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II. L’attività delle banche, Milano, 1996, p. 476. Per un’interpretazione restrittiva delle norme eccezionali, v. A.A. Dolmetta, Dal testo unico in materia bancaria e creditizia alla normativa sulle clausole abusive (Direttiva CEE n. 93/13), in U. Morera, A. Nuzzo (a cura di), La nuova disciplina dell’impresa bancaria, Milano, 1996, p. 456; F. Martorano, Il credito al consumo, in A. Brozzetti, V. Santoro (a cura di), Le direttive comunitarie in materia bancaria e l’ordinamento italiano, Milano, 1991, pp. 182 e ss.; C. Di Sinno, Le clausole di determinazione degli interessi nei contratti bancari, Napoli, 1995, p. 224. Mentre un’apertura per l’applicazione in analogia delle norme eccezionali si rinviene in P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, pp. 10 e ss.

17 Cfr. C. Dionisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, pp. 136 e s.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 198 e ss.

18 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 153 e ss.; F. Di Marzio, Clausola sullo ius variandi, cit., p. 142; A. Scarpello, Determinazione dell’oggetto, arbitraggio, ius variandi, in Nuova giur. civ. comm., I, p. 346. Sulla dibattuta fattispecie del diritto potestativo si veda inter alia F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1944, pp. 72 e ss. (rist. 2002); N. Irti, Introduzione allo studio del diritto privato, Padova, 1990, pp. 37 e ss.

19 Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XI, Napoli, 2011, pp. 61 e ss. Tra i numerosi studi sul tema, v. S. Pagliantini, Modificazione unilaterale del contratto (diritto civile), in Enc. giur., Annali, VI, 2013, passim; P. Sirena, Le modificazioni unilaterali, in V. Roppo (diretto da), Trattato del contratto, vol. III, 2006, pp. 141 e ss.; A. Barenghi, Determinabilità e determinazione unilaterale nel contratto. Determinazione successiva dell’oggetto del contratto: poteri unilaterali e controllo giudiziale in diritto italiano e comparato, Napoli, 2006; V. Roppo, Il contratto, cit., pp. 523 e ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti dello ius variandi, Napoli, 2000, passim; F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, pp. 180 e ss.; P. Schelsinger, Poteri unilaterali di modificazione («ius variandi) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, I, p. 18 ss. L’inquadramento dello ius variandi tra i diritti potestativi, nonostante l’ambigua terminologia adottata dal legislatore, è sostanzialmente confermato dalle normative speciali, tra cui quella bancaria, sovente accostando alla figura un contropotere di recesso, come evidenzia A. Pisu, L’adeguamento dei contratti, cit., pp. 109 e ss.

20 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 152 e s., p. 206 e p. 249; T. Capurro, In tema di clausola attributiva dello ius variandi, in Banca, borsa, tit. cred., II, p. 233.

21 Cfr. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., p. 259, soprattutto nel senso dell’inerenza del diritto potestativo a una situazione giuridica più complessa; A. Lener, Potere (dir. priv.), cit., pp. 628 e ss.; G. Auletta, Poteri formativi e diritti potestativi, in Riv. Dir. Comm., 1939, I, pp. 564 e ss.

22 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 152 e ss.

23 M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 85; mentre per una compiuta rassegna dei poteri modificativi previsti nella regolamentazione dei singoli tipi contrattuali, v. F. Carresi, Il contratto, Milano, II, pp. 834 e ss.; P. Schlesinger, Poteri unilaterali di modificazione (ius variandi) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, I, pp. 18 e ss.

24 Cfr. A. Pisu, L’adeguamento dei contratti, cit., pp. 8 e s.

25 Si pensi, ad esempio, al potere attribuito al committente dall’art. 1661 c.c. di apportare variazioni al progetto, purché non superino il sesto del prezzo complessivo convenuto; al potere di contrordine del mittente ex art. 1685; nonché alle previsioni dettate nell’ambito del testo unico bancario e del Codice del consumo, sui quali ci si sofferma in seguito.

26 Vedi A. Fici, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale del contratto (ius variandi), in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 401; C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto: cosiddetto ius variandi, in Obbligazioni e Contratti, pp. 968 e ss.

27 Cfr. S. Savini, Brevi note in tema di arbitraggio, cit., p. 219; nonché V. Roppo, Il contratto, cit., p. 524; si v. altresì P. Sirena, Le modificazioni unilaterali, in M. Costanza (a cura di), Effetti, III, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, Milano, 2006, p. 146; Id., Lo ius variandi della banca, cit., p. 267, secondo cui, sotto il profilo delle modalità di esercizio del potere di modifica, il principio generale della buona fede, al fine di tutelare la parte debole del contratto, potrebbe condurre a ritenere invalida e, quindi, inefficace la modifica che non sia preceduta da un congruo preavviso.

28 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive dello ius variandi, Milano, 2008, pp. 45 e ss.

29 Tale dubbio nasce dal fatto che, in realtà, si tratta di una fattispecie di recesso modificativo, rispetto al quale discorre di ius variandi, sottolineando la necessità di «individuare con sufficiente precisione il possibile contenuto delle successive modifiche» G. Capozzi, Successioni e donazioni, II, 4 ediz., Milano, 2015, p. 1493.

30 Uno dei presupposti principali cui può essere subordinata l’ammissibilità dello ius variandi, infatti, è rappresentato dalla previsione, già a livello di fattispecie astratta, della necessaria ricorrenza di un giustificato motivo di esercizio del potere, in generale, indicato in via preventiva nel contratto (il riferimento è, evidentemente, al disposto dell’art. 1469-bis c.c.). Tale motivo interviene a limitare la discrezionalità del titolare dello ius variandi secondo due direttive: per un verso, circoscrive e conforma il contenuto concreto del potere modificativo, già in fase di attribuzione; per l’altro, offre i parametri ermeneutici di riferimento per un controllo di merito ex post sugli atti di esercizio, attraverso il sindacato sui motivi. L’indagine volta ad accertare in concreto la sussistenza di un giustificato motivo presenta profili di criticità, nella consapevolezza che l’effettiva tutela della parte destinata a subire il mutamento dipende in gran parte dalla portata di tale clausola generale. Pertanto, la nozione di giustificato motivo incontra notevoli difficoltà di individuazione, potendo procedere solo per approssimazioni e qualificando l’esercizio dello ius variandi in base a meri parametri generali. In chiave di tutela della parte che subisce la modifica unilaterale, l’insufficienza del richiamo formale individuato nel contratto, impone che il controllo giudiziale sulla ricorrenza del presupposto si estenda fino a ricomprendere il profilo della conformità dell’atto di esercizio dello ius variandi ai principi fondamentali dell’ordinamento, così da valutarne in concreto l’idoneità a realizzare interessi meritevoli di tutela. Con particolare riguardo all’attuazione dei valori costituzionali, v. A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, Milano, 1993, p. 376; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 216 e ss., part. p. 222; in punto di adattamento del concetto di giustificato motivo all’esercizio dello ius variandi, anche in ambito settoriale, v. A. Cocozza, La disciplina delle clausole vessatorie dei contratti bancari e finanziari, in F. Belli, F. Mazzini (a cura di), Argomenti di diritto bancario, Torino, 1998, pp. 89 e s.; F. Briolini, Osservazioni in tela di modifiche unilaterali, cit., pp. 296 e s.; S. Pagliantini, Indeterminabilità dell’oggetto, cit., pp. 2895 e s.; P. Gaggero, La disciplina dello ius variandi, cit., p. 329.

31 Le ipotesi previste dagli art. 1686, co. 2, 1711, co. 2, e 1770, co. 2, c.c., sono considerate espressione di ius variandi da M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 85; v. anche M. Parpaglioni, Le clausole sulla modifica unilaterale del contratto e sull’accertamento unilaterale dell’esecuzione, in P. Cendon (a cura di), I contratti in generale, IV, t. 2, Clausole abusive, Torino, 2001, p. 807; C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto, cit., p. 969, in quanto il fatto che la variazione trovi giustificazione nel dovere di diligenza e buona fede non toglie che la parte operi una modifica del rapporto contrattuale non concordata, incidendo unilateralmente la sfera giuridica della controparte.

32 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 86.

33 Cfr. R. Tommasini, Revisione del rapporto (diritto privato), in Enc. dir., XL, Milano, 1989, pp. 105 e s.; P. Gallo, Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Dig. disc. priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, pp. 243 e s.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 93 e ss.

34 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 99 e ss., pp. 111 e s., secondo cui la tutela normativa espressamente apprestata per i consumatori dall’art. 1469-bis, comma 3, nn. 11 e 13, c.c., in quanto soggetti ritenuti istituzionalmente deboli, si articola nella previsione di alcuni limiti all’ammissibilità delle clausole contrattuali di conferimento del potere modificativo, consistenti nell’attribuzione di un diritto di recesso al consumatore, quale contrappeso al diritto di mutare ex uno latere il prezzo del bene o del servizio e nella necessaria ricorrenza di un giustificato motivo specificamente indicato nel contratto, per tutte le altre variazioni unilaterali del rapporto. L’ordinamento ne vieta l’esercizio illegittimo e abusivo, imponendo una serie di limiti che non devono essere superati e introducendo cautele e correttivi a garanzia del consumatore, solo formalmente tutelato dalla struttura bilaterale del negozio di conferimento e dal ruolo paritario che, almeno sul piano teorico, le parti assumono nell’esercizio dell’autonomia contrattuale. In altri termini – come sottolineato da A. Pisu, L’adeguamento dei contratti, cit., p. 231 – le discipline settoriali esprimono la tendenza dell’ordinamento a governare la fase di revisione del contratto, di norma gestita dall’impresa, tramite misure di protezione del contraente debole che possono controbilanciare il maggior potere contrattuale di cui dispone l’operatore professionale e a tali discipline va riconosciuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione dell’ordinamento e nella costruzione di nuovi istituti.

35 Va ricordato che, prima degli interventi normativi (di cui si dirà nel Capitolo secondo), lo ius variandi trovava nelle Norme bancarie uniformi l’unica fonte di regolazione. Sul punto, v. per tutti F. Martorano, Le condizioni generali di contratto e rapporti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pp. 135 e ss.; nonché, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 112 e s., la quale ricorda che, per comprendere le ragioni delle scelte operate dal legislatore a favore della banca, assume particolare significato la natura generale degli interessi connessi alla funzione di interesse pubblico rappresentata dall’attività di raccolta del risparmio e di esercizio del credito, la cui tutela, il cui controllo e la cui promozione rientrano tra gli specifici compiti che la costituzione pone a carico dello Stato (art. 47 Cost.). In questo settore la salvaguardia del contraente debole si poneva come interesse marginale di fronte all’esigenza di affidabilità ed efficienza del sistema creditizio. Nella realtà dei fatti, quasi inevitabilmente gli ampi poteri modificativi della banca finivano col tradursi in scelte arbitrarie, configuranti eccessi o abusi, espressione di una posizione contrattuale preminente e fonti di un grave disequilibrio certamente ingiustificato sul piano giuridico.

36 Sul tema della conservazione del rapporto e sulla portata applicativa del principio, v. R. Tommasini, Revisione del rapporto (diritto privato), cit., p. 127; E. Betti, Conservazione del negozio giuridico (diritto vigente), in Noviss. dig. it., IV, Torino, 1968, p. 811; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali, pp. 147 e ss.; G. Stella Richter, Principio di conservazione del negozio giuridico, in Riv. trim., 1967, p. 411; R. Franceschelli, Intorno al principio di conservazione dei contratti, in Scritti civilistici di teoria generale del diritto, Milano, 1975, pp. 229 e ss.; P. Perlingieri, Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli, 1987, p. 135.

37 P. Sirena, Le modificazioni unilaterali, cit., p. 143.

38 Cfr. P. Sirena, Le modificazioni unilaterali, cit.; T. Capurro, In tema di clausola attributiva dello ius variandi, cit., p. 230. Sull’ammissibilità, in linea di principio, di clausole pattizie di conferimento dello ius variandi, v. P. Schlesinger, Poteri unilaterali di modificazione, cit., pp. 18 e ss.; A. Nigro, Disciplina di trasparenza delle operazioni bancarie, cit., p. 527.

39 Cfr. G.A. Rescio, Clausola di modifica unilaterale, cit., p. 98; A. Scarpello, Determinazione dell’oggetto, cit., in Nuova giur. civ. comm., I, p. 347.

40 Cfr. Schlesinger P., Poteri unilaterali, cit., pp. 21 e ss.

41 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 135.

42 A. Fici, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale, cit., p. 400; F. Di Marzio, Clausola sullo ius variandi, cit., p. 163, il quale pur sottolineando come in linea generale sarebbe possibile affermare l’illiceità della previsione convenzionale dello ius variandi al di fuori delle ipotesi legislative, ponendosi tale potere in apparente contrasto «con la tutela della libertà contrattuale, che è valore irrinunciabile e indisponibile delle parti», nota come lo stesso legislatore fornisca argomenti a sostegno della tesi contraria presumendo, e non dichiarando tout court, l’abusività delle clausole sullo ius variandi ad esempio nei contratti tra professionista e consumatore.

43 Cfr. S. Savini, Brevi note in tema di arbitraggio, cit., p. 219; V. Roppo, Il contratto, cit., p. 525.

44 Cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., pp. 526 e ss.

45 Cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., p. 528.

46 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 222; C. Iurilli, Riequilibrio delle posizioni contrattuali e limiti all’esercizio dello “ius variandi”nei contratti del consumatore, in Giur. it., 2001, I, p. 654.

47 Così, L.A. Scarano, Ius variandi del rapporto contrattuale, cit., pp. 510 e ss.; T. Capurro, In tema di clausola attributiva dello ius variandi, cit., p. 235; A. Fici, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale, cit., pp. 411 e ss.; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 166.

48 Cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., p. 528; C.M. Bianca, Diritto civile, cit., pp. 505 e ss.; C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto, cit., p. 971; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 205; A. Scarpello, La modifica unilaterale del contratto, Padova, 2010, pp. 144 e ss.

49 Così, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali, cit., pp. 266 e ss.

50 In argomento, v. P. Gaggero, La modificazione unilaterale, cit., pp. 273 e ss.; C. Rizzuto, Sub art. 1469-bis, comma 3, n. 11, in C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), Commentario al Capo XIV-bis del codice civile: dei contratti dei consumatori, pp. 934 e s.

51 Cfr. M. Costanza, Clausole di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, in AA.VV., Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, pp. 318 e ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 137 e ss.

52 Sul tema della rilevanza della dimensione temporale nei rapporti contrattuali, v., amplius, F. Santoro Passarelli, Dottrine generali, cit., p. 111; M. Allara, Le nozioni fondamentali del diritto civile, cit., p. 257; G. Oppo, I contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, pp. 174 e s.; S. Sangiorgi, I rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965, pp. 19 e ss.

53 M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 140 e ss.

54 M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 142 e s.

55 In tal senso, F. Di Marzio, Clausola sullo ius variandi, cit., p. 142; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 40; mentre per P. Gaggero, La modificazione unilaterale, cit., p. 34, consentire la modifica del regolamento contrattuale, senza la necessità che la controparte presti il proprio consenso significa assoggettare quest’ultima all’altrui determinazione, con la possibilità che ne sia menomata la libertà contrattuale.

56 V. Cass., 8 novembre 1997, n. 11003, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, con nota di A. Scarpello, p. 338; Cass., 29 febbraio 2008, n. 5513, in Obbligazioni e Contratti, 2009, con nota di M. Farneti, pp. 123 e ss.

57 Cfr. C.M. Bianca, Diritto Civile, 3, Il contratto, II ed., Milano, 2000 (rist. 2008), p. 327.

58 In argomento, G.A. Rescio, Clausola di modifica, cit., p. 103; V. Roppo, Il contratto, cit., p. 338; F. Macario, I rimedi manutentivi. L’adeguamento del contratto e la rinegoziazione, in V. Roppo (a cura di), Rimedi – 2, in Trattato del contratto diretto da V. Roppo, V, 2006, pp. 715 e s., il quale sottolinea come la dottrina tradizionalmente escluda la rimessione della determinazione al mero arbitrio della parte; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., pp. 43 e ss., il quale sottolinea come l’ammissione di ipotesi di determinazione unilaterale sia il frutto di un percorso evolutivo che ha mutato il concetto di accordo (fenomeno che viene indicato in dottrina con l’espressione «oggettivizzazione del contratto»); C.M. Bianca, Diritto Civile, cit., p. 34.

59 Cfr. S. Savini, Brevi note in tema di arbitraggio, cit., p. 215.

60 Cfr. Cass., 8 novembre 1997, n. 11003. Tale orientamento della S.C., sebbene non abbia convinto la dottrina, è stato ulteriormente confermato con la sentenza dalla III Sezione civile, del 29 febbraio 2008, n. 5513, con nota di M. Farneti, pp. 123 e ss.; in dottrina, V. Roppo, Il contratto, cit., pp. 338 e s.

61 Secondo il quale: «Il debitore di un’obbligazione alternativa si libera eseguendo una delle due prestazioni dedotte in obbligazione, ma non può costringere il creditore a ricevere parte dell’una e parte dell’altra».

62 Vedi A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 199 e, in particolare, p. 201, il quale ritiene che un’ipotesi di ius variandi discrezionale, al di là delle ipotesi legali, contrasti con lo stesso principio della vincolatività del contratto; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 47, l’A. nota come le ipotesi legali di ius variandi «ad ampio carattere discrezionale» deroghino formalmente al principio sancito dall’art. 1372 c.c.

63 Vedi P. Gaggero, La modificazione unilaterale, cit., p. 35, n. 46; A. Scarpello, Determinazione dell’oggetto, cit., p. 349. In merito alla tematica della determinabilità dell’oggetto del contratto si vedano le riflessioni di R. Sacco, in R. Sacco, G. De Nova (a cura di), Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, II, Torino, 2004, pp. 119 e ss.

64 A. Fici, Osservazioni in tema di modificazione, cit., pp. 399 e ss. Nello stesso senso, C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto, cit., p. 968.

65 Cfr. C. Granelli, ibidem; cfr. A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 90.

66 Così, G.A. Rescio, Clausola di modifica, cit., p. 99. In tal senso cfr. anche A. Scarpello, Determinazione dell’oggetto, cit., p. 347, il quale ritiene salva la natura consensuale del contratto in quanto «delegare alla parte la sorte del contratto costituisce espressione di quella stessa autonomia negoziale che la determinazione unilaterale dovrebbe mettere in discussione». Si, v., in senso parzialmente difforme, C. Iurilli, Riequilibrio delle posizioni contrattuali e limiti all’esercizio dello “ius variandi” nei contratti del consumatore, in Giur. it., 2001, I, p. 655, il quale affermando la sussistenza di un generale divieto di ius variandi al di fuori delle ipotesi previste dal legislatore, interpreta come un «non consenso» quello prestato dalla parte destinata a subire le modifiche».

67 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 6; M. Bussoletti, La normativa sulla trasparenza, cit., p. 219.

68 Così G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 14; v. anche P. Sirena, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, p. 264.

69 Cfr. sentenze dell’8 novembre 1997, n. 11003 e del 29 febbraio 2008, n. 5513; v. anche C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto, cit., p. 967.

70 Secondo parte della dottrina, d’altro canto, ove la clausola attributiva dello ius variandi non risulti adeguatamente giustificata, l’intero contratto viene ad essere colpito da nullità qualora, senza tale clausola, le parti non l’avrebbero stipulato. Sul punto, cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 236.

71 Sulla teoria generale delle modificazioni del contenuto contrattuale e sulla teoria della revisione del rapporto giuridico, nella quale rientra la modificazione di matrice unilaterale, v. F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1965, pp. 97 e ss.; E. Quadri, La rettifica del contratto, Milano, 1973, pp. 43 e s.; R. Tommasini, Revisione del rapporto (diritto privato), cit., pp. 104 e ss.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 162 e ss., secondo cui non sembra potersi revocare in dubbio la natura negoziale (unilaterale) degli atti di esercizio dello ius variandi, frutto della libera scelta del loro autore, fonte autonoma di effetti modificativi caratterizzati da una particolare forza, regolata dagli interessi delle parti, incidente in senso innovativo sul rapporto preesistente (ibid., pp. 166 e s.).

72 Così, G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 150; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 17.

73 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 176 e s.; G. Giampiccolo, Dichiarazione recettizia, in Enc. dir., Milano, XII, 1964, pp. 384 e s.; L. Campagna, Conseguenze del carattere recettizio dell’accettazione, in Riv. trim., 1960, I, pp. 675 e s. Sotto il profilo testé indicato, per inciso, sembrerebbe possibile fare riferimento alla fattispecie del recesso ad nutum (cfr. Cass., 14 agosto 1986, n. 5059, in Mass. giust. civ., 1986, 8-9), che integra un negozio unilaterale recettizio, sottoposto alle stesse garanzie di forma prescritte per il contratto costitutivo del rapporto alla cui cessazione il recesso è preordinato.

74 Così, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 177 e s. Cfr. altresì G. Iorio, Le clausole attributive, cit., pp. 145 e ss. Specificamente sul tema della forma degli atti unilaterali, v. T. Montecchiari, La forma degli atti giuridici unilaterali, Milano, 1998, passim; F. Venosta, La forma dei negozi preparatori e revocatori, Milano, 1997, passim.

75 Quali, ad esempio, consentire una specificazione o una modifica della prestazione, sì da realizzare l’adempimento del contratto in modo funzionale agli interessi del contraente titolare del potere (ad esempio, il diritto del mandante di impartire istruzioni al mandatario, attribuito ex art. 1711, co. 2, c.c.); consentire l’adeguamento del regolamento contrattuale a circostanze sopravvenute, che potrebbero compromettere il raggiungimento dello scopo negoziale (ad esempio, lo ius variandi attribuito al mandante, ex art. 1710, co. 2, c.c., e al mandatario, ex art. 1711, co. 2, c.c., ovvero di quello attribuito alla banca, ex art. 118 t.u.b.); consentire una modifica del regolamento contrattuale dettata da un mutamento nella valutazione delle situazioni giuridiche coinvolte (ad esempio, lo ius variandi attribuito al committente, ex art. 1661 c.c., ovvero quello che, previa indicazione di un giustificato motivo, ex art. 33, co. 2, lett. m, cod. cons., attribuisce al professionista la facoltà di modificare unilateralmente le clausole contrattuali, e così via). Sul punto, v. C. Granelli, Modificazioni unilaterali del contratto, cit., pp. 970 e s.

76 È ovvia l’esclusione, di conseguenza, della possibilità di ammettere la previsione di un potere di modifica unilaterale dei contratti a esecuzione istantanea e immediata, nei quali la variazione del regolamento contrattuale non trova ragioni giustificative, essendo il contratto destinato a produrre i propri effetti nel momento stesso della sua conclusione. Diversamente, nei contratti a esecuzione istantanea ma differita e soprattutto nei contratti di durata, la previsione di una clausola di ius variandi risulterebbe, obiettivamente, un utile strumento di adeguamento del contratto a circostanze sopravvenute o al mutato quadro di interessi di una o di entrambe le parti. Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 137 e ss.; V. Roppo, Il contratto, cit., p. 968; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit. pp. 87 e ss.

77 Cfr. G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968, pp. 394 e ss.; G. Messina, Diritti potestativi, in Noviss. Dig. it., 1948, pp. 56 e s.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 183 e s.

78 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 171; l’A. evidenzia come non sia possibile rinvenire un profilo generale di meritevolezza in capo alle clausole sullo ius variandi solo perché queste assicurerebbero al rapporto contrattuale un meccanismo di flessibilità. In argomento, anche G. De nova, Il contratto ha forza di legge, cit., pp. 52 e ss.; nonché M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 150 e s.

79 P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., pp. 141 e ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, cit., pp. 34 e s.; M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 205; E. del Prato, I regolamenti privati, Milano, 1988, pp. 410 e s.

80 Così V. Roppo, Il contratto, cit., p. 969. Con riferimento ai contratti bancari, L. Nivarra, Ius variandi del finanziatore e strumenti civilistici di controllo, in Riv. dir. civ., II, 2000, p. 471; A.M. Benedetti, Autonomia privata, cit., p. 230; T. Capurro, In tema di clausola attributiva dello ius variandi, p. 231. Sul tema dell’incidenza di eventi esogeni sul sistema contrattuale, v. L. Nonne, Contratti tra imprese e controllo giudiziale, Torino, 2013, passim; G.B. Ferri, Autonomia privata e poteri del giudice, Dir. e giur., 2004, pp. 5 e s.; F. Criscuolo, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, in P. Perlingieri (diretto da), Trattato di diritto civile del Consiglio del notariato, Napoli, 2008, passim. Specificamente, sui profili definitori delle sopravvenienze, V. Roppo, Il contratto, in G. Iudica, P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2011, pp. 943 e ss.

81 Cfr. F. Macario, I rimedi manutentivi, cit., pp. 691 e ss.; A. Scarpello, La modifica, cit., p. 183; V. Roppo, Il contratto, cit., p. 968.

82 Così A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 176.

83 In tali casi, infatti, le parti potrebbero addivenire allo stesso risultato mediante una nuova contrattazione che le veda entrambe partecipi, ma questa soluzione potrebbe richiedere tempi incompatibili con l’urgenza delle modifiche, così V. Roppo, Il contratto, cit., p. 526; v., altresì, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 150 e ss.; A. Fici, Osservazioni in tema di modificazione unilaterale, cit., pp. 404 e ss.; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 177, il quale afferma come «una clausola attributiva del ius variandi, ove redatta in maniera specifica e finalizzata alla modifica del contratto secondo criteri certi e controllabili dal giudice, può meglio rispondere agli interessi delle parti e consentire l’opportuno adattamento del negozio alle nuove circostanze».

84 Cfr. A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., pp. 216 e ss.

85 Vedi A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., pp. 225 e ss.; M. Costanza, Clausola di rinegoziazione e determinazione unilaterale del prezzo, in U. Draetta, C. Vaccà (a cura di), Inadempimento, adattamento, arbitrato. Patologie dei contratti e rimedi, Milano, 1992, pp. 314 e ss.

86 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., pp. 113 e ss., in cui l’A. evidenzia come nella prassi siano diversi i meccanismi contrattuali intesi ad apportare rimedi per l’eventualità del verificarsi di una sopravvenienza onerosa.

87 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 223; A. Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Napoli, 2017, pp. 3 e ss., nonché i numerosi contributi dottrinali ivi citati, la quale accomuna, nel percorso teorico sviluppato, il meccanismo rimediale dello ius variandi a quello della rinegoziazione, ritenuti entrambi rimedi manutentivi del contratto.

88 Cfr. A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., pp. 239 e ss.

89 Si v. G. Alpa, Nuove frontiere del diritto contrattuale, in Contr. e impr., 1997, pp. 977 e s.; E. Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985.

90 Nel senso della necessità che i principi di buona fede e correttezza rappresentino un limite necessario all’esercizio dello ius variandi, v. P. Schelsinger, Poteri unilaterali di modificazione, cit., pp. 18 e ss.; N. Salanitro, La direttiva comunitaria sulle clausole abusive e la disciplina dei contratti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pp. 553 e s.; M. Bussoletti, La normativa sulla trasparenza, cit., pp. 468 e ss.; L. Scarano, Ius variandi del rapporto contrattuale nei contratti a tempo indeterminato con il consumatore, in C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), Commentario al capo XIV-bis, cit., pp. 1023 e ss.; M. Pietrunti, “Ius variandi” e trasparenza delle prassi bancarie dopo il riconoscimento legislativo, in Contr. e impr., 1996, pp. 205 e s.; A.A. Dolmetta, Per l’equilibrio e la trasparenza delle obbligazioni bancarie: chiose critiche alla legge n. 154/1992, in Banca, borsa, tit. cred., 1992, pp. 390 e s. In effetti, i limiti volti a comprimere l’operatività dello ius variandi di fonte legale, così come gli strumenti di tutela della parte che subisce gli effetti modificativi nella propria sfera giuridica, attestano la sostanziale conformità dell’istituto ai principi generali dell’ordinamento giuridico, in particolare al principio di uguaglianza sostanziale dei soggetti, non potendosi mai ammettere uno ius variandi meramente potestativo, non sottoposto ad alcun limite o condizione.

91 Così, A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 188; F. Fiordiliso, sub art. 33, comma 2, lettera o), in E. Cesaro (a cura di), I contratti del consumatore. Commentario al Codice del consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n. 206), Padova, 2007, pp. 241 e ss.; F. Lucchesi, sub art. 33, comma 2, lett. n e o), in G. Vettori (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova, 2007, p. 307; M. Farneti, La vessatorietà delle clausole «principali» nei contratti del consumatore, Padova, 2009. Con riguardo all’inderogabilità dei contenuti contrattuali di integrazione legale, v. A. Pisu, La pattuizione di interessi ultralegali tra oneri di forma e ius variandi dell’istituto di credito, in Riv. giur. sarda, 2003, pp. 96 e ss.

92 Cfr. A. Pisu, L’adeguamento dei contratti, cit., pp. 95 e ss.

93 Problema che si era posto anche in relazione alle modifiche dei contratti quadro sui servizi di pagamento, su cui v. M. De Poli, Sub. art. 126-sexies, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Milano, 2012, t. IV, pp. 1995 e ss.

94 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 46 e p. 175; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., pp. 19 e ss.; M. Parpaglioni, Le clausole sulla modifica unilaterale, cit., p. 807; M. Fasiello, Clausola di modificazione unilaterale del contratto, in P. Cendon (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, XXIV, Clausole ricorrenti – accordi e discipline, Torino, 2004, pp. 272 e ss.

95 La norma infatti afferma che «la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge». In tal senso, F. Galgano, Diritto civile e commerciale, Le obbligazioni e i contratti, II, t. 1, IV ed., 2004, Padova, pp. 285 e ss., il quale sottolinea la necessaria operatività dell’art. 1987 c.c. per tutti gli atti unilaterali, i quali hanno in sé la propria causa, ossia la ragione della meritevolezza dell’interesse perseguito, sono socialmente eccezionali «e questa loro sociale eccezionalità spiega la loro giuridica tipicità». Si tenga conto, tuttavia, che la qualificazione avanzata da parte della dottrina della fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. (sulla quale si veda infra nonché Capitolo Secondo), finirebbe con l’erodere il perimetro del suddetto principio di tipicità, dal quale esulerebbero i negozi unilaterali gratuiti a contenuto patrimoniale e aperti al rifiuto del destinatario.

96 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 30.

97 Cfr. A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 27.

98 Cfr. G. Iorio, Le clausole attributive, cit., p. 20.

99 Secondo l’art. 1230 c.c. «La obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso. La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco». L’art. 1231 c.c. dispone che «Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell’obbligazione non producono novazione».

100 Non v’è dubbio che l’identità del rapporto giuridico venga meno qualora ne sia modificato il titolo, poiché in tal modo si determina un riassetto di interessi non compatibile con la situazione preesistente. Se invece la modifica incide sull’oggetto della prestazione, occorre distinguere tra un’incidenza di carattere qualitativo o soltanto quantitativo. Secondo le posizioni teoriche prevalenti, l’identità originaria del rapporto subisce un’alterazione se si realizza una modifica qualitativa dell’oggetto, sia nel caso in cui venga modificato il tipo di prestazione (a un’obbligazione di fare viene sostituita un’obbligazione di non fare o di dare), sia quando venga l’intervento riguardi il comportamento o il bene dedotto in obbligazione (purché si tratti di prestazioni infungibili). All’opposto, l’identità del rapporto viene preservata da una modifica quantitativa dell’oggetto della prestazione (così, i mutamenti che incidano soltanto sulle modalità di esecuzione della prestazione), la quale non comporti un’alterazione del nucleo fondamentale dell’assetto di interessi tale da eliderne la compatibilità con quello originario. In tal senso, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 25 e ss. e pp. 54 e ss.; C. Caracciolo, La novazione – postilla di aggiornamento, in Enc. giur. Treccani, XXIII, 2008, pp. 1 e ss.; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., pp. 36 e ss.

101 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., p. 47.

102 Sul punto, si suole richiamare l’esempio della modificazione di un termine che può incidere sull’individuazione del tipo negoziale o del tipo di prestazione. Tanto avviene, ad esempio, nel caso di un contratto di fornitura, dove la modifica della modalità temporale di esecuzione della prestazione potrebbe trasformare il rapporto in una semplice compravendita, così, M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 64 e s.; G. Iorio, Le clausole attributive, cit., pp. 43 e s.; P. Rescigno, Novazione (diritto civile), cit., pp. 436 e s.; A. Scarpello, La modifica unilaterale, cit., p. 28.

103 M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 223 e s.

104 Cfr. P. Perlingieri, Forma dei negozi, cit., p. 152; V. Zeno-Zencovich, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”), in www.Giur.it., 1993, IV, co. 63 e s.; sul punto, v. altresì V. Rizzo, Le clausole abusive, cit., p. 538; G. De Nova, Tipico e atipico nei contratti della navigazione, dei trasporti e del turismo, in Dir. dei trasp., 1995, p. 720.

105 In tal senso, specificamente, P. Perlingieri, Forma dei negozi, cit., pp. 97 e ss.

106 Cfr. S. Rodotà, Il principio di correttezza e la vigenza dell’art. 1175 c.c., in Banca, borsa, tit., cred., 1965, I, pp. 158 e ss.; U. Natoli, La regola della correttezza e l’attuazione del rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), in Studi sulla buona fede, Milano, 1975, pp. 154 e ss.

107 Cfr. M. Gambini, Fondamento e limiti, cit., pp. 233 e ss.