Scritto da Clelia Buccico • lug 2024
Dopo aver analizzato l’evoluzione del principio di precauzione nel panorama giuridico sovranazionale e la sua evoluzione all’interno dell’ordinamento giuridico europeo e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo il saggio cerca di porre in luce la sua portata non solo all’interno dell’ordinamento nazionale, ma anche come tale principio possa essere alla base della tassazione ambientale come strumento per la tutela dell’ambiente condizionando positivamente le scelte dei contribuenti.
After having analyzed the evolution of the precautionary principle in the supranational legal panorama and its evolution within the European legal system and in the jurisprudence of the Court of Justice and the European Court of Human Rights, the essay seeks to highlight the its scope not only within the national system, but also how this principle can be the basis of environmental taxation as a tool for protecting the environment by positively influencing taxpayers’ choices.
1.
Al fine di comprendere la portata dell’impatto del principio di precauzione all’interno dell’ordinamento giuridico internazionale ed europeo è necessario osservare, in via di premessa, come la esatta comprensione di esso esiga un approccio interpretativo di carattere multidisciplinare in cui si combinano e si intrecciano linguaggi scientifici differenti, che vanno dalla scienza alla tecnica, dall’economia al diritto.1
Il principio di precauzione, infatti, non ha origine in ambito giuridico, ma affonda le proprie radici nelle discipline umanistiche ed in particolare in quelle filosofiche e sociologiche, ponendosi quale concetto-precetto di natura etica deputato a fungere da guida all’agire umano e, solo successivamente, come si avrà modo di osservare, esso viene trasposto a livello giuridico normativo.2
Il filosofo tedesco Hans Jonas nel 1979 evidenzia come ogni strumento giuridico deve essere informato, perciò, ad un nuovo imperativo morale teso a guidare il comportamento dell’essere umano, in modo che le conseguenze della sua azione siano sempre compatibili «con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra», ispirata ad un’autentica «etica del futuro», fondata su un principio di responsabilità, quest’ultima intesa come responsabilità per il da farsi e cioè come momento ineludibile di acquisizione di elementi di valutazione e di giudizio da assumere soprattutto «in un momento preliminare rispetto alla decisione di intraprendere – o non intraprendere – una determinata azione».3
Fin dalle sue prime riflessioni sul principio di precauzione, Jonas sottolinea lo stretto legame esistente tra il concetto filosofico di precauzione (e di responsabilità) con un ulteriore concetto, quello di “rischio”, indicato quest’ultimo come caratteristica peculiare della società contemporanea, dal momento che il progresso della «civiltà tecnologica si accompagna, in modo apparentemente indissolubile, ad una dose significativa di rischio.
Le riflessioni di Jonas sul rapporto uomo-natura e sulla esistenza del rischio, che accompagna inevitabilmente ogni intervento dell’uomo sull’ambiente circostante è successivamente ripreso anche dal sociologo tedesco Ulrich Beck che nel suo studio indica proprio nel rischio il punto centrale della propria riflessione «circa l’effettiva innocuità del progresso tecnico-scientifico».4
Da concetto filosofico il principio di precauzione assume rapidamente una valenza che oltrepassa gli ambiti scientifici in cui ha avuto origine. Ed infatti esso viene recepito a livello giuridico all’interno dei principali atti giuridici internazionali, divenendo vero e proprio principio guida per le politiche volte a salvaguardare l’ambiente e la salute.
Esso diviene infatti dapprima principio guida all’interno della legislazione internazionale in materia ambientale ove si connota quale paramento di valutazione fondamentale per disciplinare giuridicamente l’intervento dell’essere umano sull’ambiente stesso mentre solo in un secondo momento esso troverà applicazione all’interno della legislazione internazionale nel settore della salute umana.
Il principio di precauzione trova una sua prima propria formulazione, seppur in forma embrionale, a livello giuridico internazionale nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’ambiente umano5 (la c.d. Dichiarazione di Stoccolma) adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite6 ove, nel proclaims 3, si afferma che «la capacità dell’uomo di trasformare ciò che lo circonda, se usata con saggezza, può portare a tutti i popoli i benefici dello sviluppo e l’opportunità di migliorare la qualità della vita. Applicato erroneamente o incautamente, lo stesso potere può arrecare danni incalcolabili all’essere umano e all’ambiente umano».
Il concetto contenuto nella Dichiarazione di Stoccolma possiede connotati particolarmente rilevanti per essere utilizzato come strumento di tutela, in particolare dell’ambiente, in un contesto economico e tecnologico in rapida trasformazione.
Tale concetto peraltro è certamente connesso alla maggior parte dei fondamentali princìpi enunciati nella stessa Dichiarazione di Stoccolma ed, in particolare al principle 18 che stabilisce come «La scienza e la tecnologia, come parte del loro contributo allo sviluppo economico e sociale, devono essere applicate all’identificazione, alla prevenzione e al controllo dei rischi ambientali e alla soluzione dei problemi ambientali e per il bene comune dell’umanità», con ciò evidenziando la stretta connessione esistente tra scienza e tecnica, e gli effetti potenzialmente negativi, che da un uso non controllato di esse, possono derivare per l’ambiente.
Sempre in questa direzione si colloca anche la Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU 37/7 del 29 ottobre 1982, contenente la Carta Mondiale della Natura, ove è possibile rinvenire un riferimento più esplicito alla necessità di promuovere quello che possiamo definire un precautionary approach come sancito al punto 11, ove si afferma che è fatto obbligo agli Stati membri dell’ONU di controllare ogni attività da cui possono derivare danni all’ambiente naturale.
Né la Dichiarazione di Stoccolma, né la Carta Mondiale della natura giungono però a formulare una definizione precisa del principio giuridico di precauzione che rimane quindi “sottesa” alla normativa internazionale.
La successiva Dichiarazione finale della Prima Conferenza Ministeriale per la Protezione del Mare del Nord del 1984 e la Seconda Conferenza sul Mare del Nord del 1987 richiamano espressamente la necessità di un approccio precauzionale contro i possibili effetti negativi dovuti alla immissione nell’ambiente di sostanze dannose all’interno dell’ecosistema marino.
Il principio di precauzione a livello internazionale viene successivamente riaffermato anche nella Terza,7 Quarta e Quinta Dichiarazione finale della Conferenza sulla protezione del Mare del Nord.
Sviluppatosi espressamente nell’ambito degli strumenti di tutela dell’ambiente e del diritto alla salute, il principio di precauzione, grazie così alle numerose convenzioni internazionali ed ai documenti non vincolanti che si sono susseguiti nel tempo, può essere considerato «il prodotto forse più originale e nuovo del diritto internazionale dell’ambiente che trova una definitiva consacrazione della Dichiarazione di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo del 1992.
Nello specifico, infatti, il Principio n. 15 della stessa stabilisce che «al fine di tutelare l’ambiente, gli Stati adotteranno ampiamente un approccio cautelativo in conformità delle proprie capacità. Qualora sussistano minacce di danni gravi o irreparabili, la mancanza di una completa certezza scientifica non potrà essere addotta come motivo per rimandare iniziative costose in grado di prevenire il degrado ambientale».
L’“impostazione precauzionale” viene quindi giustificata dalla necessità di prevenire danni gravi e difficilmente riparabili, quale diretta conseguenza della omessa valutazione dei rischi connessi all’esercizio di determinate attività.
Si tratta di una prima enunciazione del principio di precauzione fortemente criticata in dottrina che l’ha ritenuta, in più occasioni, “aperta e vaga” evidenziando altresì l’impossibilità di fare riferimento «ad un precetto normativo sufficientemente chiaro da configurarsi come una vera e propria norma generale del diritto internazionale».8
Da quanto ora esposto, possiamo osservare come il principio di precauzione trovi progressivamente una propria autonoma affermazione a livello di regolamentazione giuridica internazionale, connotandosi vieppiù nel tempo di tratti salienti che ne definiscono il contenuto e ne delimitano l’applicazione, in ciò evidenziando un processo di lenta ma costante maturazione politica nei confronti della tutela ambientale e dei poteri attribuiti ed esercitati dai singoli Stati a livello internazionale nella materia.
L’analisi sin qui condotta ha permesso di osservare come il princìpio di precauzione trovi origine a livello internazionale nel settore ambientale, esso tuttavia nel tempo assume una sempre più vasta ed ampia applicazione anche all’esterno di quest’ultimo settore affermandosi anche nel settore della salute umana, ove inaugura un procedimento di maturazione culturale, sociale e politica di estrema rilevanza, come dimostrano i numerosi atti emanati del WTO dal 1970 ad oggi.
2.
Esaminiamo ora l’evoluzione del principio di precauzione all’interno dell’ordinamento giuridico europeo.
In questo contesto lo studio è volto, in primo luogo, a verificare se anche nell’ordinamento europeo il principio di precauzione sia stato assunto come principio caratterizzante le politiche poste in essere dall’Unione europea, e in secondo luogo, se esso sia rinvenibile nella legislazione europea nel settore dell’ambiente e della salute umana.
Nell’indagare il principio di precauzione come recepito nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, non possiamo esimerci dall’interrogarci circa l’esistenza di esso anche nei Trattati che hanno preceduto la formalizzazione dell’Unione, ma che sono gli atti fondanti dell’attuale Unione europea.
In questo senso, per quanto concerne il Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Trattato C.E.C.A.),9 esso non richiama esplicitamente il principio di precauzione né menziona altri princìpi che possono essere in qualche modo ad esso riconducibili.
Solo l’art. 691 fa riferimento ad una generica/generale “necessità fondamentale di sanità e di ordine pubblico”, relativa alla circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, in cui si prevede la mobilità dei lavoratori delle industrie del carbone e dell’acciaio “fatte salve le limitazioni derivanti da necessità fondamentali di sanità e di ordine pubblico”.
Analogamente a quanto previsto dal Trattato C.E.C.A., anche i successivi Trattati di Roma, che istituiscono la Comunità economica europea (Trattato C.E.E.) e la Comunità europea dell’energia atomica (Trattato Euratom)10 non hanno espliciti riferimenti al principio di precauzione, né è possibile rinvenire un approccio di tipo precauzionale, connesso alla salute umana e non viene neanche menzionato il settore ambientale, ma viene solo enucleato in forma embrionale quello della salute umana.
Per quanto riguarda invece il Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (Trattato Euratom), l’art 2, comma 1, lettera b, indica tra i compiti della Comunità, quello di «stabilire norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori e vigilare sulla loro applicazione». In questo senso la disposizione si riferisce ad una generale protezione della salute senza però specificarne i tratti salienti e, conseguentemente, non menzionando un approccio precauzionale.
Il successivo Atto unico europeo del 198611 segna invece un momento importante per una più precisa elaborazione di una politica ambientale connessa anche alla tutela della salute umana, ma non si esplicita alcun riferimento al principio di precauzione, pur potendosi identificare all’interno del settore ambientale qualche timida apertura verso l’elaborazione di un principio precauzionale.
L’art. 25 dell’Atto unico europeo prevede che nel Trattato CEE sia inserito il Titolo VIII composto dagli articoli da 130 R a 130 T dedicato all’ambiente. (poi nel T.F.U.E. artt.174 ora 192).
Dopo la Dichiarazione di Rio il principio di precauzione è stato velocemente recepito a livello europeo nel Trattato di Maastricht (articolo 174 T.C.E., oggi articolo 191 T.F.U.E.),12 grazie al quale è stato inserito tra i principi fondamentali della politica europea ambientale insieme al principio di prevenzione, correzione ed a quello del c.d. “chi inquina paga”, considerati, senza timore di smentita, i “pilastri” della strategia degli interventi dell’Unione europea in materia di politica ambientale.
L’art. 191, paragrafo 2, T.F.U.E. contempla il principio di precauzione non come un principio “assoluto”, ma come uno dei principi su cui si fonda la politica ambientale dell’Unione, la quale, ai sensi del paragrafo 3 dello stesso articolo, deve tener conto, oltre che dei dati scientifici e tecnici disponibili, delle condizioni dell’ambiente nelle varie regioni dell’Unione, dei vantaggi e degli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza di azione e dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.
La norma contiene il principio di prevenzione, il principio di precauzione e quello del “chi inquina paga”.
Il primo autorizza la CE a porre in essere misure preventive che evitino, per quanto possibile, qualsiasi evento dannoso per l’ambiente. L’applicazione di questo principio si traduce, sostanzialmente, in un’anticipazione della soglia di tutela, intesa a scongiurare il rischio di deterioramento. Riconducibile a quello di prevenzione è anche il principio della correzione del danno ambientale alla fonte. L’anticipazione dell’intervento correttivo alla fonte causale risponde all’esigenza di impedire l’aggravamento delle conseguenze, fermando sul nascere le alterazioni ambientali, per le quali la rimozione non è sempre possibile.
Per ciò che concerne il principio di precauzione, invece, non vi è una spiegazione esplicita e non è facilmente individuabile in quale modo si differenzi da quello di prevenzione.
Esso accentua il fine preventivo dell’azione comunitaria sottolineando che la migliore politica ambientale è quella che evita i danni irreversibili e gravi.
Sulla base di questo principio, viene legittimata l’imposizione di specifiche cautele, in un momento anteriore a quello nel quale ̶ in una logica di tipo preventivo ̶ debbono essere disposti gli interventi preordinati alla difesa dal pericolo, per la peculiare natura dei beni da proteggere.
Il principio di precauzione, a sua volta, introduce il terzo principio, cioè quello denominato “chi inquina paga”, che nel tempo ha assunto notevole importanza, e la cui prima definizione risale alla Raccomandazione del Consiglio dell’OCSE “Guiding principle concerning international economic aspects of environmental policies”, del 1972.13
Tale principio comporta che l’inquinatore debba sostenere i costi necessari a mettere in atto le misure di controllo dell’inquinamento stabilite dalle autorità. Inoltre, l’inquinatore non deve ricevere sussidi rivolti a coprire i costi di controllo dell’inquinamento, ed i prezzi dei beni e dei servizi la cui produzione e/o consumo genera effetti ambientali negativi dovrebbero riflettere i costi delle attività di prevenzione e controllo dell’inquinamento.
Il principio serve dunque a condizionare preventivamente le scelte, promuovendo la c.d. “internalizzazione” dei costi ambientali nel processo decisionale. L’applicazione di tale principio fa sì che chi inquina sia incentivato a evitare i danni ambientali e sia considerato responsabile dell’inquinamento causato.
In seguito, la Comunicazione della Commissione europea sul principio di precauzione del 2 febbraio 2000 (Com/2000/01)14 ha incluso il principio di precauzione nell’alveo dei principi generali dell’ordinamento europeo, derivandone da ciò l’obbligo, in capo alle amministrazione, di adottare, nell’ambito preciso delle competenze attribuite dalle disposizioni di settore, provvedimenti appropriati al fine di prevenire rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, sacrificando, in alcuni casi, quelle esigenze connesse alla protezione di interessi economici.
Nello specifico, infatti, viene evidenziato come il rispetto del principio di precauzione debba annoverare un’attività di prevenzione e di controllo al fine di evitare la produzione di effetti negativi, impegnando altresì i decisori pubblici a prendere in considerazione tutti i dati scientifici e tecnici disponibili tutelando, infine, il c.d. “sviluppo socio-economico”, da intendersi sia nella sua interezza e che nelle singole parti.15
Come è stato evidenziato, quindi, grazie alla Comunicazione della Commissione il principio di precauzione, previsto in precedenza in modo esplicito solo con riguardo alla protezione dell’ambiente, si è visto riconosciuta l’adeguata rilevanza potendo essere applicato «in tutti i casi in cui una preliminare valutazione scientifica obiettiva indica che vi sono ragionevoli motivi di temere che i possibili effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possano essere incompatibili con l’elevato livello di protezione prescelto dalla Comunità».16
Anche il Comitato economico e sociale è intervenuto in tema di principio di precauzione con parere del 12 luglio 2000 sottolineando che il ricorso al «principio di precauzione è particolarmente importante nella fase di gestione del rischio», poiché se una valutazione preliminare non consenta di determinare con sufficiente certezza un rischio, «spetta ai responsabili politici giudicare quale sia un livello di rischio “accettabile” per la società. Di fronte ad una tale situazione possono ricorrere al principio di precauzione, ricorso che si può tradurre in una decisione di agire o di non agire».
Il Comitato economico e sociale riafferma cioè la rilevanza del principio di precauzione quale elemento su cui fondare una attenta analisi del rischio in presenza di un rischio sconosciuto, di un pericolo potenzialmente significativo in assenza di ulteriori prove scientifiche: il Comitato sottolinea, peraltro, che per «precauzione si intende l’atteggiamento che ci si aspetta da qualcuno al quale si dice che, oltre al rischio da controllare e misurare, deve correre un rischio che non può ancora conoscere ma che potrebbe manifestarsi in futuro in una nuova fase di evoluzione della scienza. Il rischio contemporaneo è contraddistinto da una dimensione particolare, ovvero dal fatto di essere legato ad una straordinaria dilatazione del tempo. Si passa quindi da una problematica legata alla sicurezza tecnica ad una problematica legata alla sicurezza etica».
Il parere del Comitato prosegue sottolineando che la precauzione richiede maggiori sforzi volti ad accrescere le conoscenze, presuppone la creazione di strumenti di vigilanza scientifica e tecnica per identificare le nuove conoscenze e comprenderne le implicazioni e comporta, infine, l’organizzazione di un ampio dibattito sociale in merito a ciò che è auspicabile e a ciò che concretamente realizzabile.
In merito a quest’ultimo elemento il Comitato sottolinea che «spetta ai pubblici poteri creare le condizioni per un dibattito che consenta agli attori sociali di confrontare i dati oggettivi sui rischi in materia di salute, le previsioni relative alla reale efficacia delle azioni preventive e l’espressione dei bisogni della popolazione. La dimensione sociale costituisce parte integrante di un principio di precauzione trattato in maniera razionale” in cui i cittadini possano ricorrere ad interlocutori «chiaramente identificabili ai quali rivolgersi qualora si sentano minacciati». Da ciò emerge come, secondo il Comitato, occorrano «delle nuove modalità di decisione per far avanzare la democrazia: le decisioni andranno prese tenendo conto dell’incertezza e dell’eccessiva complessità e non già delle certezze scientifiche. Ciò determina un radicale cambiamento di prospettiva. Solo in tal modo l’esigenza di sicurezza sanitaria, lungi dall’alimentare le idee totalitarie, potrà promuovere la democrazia». Ne discende che «se il principio di precauzione è una responsabilità dello Stato, solo lo Stato ne è responsabile» in virtù di tale principio «lo Stato deve agire conformemente a talune ipotesi ed è tenuto ad assumersi la responsabilità in caso di astensione dall’azione».
Nel contesto generale di applicazione del principio di precauzione, il Comitato conviene con l’Unione come esso abbia assunto una portata generale e che quindi sia applicabile alla salute umana, animale e vegetale, e che sia compito e diritto della Comunità europea stabilire il livello di protezione che desidera sia rispettato nei settore di applicazione del suddetto principio: allo stesso tempo il Comitato enfatizza la necessità di «chiarire le procedure di analisi del rischio, nonché a definire le linee direttrici per il ricorso al principio di precauzione in un contesto che comprenda i sistemi di gestione, l’interazione tra le istituzioni interessate e, in particolare, la partecipazione di tutte le parti coinvolte nel processo».
Nella successiva Risoluzione il Consiglio europeo (4 dicembre 2000) afferma la necessità di dare attuazione rapida ed integrale ai princìpi sanciti nel Trattato di Amsterdam relativamente al livello elevato di protezione della salute umana quale criterio di definizione e di attuazione di tutte le politiche della Comunità.
Come è noto così a livello europeo il principio di precauzione è stato ritenuto pacificamente applicabile non più al solo diritto ambientale, ma anche alla salute umana, ai prodotti alimentari, ai settori zoosanitario e fitosanitario anche in seguito alla Risoluzione sul principio di precauzione annessa alle conclusioni del Consiglio europeo tenutosi a Nizza tra il 7 e il 10 dicembre 2000 in cui si legge che «il principio di precauzione fa parte dei principi da prendere in considerazione nella politica della Comunità in materia ambientale; che tale principio è altresì applicabile alla salute umana nonché ai settori zoosanitario e fitosanitario».
Il ricorso al principio di precauzione trova quindi una sua legittimazione nelle sole ipotesi in cui sia chiara e puntuale l’identificazione, sulla base di dati scientifici, di un “ragionamento rigorosamente logico” del rischio e di un’adeguata ed attendibile istruttoria, capace di fornire un sufficiente grado di verosimiglianza e di probabilità del danno temuto.
Successivamente il Parlamento, il 14 dicembre 2000, ha adottato una Risoluzione nella quale si considera come il principio di precauzione abbia «solo un valore di diritto consuetudinario internazionale, di cui occorre rafforzare la forza giuridica, rendendolo norma di diritto internazionale», riaffermando la necessità che la Commissione «faccia valere tale approccio in seno alle istanze internazionali, in particolare all’OMC», anche chiedendo «alla Commissione un impegno esplicito a ricorrere attivamente al principio di precauzione ogni volta che ciò sia opportuno».
Il Parlamento sottolinea come nella nostra società l’accettabilità o meno di un livello di rischio sia questione divergente e quindi richieda un dialogo globale sulla valutazione di detto rischio, che deve essere orientato «su criteri scientifici, per non deviare nell’arbitrarietà».
Se si guarda alle fonti del diritto dell’Unione che regolano il principio di precauzione, ci si avvede che il medesimo è enunciato, oltre che nel T.F.U.E. (art. 191), in molti regolamenti, direttive e decisioni. Sono, infatti, innumerevoli gli atti vincolanti che prescrivono il rispetto o favoriscono la diffusione del principio di precauzione nelle politiche ambientali degli Stati membri.17
Ciò che vale la pena evidenziare è che sono tutte regolazioni giuridiche adottate nell’ambito delle politiche di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri funzionali alla costruzione del Mercato unico europeo (ex art. 95 Trattato CE) ovvero sulla base di misure di armonizzazione in materia ambientale (ex art. 175 Trattato CE), le quali oscillano tra l’obiettivo dell’unificazione del diritto degli Stati membri, perseguito attraverso i regolamenti, e quello dell’armonizzazione del diritto interno, sulla base delle direttive.
Tutte queste previsioni, inoltre, sono accomunate dalla prescrizione o dal favor per il principio di precauzione nell’elaborazione delle politiche pubbliche da parte degli Stati membri, ma dall’assenza di indicazioni in ordine alle modalità di adozione della decisione precauzionale.
Tra gli atti comunitari vincolanti solo il Regolamento n. 178/2002/CE e la Decisione n. 2002/623/CE normano le fasi del procedimento di adozione della misura precauzionale.
Il primo, che, come noto, stabilisce i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare e disciplina l’analisi del rischio che deve fondare la misura precauzionale. In particolare, ai sensi degli artt. 6 e 7 del Regolamento, da un lato, la valutazione del rischio, che ne precede la gestione, deve fondarsi «sugli elementi scientifici a disposizione» ed essere «svolta in modo indipendente, obiettivo e trasparente», in una «situazione d’incertezza sul piano scientifico», dall’altro, la gestione del rischio richiede misure provvisorie «in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio», proporzionate, che tengano conto della realizzabilità tecnica ed economica e che devono essere riesaminate entro un periodo di tempo ragionevole a seconda della natura del rischio per la vita o per la salute e del tipo di informazioni scientifiche necessarie per risolvere la situazione di incertezza scientifica. La seconda, recante note orientative ad integrazione della Direttiva 2001/18/CE sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, dispone che in base al principio di precauzione «la valutazione del rischio ambientale deve essere effettuata in maniera scientificamente valida e trasparente, sulla base dei dati scientifici e tecnici disponibili. La valutazione dei potenziali effetti negativi deve basarsi su dati scientifici e tecnici e su una metodologia comune per l’individuazione, la raccolta e l’interpretazione dei dati. [...]. Il ricorso a tecniche di modellizzazione scientificamente valide può fornire i dati mancanti, utili per la valutazione del rischio ambientale».
2.1. Il principio di precauzione nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo
L’imprescindibile rilevanza del principio di precauzione nella fase di elaborazione delle politiche europee e dei singoli Stati è stata inoltre avvalorata anche dalla Corte di Giustizia che, nel puntualizzare tale principio, ha evidenziato come la corretta applicazione del principio di precauzione imponga, da parte delle autorità nazionali competenti, una valutazione dei rischi basata su “indizi specifici” che, anche nell’impossibilità di superare una possibile incertezza giuridica, risultino idonei a calibrare la sussistenza di un livello di rischio tale da rendere necessarie misure di tutela dell’ambiente e della salute.18
Oltre all’orientamento, ormai consolidato, della Corte di Giustizia deve altresì ricordarsi l’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha indirizzato la propria attenzione sulla effettiva operatività e sugli effetti dello stesso, evidenziandone l’inscindibile collegamento con la necessità da parte delle pubbliche amministrazioni, di informare correttamente i soggetti esposti a possibili rischi scientificamente incerti, individuando, in caso di inadempimento, una responsabilità patrimoniale a carico dello Stato.19
Nel richiamare il proprio orientamento sul diritto al rispetto della vita privata, così come tutelato dall’articolo 8 C.E.D.U.,20 in base al quale lo Stato è obbligato ad assicurare informazioni dettagliate ad ogni individuo per una corretta valutazione dei rischi per la propria vita e la propria salute e a predisporre un efficiente assetto legislativo idoneo a scongiurare ogni minaccia a tale diritto, la Corte individua nell’inosservanza del principio di precauzione una causa di responsabilità di natura patrimoniale di diritto internazionale in capo alle amministrazioni pubbliche autonoma rispetto alle disposizioni nazionali.21
Nonostante, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo il principio di precauzione non risulta aver acquisito ancora una propria identità, non essendo stato univocamente individuato, parte della dottrina ha riscontrato, nell’interpretazione del principio di precauzione da parte dei giudici europei, «i tratti di un nuovo paradigma, ancora in formazione dello Stato contemporaneo, che diviene Stato protettore, informatore e formatore», chiamato a farsi carico della previsione di possibili eventi imprevisti derivanti da attività umane e della prevenzione e protezione della collettività.
Nel 2002, il Tribunale di primo grado della CE, nel caso Artedogan, ha affermato che il principio di precauzione dovrebbe considerarsi “un principio generale del diritto comunitario” ed applicarsi in tutti gli ambiti di azione della Comunità (e oggi dell’Unione).
3.
Concepito in ambito internazionale, esteso a livello europeo, il principio di precauzione viene ben presto recepito anche dagli ordinamenti nazionali, dove tuttavia, come sottolineato dalla dottrina, il suo valore giuridico è spesso non ben determinabile e la sua definizione “vaga”, ciò che «permette applicazioni molteplici e nuove, mostrando l’elasticità dello stesso, ma è anche causa di legislazioni molto diverse e usi impropri della precauzione, collegati ad interessi economici o protezionistici».22
Ricostruire il valore giuridico del principio di precauzione e le sue modalità applicative nell’ordinamento italiano appare pertanto di fondamentale importanza.
Prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), nell’ordinamento italiano era assente un richiamo generale al principio di precauzione, a cui si faceva riferimento unicamente in alcune leggi settoriali (il riferimento è, ad esempio, al D.L. n. 381 del 10 settembre 1998 (c.d. Decreto Ronchi) in materia di determinazione dei limiti delle radiofrequenze compatibili con la salute umana, alla Legge 22 febbraio 2001, n. 36, legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. Nello specifico, all’articolo 1 comma 1 della Legge, attenzione viene assegnata alla necessità di dettare principi volti a «promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela da adottare in applicazione del principio di precauzione di cui all’art. 174, par. 2, del Trattato istitutivo dell’Unione europea» e «assicurare la tutela dell’ambiente e del paesaggio») o decisioni giurisprudenziali aventi ad oggetto la legittimità dei provvedimenti emanati dalle amministrazioni pubbliche.23
Il principio in esame trovava ingresso nell’ordinamento interno indirettamente, tramite il richiamo alle disposizioni comunitarie operato dall’art. 117, co. 1, Cost., al fine di vagliare la legittimità di provvedimenti emanati dalla Pubblica Amministrazione.
Per la consacrazione della precauzione quale principio alla base dell’insieme del diritto ambientale bisogna attendere l’entrata in vigore del nuovo Codice dell’Ambiente, il quale, all’art. 301, co. 1, stabilisce che “in applicazione del principio di precauzione di cui all’articolo 174, paragrafo 2, del Trattato CE, in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”, e interviene - al contempo - a disciplinare le tipologie e le modalità di applicazione delle misure preventive adottabili (cfr. art. 304 e ss. del D.Lgs. n. 152/2006).
Come è noto, inoltre, il legislatore è successivamente intervenuto sul punto introducendo nel Testo Unico delle norme in materia ambientale, l’articolo 3-ter, avente ad oggetto il Principio dell’azione ambientale, secondo il quale «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante un’adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle Unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale» e l’articolo 3-bis, con il quale si inserisce il «principio dell’azione ambientale» tra i «principi generali in tema di tutela dell’ambiente definiti “regole generali della materia ambientale nell’adozione degli atti normativi, di indirizzo e di coordinamento e nell’emanazione dei provvedimenti di natura contingibile e urgente”».24
Nessuna menzione del principio di precauzione è, invece, fatta dalla nostra Costituzione sino al 2022. Il che non stupisce, dal momento che, più in generale, le tematiche ambientali non sono state oggetto di specifiche considerazione nei lavori dell’Assemblea costituente, né di successive leggi costituzionali. Cionondimeno, secondo alcuni autori, il nucleo minimo dell’approccio precauzionale sarebbe comunque implicitamente garantito dai dettami costituzionali che tutelano quei beni alla cui preservazione tende il principio stesso: la salute e l’ambiente. Così, se si prende ad esempio il diritto alla salute, si può facilmente concordare con l’opinione secondo cui la Repubblica fallirebbe nel compito di tutela affidatole dell’art. 32 Cost. se, in presenza di possibili rischi gravi e irreparabili per la salute dei consociati, non predisponesse misure cautelative.
Con la riforma attuata dalla Legge costituzionale 11 luglio 2022, n. 1, viene modificato l’articolo 9 della Costituzione introducendovi il principio della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni e quello della tutela degli animali, nelle forme e nei modi definiti con legge statale. La riforma interviene anche sull’articolo 41, specificando che l’iniziativa economica privata non può recare danno alla salute e all’ambiente e che l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata anche a fini ambientali.
3.1. Giurisprudenza interna
Una prima osservazione circa l’applicazione del principio di precauzione da parte del Giudice delle leggi italiano è che non sempre il suo impiego è accompagnato da un richiamo esplicito: al contrario, il termine “precauzione” è pressoché totalmente assente nella giurisprudenza costituzionale antecedente al 2002, pur potendosi riscontrare, anche prima di tale data, pronunce in cui la Corte valuta interventi legislativi precauzionali ovvero sentenze poggianti su di un atteggiamento o un “ragionamento di precauzione.25
Al riguardo deve altresì evidenziarsi il ruolo fondamentale della Corte costituzionale, che ha più volte sottolineato come il principio di precauzione non costituisca un nuovo ed autonomo termine nel bilanciamento degli interessi, rappresentando, al contrario, elemento imprescindibile per risolvere il rapporto tra interessi confliggenti.26
Da ciò ne deriva, quindi, che il principio di precauzione acquisti una straordinaria rilevanza nelle operazioni di “bilanciamento” e non di prevalenza, evitando, di fatto, che il diritto o la libertà pretermessa vengano “eccessivamente sacrificati”, in modo particolare nelle ipotesi di incertezza scientifica collegabili a potenziali danni alla salute ed all’ambiente.27
Proprio la verifica dello stato delle conoscenze scientifiche è stata considerata situazione indispensabile dalla Corte, nei casi in cui è stata chiamata a pronunciarsi in sede di controllo di costituzionalità della disposizione, non potendosi sostituire, con proprie valutazioni, al ruolo degli organismi tecnico-scientifici competenti in materia.28
Sul punto si ricorda, inoltre, come, anche la consolidata giurisprudenza amministrativa abbia riconosciuto al principio di precauzione, anche sulla base degli orientamenti della giurisprudenza europea sul punto, un ruolo fondamentale nelle ipotesi in cui siano riscontrabili attività pericolose, anche in maniera potenziale, per la salute e per l’ambiente.29
Al riguardo particolarmente rilevante è la sentenza del Consiglio di Stato 6250/1350 che, secondo parte della dottrina, ha definito un vero e proprio «decalogo di regole per una corretta applicazione del principio di precauzione», riflettendo sulla portata del principio ed indicando un percorso logico da seguire da parte delle pubbliche amministrazioni nell’applicazione dello stesso principio.
Facendo propri i dettati elaborati dalla giurisprudenza europea sul punto, i giudici hanno evidenziato come l’applicazione degli elementi caratterizzanti il principio di precauzione debbano rinvenirsi «lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi - carattere necessario delle misure adottate» con la diretta conseguenza che le attività da porre in essere in via precauzionale «presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attribuzione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute».30
Sulla base di tali considerazioni gli stessi giudici hanno chiarito come una corretta applicazione del principio di precauzione debba necessariamente prevedere l’adozione di misure volte «al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento» in modo da individuarne la misura “necessaria”.
4.
Sulla base dell’analisi svolta in merito al ruolo del principio di precauzione in ambito europeo e nazionale risultano necessarie delle, seppur brevi, considerazioni anche alla luce degli avvenimenti nel panorama nazionale ed europeo.
Come si è avuto modo di notare, nonostante chiari riferimenti normativi, la definizione del principio di precauzione resta ancorata all’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale quale conseguenza di un’impostazione “meramente procedurale” o sostanziale assegnata a tale principio.
Come è stato più volte evidenziato, infatti, la valutazione dei rischi compiuta da parte delle amministrazioni nella fase di approvazione di un provvedimento è soggetta ad un sindacato limitato da parte dei giudici in considerazione delle «scelte di natura politica, economica e sociale» compiute dalle stesse amministrazioni, con la diretta conseguenza che «solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento».
Da ciò ne deriva, quindi, che la scelta di adottare misure precauzionali sia il risultato di una volontà politica e di una valutazione amministrativa avvalorata da fondamenti scientifici, che porta nella maggior parte dei casi ad un bilanciamento tra interessi costituzionalmente garantiti, attribuendo, di fatto, al principio di precauzione il ruolo di “principio di azione” successivo ad una decisione politica ed, al tempo stesso, di regola procedurale che impone altresì il rispetto dei canoni di trasparenza, pluralismo ed emendabilità.
Per questo motivo è stato evidenziato come il principio di precauzione, per il ruolo «di modello per la gestione dei rischi legati alle situazioni di incertezza scientifica» non possa essere considerato alla stregua di una sostanziale regola di giustizia, sindacabile in sede giurisdizionale, ma debba fungere quale strumento di garanzia, giuridica e politica, nell’ambito dei rapporti tra istituzioni, imprese, cittadini e comunità scientifica.
Del resto, il principio di precauzione – in accordo con la sua primigenia origine internazionalistica – riveste senza dubbio il ruolo di principio “sovranazionale”, impostosi, altresì, dapprima nel diritto comunitario e, in seguito, nel diritto dell’Unione europea. L’intensa produzione normativa europea degli ultimi anni appare dichiaratamente ispirata, in diversi contesti di “rischio” (ambientale, alimentare, lavorativo, da prodotto…), alla realizzazione di un “elevato livello di tutela”. Uno strumento o, forse, in un certo senso, un sintomo di questa tendenza può essere identificato, tra l’altro, nella progressiva estensione dell’applicazione del principio di precauzione ad ambiti di tutela sempre più ampi e ulteriori rispetto al settore (originariamente esclusivo) della tutela ambientale.
Come noto, sebbene sul piano del Diritto dei Trattati un riferimento esplicito al principio di precauzione sia rinvenibile esclusivamente in materia di ambiente, nondimeno la sua portata odierna – soprattutto in seguito alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ma poi con ampie conferme nel diritto “derivato” – è divenuta molto più vasta, trovando applicazione nelle materie incidenti sulla tutela della salute umana (oltre che delle piante e degli animali): pertanto, l’ambito di applicazione del principio di precauzione può sicuramente riguardare, nel diritto europeo vigente, i diversi settori nei quali si articola la tutela dei beni della salute e della sicurezza.
Occorre innanzitutto rilevare che il principio di precauzione è caratterizzato da una peculiare e profonda complessità contenutistica. Come è stato puntualmente messo inevidenza da un’attenta dottrina, infatti, esso «coinvolge una pluralità di dimensioni della conoscenza»: quella «scientifica», che «utilizza la precauzione come criterio operativo nelle situazioni di incertezza»; quella «economica», che nell’approccio della precauzione è destinata ad integrarsi con un altro fondamentale principio di tutela ambientale, ossia quello dello sviluppo sostenibile; quella «politica», «che valuta in termini discrezionali la portata e l’accettabilità dei rischi ecologici»; quella «etica», «che vede nella precauzione la strada attraverso cui garantire l’applicazione del principio della responsabilità verso le generazioni future»; quella «giuridica», che utilizza il principio di precauzione per dare una risposta in termini socialmente accettabili ai fattori di incertezza scientifica che coinvolgono le attività legate all’applicazione delle nuove tecnologie.
La densità contenutistica, semantica e valoriale di questo principio ne rende dunque profondamente plurale il contenuto, consentendo pertanto positivizzazioni, interpretazioni, nonché esiti applicativi, profondamente diversi tra loro.
Più che un principio nel senso pieno del termine ci troviamo di fronte a un metodo per l’adozione di misure precauzionali, un metodo necessario al fine di costruire, su questioni controverse, quel necessario consenso sociale idoneo a rassicurare la collettività, indipendentemente dal quale sarebbe molto complesso realizzare attività che recano in sé una indubbia carica di allarme sociale con riferimento ai possibili danni per l’ambiente e la salute.
La precauzione è sì un principio, ma un principio che si differenzia in termini qualitativi dai principi del costituzionalismo moderno il cui carattere fondamentale non risiede tanto nel tradurre un valore socialmente avvertito in un una norma giuridica, ma nel porsi in termini di terzietà verso i valori stessi, offrendo una modalità di soluzione di un conflitto presente nella società, nel senso di dettare le modalità attraverso le quali regolare il conflitto per la cui soluzione il principio è stato positivizzato.
5.
Deve evidenziarsi la rilevanza rivolta alla anticipazione del c.d. “rischio ambientale”, nonché ad una logica che si confronta, da un lato, con il progresso tecnologico che consente di diffondere nuove scoperte scientifiche con influenza diretta sulla stessa normazione ambientale, dall’altro, con la necessità di dovere bilanciare l’interesse alla tutela ambientale con quello del progresso economico.
Il legislatore è chiamato a conciliare i diversi interessi (pubblici e privati) che ne compongono il substrato sostanziale si tratta di tutelare un interesse pubblico primario che, tuttavia, deve necessariamente convivere ed essere bilanciato con ulteriori interessi, economici e sociali, di eguale livello e importanza.
La risposta, a livello internazionale, è contraddistinta dalla prima Raccomandazione dell’OCSE del 26 maggio 1972 e, successivamente, dalla seconda Raccomandazione del 14 novembre 1974, con cui, in particolare, sono stati previsti strumenti economici “alternativi”, ossia misure di tassazione per incidere direttamente sulle azioni degli operatori economici.
Con queste misure, quindi, si è voluta indirizzare la politica delle istituzioni verso l’utilizzo di strumenti fiscali, oltre che amministrativi, per perseguire i propri obiettivi di tutela ambientale. Seguendo tale impostazione, così, lo strumento della c.d. “tassazione ambientale”, essendo utilizzato anche per fini extrafiscali, ha finito per essere inglobato nell’alveo dei mezzi disincentivanti i comportamenti inquinanti al pari degli altri interventi di tipo amministrativo ed economico.
Tuttavia, sebbene l’attuale assetto normativo nazionale in materia di tasse ambientali sia coerente col principio comunitario del “chi inquina paga”31 che diventa il fatto indice di capacità contributiva e che legittima il tributo a carico dell’inquinante, appare interessante indagare eventuali margini per una riforma della fiscalità ambientale alla luce del principio di precauzione. E di conseguenza l’importanza che potrebbe e dovrebbe rivestire la legislazione in materia fiscale per la tutela dell’inquinamento ambientale.
In particolare, a livello comunitario, seguendo la logica esposta della c.d. “tassazione ambientale” quale strumento di contrasto all’inquinamento, al pari degli strumenti amministrativi tradizionali, alla fine degli anni Novanta è stata avviata una politica fiscale innovativa.
Ma l’evoluzione in ambito europeo della fiscalità ambientale non ha avuto il medesimo seguito nell’ordinamento italiano in cui, infatti, il principale – se non unico – ambito di applicazione è quello specifico dei rifiuti.
A ciò, inevitabilmente, si aggiunge la carenza del legislatore italiano in ambito fiscale, in cui cioè si manifesta ancora oggi la tendenza di identificare per il diritto positivo la tutela ambientale con lo scopo politico-sociale del prelievo tributario.
Sicché, sebbene si possa ritenere superata per la dottrina la questione circa la natura esclusivamente extra-fiscale32 del tributo, il ragionamento intorno ai c.d. “tributi ambientali” in senso stretto impone una attenta analisi circa la concreta sussistenza del comportamento inquinante quale fondamento dell’imposizione fiscale.
Si evidenzia, così, la importanza che potrebbe e dovrebbe rivestire proprio la legislazione in materia fiscale per orientare i comportamenti inquinanti e la consapevolezza che uno degli strumenti che risulta essere maggiormente valido sia in termini di efficacia per la tutela dell’inquinamento ambientale che in termini di efficienza economica, sia proprio l’utilizzo dei tributi ambientali.33
In tal modo, attraverso tale strumento, si incentivano i consumatori e i produttori a modificare il proprio comportamento, ad utilizzare le risorse in modo «eco-efficiente», e a promuovere la ricerca nell’innovazione di tecnologie meno inquinanti.
Però non è tutto oro quello che luccica. Infatti, sebbene i tributi ambientali nascano dalla volontà di perseguire significativi e lodevoli obiettivi di tutela e salvaguardia dell’ambiente, non si può prescindere – come spesso accade – dal considerarli comunque una forma di imposizione.
Pertanto, è utile evidenziare che le seppur lodevoli motivazioni che spingono all’introduzione di tali tributi o, più in generale, gli importanti obiettivi che si vogliono conseguire attraverso l’introduzione dei tributi ambientali, non possono essere utilizzati per eludere i principi di diritto e i limiti costituzionali cui il legislatore è assoggettato nell’introdurre nuovi tributi. Se tale premessa non venisse accettata, vorrebbe dire dare “carta bianca” al legislatore e aprire le porte al rischio, non troppo remoto, che lo stesso si avvantaggi della cosiddetta “illusione fiscale”.
In effetti, risulta evidente che il crescente consenso nei confronti dei tributi ambientali, sia in ambito nazionale che sovranazionale, non nasce esclusivamente dalla volontà di intensificare la protezione dell’ambiente. Vi è di più. Infatti, esso è anche influenzato dalla necessità – dettata prevalentemente dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008 – di individuare nuove e alternative risorse volte a generare nuove entrate con la conseguente possibilità che gli obiettivi ambientali vengano ad essere accantonati non appena si scontrino con altri interessi, su tutti quelli economici. È qui che gioca un ruolo fondamentale il principio della precauzione. In particolare, si è sottolineata la necessità di riconoscere la tutela dell’ambiente non tanto, o non solo, quale diritto del singolo ma anche, e soprattutto, quale dovere di solidarietà globale che deve essere rispettato sia dai singoli che dagli Stati al fine di garantire la sopravvivenza della specie umana.
Tale dovere si staglia nel contesto di una morale e legale obbligazione di proteggere i diritti delle generazioni presenti e di collegarli a quelli delle generazioni future. Si deve ragionare secondo il principio che non esistono tributi ambientali ma soltanto tributi che hanno (potenziali) effetti ambientali. Ciò ci consente di dire che, quando parliamo di tributi ambientali ci riferiamo a tutti quei tributi che hanno, genericamente, effetti ambientali e che, specificatamente, favoriscono un cambiamento del comportamento dei produttori e dei consumatori a favore dell’ambiente scoraggiando i danni all’ambiente e determinando la riduzione dell’uso delle risorse naturali.
Pertanto, il comportamento inquinante quale presupposto dell’imposta ambientale può essere uno dei presupposti da considerare al fine di delineare un tributo ambientale; ma, non essendo un elemento che di per sé garantisce la modifica del cambiamento del comportamento dei produttori e dei consumatori, non può essere considerato l’elemento determinante per la definizione dei tributi ambientali.
Sulla base di quanto detto si deve ritenere che tali imposte debbano essere introdotte sulla base del principio della precauzione e del principio dell’azione preventiva, nonché sulla base della tutela dell’ambiente quale dovere di solidarietà.
Più nello specifico, il dovere di proteggere l’ambiente e il principio di solidarietà alla sua base delineano lo strumento utilizzabile, il tributo avente funzione solidaristica per eccellenza: le imposte. I principi dell’azione preventiva e della precauzione, invece, definiscono le modalità di creazione di tali imposte. In particolare, queste ultime devono essere strutturate quali strumenti preventivi al fine di anticipare, prevenire e minimizzare le cause del climate change e mitigarne gli effetti negativi. In tale contesto, il migliore principio possibile sembra essere il principio della precauzione, in quanto ha il vantaggio di consentire l’introduzione di misure efficaci volte a tutelare l’ambiente anche in assenza di certezza scientifica nel momento in cui si delinea una minaccia di danno serio e irreversibile per l’ambiente stesso.
1 S. Grassi, Prime osservazioni sul principio di precauzione come norma di diritto positivo, 2001; P. Comba, R. Pasetto, Il principio di precauzione: evidenze scientifiche e processi decisionali, in Epidemiol. Prev., 28/1, 2004, pp. 41-45; R. Titomanlio, Il principio di precauzione fra ordinamento europeo e ordinamento italiano, Torino, 2018, p. 3. Per una analisi più approfondita del principio di precauzione cfr. A. Jordan - J. Cameron, Interpreting the Precautionary principle, London, 1994; M. Tallacchini, Ambiente e diritto della scienza incerta, in Ambiente e diritto, a cura di S. Grassi - M.Cecchetti - A. Andronio, Firenze, 1999, p. 67; D. Amirante, Il principio di precauzione tra scienza e diritto, in Dir. gest. Amb., 2001, p. 16; S. Grassi, Prime osservazioni sul principio di precauzione nel diritto positivo, in Dir. gest. Amb., 2001, p. 45; T. O’riordan - J.Cameron - A.Jordan, Reinterpreting the Precautionary principle, London, 2001; C. Consolo, Il rischio da “ignoto tecnologico”: un campo arduo per la tutela cautelare (seppur solo) inibitoria, in AA.VV., Il rischio da ignoto tecnologico, Milano, 2002, 65; L. Kramer, Principi comunitari per la tutela dell’ambiente, Milano, 2002; S. Grassi - A. Gragnani, Il principio di precauzione nella giurisprudenza costituzionale, in Biotecnologie e tutela del valore ambientale, Torino, 2003, p. 157; Id., Il principio di precauzione come modello di tutela dell’ambiente dell’uomo e delle generazioni future, in Riv. Dir. Cost., 2003, p. 9; T. Marocco, Il principio di precauzione e la sua applicazione in Italia e in altri Stati membri della Comunità europea, in Riv. It. Dir. pubbl. comm. 2003, p. 1233; M.V. Lumetti, Il principio di precauzione nella legislazione, nella giurisprudenza e nelle recenti sentenze della Corte Costituzionale, in Giur.amm., 2004, p. 42; L. Marini, Il principio di precauzione nel diritto internazionale e comunitario, Padova, 2004; F. De Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, 2005; R. Ferrara, I principi comunitari per la tutela dell’ambiente, in Dir. amm., 2005, 509; G.E. Marchant - K.L. Mossman, Arbitrary and capricious. The precautionary principle in The European Union Courts, London, 2005; F. Trimarchi, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Riv. It. Dir. pubbl. comun., 2005, p. 1672; A. Bianchi - M. Gestri (a cura di), Il principio precauzionale nel diritto internazionale e comunitario, Milano, 2006; L. Butti, Principio di precauzione, Codice dell’ambiente e giurisprudenza delle Corti comunitarie e della Corte Costituzionale, in Riv. Giur. Amb., 2006, p. 809; Id., The precautionary principle in environmentale law, Milano, 2007; M. Antonioli, Precauzionalità, gestione del rischio ed azione amministrativa, in Riv. It. Dir. pubbl., 2007, p. 51; A. Zei, Il principio di precauzione: programma, regola, metodo, in R. Bifulco, A. D’aloia, Un diritto per il futuro, Napoli, 2008; Id., Principio di precauzione, in Dig. disc. pubbl., Torino, II, 2008, pp. 670 e ss.
2 B. Pastore, Etica della responsabilità e tutela della natura: note sulla filosofia della crisi ecologica di Hans Jonas, in Ragion pratica, 2000, n. 15, p. 110.
3 H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 1990;
4 U. Beck La società del rischio. Verso una seconda modernità (Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne) 1986, Carocci Editore nel 2000.
5 La Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano è stata convocata da una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1968. La Conferenza ha luogo a Stoccolma il 5-16 giugno 1972. In linea con la volontà di proseguire nella cooperazione tra stati in tema di tutela ambientale, al termine della Conferenza viene approvata una dichiarazione di principi Report of the United Nations Conference on the Human environmen, dal valore giuridico non vincolante ma che rappresenta un punto di riferimento per gli accordi multilaterali successivi in materia. Tali dichiarazioni costituiscono delle linee guida cui gli stati si ispirano per la negoziazione degli accordi su scala multilaterale, codificando così il loro consenso.
6 A/CONF/48 del 16 giugno 1972.
7 Risoluzione dell’Assemblea generale 3334 (XXIX) del 17 dicembre 1974; Risoluzione dell’Assemblea generale 3483 (XXX) del 12 dicembre 1975; Decisione adottata alla 69ª seduta della Conferenza plenaria il 7 maggio 1976.
8 T. Scovazzi, Sul principio precauzionale nel diritto internazionale dell’ambiente, in Riv. dir. int., 1992, p. 699; F. Mucci, L’”approccio precauzionale” a tutela dell’ambiente marino nel diritto internazionale comunitario: tra disciplina sostanziale e soluzioni procedurali in M.C. Ciciriello (a cura di), La protezione del Mare Mediterraneo dall’inquinamento. Problemi vecchi e nuovi, Napoli, 2003; G. Manfredi, Cambiamenti climatici e principio di precauzione, in Riv. quadr. dir. amb., 2011.
9 Il Trattato costitutivo della C.E.C.A. (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 23 luglio 1952. Il “mercato comune” previsto dal Trattato viene inaugurato il 10 febbraio 1953 per il carbone e il ferro e il 1º maggio seguente per l’acciaio. Il Trattato aveva una durata di 50 anni ed ha avuto termine il 23 luglio del 2002. La C.E.C.A. successivamente divenne parte dell’Unione europea.
10 Il Trattato che istituisce la Comunità economica europea (T.C.E.E.) è il Trattato internazionale che ha istituito la CEE, firmato il 25 marzo 1957 insieme al Trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (T.C.E.E.A.): insieme sono chiamati Trattati di Roma.
Insieme al Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (C.E.C.A.), firmato a Parigi il 18 aprile del 1951, i Trattati di Roma rappresentano il momento costitutivo della Comunità europea. Il nome del Trattato è stato successivamente cambiato in “Trattato che istituisce la Comunità europea” (TCE), dopo l’entrata in vigore del trattato di Maastricht, e poi in “Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (T.F.U.E.), all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (noto anche come Trattato di riforma e ufficialmente Trattato di Lisbona che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, è uno dei Trattati dell’Unione europea, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre 2009).
11 L’Atto unico europeo è il Trattato che ha emendato i Trattati di Roma del 1957, con cui è stata istituita la Comunità economica europea. È stato firmato il 17 febbraio 1986 a Lussemburgo ed è entrato in vigore il 1º luglio 1987.
12 Il Trattato di Maastricht, o Trattato sull’Unione europea (T.U.E.), è uno dei trattati dell’Unione europea, firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht nei Paesi Bassi.
13 La Raccomandazione adottate dal Consiglio OCSE il 26 maggio 1972 su proposta del Comitato per la politica ambientale raccomanda agli Aderenti, nel determinare politiche e misure di controllo ambientale, di osservare i Principi Guida in materia di aspetti economici internazionali delle politiche ambientali enunciati nel suo allegato. Questi Principi Guida introducono il Principio Chi inquina paga e quello economico riguardanti le implicazioni commerciali delle politiche ambientali.
14 Con la Risoluzione del 28 giugno 1999 il Consiglio chiede alla Commissione di “essere in futuro ancora più determinata nel seguire il principio di precauzione preparando proposte legislative e nelle altre attività nel settore della tutela dei consumatori, sviluppando in via prioritaria orientamenti chiari ed efficaci per l’applicazione di questo principio”.
Sempre nel 1999 anche la successiva Raccomandazione del Consiglio del 12 luglio fa riferimento alla necessità di considerare un “approccio precauzionale”.
15 Com/2000/0, p. 20 e 27.
16 Com/2000/0, punto 3 pa.2.
17 In via esemplificativa, si pensi: all’art. 3, comma 3, lett. c), del Regolamento n. 1255/2011/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un programma di sostegno per l’ulteriore sviluppo di una politica marittima integrata, che individua come obiettivo del programma la facilitazione del coordinamento tra Stati membri e altri attori nell’applicare il principio di precauzione; all’art. 6 della Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2011/65/UE, relativa alla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, che ancora il riesame da parte della Commissione dell’elenco delle sostanze con restrizione d’uso al rispetto del principio di precauzione; all’art. 1 del Regolamento n. 1107/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, che, allo scopo di assicurare un elevato livello di protezione della salute attraverso l’armonizzazione delle norme relative ai prodotti fitosanitari, si fonda sul principio di precauzione e richiede agli Stati membri di applicare il medesimo quando sul piano scientifico vi siano incertezze in ordine ai rischi per la salute o l’ambiente derivanti da tali prodotti; all’art. 2 della Direttiva n. 2009/128/CE, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi, ove si acconsente alla possibilità che gli stati membri applichino il principio di precauzione ai fini della limitazione o del divieto di utilizzo di pesticidi; all’art. 39 della Direttiva n. 2009/48/CE, sulla sicurezza dei giocattoli, che prescrive che le autorità competenti degli Stati membri ad adottare le misure sulla sicurezza dei giocattoli devono tenere conto del principio di precauzione; all’art. 4 della Direttiva n. 2008/98/CE, relativa ai rifiuti, che nell’applicare la gerarchia dei rifiuti impone agli Stati membri il rispetto del principio di precauzione; all’art. 186 della Decisione n. 2008/805/CE, relativa alla firma e all’applicazione provvisoria dell’accordo di partenariato economico tra gli Stati del Cariforum e l’Unione e i suoi Stati membri, ove le parti riconoscono che nel corso dell’elaborazione e dell’attuazione delle misure di tutela dell’ambiente e della salute pubblica che incidono sugli scambi tra le parti è importante tenere conto delle informazioni scientifiche e tecniche e del principio di precauzione; all’art. 1 della decisione n. 2007/799/CE, inerente alla firma, a nome della Comunità, del protocollo sui trasporti, che impegna le parti contraenti a sviluppare il settore dei trasporti tenendo conto del principio di precauzione; all’art. 1 del Regolamento n. 1907/2006/CE, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, informa le sue disposizioni sugli obblighi dei fabbricanti, importatori ed utilizzatori al principio di precauzione; all’art. II della Decisione n. 2006/871/CE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità europea, dell’accordo sulla conservazione degli uccelli acquatici migratori afro-euroasiatici, che al comma 2 impone alle parti contraenti il rispetto del principio di precauzione nell’adottare le misure coordinate per mantenere o ripristinare le specie di uccelli acquatici migratori; al considerando 42 della Decisione 2003/549/CE, che menziona la precauzione per proteggere le acque; all’art. 1 del Regolamento n. 1946/2003/CE, sui movimenti transfrontalieri degli organismi geneticamente modificati, che si prefigge di istituire un sistema comune di notifica e informazione per i movimenti transfrontalieri di ogm nel rispetto del principio di precauzione; all’art. 8, comma 2, della Direttiva n. 2001/95/CE, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, che disciplina la adozione da parte delle autorità competenti degli Stati membri di misure nel rispetto del principio di precauzione, prescrivendone la proporzionalità alla gravità del rischio; al considerando 13 della Direttiva 2001/81/CE, relativa ai limiti nazionali di emissione di inquinanti atmosferici; al considerando 1 della Direttiva 2000/69/CE, concernente i valori limite per il benzene ed il monossido nell’aria.
18 Cfr. Corte di Giustizia, 14 luglio 1983, C-174/83 Sandoz; Corte di Giustizia, 19 settembre 1984, C-94/83 Heijn; Corte di Giustizia, 10 dicembre 1985, C-247/84; Corte di Giustizia, 6 maggio 1986, C-304/84 Muller; Corte di Giustizia, 13 novembre 1990, C- 331/88; Corte di Giustizia, 5 maggio 1998, C-157/96, National Farmers Union; Corte di Giustizia, 5 maggio 1998, C-180/96, Regno Unito/Commissione; Corte di Giustizia, 9 settembre 2003, C-236/01; Corte di Giustizia 23 settembre 2003, C- 192/01; Corte di Giustizia, 7 settembre 2004, C-127/02; Corte di Giustizia, 22 dicembre 2010, C-77/09; Corte di Giustizia, 10 aprile 2014, C-269/13; Corte di Giustizia, 17 dicembre 2015, C-157/14;Corte di Giustizia dell’Unione europea, 13 settembre 2017, C-111/16. Per una analisi più approfondita della pronuncia della Corte si vedano E. Corcione, Emergency Measures Against GMOs Between Harmonizing and Deharmonizing Trends: The Case Fidenato et al., in European Papers - European Forum, 2018, pp. 345-356; S. Pitto, La legittimità delle limitazioni statali agli alimenti OGM alla luce del principio di precauzione, in Dir. pub. com. europ. online, 2018, pp. 245-253; F. Ferri, Corte di Giustizia dell’Unione europea e (non) applicazione del principio di precauzione alle misure provvisorie di emergenza in materia di OGM: note sulla sentenza Fidenato, in www.federalismi.it, 15, p. 18. Cfr. infine F. Munari, Il ruolo della scienza nella giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di tutela della salute e dell’ambiente, in Il diritto dell’Unione europea, 2017, pp. 131-153.
19 Corte europea dei diritti dell’uomo, 5 dicembre 2013, ricorso n. 52809/09; Corte europea dei diritti dell’uomo, 19 febbraio 1998, ricorso n. 14967/89; Corte europea dei diritti dell’uomo 9 giugno 1998, ricorso n. 21825/93; Corte europea dei diritti dell’uomo 19 febbraio 1998, ricorso n. 14967/89; Corte europea dei diritti dell’uomo 19 ottobre 2004, ricorso n. 32555/96; Corte europea dei diritti dell’uomo 27 gennaio 2009, ricorso n. 67021/01. Contra Corte europea dei diritti dell’uomo, 10 aprile 2007, ricorso n. 6339/05. Per un’analisi più approfondita della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, sul punto cfr. E. Ruozzi, La tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti Umani, Napoli, 2011.
20 Cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 11 ottobre 2011, ricorso n. 5056/10; Corte europea dei diritti dell’uomo, 3 novembre 2011, ricorso n. 57813/10; Corte europea dei diritti dell’uomo, 5 dicembre 2013, ricorso n. 32665/10; Corte europea dei diritti dell’uomo, 5 settembre 2017, ricorso n. 61496/08. Per un’analisi approfondita sulla giurisprudenza della Corte europea in materia di rischio per la salute si rinvia a C. Hilson, Risk and The Euroepan Convention on Human Rights: Towards a New Approach, in Cambrige Yearbook of European Legal Studies, 2009, p. 353; O.W. Pedersen, The Ties that Bind: The Environment the European Pubblic Law, 4, 2010, p. 571.
21 Secondo i giudici, nel valutare l’atteggiamento dello Stato, risulta necessario «considerare tutte le circostanze del caso concreto, avendo riguardo, tra l’altro, alla legittimità delle azioni e omissioni, al procedimento decisionale seguito, all’effettivo svolgimento di analisi e studi appropriati, alla complessità della vicenda. L’estensione delle obbligazioni positive imputabili allo Stato dipenderà, infine, dall’origine delle minacce e dall’intensità con cui il rischio è suscettibile di essere mitigato».
22 M. Marchese, in www.comparazionedirittocivile.it, p. 3.
23 Cfr. sul punto TAR Brescia, sent. 11 aprile 2005, n. 304, in Foro amm. TAR, 2005, 4, p. 966.
24 Cfr. D.L. 16 gennaio 2008, n. 4. Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale.
25 Per lo studio del principio di precauzione, anche a prescindere da un esplicito riferimento ad esso, si segnalano le seguenti sentenze: nn. 399/1996, 185/1998, 121/1999, 351/1999, 382/1999, 282/2002, 307/2003, 338/2003, 166/2004, 135/2005, 406/2005, 116/2006, 104 e 105/2008, 235/2009, 248/2009, 85/2013, 83/2015, 84/2016, 267/2016, 98/2017, 170/2017, 232/2017, 240/2017.
26 Cfr. sul punto Corte cost., sent. 3 novembre 2005, n. 406 con la quale i giudici costituzionali hanno evidenziato come il principio di precauzione «rappresenta un criterio direttivo che deve ispirare l’elaborazione, la definizione e l’attuazione delle politiche ambientali della Comunità europea sulla base dei dati scientifici sufficienti ed attendibili valutazioni scientifiche circa gli effetti che possono essere prodotti da una determinata attività». Sul punto si ricorda, inoltre, come la Corte costituzionale abbia assegnato a tale principio la natura di norma parametro nel giudizio di costituzionalità della legislazione regionale e statale in materia ambientale. Cfr. Corte costituzionale, sent. 26 giugno 2002, n. 282; Corte costituzionale, sent. 7 ottobre 2003, n. 307; Corte costituzionale, sent. 16 luglio 2009, n. 247. Cfr. inoltre P. Savona, Il principio di precauzione e il suo ruolo nel sindacato giurisdizionale sulle questioni scientifiche controverse, in www.federalismi.it.
27 Il riferimento è, ad esempio, ai contrasti fra tutela della salute e libertà di iniziativa economica o fra libertà economiche e tutela della salute. Si veda su tutte la decisione della Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, sul c.d. “caso Ilva” grazie alla quale i giudici costituzionali hanno puntato l’attenzione sul «continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi», evidenziando come fosse necessario individuare «un punto di equilibrio che non può che essere dinamico e non prefissato in anticipo secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale». In quell’occasione la scelta di prosecuzione dell’attività produttiva costituì, secondo la Corte, «l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici e amministrativi in un unico procedimento, nel quale devono trovare simultanea applicazione i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale».
Con la sent. 116/2006, la Corte costituzionale ha affermato che l’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica, sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, può essere giustificata costituzionalmente solo sulla base di «indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali, a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico scientifici».
28 Cfr. sul punto Corte cost., sent. 26 maggio 1998, n. 185; Corte cost., sent. 9 maggio 2002, n. 202; Corte cost., 6 aprile 2005, n. 13; Corte cost., sent. 3 novembre 2005, n. 406; Corte cost., sent. 17 marzo 2006, n. 106; Corte cost., sent. 23 luglio 2009, n. 235; Corte cost., 24 luglio 2009, n. 248; Corte cost., sent. 22 maggio 2013, n. 93; Corte cost., sent. 5 dicembre 2014, n. 274; Corte cost., sent. 9 maggio 2015, n. 83; Corte cost., sent. 12 luglio 2017, n. 170; Corte cost., sent. 8 novembre 2017, n. 232; Corte cost., sent. 15 novembre 2017, n. 240.
29 Cfr. sul punto Consiglio di Stato, sent. 14 aprile 2016, n. 1509; TAR Lazio, sent. 3 giugno 2015, n. 7782; Consiglio di Stato, sent. 12 febbraio 2015, n. 757; Consiglio di Stato, sent. 6 maggio 2013, n. 2446; Consiglio di Stato, sent. n. 2495/15; Consiglio di Stato, sent. 22 luglio 2005, n. 3917; Consiglio di Stato, sent. 27 dicembre 2013, n. 6250; TAR Abruzzo, sent. 3 ottobre 2012, n. 403; Tar Molise, sent. 15 marzo 2017, n. 82; Consiglio di Stato, sent. 18 maggio 2015, n. 2495.
30 Il Consiglio di Stato rifiutando «un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente» ha precisato che «la giuridicizzazione e la conseguente giustiziabilità del principio di precauzione passano così attraverso la necessità di riconoscere canali istituzionali di coinvolgimento dei cittadini delle loro formazioni sociali e delle loro comunità di riferimento, nell’esercizio della funzione di amministrazione del rischio, sia a livello comunitario che a livello nazionale».
31 P. Selicato, Imposizione fiscale e principio “chi inquina paga”, in Rass.trib., 2005, p.1157; C. Verrigni, La rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nei tributi ambientali, in Rass. Trib., 2003, p. 1614; R. Perrone Capano, L’imposizione e l’ambiente, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, Annuario, 2001, 123; P. HERRERA - M. Molina, El principio “quien contamina, paga” desde la perspectiva júridica, in Noticias de la Unión Europea, 1995; L.Butti, L’ordinamento italiano e il principio “chi inquina paghi”, in Riv. giur. amb., 1990, p. 411; G. Tarantini, Il principio “chi inquina paga” tra fonti comunitarie e competenze regionali, in Riv. giur. ambiente, 1989, p. 732; L.M. Meli, Le origini del principio “chi inquina paga” e il suo accoglimento da parte della Comunità Europea, in Riv. giur. amb., 1989, p. 218.
32 Martul - Ortega Y., I fini extrafiscali dell’imposta, in A. Amatucci (ed.), Trattato di Diritto Tributario, Padova, 1994, vol. I.; S. Donatelli, Dovere fiscale e tributi extrafiscali, in Rass. trib., 2019, p. 312.
33 F. Gallo, F. Marchetti, I presupposti della tassazione ambientale, in Rass. trib., 1999; F. Batistoni Ferrara, I tributi ambientali nell’ordinamento italiano, in Riv. Dir. Trib., 2008, 12; F. Marchetti, Ambiente (Dir. Trib.), in Dizionario di Diritto Pubblico, Milano, 2006; P. Laroma Jezzi, I tributi ambientali, in P. Russo, Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2002; F. Dorigo - P. Mastellone, La fiscalità per l’ambiente, attualità e prospettive della tassazione ambientale, Roma, 2013; S.A. Parente, S. Kisiel, Sensibilità culturale, educazione all’ambiente e leva fiscale, in R. Pagano (a cura di), Cultura e saperi per un nuovo umanesimo, Dipartimento Jonico in Sistemi Giuridici ed Economici del Mediterraneo: Società, Ambiente, Culture, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Taranto 2018, p. 166.
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