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La retorica degli aiuti di Stato e l'eccezionalismo delle banche pubbliche. Riflessioni a margine del salvataggio di Nord Lb

Scritto da Luigi Scipione • apr 2020

Sintesi

Il piano di salvataggio di Nord Lb prevede la ricapitalizzazione dell’istituto effettuata dai principali azionisti pubblici (i due Land Niedersachsen e Sachsen Anhalt) e l’intervento delle Casse di risparmio attraverso il fondo volontario di garanzia DSGV. A detta della Commissione Ue la soluzione adottata non determina distorsioni della concorrenza giacché le misure previste sono attuate a condizioni di mercato. Partendo dalla specificità del caso in esame, il presente lavoro intende, in primo luogo, chiarire se al piano di salvataggio pubblico e, in particolare, all’intervento del DSGV non sarebbe stato più corretto applicare la disciplina sugli aiuti di Stato; in secondo luogo, verificare i limiti del test dell’investitore privato nel caso di bail-outs bancari; e, da ultimo, appurare se da parte della Commissione vi sia la volontà di codificare un doppio regime secondo cui le banche private sarebbero soggette a vincoli stringenti e all’adozione del burden sharing mentre quelle pubbliche avrebbero invece piena libertà di manovra per attingere al sostegno statale. L’indagine si conclude con un confronto con le italiche vicende e, in particolare, con l’esame del salvataggio pubblico della Popolare di Bari che presenta talune analogie con la ristrutturazione della banca tedesca.

Abstract

The Nord Lb rescue plan provides for the recapitalization of the institution by the main public shareholders (the two Land Niedersachsen and Sachsen Anhalt) and the intervention of the savings banks through the voluntary guarantee fund DSGV. According to the EU Commission, the solution adopted would not distort competition since the envisaged measures are implemented at market conditions. Starting from the specificity of the case in question, this work intends, firstly, to clarify whether it would not have been more correct to apply the state aid discipline to the public rescue plan and in particular to the intervention of the DSGV; secondly, check the limits of the private investor test in the case of bank bail-outs; and, lastly, to ascertain whether there is a willingness on the part of the Commission to codify a double regime according to which private banks would be subject to stringent constraints and to the application of burden sharing while public ones would instead have full freedom of maneuver to draw on support state. The investigation ends with a comparison with the Italian events and, in particular, with the examination of the public rescue of the Popolare di Bari which has certain similarities with the restructuring of the German bank.

Contenuto

1. Note introduttive

Il salvataggio pubblico di Norddeutsche Landesbank Girozentrale (Nord Lb) – il terzo in dieci anni – rivela “doppiezze” che da tempo si ripetono in Europa sui dissesti bancari, evidenziando possibili difformità tra Paesi nell’applicazione del quadro di regole sugli aiuti di Stato e che si celano tra le pieghe di una normativa ancora incerta.

Le stesse regole sono inflessibili con le banche private, ma consentono margini di manovra più ampi allorché si tratti di istituti già controllati e salvati dallo Stato.

Per vero, gli interventi qui in discussione si inseriscono con piena coerenza nella prassi decisionale dedicata alle misure di sostegno pubblico alla ristrutturazione ed al salvataggio degli istituti di credito. In tal senso rappresenta un precedente significativo il via libera della Commissione al bail-out dell’istituto portoghese Caixa Geral de Depositos (CGD).1 L’operazione di salvataggio con soldi pubblici di CGD, senza passare per un bail-in, parziale o totale, è stata commentata come una sagace elusione delle ferree regole che impongono una partecipazione dei privati alla copertura delle perdite, con il beneplacito dell’Antitrust europeo. Nella sulla disamina, infatti, la Commissione chiarì che la natura della proprietà (la Caixa è posseduta al 100 per cento dello Stato) non rilevava ai fini dell’approvazione delle misure di aiuto, purché fosse fatto salvo il principio dell’investitore privato in un’economia di mercato (market economy investor principle – MEIP) e in parallelo si prevedesse il coinvolgimento di capitale privato2.

La decisione a favore dell’istituto portoghese rifletteva già allora un approccio flessibile e apriva una finestra di opportunità per quelle banche che nel frattempo avevano già avviato un programma di ristrutturazione con il sostegno dello Stato.

Il piano di salvataggio pubblico di Nord Lb prevede la ristrutturazione a carico delle finanze pubbliche dell’istituto, a dubbie condizioni di mercato, e l’intervento del fondo volontario di garanzia DSGV dell’associazione delle Sparkassen, anch’esso sotto controllo pubblico.

La ricapitalizzazione pubblica è stata definita dalle autorità tedesche ‘la migliore opzione possibile’, sebbene fosse disponibile una soluzione privata proposta da due grandi fondi d’investimento, ma respinta da banca e azionisti.

Sul versante italiano, l’acquisizione della Banca Popolare di Bari posta in amministrazione controllata si qualifica anch’essa come intervento pubblico.

La posizione che la Commissione ha assunto nei casi appena richiamati indica un certo favor per l’intervento dello Stato, in qualità di azionista-proprietario, aprendo all’aiuto pubblico con il solo limite delle condizioni di mercato, senza che trovi applicazione la più stringente disciplina riservata agli aiuti di Stato quando ad essere interessate dal bail-out sono imprese private.

Sin da tali premesse, sia consentito osservare che coerenza d’intenti e uniformità d’applicazione avrebbero imposto il riconoscimento di un eguale trattamento di favore a tutte le banche europee, non solo pubbliche, che avessero ricevuto il via libera ad un piano di ristrutturazione prima del luglio 2013; e tra queste va annoverata anche MPS. Così non è stato e le decisioni dell’Esecutivo Ue sono state spesso additate come eccessivamente arbitrarie, sia nel merito che nelle tempistiche.

Muovendo da un accurato esame delle argomentazioni che la Commissione ha utilizzato per approvare il piano di salvataggio di Nord Lb, il presente lavoro intende, in primo luogo, verificare se da parte della Commissione vi sia un diverso atteggiamento nell’applicazione (meno rigida) delle regole sugli aiuti di Stato alle banche quando controllate dallo Stato. In secondo luogo, chiarire se, analogamente a quanto statuito dalla Commissione con riferimento al caso Tercas3, fosse stato più corretto applicare all’intervento del fondo di garanzia tedesco DSGV la disciplina più stringente sugli aiuti di Stato.

Inter alia, si tenterà di estrapolare elementi utili per fare chiarezza sulle diverse declinazioni che in concreto il principio dell’investitore in economia di mercato, della cui centralità nelle vicende di cui si discute si ha piena evidenza, può assumere nelle valutazioni che la Commissione europea è chiamata ad effettuare.


2. Crisi bancarie e intervento pubblico. Il quadro regolatorio

L’obiettivo con cui l’Unione bancaria europea è stata concepita è quello di ridurre la “balcanizzazione” finanziaria dell’Eurozona. La frattura del sistema bancario transfrontaliero è stata percepita a ragione come uno dei maggiori pericoli per la stabilità e la sussistenza stessa della moneta unica4.

Tutto questo non è che un lontano ricordo delle nobili promesse gridate ai quattro venti da molti politici dopo la grave crisi finanziaria del 2008. Mai più una banca sarebbe stata salvata attraverso le entrate fiscali, si disse all’epoca. E mai più il settore bancario avrebbe potuto prendere in ostaggio lo Stato.

Nella teoria l’idea originale era che una simile architettura avrebbe ristabilito la fiducia in un mercato bancario e finanziario integrato attraverso tre pilastri: 1) un sistema unico di vigilanza bancaria 2) procedure di risoluzione che limitassero il rischio di contagio in caso di crisi, e 3) una garanzia europea sui depositi tale da spezzare il nesso tra rischio Paese e rischio bancario.

Nella pratica, l’Unione bancaria ha generato enormi asimmetrie e condizioni competitive inique in tutta l’Eurozona. Queste disarmonie hanno colpito in particolare alcuni sistemi bancari, in un modo che contribuisce a spiegare gli avvenimenti degli ultimi anni. Per quanto riguarda il primo pilastro, la vigilanza bancaria unica ha effetti di copertura molto differenti tra i vari ordinamenti nazionali. Trascura la minaccia di un rischio sistemico considerevole in importanti economie dell’Eurozona e perciò favorisce alcuni Paesi a discapito di altri.

Quanto al secondo pilastro, le procedure di salvataggio o risoluzione delle banche in crisi – caratterizzate dal sostanziale divieto di salvataggio pubblico – hanno prodotto anch’esse effetti fortemente asimmetrici che hanno danneggiato pesantemente alcuni sistemi nazionali (in primis l’Italia). In particolare, queste regole sono state stabilite solo dopo che molti Stati membri avevano elargito aiuti pubblici senza precedenti alle proprie banche nazionali. Questi ingenti trasferimenti finanziari avevano sostanzialmente sospeso – sull’onda dell’emergenza – la normativa europea sugli aiuti di Stato, ovvero sugli interventi pubblici nazionali, così alterando in misura sostanziale il panorama concorrenziale del settore finanziario in Europa.

Gli effetti negativi dei primi due pilastri si sono rivelati addirittura dirompenti a causa dell’assenza del terzo pilastro: la garanzia europea sui depositi. L’assenza di un dispositivo comune di assicurazione mantiene l’onere della protezione (parziale) dei risparmiatori in capo al sistema Paese interessato. E, ancora una volta, contraddice quella solidarietà europea che dovrebbe essere il fondamento dell’architettura istituzionale dell’UE e, in particolare, dell’Eurozona5.

Gli aiuti di Stato completano la disciplina della concorrenza (che opera tra privati) imponendo agli Stati di non distorcere la competizione tra le imprese con le proprie politiche di aiuto6.

A partire dal 2008, la Commissione ha pubblicato una serie di Comunicazioni dirette a definire di un quadro temporaneo di riferimento volto a chiarire in che modo avrebbe valutato gli interventi statali diretti a sostenere il settore bancario e finanziario durante la crisi, al fine di favorire la stabilità degli enti beneficiari e al contempo evitare restrizioni alla concorrenza.7

L’impostazione del­l’Esecutivo europeo in merito alla possibilità di autorizzare interventi pubblici di sostegno ad imprese in difficoltà è sempre stata molto rigorosa, determinata dalla convinzione che le risorse statali impiegate per il salvataggio e la ristrutturazione figurano tra i tipi di aiuti di Stato che presentano i maggiori effetti distorsivi per la concorrenza.

Le linee guida, soprattutto quelle da ultimo incardinate nella Banking Communication del 2013,8 hanno introdotto un processo di ristrutturazione più efficace per le banche che beneficiano di aiuti ma hanno al contempo rafforzato i requisiti in materia di ripartizione degli oneri del risanamento dell’istituto a carico dei privati.

La Comunicazione del 2013 muove dal presupposto che, nelle ripristinate condizioni di un corretto funzionamento del mercato, non siano più giustificate misure di salvataggio concesse indiscriminatamente a qualsiasi istituto bancario – e spesso, ancor prima di varare un rigoroso piano di ristrutturazione – sull’assunto indimostrato che, in presenza di una banca, si porrebbe sempre “un’emergenza sistemica” da affrontare.

La prospettiva seguita dalla Commissione è stata quella di tenere salda una disciplina speciale per le ristrutturazioni e i salvataggi concernenti imprese bancarie, dovendo nel frattempo tener conto della nuova architettura che veniva a connotare l’ordinamento finanziario europeo in vista del lancio dell’ambizioso progetto di Banking Union.

Gli orientamenti dell’Esecutivo europeo devono essere letti congiuntamente alle riforme europee nel settore bancario, e in particolare alla direttiva n. 59 del 2014 in materia di risanamento e risoluzione ordinata degli enti creditizi (Bank Recovery and Resolution Directive, BRRD), 9dove il richiamo alla disciplina degli aiuti di Stato è costante.

In base alla BRRD il ricorso alle finanze pubbliche riveste carattere eccezionale poiché subordinato alla necessità di preservare la stabilità finanziaria e l’economia nazionale.10 Non a caso il testo di legge riconosce il connotato di straordinarietà al sostegno pubblico, rendendo la concessione di aiuti di Stato ex art. 107, par. 1, TFUE presupposto (trigger) sufficiente per considerare la banca failied or likely to fail.11

Si è in tal modo (ri)affermato il paradigma per cui nella gestione delle crisi degli istituti di credito gli aiuti di Stato dovrebbero rivestire un ruolo residuale rispetto all’applicazione dei meccanismi introdotti dall’Unione bancaria.

Eppure, ad oggi sembra di poter asserire che la politica degli aiuti di Stato non sia stata affatto sminuita; al contrario essa risulta centrale nello scenario post crisi, che si prefigura essere denso di controlli nei riguardi delle risorse erogate e dei processi di ristrutturazione degli operatori del settore, ma non sempre dispiegata in modo uniforme a causa di un’azione plasmante della Commissione Europea spesso oscillante e talora criticabile sul piano della certezza del diritto.12 Va ricordato, per giunta, che, a differenza di regolamenti e direttive, le comunicazioni sono atti unilaterali, non soggetti all’approvazione del Parlamento e degli Stati: perciò il loro valore giuridico è dubbio, al punto che l’Avvocato generale della Corte di Giustizia Ue ne ha contestato la legittimità nei confronti degli Stati membri.13


3. L'impostazione della Commissione sugli aiuti alla ristrutturazione

Le categorie di aiuti che possono essere considerate compatibili con il mercato comune, a norma dell’art. 107, par. 3, TFUE vengono, a fini classificatori, distinte in aiuti su base regionale, aiuti a carattere settoriale e aiuti a carattere orizzontale anche se dette partizioni appaiono limitative, essendo spesso presenti contemporaneamente nelle misure di aiuto caratteristiche riconducibili a di più di una categoria. Negli aiuti settoriali rientrano gli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione delle imprese in crisi, tra cui, per quello che ci riguarda più da vicino, anche le imprese bancarie. Già a partire dagli “Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà” (c.d. Rescue and Restructuring Guidelines), ritenuto dalla dottrina un “atto a carattere orizzontale”14, vi sono alcuni aspetti di disciplina che è conveniente richiamare:

  1. un’impresa è considerata in difficoltà quando non è in grado, con le risorse proprie o con quelle che può ottenere dai proprietari/azionisti o dai creditori, di contenere perdite che, in assenza di un intervento esterno delle autorità pubbliche, la condurrebbero, nel breve o nel medio periodo, quasi certamente al fallimento15

  2. nell’ambito degli aiuti alle imprese in difficoltà si distinguono quelli per il salvataggio da quelli finalizzati alla ristrutturazione, che la Commissione considera obbedire a meccanismi diversi ma rappresentare spesso due aspetti di una medesima operazione.

I primi si sostanziano, per loro stessa natura, in una forma di assistenza temporanea e reversibile16. Temporaneo, perché l’aiuto per il salvataggio offre una breve tregua, non superiore a sei mesi, alle imprese in difficoltà. Reversibile, poiché l’aiuto deve consistere in un sostegno finanziario in forma di garanzie sui prestiti o di prestiti ad un tasso di interesse almeno equivalente ai tassi praticati sui prestiti concessi ad imprese sane e, in particolare, ai tassi di riferimento adottati dalla Commissione. In questo modo si cercava di non sovvertire quello che sarebbe il normale meccanismo di mercato che premia la minore rischiosità, creando quindi una minore distorsione del mercato stesso17. D’altronde, il fine ultimo di tali aiuti è quello di mantenere in attività un’impresa in difficoltà per il tempo necessario a elaborare un piano di ristrutturazione o di liquidazione. L’aiuto è mirato a sostenere provvisoriamente una banca che si trovi a dover affrontare un grave deterioramento della sua situazione finanziaria, che si manifesta in un’acuta crisi di liquidità o nell’insolvenza tecnica18. In tali circostanze vi è bisogno di guadagnare tempo per individuare le cause all’origine delle difficoltà e per elaborare un piano idoneo a porvi rimedio. Una volta che sia stato predisposto e attuato il programma di ristrutturazione o di liquidazione per il quale l’aiuto è stato richiesto, “tutti gli aiuti successivi vengono considerati come aiuti per la ristrutturazione19.

I secondi, invece, si basano su un piano realizzabile, coerente e di ampia portata, volto a ripristinare la redditività a lungo termine dell’impresa. La ristrutturazione comporta generalmente uno o più dei seguenti elementi: la riorganizzazione e la razionalizzazione delle attività aziendali su una base di maggiore efficacia, che implica, in genere, l’abbandono delle attività non più redditizie, la ristrutturazione delle attività che possono essere riportate a livelli competitivi e, talvolta, la diversificazione verso nuove attività redditizie. Di norma la ristrutturazione industriale deve essere accompagnata da una ristrutturazione finanziaria (apporto di capitali, riduzione dell’indebitamento). Più in generale, vale il principio per cui “la ristrutturazione non può limitarsi solo ad un aiuto finanziario volto a colmare le perdite pregresse, senza intervenire sulle cause di tali perdite”20.

Come ben evidenziato in entrambe le Comunicazioni del 2009, questi interventi sono disposti a vantaggio anche di banche fondamentalmente sane, sebbene in crisi di liquidità a causa del grave turbamento economico in atto. La circostanza che banche non direttamente toccate dalla crisi possano beneficiare di simili interventi è motivata dalla necessità di garantire comunque una sorta di surplus di liquidità idoneo a limitare un successivo e del tutto eventuale rischio di insolvenza.

Nel 2010, con la normalizzazione delle condizioni di finanziamento, la Commissione ha rafforzato i criteri di ammissibilità di tali misure, in particolare considerando gli aiuti pubblici per la ricapitalizzazione e le attività deteriorate compatibili con il mercato interno subordinatamente al fatto che il beneficiario avesse presentato un piano di ristrutturazione.

Al fine di favorire la stabilità finanziaria e di ridurre al minimo l’impiego di risorse dei contribuenti per il salvataggio delle banche, gli ultimi orientamenti richiedono piani di ristrutturazione sufficientemente tempestivi e decisivi per ripristinare la redditività a lungo termine della banca o, in alternativa, il suo ordinato rilassamento.21

Le misure di concessione di aiuti sono difatti sottoposte ad una rigorosa condizionalità. In merito a tale aspetto, la Comunicazione del 2013 rafforza – per vero, con scarsa originalità – l’imprescindibilità degli ormai ben noti criteri relativi alla necessità che gli interventi di sostegno pubblico: i) portino alla messa in ripristino della redditività a lungo termine della banca beneficiaria (“redeem or remunerate rule”)22 applicando, tuttavia, un diverso metro di giudizio (“proporzionata”) a seconda che la necessità dell’aiuto derivi dalla crisi del debito sovrano ovvero sia conseguenza dell’assunzione di rischi eccessivi da parte del beneficiario; (ii) prevedano clausole di salvaguardia tese a ridurre al minimo le distorsioni della concorrenza nel mercato unico e che impediscano il deflusso di fondi da parte della banca, quali l’acquisizione di partecipazioni in altre imprese o il pagamento di cedole e dividendi23; (iii) stabiliscano misure nei confronti del management24 e (iv) siano adeguatamente sostenuti dalla condivisione degli oneri da parte del beneficiario (un embrione di burden sharing).

Il timore principale della Commissione, già chiaramente esplicitato in ciascuna delle precedenti Comunicazioni, è infatti quello di scongiurare il ripetersi fenomeni di moral hazard25 e di preservare l’integrità del mercato.

Inoltre, inasprendo i requisiti di burden-sharing, nel senso di imporre una maggiore partecipazione dei privati al processo di ristrutturazione, la Commissione si prefigge di ridurre e rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse statali.

L’Esecutivo europeo autorizza difatti misure di ristrutturazione tese a coprire la c.d. “carenza di capitale”26 di istituti bancari in crisi solo laddove lo Stato membro erogatore dimostri che gli aiuti sono limitati al minimo indispensabile e sempre che la banca abbia intentato operazioni di mercato per recuperare la redditività o ridurre lo shortfall di capitale.27

In questo senso, la Comunicazione codifica gli insegnamenti e l’esperienza acquisiti nel contesto dei salvataggi bancari posti in essere in Spagna e Cipro, dove l’intervento pubblico è stato affiancato dal sacrificio imposto ai privati. Si noti, tuttavia, che l’applicazione dell’art. 107, par. 3, lett. b), T.f.u.e. non richiede necessariamente un piano di ristrutturazione dell’istituto, appunto perché il sostegno può essere concesso anche ad imprese fondamentalmente sane; né tanto meno postula una durata predefinita e neppure obbliga l’istituto beneficiario a partecipare in qualche misura all’aiuto.28

Anche sotto il profilo procedurale le nuove regole introducono un sistema di controllo preventivo più stringente, posto che il piano di ristrutturazione dell’istituto beneficiario deve essere fin da subito comunicato alla Commissione. Il raggiungimento di un accordo in questa fase di pre-notifica è prodromico all’inoltro della richiesta di autorizzazione formale per l’erogazione della misura di aiuto.29


4. L'eccezionalismo tedesco nel prisma degli aiuti di Stato

I dubbi che si affastellano in tema di salvataggi pubblici in relazione alle difficoltà del settore bancario tedesco, quello dove, per l’appunto, più estesa è la presenza dello Stato. Nell’arco della crisi finanziaria, le banche teutoniche hanno mostrato di disporre di un vantaggio competitivo non irrilevante rispetto ai loro competitors europei, non legato però all’attività degli istituti. La presenza di uno Stato con finanze pubbliche solide ha infatti consentito alle autorità germaniche di proteggere (esplicitamente o implicitamente) le banche nazionali e garantire la stabilità sul fronte interno.

Sebbene la Germania sia stato il Paese che più di tutti ha sostenuto una posizione ferma a favore di una ferrea applicazione dei principi e degli istituti che sottendono alla BRRD, il bail-in è rimasto perlopiù una “spaventosa ipotesi giuridica” che non ha trovato piena applicazione nelle recenti crisi bancarie tedesche.

Un precedente significativo è rappresentato dalla richiesta di aiuti pubblici per il salvataggio di HsH Nordbank, formulata pochi giorni prima dell’improvviso cambiamento delle regole della Commissione Ue nell’estate 2013.

Nel settembre 2011, la Commissione europea aveva approvato il rilascio di una garanzia statale di 10 miliardi di euro a HSH Nordbank. Tale forma di sostegno era stata concessa da HSH Finanzfonds, istituto finanziario di proprietà della città di Amburgo e del Länder di Schleswig-Holstein30. Oltre alla suddetta garanzia, la banca aveva ricevuto 3 miliardi di euro di nuovo capitale sottoscritto da HSH Finanzfonds. Il Fondo di stabilizzazione del mercato finanziario tedesco (SoFFin) aveva inoltre fornito garanzie di liquidità a copertura di nuove emissioni di debito fino a 17 miliardi di euro.

A seguito di alcuni adeguamenti, il rinnovo della garanzia di HSH Finanzfonds è stato approvato dalla Commissione nel maggio 201631. Nella decisione de qua, l’Esecutivo europeo ha valutato positivamente il fatto che la vendita sarebbe avvenuta mediante una procedura competitiva32, che non erano previsti aiuti di Stato che avvantaggiassero l’acquirente e che la nuova entità sarebbe tornata redditizia nel lungo periodo33. Peraltro, nella circostanza si decise che il regime della Banking Communication del 2013 non agisse retroattivamente (a differenza del bail-in) non potendosi quindi estendere neppure alle banche che, inter alia, avessero ricevuto un benestare provvisorio, proprio come quello ottenuto da HsH Nordbank34.

La vicenda di HSH rivela come la crisi di Nord Lb sia stata risolta agendo secondo una trama in larga parte già sperimentata. Sebbene il copione sia migliorato in più parti, la soluzione adottata per la banca della Bassa Sassonia ha comunque sollevato non pochi dubbi, in una partita che ha fatto emergere limiti (e ipocrisie) delle regole sui salvataggi bancari.

L’esigenza di ristrutturazione che si è manifestata per Nord Lb è spiegata dalla combinazione di una capitalizzazione relativamente debole e di un’alta concentrazione di finanziamenti verso il settore navale, molti dei quali considerati in sofferenza35. L’acquisizione della disastrata Bremer Landesbank aveva peggiorato ulteriormente lo stato di salute della banca36.

Dopo un fallito tentativo di fusione con la Helaba bank di Francoforte37, Nord Lb era stata già ricapitalizzata nel 201238, prima dell’entrata in vigore della BRRD, con un aumento di capitale da 3,3 miliardi e la concessione di una serie di garanzie pubbliche. Anche in quell’occasione il piano ottenne il benestare della Commissione in quanto venne definito «come aiuto di Stato in linea con le norme europee»39.

La ricapitalizzazione pubblica è stata definita dalle autorità tedesche “la migliore opzione possibile”, sebbene si fosse appalesata la possibilità ricorrere ad una soluzione privata proposta da due grandi fondi d’investimento, ma respinta dai vertici della banca e dai suoi principali soci40.


5. Se non è un bail-out e neppure un bail-in… quali sono le ragioni che giustificano il piano di salvataggio di Nord Lb?

In un edificio ordinatorio fortemente innovato dall’azione comunitaria, Commissione ha ritenuto, nel solco del precedente salvataggio autorizzato nel luglio del 2012, che la soluzione adottata per la ristrutturazione della banca tedesca non contempli aiuti di Stato e dunque non leda le regole europee in materia di concorrenza41.

Il quadro giuridico dell’UE è neutro in termini di proprietà, quindi non pregiudica il diritto dello Stato di agire come operatore economico. Tuttavia, in base alle norme sugli aiuti di Stato, è necessario valutare se le transazioni economiche effettuate da un ente pubblico (comprese le imprese pubbliche) siano in linea con le condizioni del mercato, al fine di non conferire un vantaggio alle sue controparti. Questo principio, sviluppato per quanto riguarda le diverse transazioni economiche, è incorporato nel MEIP42.

Per giungere a tali conclusioni la Commissione è chiamata a verificare nel merito che le misure contenute nel piano siano capaci di rimuovere le debolezze della banca evidenziate dalla vigilanza sulla base di ipotesi realistiche. Orbene, per evitare che si applicasse il burden sharing, le misure in questione non avrebbero dovuto costituire aiuti di Stato, né individualmente né nel loro insieme, poiché tutte rigorosamente ossequiose del principio dell’operatore in economia di mercato, nel senso che nessuna di esse avrebbe dovuto comportare un vantaggio competitivo per la banca secondo la valutazione condotta dalla Commissione.

Torna utile precisare, a tal proposito, che se una parte degli interventi a sostegno di Nord Lb è stata finalizzata alla ricapitalizzazione dell’istituto di credito, l’altra è destinata a far sì che venga ripristinata l’originaria capacità dell’istituto di produrre reddito. Questo aspetto è, del resto, la pre-condizione affinché tanto gli azionisti pubblici quanto il sistema di protezione istituzionale ricevano una remunerazione per le risorse impiegate in linea con le condizioni di mercato43.

Il progetto di ristrutturazione della banca, imbastito nel febbraio 2019 dall’azionista di maggioranza (lo Stato della Bassa Sassonia), mira a centrare gli obiettivi richiesti dall’SSM: 1) rispetto dei requisiti sul capitale prudenziale in tempi rapidi e con un percorso temporale ben identificato; 2) un business plan solido, fattibile, sostenibile nel lungo periodo per rimettere la banca in condizione di generare utili44.

Le azioni acquistate dallo Stato della Bassa Sassonia non vengono detenute direttamente ma attraverso due società holding – NIG e HanBG – controllate esclusivamente dal Land e non svolgenti alcuna altra attività economica45. Qualsiasi decisione presa in relazione a Nord Lb sarà pertanto controllata dal Land in quanto unico proprietario di NIG. La holding rifinanzierà il suo investimento emettendo titoli sul mercato dei capitali che saranno soggetti a una garanzia statale. Nella misura in cui NIG riceve una garanzia richiesta come parte del rifinanziamento delle operazioni proposte dallo Stato della Bassa Sassonia, la Commissione comprende che si tratta semplicemente di una questione relativa all’attuazione della misura di rifinanziamento e che non deve pertanto essere considerata separatamente dall’operazione complessiva. Posto che NIG non intraprende altre attività, non può essere definita come un’impresa ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE46, onde non si realizza uno dei presupposti richiesti affinché si configuri un aiuto di Stato.

La Commissione ha inoltre ritenuto di aver preso in debita considerazione i diversi ruoli dello Stato come investitore e garante allo stesso tempo. Da un lato, la struttura di pagamento delle garanzie patrimoniali remunerate in importi fissi predefiniti garantisce che un rimborso anticipato dei prestiti non possa comportare una selezione sfavorevole a danno del garante. Dall’altro lato, la Commissione tiene conto del ruolo contrattualmente definito del fiduciario che fornisce un’ulteriore rassicurazione che lo Stato agisca nel suo interesse economico come garante prudente monitorando attentamente la sua esposizione ai sensi della garanzia prestata.

Dato, dunque, che le condizioni per l’esistenza di un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE sono cumulative, la Commissione conclude che verificata l’assenza di una di queste condizioni le misure notificate non determinerebbero la concessione di aiuti di Stato. Di conseguenza, non ha ritenuto necessario valutare nessuna delle altre condizioni47.

L’altra condizione presa in considerazione dalla Commissione per avvalorare questo tipo di interventi ha riguardato l’esistenza di concrete prospettive di risanamento della banca. Tale condizione, che nel caso in oggetto la DGCompetition ha ritenuto soddisfatta sulla base degli elementi descritti nel piano e già testati dall’autorità di supervisione nell’ambito dell’SSM48, è tesa ad evitare che lo Stato sia chiamato ad elargire un supporto aggiuntivo in futuro.

Da ultimo, con riferimento al contributo erogato dal Fondo di garanzia di categoria, la Commissione ha sposato la linea sostenuta dalle autorità germaniche secondo cui le misure in questione non rappresenterebbero aiuti di Stato giacché gli interventi attribuibili alla DSGV non possono essere ricondotti ad una regia pubblica né parimenti i mezzi utilizzati possono essere equiparati alle risorse statali, trattandosi di contributi volontari.


6. Il paracadute pubblico per Nord Lb è espressione di una logica dualistica?

La verifica dei lineamenti stigmatizzati negli orientamenti della Commissione, ha permesso all’Esecutivo europeo di escludere l’applicazione della normativa sugli aiuti di Stato per l’operazione di ricapitalizzazione della Nord Lb, giacché il comportamento dello Stato membro è risultato perfettamente allineato a quello di un operatore privato in un’economia di mercato49. Diversamente, l’aiuto pubblico avrebbe rischiato di tradursi in distorsione della concorrenza e agevolato futuri comportamenti scorretti, incentivando tra l’altro il moral hazard.

Nella valutazione condotta dalla Commissione ciascuna delle misure individuate nel piano di ristrutturazione deve essere considerata individualmente per stabilire se una di esse può singolarmente fornire a NordLB un vantaggio competitivo che altrimenti non potrebbe ricevere in normali condizioni di mercato. Tuttavia, trattandosi di elementi della stessa più ampia transazione, il legame tra le diverse misure deve anch’esso riflettersi nella valutazione del MEIP50.

Sebbene da un punto di vista formale il quadro di interventi orchestrato per impedire la risoluzione di Nord Lb appaia legittimo51, si ritiene che lo stesso possa prestarsi ad una diversa lettura che permetta di portare allo scoperto le pecche che si celano in alcune valutazioni non sempre congruenti sviluppate dalla Commissione nel suo reasoning.

Sia ben chiaro: ciò che viene in discussione non è la natura pubblica delle risorse impiegate. Affinché una misura possa rientrare nella nozione di aiuto concesso dallo Stato, ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE, occorre che siano soddisfatte due condizioni distinte e cumulative, vale a dire che l’aiuto sia imputabile all’autorità pubblica e che sia concesso mediante risorse statali52. Secondo una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, di recente ribadita in occasione della pronuncia del Tribunale europeo sul caso Tercas53, non è necessario distinguere a priori gli aiuti concessi direttamente dallo Stato da quelli erogati mediante un ente pubblico o privato, designato o istituito da detto Stato. La logica sottesa è infatti di evitare qualsiasi rischio di sotto-inclusione, vale a dire il rischio che, attraverso l’erogazione di aiuti da parte di enti autonomi, siano aggirate le disposizioni in materia di aiuti di Stato54.


7. Intervento pubblico e "market economy investor principle"

La Commissione nell’esaminare gli aiuti a sostegno di banche in difficoltà ha posto attenzione a non adottare decisioni che si rivelassero discriminatorie nei confronti degli istituti di credito di proprietà pubblica. Le norme del Trattato sono neutrali nel trattamento delle società private o statali (art. 345 TFUE). Ciò significa che il legislatore comunitario non proibisce alle autorità pubbliche di acquistare o investire in società. Tuttavia, per evitare che le aziende possano godere di alcuni vantaggi derivante dal fatto di essere di proprietà dello Stato, l’Esecutivo europeo ha elaborato dei criteri che consentono di individuare quando la proprietà pubblica o gli investimenti statali favorirebbero alcune società rispetto ad altre e di conseguenza falserebbero la concorrenza.

Di tal ché, al fine di distinguere tra contributi in conto capitale al settore privato (sotto forma sia di capitale di rischio che di debito) e aiuti di Stato a favore di banche già controllate dallo Stato, la Commissione ha fissato il noto “principio dell’investitore privato”: ogni aiuto ricevuto necessita di essere rimborsato con il tempo o remunerato secondo le normali condizioni di mercato, in tal modo assicurando la cessazione di qualsiasi forma di aiuto statale55.

Nell’ambito della disciplina degli aiuti di Stato, il suddetto test rileva ai fini della dimostrazione della pretesa natura selettiva o discriminatoria della misura da dispensare, nonché in relazione all’applicazione del principio del burden sharing.

Mutuato dalle linee guida per tutte le imprese in difficoltà, il MEIP assume una declinazione particolare per il settore bancario56, non risultando affatto semplice stabilire in quali termini esso potesse e dovesse dispiegarsi in tale peculiare settore d’attività.

V’è da segnalare che la maggior parte dei salvataggi compiuti alla fine del secolo scorso ha riguardato istituti di credito pubblici (Crédit Lyonnais57, Société Marseillaise de Crédit, GAN, Comptoir des Entrepreneurs) o che ricadevano sotto l’influenza dei pubblici poteri (CFF, Banco di Napoli e Banco di Sicilia58). In un certo numero di ipotesi riguardanti di fatto banche private, l’impresa in difficoltà è stata lasciata fallire (ad es., Barings nel Regno Unito e Banque Pallas Stern in Francia). In altre situazioni ancora, gli istituti di credito hanno ricevuto un sostegno a condizioni paragonabili a quelle di un investitore privato operante in un’economia di mercato.

La vicenda Banesto, che risale al 1993, costituisce tuttavia la prima fattispecie di rilievo ai fini dell’applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al settore creditizio. Il sostegno alla banca venne riconosciuto compatibile con la normativa in materia di concorrenza giacché concesso a condizioni paragonabili a quelle di un “investitore privato operante in un’economia di mercato”59.

Orbene, in base al suddetto principio non vi è distinzione tra proprietà pubblica e privata nella misura in cui operatori del settore pubblico operino come dei privati, vale a dire senza avvalersi delle speciali prerogative e dei mezzi finanziari di uno Stato membro e ottenendo un rendimento per il loro investimento nel salvataggio della banca in linea con le condizioni praticate sul mercato60.

Sennonché, anche quando è la legislazione nazionale a prevedere la ricapitalizzazione obbligatoria da parte del pubblico di istituti creditizi in difficoltà, tali finanziamenti non rappresentano un aiuto se concessi secondo condizioni normalmente accettabili per un investitore privato, a prescindere dagli obblighi legali che incombono sullo Stato in quanto proprietario-azionista della banca.

Benché si tratti di un criterio consolidato e ampiamente utilizzato, nella fase più acuta della crisi, si è ritenuto che non potesse essere utilizzato per valutare le misure di aiuto nei confronti delle banche perché nessun investitore privato sarebbe intervenuto in presenza di condizioni così avverse61.

Proprio queste incertezze ed il fatto che sia la valutazione vada condotta tenendo conto delle particolari connotazioni del settore in cui tali misurazioni si inscrivono mostrato la necessità di ulteriori precisazioni o quantomeno evidenziato limiti di applicazione del suddetto criterio.


7.1. Alcune precisazioni sulla esatta delimitazione del MEIP nei salvataggi bancari

Dinnanzi al problema di individuare l’esatta portata di tale regola, viene in rilievo, anzitutto, la necessità di distinguere l’ipotesi in cui lo Stato rivesta il ruolo di azionista-proprietario di un’impresa da quella in cui lo Stato agisca in quanto autorità pubblica, perché solo nella prima fattispecie ha senso comprovare il test dell’investitore privato62.

Nel concedere un vantaggio economico a un’impresa i giudici europei hanno precisato che ai fini dell’applicazione del suddetto criterio vadano presi in considerazione solo gli utili e gli obblighi relativi al suo status di azionista, con conseguente esclusione di quelli correlati al suo status di autorità pubblica. Gli è che, il vantaggio è da considerarsi in re ipsa63 quando l’intervento statale si configura quale manifestazione dei poteri d’imperio di cui dispone l’autorità statale, quando cioè essa agisce nel perseguimento di interessi pubblici ovvero quando la prospettiva di realizzare un profitto, benché sia presente, è di secondaria importanza.

Chiarito questo primo aspetto, occorrerà di seguito stabilire:

  1. se il vincolo del minor onere debba essere inteso in chiave sistemica, ossia finalizzato a garantire l’efficienza e la stabilità dell’intero settore bancario,

  2. ovvero se la finalità di tale vincolo – secondo una interpretazione che si ritiene più in sintonia con il dato letterale – vada verificata sul piano essenzialmente della economicità e della vantaggiosità dell’intervento.

Nella prospettiva tesa a privilegiare l’integrità del mercato si è indotti a giudicare con favore un intervento di risanamento capace di restituire, in un determinato lasso di tempo, l’impresa alla redditività e al libero gioco concorrenziale64. Conclusione che sembra, del resto, trovare solide basi nell’orientamento espresso dalla Corte di giustizia secondo cui quando l’apporto di capitale di un investitore pubblico non tiene conto di alcuna prospettiva di redditività, anche a lungo termine, tale contributo deve essere considerato un aiuto ai sensi dell’art. 107 del TFUE e la sua compatibilità con il mercato interno deve essere valutata alla luce dei criteri pertinenti.


7.2. Il rispetto della clausola pari passu

In ossequio ad una consolidata “giurisprudenza” dell’Esecutivo europeo, un contributo in conto capitale con impiego di fondi pubblici soddisfa, in linea di principio, il criterio dell’investitore privato e non implica la concessione di aiuti di Stato se, in particolare, questo contributo ha luogo contemporaneamente a un intervento equipollente di un investitore privato effettuato a condizioni comparabili65.

Corre l’obbligo di precisare, tuttavia, che la concomitanza di contributi di investitori privati ​​e pubblici costituisce, al massimo, un’indicazione di assenza di aiuti ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE. Poiché, come si è abbondantemente rimarcato, lo scopo del suddetto test è di confrontare il comportamento dell’investitore pubblico con quello di un ipotetico investitore privato, non vi è dubbio che l’esistenza di investitori disposti a investire in modo significativo e in chiave ancillare possa facilitare tale comparazione.

Se lo Stato sceglie un approccio diverso, deve dimostrare ex ante che l’investimento garantirà un rendimento sufficiente a coprire sia il costo opportunità sia il rischio che l’investimento stesso implica66. Secondo l’orientamento della Corte, il comportamento con il quale l’investitore pubblico deve essere confrontato non è necessariamente quello di un investitore ordinario che impiega capitale per il conseguimento di un profitto a breve termine. Piuttosto il parametro di riferimento deve essere quello di una holding privata o di un gruppo privato di società che perseguono una politica strutturale, globale o settoriale e dove la redditività viene in gioco in una prospettiva di più lungo termine (par 34).

Il rispetto dei requisiti patrimoniali regolamentari non sarebbe, tuttavia, un motivo sufficiente per incentivare un investitore privato a riversare ulteriori risorse nella banca dato che costui razionalmente prenderebbe in considerazione tutte le altre opzioni percorribili, compresa la liquidazione, al fine di scegliere quella finanziariamente più vantaggiosa.

Per riepilogare, affinché la condizione pari passu sia verificata occorre che: i) gli investimenti pubblici e privati siano concomitanti, ii) gli investimenti privati siano comunque di importo significativo; iii) che vi sia equivalenza di rischi e benefici tra partecipazioni pubbliche e private.

Per dimostrare che un investimento pubblico può generare tassi di rendimento di mercato67, la valutazione deve basarsi su ipotesi realistiche, essere sostenibile rispetto ai cambiamenti del mercato e delle condizioni finanziarie sottostanti e comparabile ai livelli raggiunti da società simili in settori simili68.

I criteri poc’anzi richiamati sono interessanti anche perché dimostrano che lo Stato può investire come operatore privato anche quando il mercato è riluttante a farlo, purché il rendimento atteso sia sufficientemente remunerativo (rectius elevato).

Orbene, nel caso specifico di Nord Lb, rivendicare tale eccezione sembra, per vero, esercizio particolarmente arduo. La critica qui mossa va imputata alla circostanza per cui l’intervento degli azionisti pubblici sia arrivato anche in chiave difensiva rispetto alla possibilità di dare corpo ad un’operazione di ristrutturazione promossa da fondi di private equity. La qualcosa conferma che, nonostante sussistesse un interesse per l’istituto tedesco anche da parte di soggetti privati, si sia preferito non tenerne conto pur di preservare l’assetto proprietario di natura pubblica della banca69.

Si tenga presente, infatti, che in base alle prassi sopra richiamate un aumento di capitale da parte del principale azionista (lo Stato della Bassa Sassonia) presupporrebbe la compartecipazione di investitori privati quale condizione necessaria affinché la disciplina in materia di aiuti di Stato venisse disapplicata70. La proposta dei fondi Cerberus e Centerbridge concreterebbe il comportamento del soggetto privato che opera secondo le regole di mercato e che, conseguentemente, avrebbe potuto sostanziare l’ipotesi controfattuale per il riconoscimento della veste di aiuti di stato agli interventi previsti dagli azionisti pubblici di Nord Lb. La Commissione, invece, trascurando tale test dimostrativo, ha attinto ai medesimi criteri adottati nella valutazione dei fondi statali portoghesi a favore della Caixa Geral de Depósitos, reiterando così un’interpretazione estensiva del principio dell’investitore privato che opera in condizioni di mercato.


7.3. La diversa rilevanza tra perseguimento di obiettivi di redditività e minimizzazione delle perdite connesse ad aiuti già concessi

Esauriti questi primi più probanti argomenti di riflessione, bisogna dar conto di altri elementi che, sebbene collocabili su un piano di diversa importanza, concorrono anch’essi a comprovare o escludere, sempre con riferimento al criterio dell’investitore privato in un’economia di mercato, la connotazione pubblica degli aiuti alla ristrutturazione della banca in difficoltà.

Considerata la particolare varietà di forme che il sostegno pubblico può assumere, anche la posizione ricoperta dallo Stato in rapporto all’impresa beneficiaria può risultare determinante ai fini della suddetta classificazione71. Ferma l’essenza del ragionamento fin qui condotto, il criterio dell’operatore in economia di mercato può infatti essere declinato differentemente a seconda che lo Stato agisca in qualità di investitore, creditore, venditore, garante, acquirente.

Quando un operatore di mercato investe per trarre profitto, la logica di fondo che guida la sua scelta è la medesima che si riscontra quando egli interviene per “difendere” il suo investimento immettendo altre risorse per coprire o evitare perdite72. In entrambi i casi la motivazione è costituita dal desiderio di massimizzare il valore dell’investimento. Nella prima fattispecie vi è il bisogno di scongiurare la perdita del profitto potenziale, mentre nella seconda prevale l’esigenza di rimuovere la sottrazione del profitto effettivo. In questa analisi di tipo comportamentale è racchiuso il motivo per cui l’ipotetico investitore privato – figura che sottende al concetto giuridico di investitore in economia di mercato – tiene sempre conto nel compiere in modo razionale le sue scelte di investimento dell’intero spettro degli scenari plausibili, anche futuri, dato che l’attualizzazione dei flussi di cassa da essi provenienti consente un confronto con opzioni e valori che sono disponibili nell’immediato.

Restando in tema, occorre segnalare che in anni recenti la giurisprudenza della Corte ha avuto occasione di confrontarsi con questioni che aiutano a inquadrare il problema del criterio dell’operatore privato nell’ipotesi in cui siano già stati concessi aiuti in favore delle stesse imprese73. L’interrogativo che i giudici europei hanno dovuto sciogliere è se la presenza di aiuti già concessi alla società in cui l’autorità pubblica intende nuovamente investire possano incidere e in che modo sui risultati del test dell’investitore privato. Cosicché, ripercorrendo il formante della Corte europea viene in rilievo il salvataggio della banca danese FIH Erhvervsbank (FIH)74, ove il Tribunale Ue decretò che in materia di crediti pubblici non si debba operare un parallelismo tra autorità statali e investitori che si muovono nell’ottica di conseguire un profitto a lungo termine75. In altri termini, se le autorità pubbliche mirano esclusivamente a ridurre l’esposizione finanziaria derivante da una misura di aiuto di Stato già adottata, anche ove essa sia compatibile con il mercato interno, il criterio dell’operatore privato non può applicarsi, perché l’intervento precedente ha già determinato condizioni di mercato non concorrenziali. Dunque, la volontà di evitare delle perdite non può legittimare ulteriori misure, che minerebbero altrimenti una situazione in cui un soggetto già beneficiario di aiuti verrebbe trattato in maniera più favorevole rispetto a chi non ha ricevuto alcun aiuto.

Se, tuttavia, nelle pronunce rese in Gröditzer Stahlwerke76 e Land Burgenland77 tale interpretazione trovò conferma, tant’è che le misure di aiuto già concesse dallo Stato non furono considerate idonee a giustificare il comportamento successivo delle autorità pubbliche poiché non allineate al MEIP, non altrettanto accadde nella sentenza ING, ove invece la scelta dello Stato di accettare termini di rimborso meno favorevoli rispetto alle condizioni praticate sul mercato venne valutata alla luce del test dell’investitore privato in economia di mercato.78 79

Questo quadro, non sempre allineato, offre validi elementi per suffragare le tesi secondo cui gli interventi già in passato realizzati dallo Stato a favore di una data impresa non possono assumere alcun valore concludente al fine di stabilire se una misura adottata successivamente dall’autorità pubblica configuri o meno un aiuto di Stato. Piuttosto, il dato rilevante che qui sembra trovare conferma è che in tali fattispecie, peraltro spesso ricorrenti, ciascun intervento deve essere analizzato uti singuli sulla base dei suoi autonomi caratteri e, quindi, in ragione del fatto che sussista o manchi una giustificazione che renda economicamente razionale per un investitore pubblico compiere, al pari di uno privato, un investimento (“aggiuntivo”) in quella data impresa in difficoltà.

La seconda conclusione cui si perviene – e che discende direttamente dalla prima – è che, quando lo scopo di una misura è quello di preservare l’integrità di un investimento in essere, la redditività futura non può ritenersi un test adeguato80. In tali evenienze il test appropriato deve prendere a riferimento la quantità dell’investimento già effettuato che può essere recuperata rispetto a quanto residuerebbe per il creditore in caso di liquidazione del debitore.

In ottemperanza alle indicazioni che emergono dal ragionamento dei giudici europei, la Commissione dovrebbe pertanto valutare le misure di aiuto chiedendosi come si comporterebbe in simili ipotesi non un investitore privato, bensì un creditore privato. Mentre infatti l’investitore compie le sue scelte in condizioni di mercato normali, il creditore può trovarsi costretto ad accettare un’operazione comportante delle perdite, ove ciò permetta di evitarne di più significative. In tal caso, la scelta dell’autorità pubblica di sostenere una banca in crisi sarebbe economicamente razionale e pertanto non qualificabile come aiuto di Stato, se diretta a ridurre la propria esposizione rispetto a un debitore in difficoltà così da salvaguardare il suo investimento originario.

Il quadro, tuttavia, si complica quando lo Stato, nel concedere ad un’impresa finanziamenti rimborsabili, agisce – secondo la distinzione sopra indicata – in veste di autorità pubblica e successivamente interviene a favore della medesima impresa come creditore privato allo scopo di minimizzare la sua potenziale perdita. Il problema sorge giacché in tal caso lo Stato, fornendo un apporto come se fosse un investitore privato, potrebbe non tener conto degli impegni assunti in passato come autorità pubblica.

In simili circostanze i rischi a cui è esposto lo Stato sono collegati alle sue azioni di autorità pubblica svolte in precedenza e non sono tra i fattori che un operatore privato prenderebbe in considerazione, in normali condizioni di mercato, per compiere meri calcoli di convenienza economica.

Tali considerazioni rilevano soprattutto ai fini del test che si deve compiere nell’applicare il MEIP, non dovendo la Commissione tener conto dei rischi relativi agli aiuti di Stato elargiti in passato a favore dello stesso beneficiario; onde si tratterà di escludere da tale valutazione l’importo concesso (legalmente) come aiuto di Stato sia perché il beneficiario non ha l’obbligo di restituirlo al creditore e sia perché quando tale sostegno è stato elargito lo Stato non ha agito come un investitore privato81.


8. L'intervento del fondo delle Sparkassen in "regime di esenzione"

L’altro aspetto controverso del piano di salvataggio di Nord Lb attiene ad un coinvolgimento del fondo interbancario delle Sparkassen82 riconosciuto dalla Commissione estraneo dall’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato.83

È opportuno sottolineare che gli interventi alternativi al pay-out dei DGS sono stati considerati aiuti di Stato dalla Commissione, persino quando finanziati con risorse private. Ne è dimostrazione lampante quanto accaduto nella vicenda Tercas, già sopra richiamata, ove la Commissione ha ribadito che gli interventi preventivi degli Schemi di garanzia dei depositi dovevano passare al vaglio della normativa sugli aiuti di Stato, con un doppio alternativo esito: i) nel caso non fosse stata riconosciuta la loro natura privata, sarebbe stata applicabile la condizionalità prevista dalla Banking Comunication del 2013, cioè a dire il sacrificio di azionisti ed obbligazionisti attraverso l’applicazione del burden sharing84.

Ma la stessa “giurisprudenza” in materia della Commissione consente al fondo delle Sparkassen, poiché riconosciuto come schema di tutela dei depositi volontario, di agire senza incorrere nelle regole europee sugli aiuti di Stato. Similmente al modello disciplinato in Italia, il DSGV è un sistema di mutua protezione e garanzia regolato contrattualmente a livello di associazione di categoria. Tuttavia, il mandato d’azione dei fondi cambia a seconda della loro natura (più ampio quello del sistema volontario). Quest’ultimo, in particolare, salvo il mandato di fondo obbligatorio stabilito per legge, presenta una struttura ed una governance che lo assimilano ad un soggetto privato rendendolo di conseguenza riconducibile al medesimo genus del FITD85.

Diversamente dal FITD, però, il Fondo tedesco rientra tra gli Institutional Protection Scheme (IPS), definiti dall’art. 113, par. 7, della Capital Requirements Regulation (Reg. 575/2013) come “un accordo di responsabilità contrattuale o previsto dalla legge che tutela gli enti partecipanti e, in particolare, garantisce che abbiano liquidità e solvibilità sufficienti a evitare il fallimento, ove necessario”86.

Pur trattandosi di un meccanismo di mutuo soccorso, tale modello salvaguardia al tempo stesso l’autonomia delle banche associate, la loro configurazione organizzativa e dimensionale, la loro forma societaria e l’attuale specializzazione funzionale87. Generalmente i partecipanti allo Schema sono soggetti singolarmente alla vigilanza delle autorità nazionali competenti o della BCE.

Sono proprio le finalità d’intervento indicate dalla CRR che impongono all’IPS di dotarsi di dispositivi preventivi, malgrado manchi una disciplina che specifichi le modalità a cui tali interventi debbano conformarsi88.

Orbene, nell’accordo per la ristrutturazione di Nord Lb il contratto fornisce al DSGV diritti di monitoraggio specifici per garantire l’efficace attuazione del piano. Comprende alcune clausole di tutela delle minoranze, tra cui un quorum dell’80% (“Trägerversammlung”) per l’approvazione di decisioni predefinite nelle assemblee degli azionisti. Le deliberazioni in questione includono quelle che porterebbero a significativi investimenti o cessioni di parti di Nord Lb o deviazioni sostanziali dal piano aziendale come concordato.

L’iniezione diretta di capitale in Nord Lb da parte del Fondo non è paragonabile a una situazione in cui partecipano solo investitori mossi da una logica finanziaria. Il DSGV ha un particolare obiettivo e obbligo contrattuale come IPS, che è rappresentato dalla stabilizzazione a lungo termine dell’istituto creditizio ricevente l’aiuto.

Sul versante della disciplina degli aiuti di Stato, dato che vi è l’obbligo legale di intervenire sulla base delle disposizioni statutarie, il ruolo del Fondo dovrebbe essere considerato più simile a quello di un assicuratore che di un investitore privato89.

E fin qui non vi sarebbe nulla da obiettare se non fosse che nel caso in esame tale schema è composto da banche che sono sotto l’egida pubblica. Di tal ché, richiamando la stessa prassi dell’Esecutivo europeo, il Fondo andrebbe considerato come un soggetto pubblico. Da qui la riconducibilità dell’intervento programmato per il salvataggio di Nord Lb ad una regia statale. Elemento questo determinante per disconoscere alla radice – tenuto conto anche della già dimostrata connotazione anch’essa statale delle risorse impiegate – gli argomenti di diritto utilizzati dalla Commissione per “mascherare” la natura pubblica di siffatte misure.

Per inquadrare meglio il tema di cui si dibatte, e cioè del diverso trattamento che – come qui si sostiene – la Commissione avrebbe inteso riservare a fattispecie formalmente eterogenee ma simili nella sostanza, sia consentito formulare alcune riflessioni di segno ulteriore. Oltre, infatti, al trattamento di indubbio favore praticato dall’Esecutivo europeo, un regime privilegiato viene riconosciuto a siffatti schemi anche dalla regolamentazione europea sui requisiti di capitale nella (CRD IV), ove gli IPS non sono guarda caso citati90, e così anche dagli accordi di Basilea. In modo analogo, neppure i requisiti prudenziali aggiuntivi previsti per gli enti significativi, sia a livello domestico (domestic systemically important banks, D-SIB) che globale (global systemically important banks, G-SIB), si applicano agli IPS quando la loro dimensione divenga tale da renderli potenzialmente significativi (ossia con assets superiori ai 30 miliardi)91.

In aggiunta i due IPS tedeschi appartengono a quella particolare tipologia per la quale si prevede che il gestore dello Schema rediga anche un bilancio consolidato, da cui emerga la compliance ai requisiti minimi di capitale anche per l’intero Schema, oltre che a livello individuale92. In tale fattispecie il vantaggio ulteriore per gli aderenti è quello di non dedurre dal capitale di vigilanza individuale i titoli di capitale in proprio possesso emessi da altri enti partecipanti all’IPS.

A fronte delle significative disparità rilevate, non ci si può esimere dall’esprimere un certo disappunto nel vedere come le soluzioni trovate sembrano remare in direzione contraria allo spirito proposto dalla BRRD.

La vicenda di Nord Lb potrebbe rappresentare l’occasione per correggere la rotta e per tornare, ad esempio, a consentire ai Fondi interbancari di ricoprire un ruolo più incisivo nei salvataggi bancari, anche in forza del quadro interventistico ripristinato a seguito dell’annullamento ad opera dei giudici europei della decisione della Commissione Ue sul salvataggio di Banca Tercas.

Un primo importante tassello per superare tali disparità sarebbe quello di consentire ai Fondi interbancari di ricoprire un ruolo più incisivo nei salvataggi bancari, anche in forza del quadro interventistico ripristinato a seguito dell’annullamento ad opera dei giudici europei della decisione della Commissione Ue sul salvataggio di Banca Tercas.

In ordinamenti come quello tedesco il DGS e gli altri schemi volontari sono autorizzati a compiere i medesimi interventi contemplati altrove ma a condizioni meno penalizzanti dal punto di vista della disciplina degli aiuti di Stato, con evidente alterazione delle condizioni di parità concorrenziale tra banche di Paesi diversi. Inoltre, mentre ad alcuni Fondi di garanzia è consentito realizzare in ottica preventiva misure di vasta portata, ad altri non è riconosciuto un raggio d’azione di corrispondente ampiezza e articolazione.

Spetta, dunque, per un verso al legislatore europeo adoperarsi per meglio sincronizzare, nell’ambito delle iniziative volte a migliorare l’edificio normativo che sorregge l’Unione bancaria, il regime giuridico afferente alle diverse reti bancarie (gruppi e network ai sensi dell’art. 10 CRR, IPS).

E, per altro verso, alla Commissione europea rimuovere, sul versante della concorrenza, quelle disparità di trattamento che ha essa stessa disseminato nelle sue decisioni e che non appaiono giustificabili se si intende guardare alla sostanza dei fenomeni regolamentati. Gli è che, prendendo spunto dalla citata sentenza della Corte Ue su Banca Tercas, bisognerebbe pervenire anche su tale versante ad una codificazione più uniforme delle regole in materia93.

In caso contrario, il persistere di una legislazione eccessivamente approssimativa e disarticolata gioverà a quelle singole entità e agli Stati membri che potranno manovrare e arbitrare tra le diverse soluzioni esperibili al fine di (continuare a) beneficiare di vantaggi discutibili rispetto alla costruzione di un level playing field.


9. Un confronto con le italiche vicende

La portata della decisione dell’Esecutivo europeo sul caso Nord Lb non è tanto relativa alla singola fattispecie, ma codifica di fatto un doppio regime, del tutto paradossale: le banche private sarebbero soggette a vincoli stringenti e all’applicazione del burden sharing, mentre quelle pubbliche (la stragrande maggioranza in Germania) disporrebbero di ampia libertà per attingere al sostegno statale a condizioni più “light”.

Il che permette di affermare che i meccanismi di risoluzione delle situazioni critiche messi a punto dall’Unione bancaria hanno generato una casistica in cui appare difficile individuare un criterio uniforme. Come è noto, il quadro istituzionale che si è delineato a partire dalla Comunicazione del 2013 ha reso più difficili le operazioni di ristrutturazione e di risanamento delle banche italiane che all’indomani della crisi del 2008, a differenza di quanto accaduto in altri Paesi europei, non sembravano necessitare di interventi di sostegno straordinari. Il livello crescente dei crediti deteriorati imputabili alla crisi dell’economia reale ha, inoltre, fatto sì che gli equilibri finanziari di alcune di esse divenissero ben presto più precari.

A fronte delle asimmetrie insite nello strano e traballante tavolo a due gambe che sorregge l’Unione bancaria, è solo il caso di ricordare che la sentenza con cui il Tribunale UE ha annullato la decisione della Commissione europea volta ad impedire l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) in favore di Banca Tercas nel 2014, ha avuto il pregio, tra gli altri, di riaccendere il dibattito (mai sopito) sull’analisi delle recenti crisi bancarie94. Superando le specificità del caso della Cassa di Teramo oggetto della pronuncia, la Corte europea ha stabilito un principio di carattere interpretativo senza tuttavia modificare il contesto normativo di riferimento. Gli è che, in mancanza di un meccanismo di appello di urgenza (quello che è previsto in tutte le giurisdizioni amministrative e civili nazionali) la Commissione ha finito così per fregiarsi di un autentico diritto di vita e di morte sulle banche in crisi.

Al di là della questione giuridica sulla natura privatistica o meno del FITD, la decisione del Tribunale europeo ha di fatto messo in discussione il rigore dell’Esecutivo Ue nella gestione delle crisi bancarie e ha permesso di ribaltare i giudizi su tutti i salvataggi che successivamente sono stati impediti al FITD a causa dell’improvvido disegno di “sperimentare” gli effetti del nuovo framework disciplinare sui risparmiatori-clienti delle banche95.

La storia italiana dei dissesti di questi ultimi anni dimostra come in nome di un astratto rigore “di mercato” si sia di fatto acconsentita un’enorme distruzione di valore. La disponibilità di capitali privati (nell’interpretazione restrittiva della Commissione, poi bocciata dal Tribunale) è stata considerata come il banco di prova della possibilità di far sopravvivere una banca in crisi. Una sorta di giudizio divino di sapore medioevale.

Quando le banche (spesso solo la parte migliore di esse) sono state vendute al prezzo di un euro, solo perché non vi erano capitali privati disposti ad appoggiare piani di risanamento che avevano non poche probabilità di successo, la via per assicurare l’uscita ordinata dal mercato delle stesse banche in crisi si è fatta più angusta se non del tutto impraticabile in assenza di un ricorso alle finanze pubbliche.

L’impatto più evidente è quello che si è riversato sulla contemporanea crisi che si concluse con la risoluzione delle “quattro banche” (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara)96. Si parlò, a tal riguardo, di due diverse catene causali, dimenticando che le due vicende furono temporalmente sovrapposte e la posizione della Commissione sulla prima fu determinante nell’esito della seconda97. Basti osservare che se l’intervento del FITD non fosse stato configurato come aiuto di Stato, l’operazione di salvataggio delle “quattro banche” da parte del Fondo non avrebbe comportato il sacrificio dei diritti dei creditori subordinati e sarebbe avvenuta valutando le sofferenze delle banche a valori di bilancio98. Il divieto imposto al FITD di operare interventi alternativi, riflettendosi negativamente sulla stabilità finanziaria e sui mercati, ha aggravato anche le crisi successive, come quelle delle banche venete, di MPS, di banca Carige e della Popolare di Bari99.

Nel caso della banca senese, fu usata la scappatoia della “ricapitalizzazione pubblica precauzionale”100, disciplinata dall’art. 32, par. 4, lett. d), p.to iii), della BRRD e dall’art. 18, comma 1, lett. b) del Reg. Ue 806/2014 e prontamente incorporata nelle regole del D.L. n. 237/2016101 con pesanti ricadute per gli azionisti e detentori di titoli subordinati. Per le due banche venete, la legge europea non venne applicata, a parte le norme sul “liquidation state aid”. Lo spirito delle regole europee era ben distante, tuttavia, dalla procedura e dal pacchetto di misure che furono varate dalle autorità nazionali con il D.L. 99/2017102. Anche in quest’occasione la gran parte dell’operazione di salvataggio venne finanziata con immissione di risorse e rilascio di garanzie da parte dello Stato.

Facendo tesoro dell’esperienza maturata nel salvataggio della banca senese, con il D.L. n. 1/2019 si è inteso predisporre, in via cautelativa, una rete di protezione composta da tre strumenti: 1) il rilascio di garanzie pubbliche sull’emissione di nuovo debito da parte di banca Carige; 2) la concessione di una linea di liquidità da parte della BCE (ELA); 3) la ricapitalizzazione precauzionale da parte dello Stato qualora la situazione patrimoniale dell’istituto lo avesse richiesto103. Trovata una soluzione di mercato, l’intervento pubblico non si è poi rivelato necessario. Se tuttavia non vi fosse stato l’intervento del FITD e non vi fossero state alternative di mercato, la via che sarebbe stata intrapresa era quella della ricapitalizzazione precauzionale, non facile da ammettersi secondo le norme vigenti, oppure quella della liquidazione.

Vanno poi annoverate iniziative quali la costituzione del Fondo Atlante 1 – un fondo chiuso gestito da “Quaestio Capital Management” e partecipato, su impulso del governo italiano, da banche, fondi di investimento, Cdp e Poste, con il fine di ricapitalizzare banche in difficoltà e di rilevare i crediti in sofferenza104 – e a seguire di Atlante 2 – con struttura e governance simili al primo, ma con oggetto limitato all’acquisto di NPLs –, hanno evidenziato anche la scarsa utilità delle risorse versate dagli istituti di credito al Fondo di risoluzione, utilizzabili solo in presenza di un interesse pubblico (non sempre semplice da stabilire), dunque nel quadro della risoluzione, e di un bail-in pari ad almeno l’8% del passivo.

Un assetto troppo rischioso, ma che può essere smantellato consentendo l’utilizzo dei fondi di garanzia dei depositi – attraverso interventi “alternativi” al pay-out basati sul principio del “minor onere” – sia nella fase che precede la dichiarazione di dissesto, sia in quella di eventuale liquidazione. Le crisi bancarie devono poter essere gestite in maniera efficace e rapida, è la conclusione, e recuperare la solida tradizione nazionale basata su interventi del Fondo interbancario di tutela dei depositi, o di altri “schemi volontari” costituiti con soli fondi privati, vanno in questa direzione105.


10. Il salvataggio della Popolare di Bari e la "zona grigia" degli aiuti di Stato

Seguendo la stessa sorte di Carige, anche la Banca Popolare di Bari (BPB) è stata sottoposta a gestione commissariale106. In questo contesto, le possibilità di risolvere la crisi della BPB attraverso aggregazioni è stata ritenuta (almeno allo stato) non percorribile per il livello di onerosità che sarebbe derivato dalla acquisizione della banca in qualunque forma effettuata. La Banca d’Italia ha così adottato una misura idonea, al contempo, a costituire la prima indispensabile fase di un processo di risanamento oppure funzionale alla più efficiente conservazione del patrimonio e dei valori di funzionamento per la migliore allocazione dell’azienda o delle sue componenti, attraverso una ordinata liquidazione o efficiente risoluzione.

Il D.L. n. 142/2019 (convertito nella L. 7 febbraio 2020, n. 5) prevede una ricapitalizzazione da parte dello Stato attraverso l’intervento nel capitale della banca del Mediocredito centrale (MCC), controllato direttamente da Invitalia, società che fa capo al ministero dell’Economia107. La struttura del provvedimento è volta a predisporre un quadro stabile di intervento a sostegno del sistema creditizio del Mezzogiorno, così da individuate le risorse (pubbliche) necessarie a dare attuazione agli impegni assunti108; mentre non vi si trova alcun riferimento diretto al salvataggio dell’istituto pugliese.

Tuttavia, a latere del decreto è stato formalizzato un Accordo quadro tra FITD, MCC e BPB contenente un insieme di iniziative per la messa in sicurezza e, successivamente, il rilancio dell’istituto pugliese, tra cui rilevano: 1) un intervento di rafforzamento patrimoniale complessivo; 2) la messa a punto di un piano di ristrutturazione pluriennale credibile e ambizioso, in grado di consentire alla BPB di tornare a generare utili in modo durevole e in misura comparabile a quella di analoghi operatori presenti sul mercato; 3) la trasformazione in SpA della banca; 4) la tempistica di questi passaggi.

Sarà, dunque, MCC a partecipare insieme al FITD all’aumento di capitale della Banca popolare di Bari, per favorire il rilancio dell’istituto pugliese. Nello specifico, il decreto prevede l’attribuzione a Invitalia di uno o più contributi in conto capitale, fino a 900 milioni di euro nel 2020, per potenziare il patrimonio del Mediocredito Centrale. L’intervento “ponte” del FITD – richiesto dai Commissari straordinari e destinato ad assorbire le perdite realizzate dalla BPB prima dell’intervento – e a riportare i coefficienti patrimoniali della banca a valori in linea con i minimi regolamentari109. Una misura questa che si è resa indispensabile per consentire l’investimento di MCC nel capitale di BPB a condizioni di mercato, secondo quanto prescritto dal decreto legge, così da permettere al finanziatore pubblico di beneficiare dei risultati della nuova gestione. L’intervento di ricapitalizzazione nel suo insieme è infatti destinato al recupero dell’equilibrio economico patrimoniale dell’Istituto, secondo valutazioni che obbediscono al criterio dell’investitore in un’economia di mercato110 così da scongiurare effetti distorsivi della concorrenza. Anche il coinvolgimento di soggetti privati esterni (banche del territorio, investitori non bancari, partner industriali) al progetto di risanamento e rilancio della Popolare di Bari ha come obiettivo quello di rispondere a logiche, criteri e condizioni di mercato secondo quanto richiesto dal D.L. n. 142/2019 e dal regime degli aiuti di Stato imposto dalla Commissione europea.

In questa prospettiva, altrettanto importante è la possibilità riconosciuta a MCC di realizzare operazioni finanziarie, incluso l’acquisto di partecipazioni nel capitale di banche e altre società finanziarie, nella prospettiva di una loro ulteriore razionalizzazione, per la promozione di attività finanziarie e di investimento anche a sostegno delle imprese nel Mezzogiorno. Tant’è che, a seguito di tali operazioni di acquisto, si autorizza la scissione di MCC e la costituzione di una nuova società, a cui sono assegnate le attività e le partecipazioni acquisite da banche e società finanziarie e che è interamente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle finanze (art. 1, comma 2)111.


11. Le misure di nazionalizzazione tra nuovi vizi e antiche virtù

Ai sensi della disciplina degli aiuti di Stato, l’acquisizione della banca ad opera di MCC, oltre a modificarne l’assetto proprietario, si qualifica come intervento pubblico, che va autorizzato sulla base di un esame nel merito delle condizioni d’intervento, applicando le regole normali dell’economia di mercato.

Il decreto del governo per ricapitalizzare BPB prefigura una vera e propria nazionalizzazione, non temporanea come nel caso di MPS; operazione che pertanto non impone costi agli obbligazionisti subordinati, malgrado comporti per gli azionisti una severa diluizione del loro investimento112.

Al pari di quanto registratosi nel salvataggio di Nord Lb, l’orientamento che si rinsalda anche in tale circostanza è che l’investimento pubblico, se compiuto dallo Stato quale operatore economico che opera in condizioni di mercato, non richiede l’applicazione della più stringente disciplina riservata alla gestione delle crisi bancarie.

Con la conseguenza, altrettanto scontata, che la ristrutturazione del settore bancario viene addossata per l’ennesima volta alla collettività, mettendo in atto quel classico meccanismo con cui si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti.

Perlomeno un principio sembra restare inviolato: anche se dovesse assumere il controllo o essere il primo azionista della nuova banca, lo Stato rimarrebbe asservito a logiche privatistiche, cioè alla necessità di accumulazione di valore e di realizzazione di un profitto.

Gli è che, il salvataggio di una banca a carico dei taxpayers dovrebbe essere “accettabile” solo ad alcune precise condizioni: i) azzerare il management responsabile del declino della banca; ii) evitare il bail-in e tutelare integralmente i correntisti e i risparmiatori coinvolti, a partire dagli obbligazionisti; iii) garantire la gestione pubblica della banca salvata senza cederla a prezzo di saldo ad altre banche private.

Ebbene, nel caso di Banca Popolare di Bari – così come per Carige – sono state rispettate tutte e tre le condizioni: in prima istanza Banca d’Italia ha commissariato l’istituto e ha fatto decadere il Consiglio di Amministrazione precedente; in seconda istanza è intervenuto il governo che ha messo a disposizione di MCC le risorse finanziarie affinché investisse direttamente in BPB, in combinato disposto con un intervento del FITD, finanziato dalle banche private.

Al cuore della vicenda in oggetto si collegano anche problematiche di tipo più generale che riguardano l’efficacia del ricorso alla flessibilizzazione delle regole e soprattutto la nuova centralità assunta dall’intervento statale ed in particolare dal ricorso alle misure di nazionalizzazione come soluzione “preferenziale” per superare la crisi dell’intermediario113.

Come precisa la Commissione il Trattato UE è neutrale quando si tratta di scegliere tra proprietà pubblica e proprietà privata, e anche la Corte di giustizia europea ha in più occasioni confermato che le norme del Trattato non impediscono operazioni di nazionalizzazione.

D’altra parte, la crisi finanziaria globale ha dimostrato che la nazionalizzazione è uno strumento chiave ed è stata la soluzione forse più utilizzata. Le misure di contrasto adottate nell’imperversare dell’emergenza finanziaria, con riguardo agli assetti proprietari delle banche, si sono concretizzate nell’acquisto di azioni o nella sottoscrizione di aumenti di capitale da parte dello Stato o di altri soggetti pubblici Si tratta, beninteso, di un modulo operante sul piano soggettivo, ma che non ha dato luogo – a differenza di quanto accadeva in passato – o all’istituzione di enti pubblici o alla creazione di statuti speciali.

Ad oggi il quadro sovranazionale, segnatamente quello della dir. 59/2014, ci consegna due diverse macro-tipologie di intervento pubblico finalizzate alla preservazione o al ripristino di condizioni di solidità, liquidità o solvibilità dell’ente creditizio.

Da un lato, vi sono le misure di sostegno finanziario pubblico ex art. 32, par. 4, lett. d), BRRD che in chiave precauzionale servono a prevenire il dissesto ovvero il rischio di dissesto dell’impresa quando questi dipendono da condizioni di natura essenzialmente esogena rispetto alla banca; tali strumenti sono volti a scongiurare il pericolo di risoluzione dell’ente bancario e, perciò, condividono finalità analoghe con quelle delle misure d’intervento precoce114 che, però, sono essenzialmente preordinate a rimuovere cause e problemi di tipo essenzialmente endogeno. Di fatto anche la ricapitalizzazione precauzionale può condurre ad una nazionalizzazione, seppure temporanea, dell’istituto di credito. Si osservi, inoltre, che nelle operazioni di ricapitalizzazione pubblica preventiva non vengono in discussione la natura di impresa e la struttura societaria delle banche e degli intermediari finanziari, ma a mutare è soltanto l’entità dell’azionista e, talora, il modo in cui egli esercita i suoi diritti115.

Dall’altro, collegata alla risoluzione, nella Sottosezione 4 dedicata alle “Disposizioni accessorie all’applicazione del bail-in” è contemplata anche l’eventuale adozione di strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria (“Government financial stabilization tools” - GFST), disciplinati dagli artt. 56-58 della BRRD che includono due modalità di intervento, vale a dire: (i) la ricapitalizzazione pubblica (public equity support tool) (art. 57) e la (ii) la nazionalizzazione temporanea (temporary public ownership tool) (art. 58).

Tali dispositivi devono tuttavia “(…) rappresentare una soluzione di ultima istanza”, nel senso che sono attivabili al ricorrere delle seguenti condizioni: 1) l’innesco degli strumenti di resolution non appare sufficiente per evitare che si producano esternalità negative sulla stabilità finanziaria; 2) gli altri strumenti non assicurano una protezione sufficiente dell’interesse generale, se l’istituto soggetto a resolution ha già ricevuto aiuti alla liquidità da parte della banca centrale; 3) l’applicazione di altre misure non risulta sufficiente se l’ente insolvente ha già ricevuto aiuti pubblici straordinari in termini di capitale (art. 56, par. 3). Inoltre, l’art. 37 della BRRD, nel consentire che, in situazioni eccezionali di crisi sistemica, possa ricorrersi ai suddetti strumenti, richiede, al par. 10, lett. b), che tale iniziativa superi il vaglio di compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato116.

Per inciso, la nazionalizzazione temporanea è “eccezionale”, in quanto rivolta ad evitare il bail-in. Il meccanismo si può applicare ad una banca “significativa e solvibile” che incontra difficoltà e che decide di avvalersi dell’intervento dello Stato. La procedura prevede il confronto dialettico dell’istituto di credito, del governo nazionale, della BCE, della DGComp. È difatti la Commissione che anche in tale circostanza deve valutare che la risoluzione della banca avrebbe effetti sistemici negativi e applicare pertanto la deroga alla normativa sugli aiuti di Stato che opera in caso di “grave turbamento dell’economia” (art. 107, par. 3, lett. b, Tfue)117.

Orbene, l’operazione imbastita per la Popolare di Bari non s’inquadra, né tra le modalità d’intervento precauzionale previste dalla BRRD in particolare all’art. 32, par. 4, lett. d)-iii, né tantomeno è riconducibile alla procedura di nazionalizzazione temporanea di cui al citato art. 58.

Chiarito questo aspetto, ciò che preme segnalare è che l’intervento pubblico nel capitale della banca pugliese mette a nudo un problema di coerenza intrinseca dell’impalcatura disciplinare delle crisi bancarie allorché si consente a governi e autorità di intraprendere in maniera alquanto disinvolta percorsi che, pur senza violarli, si allontanano dal quadro delle regole e dei principi sanciti dalla BRRD; problema che sembra essere ben riassunto dal seguente paradosso: perché mai aggrapparsi ad un intervento precauzionale e preventivo, che deve attenersi a modalità fortemente vincolistiche e penalizzanti per azionisti e obbligazionisti subordinati, mentre iniezioni di capitale, garanzie statali e prestiti concessi alle banche possono essere esenti da aiuti di Stato semplicemente se valutati (e con ampia discrezionalità al riguardo da parte della Commissione Ue che appare difficilmente decifrabile) a tassi di mercato che riflettono il rischio sopportato dall’Erario?

La decisione di accordare una qualsiasi forma di assistenza finanziaria adoperando risorse pubbliche scaturisce pur sempre da una valutazione discrezionale che deve essere formulata a livello di singolo Stato e che risponde, il più delle volte, ad un disegno strategico volto al perseguimento sul piano interno di determinate finalità (anche di stampo dirigistico) a detrimento delle politiche europee di integrazione e di coordinamento tra gli Stati membri.

Questi ultimi, così come le istituzioni europee, avevano deciso e si erano mossi in una direzione che metteva al centro del risanamento degli enti creditizi in crisi non più tutti i contribuenti ma unicamente azionisti e creditori, così da preservare gli equilibri di finanza pubblica dei singoli Paesi e scongiurare alla radice il sorgere di una nuova crisi dei debiti sovrani.

Eppure, eludendo tali presidi, le misure di volta per volta approntate dimostrano che il quadro disciplinare consente di sfruttare i punti di debolezza della legge, di invocare l’applicazione di normative locali quando più congeniale ad alleviare le conseguenze di carattere politico-sociale dei salvataggi da intraprendere, e di ideare qualsiasi altro stratagemma immaginabile. È evidente che una simile anomalia è imputabile ad un assetto distonico che accresce le preoccupazioni per il rischio morale finendo per alimentare nelle banche e nelle altre istituzioni finanziarie la percezione che i governi possano facilmente entrare in gioco per compiere il salvataggio. A conti fatti, non si può negare che sia per la BPB che per Nord Lb, l’intervento pubblico è stato compiuto con il perfetto stile di un “prestatore in ultima istanza”, evitando che, in entrambe le circostanze, la banca venisse liquidata o sottoposta a risoluzione.

Si aggiunga che analogamente ad altre tipologie di intervento statale, l’ingresso pubblico nella proprietà bancaria dovrebbe essere connotato dalla temporaneità e dalla eccezionalità, essendo specificamente finalizzato al superamento della crisi. Condizioni queste che non sembrano affatto ricorrere nella nazionalizzazione di BPB e che neppure si appalesano nel caso dell’istituto tedesco trattandosi di banca storicamente di proprietà pubblica.


12. Riflessioni conclusive

Anche se è necessaria una visione d’insieme per comprendere la ratio dei singoli provvedimenti qui presi in esame, il caso Nord Lb impone una profonda riflessione sull’impianto della disciplina dei salvataggi bancari.

Per eludere il coinvolgimento dei creditori privati, l’intervento pubblico può essere ritenuto legale, ma la controversa applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato da parte della DGCompetition rafforza la comparsa di doppi standard nell’Eurozona. I vecchi vizi sono duri a morire e ostacolano i progressi verso il completamento dell’Unione bancaria e una più ampia integrazione dell’Eurozona.

L’applicazione su casi concreti del nuovo impianto europeo sulla gestione delle crisi ha evidenziato due aspetti.

In primo luogo, si nota che, pur restringendo le possibilità di intervento dello Stato, nelle situazioni di difficoltà è sempre stata erogata una forma di contributo pubblico. La solvibilità di partenza dell’ente finanziario è un elemento importante, che discrimina la natura dell’aiuto e la modalità di condivisione degli oneri per azionisti e creditori.

In secondo luogo, le vicende trattate mettono a nudo per l’ennesima volta le debolezze del Meccanismo unico di risoluzione costellato di troppe eccezioni e di poteri discrezionali distribuiti disorganicamente in capo alle autorità coinvolte, numerose e portatrici di interessi talora divergenti.

In tutti i passaggi previsti dal nuovo quadro normativo il parere della Commissione resta tuttavia determinante. La metodologia dell’intervento statale “a condizioni di mercato” dovrebbe essere applicata allo stesso modo non solo per le banche pubbliche (CGD e Landesbank), ma anche per quelle private (come MPS). Insomma, se una banca pubblica ha mostrato di essere inefficiente per anni, e ha necessitato di aiuti di Stato a ripetizione, può continuare a beneficiare di fondi pubblici senza incontrare particolari limitazioni e senza impattare sulla stabilità finanziaria nazionale (in tal caso non rilevando affatto se tali comportamenti si ripercuotono negativamente sui conti pubblici).

Il problema, tuttavia, è un altro: la stessa flessibilità riconosciuta ai salvataggi di banche pubbliche non è concessa alle banche private. Il rischio è che la discrezionalità tecnica accordata dai Trattati alla Commissione Ue, e pensata per garantire che la parità concorrenziale venisse più efficacemente difesa, abbia finito col produrre un effetto indesiderato, attraverso una prassi decisionale tesa a congelare la disparità di condizioni esistente tra i Paesi membri: le banche controllate dallo Stato, forti di garanzie esplicite o implicite, possono finanziarsi a tassi molto più bassi delle altre e sono al riparo da crisi per la presenza di un salvatore di ultima istanza.

Gli aiuti di stato hanno cambiato volto al settore bancario europeo per le differenti dimensioni del sostegno fornito dagli Stati membri. In termini assoluti la Germania è stato il paese che ha dovuto aumentare di più il debito pubblico per salvare le proprie banche118.

Se si considera poi nel complesso il peso delle istituzioni pubbliche sul settore tedesco (landesbank e sparkasse), si può concludere che ci sia un gigantesco e permanente aiuto di Stato all’economia nazionale, su cui la direzione Concorrenza della Commissione non ha mai eccepito nulla, con la giustificazione che si tratta di situazioni cristallizzate nel tempo. Altrettanto si può dire però del vantaggio competitivo del sistema economico tedesco: non solo per le banche, ma di riflesso anche per imprese e famiglie che godono di tassi più bassi di quelli che avrebbero ottenuto in un mercato non influenzato dalla presenza pubblica.

Del resto l’intero settore sarebbe collassato senza il sostegno da parte dello Stato e tuttora l’ordinamento tedesco riconosce agli istituti a controllo pubblico un canale privilegiato per ottenere nuovi aiuti di Stato.

A fronte del regime derogatorio che la Commissione ha inaugurato per far fronte ai danni indotti dalla pandemia da Covid-19, il timore è che, ancora una volta, i Paesi più solidi e ricchi – ovvero Germania, Francia e Olanda – possano falsare il gioco europeo dando la possibilità alle loro imprese bancarie di conquistare mercato a scapito degli istituti di credito altri Paesi che dispongono di minore spazio in termini di aiuti, così provocando indebite distorsioni alla parità di condizioni nel mercato unico. I controlli della Commissione dovrebbero, pertanto, essere mirati a stabilire se i fondi pubblici siano destinati esclusivamente a tamponare i danni del virus e non piuttosto a ridisegnare il proprio settore creditizio.

A partire dal 2013, l’Antitrust europeo ha categoricamente rinnegato la flessibilità che aveva caratterizzato l’approccio della Commissione dinnanzi all’imperversare della crisi finanziaria, privilegiando il ripristino di un criterio ancora più limitativo di quello della BRRD. Gli effetti nefasti che, nell’ansia di affermare il principio del massimo rigore per le misure di aiuto statale, hanno trovato la loro più bieca esplicitazione nell’obbligo di condivisione degli oneri a scapito di azioni e creditori junior, si sono ben presto riverberati sulla stabilità del sistema creditizio.

Questo assetto disallineato di istanze configgenti e di presidi di tutela non ancora ben oliati, riconducibile ad un continuo scadimento della linea di confine tra pubblico e privato, ripropone il tema, sempre irrisolto, di dove finisca il pubblico e di dove inizi il privato.

Restano aree di persistente incertezza connesse alle restanti situazioni di difficoltà che coinvolgono non poche banche di dimensioni assai diverse fra loro, la cui condizione è peraltro in essere da tempo, lasciando presagire il crearsi nel prossimo futuro di ulteriori situazioni critiche. Questa indeterminatezza, oltre a suscitare critiche motivate, genera impatti obiettivamente negativi sulla stabilità delle singole istituzioni bancarie e a cascata di quella complessiva del sistema finanziario di alcuni Stati membri.

La giustificazione del regolatore europeo nel vietare l’intervento dei governi nel salvataggio delle banche, quando assumano la veste di aiuti di Stato, sembra a questo punto una foglia di fico. Sembra più assennato pensare che le remore europee servano a salvaguardare i bilanci pubblici e in prima istanza a lasciare che il mercato trovi soluzioni ragionevoli. Il mercato sembra tuttavia avere bisogno di una regia pubblica, come ad esempio una banca centrale, per coordinare qualsiasi tipo di intervento119.

Tutto quanto fin qui esposto genera la sensazione che sia necessaria quanto prima una modifica del disegno organizzativo interno dell’Unione bancaria nei suoi diversi blocchi disciplinari. Resta difficile individuare il miglior percorso per un cambiamento di tale portata. La tentazione politica sarebbe quella di determinate per via legislativa una modifica del quadro normativo, giungendo sin’anche a riformare competenze e poteri dei supervisori e delle autorità preposte alla gestione/prevenzione delle crisi.

Eppure nell’immediato basterebbe dare corpo ad un mutamento di atteggiamento che punti a preservare la stabilità finanziaria e ad evitare la distruzione del valore degli istituti bancari, anche rivedendo l’interpretazione, finora molto rigida ma anche bipolare, della Commissione europea sulla disciplina degli aiuti di Stato. Un cambio di paradigma che consentirebbe di colmare le evidenti lacune delle regole sulle crisi bancarie e di affrontare al meglio le difficoltà di istituti piccoli e medi che, come si è constatato confrontando i casi della banca della Bassa Sassonia e della BPB, non sono una prerogativa solo italiana.

Il diritto europeo è diventato, più banalmente, il diritto delle regole che, applicate in modo manicheo e discriminatorio solo ad alcuni Paesi, ha prodotto danni enormi. Non è mai troppo tardi per rovesciare politiche sbagliate ed errori di negoziazione. Purché li si comprenda.

1 Con il consenso della Commissione Ue, il governo portoghese ha ricapitalizzato la banca pubblica con 2,7 miliardi; ha trasferito 500 milioni dalla holding statale ParCaixa e ha svalutato 960 milioni di titoli convertibili (detenuti dallo Stato, quindi senza coinvolgimento di creditori privati e senza bail-in). Le risorse statali impiegate nel piano di risanamento non sono entrate a far parte del deficit del Portogallo, che quindi, ha potuto salvare la banca senza pagare un prezzo in termini di finanza pubblica (il disavanzo era già oltre i limiti concessi dalle regole Ue, ma i Paesi europei hanno deciso di non prevedere ulteriori “penalizzazioni”).

2 Il piano di salvataggio del gruppo bancario portoghese Banco Espirito Santo (BES) prevedeva la creazione di una “banca ponte”, nella quale trasferite le attività sane di BES. Questa soluzione, sottolinea la Commissione, avrebbe permesso il rilancio dell’istituto risultando “in linea con le norme sugli aiuti di Stato dell’Ue”. Le misure decise dalle autorità portoghesi hanno reso praticabile la liquidazione ordinata della “bad bank” e fornito alla “good bank” “le risorse necessarie per valorizzare al massimo i propri assets durante la procedura di cessione, limitando al tempo stesso le distorsioni della concorrenza dovute all’intervento pubblico”. Inoltre, il Fondo nazionale portoghese per la risoluzione ha fornito 4,9 miliardi di euro di capitale alla “banca ponte” e un prestito dallo Stato portoghese di 4,4 miliardi.

3 Tribunale Ue, 19 marzo 2019, cause riunite T-9816, T-19616, T-19816 Repubblica italiana/Commissione.

4 La crisi finanziaria del 2008 ha provocato un cambiamento sotto questo punto di vista. Il default di alcune banche statunitensi ed europee e il rischio di disintegrazione del sistema bancario europeo nel suo complesso ha reso necessario un nuovo approccio alla materia basato: i) in generale, sulla ridefinizione dell’architettura dei mercati finanziari a livello dell’UE, sull’adozione di misure volte ad attenuare gli effetti della crisi sull’economia reale e sull’individuazione di una risposta globale ai fenomeni in atto; e ii) in particolare, su una valorizzazione della previsione di cui all’art. 107, par. 3, lett. b) del Tfue.

5 P. De Gioia Carabellese - C. Chessa, The So-Called Pan-European Depositors’ Protection Scheme. A Further Euro Own-Goal? in Maastricht. Jour. Eur. Comp. Law, n. 23/2016, p. 242 s.

6 In tema di aiuti di Stato nel settore bancario, la letteratura italiana è ampia e approfondita. Cfr. ex plurimis: A. Antonucci, Gli “aiuti di Stato” al settore bancario: le regole d’azione della regia della Commissione, in St. integr. eur., 3/2018, pp. 587 e ss.; De Kok, Competition Policy in the Framework and Application of State Aid in the Banking Sector, in European State Aid Law Quarterly, 2, 2015, pp. 224 e ss.; I. Mecatti, Gli aiuti di Stato alla banche in crisi: note introduttive, in Studi Senesi, n. 3, 2018, pp. e ss.; L. Scipione, Crisi bancarie e disciplina degli aiuti di Stato. Il caso italiano: criticità applicative e antinomie di una legislazione d’emergenza, in Innovazione e diritto – Rivista di diritto tributario e dell’economia, 5/2017, pp. 284 e ss.; L. Argentati, I salvataggi di banche italiane e l’Antitrust europeo, in Merc. conc. reg., 1/2016, pp. 109 e ss.; Werner - Maier, Procedure in crisis? - Overview and Assessment of the Commission’s State Aid Procedure during the Current Crisis, ivi, pp. 177 e ss.; F. Ferraro, L’evoluzione della politica sugli aiuti di Stato a sostegno dell’accesso al finanziamento nell’attuale situazione di crisi economica e finanziaria, in Dir. un. eur., p. 349; Id., L’evoluzione della disciplina degli aiuti di Stato alle banche: il difficile equilibrio tra concorrenza e stabilità finanziaria, in Innovazione e diritto, 2, 2018, pp. 190 e ss.; M. Rispoli Farina, La nuova disciplina delle crisi bancarie: due modelli di soluzione a confronto, in Innovazione e diritto, 5, 2017, pp. 172 e ss.; Id., La recapitalización cautelar del Monte dei Paschi di Siena y la liquidación forzosa administrativa de Veneto banca y Banca popolare di Vicenza, Estudio comparativo, in Innovazione e diritto, 2018, 1, pp. 39 e ss.; O. Capolino, La gestione delle recenti crisi bancarie in Italia: finanziamento degli interventi e nuovo quadro regolamentare europeo, ivi, pp. 200 e ss.; P. Rossi, La disciplina “emergenziale” delle crisi bancarie in Italia: dal decreto “salva banche” al decreto “salva risparmio”. Quale protezione per i risparmiatori? in www.Amministrazioneincammino.luiss.it, 30 maggio 2017; A. Canepa, Il difficile equilibrio fra concorrenza e aiuti di stato nella crisi: ruolo e scelte della Commissione nel settore bancario, in Amministrazione In Cammino, 15 luglio 2016, pp. 5 e ss.; F. Croci, L’impatto della crisi finanziaria sugli aiuti di Stato al settore bancario, in Dir. Un. eur., 4/2014, pp. 733 e ss.; M. Liberati, La crisi del settore bancario tra aiuti di Stato e meccanismi di risanamento e di risoluzione, in Riv. it. dir. pub. com., 6/2014, pp. 1339 e ss.

7 Sulla scorta del contenuto degli atti della Commissione, gli aiuti forniti alle banche durante la crisi possono essere suddivisi in quattro categorie: 1) misure di ricapitalizzazione che consentono di rafforzare il capitale di base della banca (in cambio lo Stato riceve diritti di valore corrispondente al contributo fornito e parte del controllo sull’intermediario); 2) misure per proteggere i bilanci bancari da perdite e svalutazioni di attività deteriorate, o assets relief measures, che possono aiutare le banche a limitare l’impatto causato dalla temporanea perdita di liquidità, a condizione però che le banche beneficiarie si impegnino ad utilizzare tale sostegno per erogare credito; 3) le garanzie sulle passività aventi lo scopo di rassicurare depositanti e altri creditori, consentendo così alle banche di reperire nuovi fondi; 4) altre forme a sostegno della liquidità, anche da parte delle banche centrali.

8 In particolare, la Banking Communication del 2013 sostituisce la Comunicazione sul settore bancario del 13/10/2008; adatta e integra le restanti comunicazioni (Comunicazione sulle ricapitalizzazioni degli istituti finanziari del 13/10/2008; Comunicazione sui c.d. toxic assets del 25/02/2009; Comunicazione sulla ristrutturazione degli istituti finanziari in dissesto del 23/07/2009; prima Comunicazione di proroga del 7/12/2010; seconda Comunicazione di proroga del 6/12/2011).

9 Direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio2014 che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.

10 A tal proposito il considerando n. 16 della BRRD, nel riconoscere che il dissesto di un ente può avere significative conseguenze per il sistema finanziario e per l’economia di uno Stato membro, prevede l’eventuale utilizzo di fondi pubblici per risolvere una crisi; e richiede, a tal fine, il coinvolgimento dei ministeri delle finanze o altri ministeri competenti degli Stati interessati sin dalle fasi iniziali del processo di gestione della crisi e, se del caso, della sua risoluzione.

11 L’art. 32 BRRD, relativo alle condizioni per la risoluzione, stabilisce che la necessità di far ricorso all’aiuto pubblico, impone l’avvio di una risoluzione nei confronti dell’intermediario interessato, anche in mancanza dell’accertamento di condizioni di difficoltà oggettive. Più precisamente, la necessità di tale sostegno fa presumere, in base alla disposizione sopra richiamata, che l’intermediario si trovi in dissesto o a rischio di dissesto ex art. 32, par.1, lett. a), BRRD.

12 M. Porzio, Ibidem, sottolinea come “il ricorso a fondi pubblici di sostegno all’ente sia guardato con molto sospetto dal legislatore comunitario e la natura straordinaria di que­sto intervento sia una sorta di “mantra” nei testi in esame”.

13 Poiché i criteri indicati nelle Comunicazioni non hanno forza di legge, né tanto meno effetti vincolanti erga omnes, “gli Stati membri conservano la facoltà di notificare alla Commissione progetti di aiuto di stato che non soddisfano i criteri previsti da detta Comunicazione e la Commissione può autorizzare progetti siffatti in circostanze eccezionali” (CGUE, sentenza 19 luglio 2016, causa C-526/14, p.to 43).

14 Così F. Ferraro, L’evoluzione della disciplina degli aiuti di Stato alle banche: il difficile equilibrio tra concorrenza e stabilità finanziaria, cit., p. 191.

15 Cfr. Commissione Europea, Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, cit., par. 9; Id., Should aid be granted to firms in difficulty. A study on counterfactual scenarios to restructuring State aid, Dicembre 2009, consultabile sul sito internet http://ec.europa.eu/competition/index_it.html.

16 Id., Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, cit., p.to 15.

17 Cfr. D. Diviero, Gli aiuti di stato al trasporto aereo e alle banche: dalla crisi di settore alla crisi di sistema, Milano, 2010, p. 165.

18 Di conseguenza le misure strutturali che non richiedono un intervento immediato, quali ad esempio la partecipazione irreversibile e automatica dello Stato nei fondi propri dell'impresa, non possono essere finanziate con aiuti per il salvataggio.

19 Commissione Europea, Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, cit., p.to 16.

20 Ibidem, p.to 17.

21 La redditività prospettica della banca è stata, senza ombra di dubbio, una componente essenziale della valutazione dei piani di ristrutturazione imposti dalla Commissione. In alcuni casi all’inizio della crisi, la Commissione ha preferito rinviare alla valutazione dei regolatori nazionali la credibilità delle misure di ristrutturazione. Ad esempio, nei salvataggi di Lloyds e RBS, la Commissione ha osservato che: “un’analisi approfondita condotta dall’autorità di vigilanza e il grado di conservatorismo incorporato nel valutare il fabbisogno di capitale della [banca], offrono un conforto sufficiente alla Commissione per assicurare che l’attuazione del piano di ristrutturazione porterà al ripristino della redditività a lungo termine della banca”. In altri casi la Commissione ha condotto una propria valutazione e imposto le proprie condizioni (di solito più rigorose) per ripristinare la redditività, sulla base di una notevole quantità di dati e di numerosi scenari (tra cui, ad esempio, il rapporto capitale core tier 1 previsto rispetto ai requisiti minimi regolamentari, previsioni di liquidità, crescita dei ricavi, costi operativi e vari scenari riguardanti la qualità delle attività detenute da parte della banca). Più recentemente, la Commissione sembra aver posto meno enfasi su obiettivi quantificati e ha insistito maggiormente sulle misure comportamentali, tra le quali, in particolare, l’istituzione di procedure dettagliate di gestione del rischio di credito. Una questione chiave per il futuro è se la Commissione, quale custode delle norme sugli aiuti di Stato, rinvierà maggiormente alle valutazioni di redditività delle autorità di vigilanza (o di risoluzione) o se continuerà ad applicare le proprie stime.

22 Per H. Gilliams, Stress Testing the Regulator: Review of State Aid to Financial Institutions after the Collapse of Lehman, in European Law Rev., 2011, p. 17, tale previsione risulterebbe alla prova dei fatti troppo rigida, tant’è che “unsurprisingly the Commission has not always been able to fully enforce that rule”.

23 Più nel dettaglio, la banca beneficiaria dovrà astenersi dal porre in essere condotte suscettibili di accelerare il deflusso di fondi, quali: (a) versare dividendi su azioni o cedole su strumenti di capitale ibridi (o altri strumenti per i quali il pagamento di cedole è discrezionale); (b) riacquistare le proprie azioni o esercitare un'opzione call su strumenti ibridi di capitale; (c) riacquistare strumenti di capitale ibridi; (d) eseguire operazioni di gestione del capitale senza previa approvazione da parte della Commissione; (e) applicare pratiche commerciali aggressive; (f) acquisire partecipazioni in imprese; (g) fare pubblicità facendo riferimento al sostegno statale. In buona sostanza, quanto meno stringenti saranno gli accorgimenti posti in essere dall’istituto bancario per far fronte alla crisi nella fase di pre-ristrutturazione, tanto più saranno onerose le misure compensative richieste dalla Commissione nella fase di ristrutturazione vera e propria.

24 In particolare, è prevista la possibilità di sostituire l’amministratore delegato della banca e gli altri membri del consiglio di amministrazione, nonché di ridurre la remunerazione del management dell’istituto bancario applicando delle soglie massime non superabili, in conformità agli artt. 93 e 94 CRD IV.

25 La comunicazione prende in esame le potenziali distorsioni concorrenziali a cui possono dare origine gli interventi statali erogati nei confronti delle banche. Il fine ultimo è quello di evitare che gli aiuti di Stato protraggano precedenti distorsioni determinate da un comportamento eccessivamente imprudente e da modelli aziendali di rischio insostenibili, rinforzando in maniera artificiale il potere di mercato del beneficiario a scapito di operatori maggiormente “prudenti” e proprio per questo meno “penalizzati” dalla crisi. Ciò rischia di comportare, da un lato, la creazione di un moral hazard per i soggetti destinatari degli aiuti, dall'altro lato, la riduzione degli incentivi a competere, investire e innovare per tutti gli altri soggetti. Inoltre, gli aiuti di Stato possono mettere a repentaglio il mercato unico, «spostando una parte indebita degli oneri di adeguamento strutturale e dei relativi problemi sociali ed economici verso altri Stati membri, creando nel contempo barriere all'ingresso sul mercato e compromettendo gli incentivi per le attività transfrontaliere».

26 Per carenza di capitale si intende una carenza constatata mediante un esame del capitale, una prova di stress, un esame della qualità degli attivi o un esame equivalente a livello di Unione, di zona euro o di uno Stato membro, ove del caso confermato dalle autorità competenti.

27 Cfr. M. Liberati, La crisi del settore bancario tra aiuti di Stato e meccanismi di risanamento e risoluzione, in Riv. it. dir. pubbl. com., 6, 2015, pp. 1375 e ss. Le rilevanti misure di raccolta di capitali cui si fa riferimento nella Banking Communication comprendono, in particolare: (a) emissioni di diritti; (b) conversione volontaria di strumenti di debito non garantiti in capitale di rischio (equity) sulla base di un incentivo commisurato al rischio; (c) attività di gestione delle passività; (d) vendite di attivi e portafogli suscettibili di generare liquidità; (e) cartolarizzazione di portafogli al fine di generare capitale da attività non essenziali; (f) mancata distribuzione degli utili; e (g) altre misure volte a ridurre il fabbisogno di capitale, cartolarizzazione di portafogli non strategici e restrizioni degli utili dei dipendenti (parr. 35-39).

28 In questo senso ad es. la Comunicazione del 5 dicembre 2009 sugli schemi di ricapitalizzazione prevedeva sia la necessità di una remunerazione per la ricapitalizzazione che “incentivi di uscita” dalle misure di sostegno ed una revisione ogni 6 mesi delle misure. Si veda, pure, la Comunicazione di proroga degli aiuti del 2010 che stabilisce l’obbligo di presentare un piano di ristrutturazione per tutte le banche che beneficiano di sostegno statale nella forma di misure a favore del capitale o di sostegno a fronte di attività deteriorate indipendentemente dall’importo dell’aiuto.

29 G. Biagioni, Le novità della Commissione in materia di miglioramento e semplificazione delle procedure di notifica e controllo sugli Stati membri, in C. Schepisi (a cura di), La “Modernizzazione” della disciplina sugli aiuti di Stato. Il nuovo approccio della Commissione europea e i recenti sviluppi in materia di public e private enforcement, Torino, 2011, p. 82 s. Prima dell’approvazione di un piano di ristrutturazione, gli aiuti al salvataggio possono essere ammessi solo quando l’autorità di controllo competente conferma che ciò è necessario per preservare la stabilità finanziaria. In special modo, tale deroga potrà operare solo qualora: (i) tali misure si rivelino indispensabili per tutelare la stabilità finanziaria sulla base di un’analisi ex ante elaborata dall’autorità di vigilanza competente; e (ii) lo Stato membro presenti un piano di ristrutturazione entro due mesi dalla data di decisione di approvazione temporanea dell’aiuto. È comunque prevista una procedura semplificata per gli enti creditizi di piccole dimensioni, in favore dei quali la Commissione potrà autorizzare regimi di ricapitalizzazione e di ristrutturazione di durata pari a sei mesi. Tali regimi saranno applicabili solo ad un istituto con un bilancio totale inferiore a Euro 100 milioni. Con l’ulteriore condizione che la somma dei bilanci delle banche beneficiarie di aiuti nel quadro di ciascun regime non dovrà superare l’1,5% del totale degli attivi detenuti dalle banche nel mercato nazionale dello Stato membro interessato.

Per un’analisi dei vari scenari possibili, nonché dei casi nei quali è necessario presentare un piano di ristrutturazione, cfr. A. Bomhoff - A. Jarosz-Friis - N. Pesaresi, Restructuring banks in crisis - overview of applicable State aid rules, in Competition Policy Newsletter, 2009, pp. 3 e ss. Per un approfondimento sugli aspetti di maggiore problematicità presenti nei piani di ristrutturazione approvati nei primi anni della crisi, cfr. F.C. Laprévote, Selected issues raised by bank restructuring plans under EU State aid rules, in European State Aid Law Quart., 2012, n. 1, pp. 93 e ss.

30 Si tenga presente, tra l’altro, che fino al 2016, Amburgo e Schleswig-Holstein hanno detenuto l’85,4% della banca, direttamente o tramite HSH Finanzfonds.

31 In tal caso, l’autorizzazione è stata subordinata all’accettazione di impegni da parte della Germania, i principali dei quali erano: i) che la banca sarebbe stata divisa in una holding e in una controllata operativa; ii) che le azioni di HSH sarebbero state vendute attraverso una procedura di offerta aperta, non discriminatoria, competitiva e trasparente; iii) che dopo aver completato con successo la procedura di vendita, l’acquisizione di HSH sarebbe stata notificata alla Commissione per la valutazione ed eventuale approvazione.

32 Commissione Ue, State Aid Case: SA.52288 Sale of HSH Nordbank AG, reperibile al link http://ec.europa.eu/competition/elojade/isef/case_details.cfm?proc_code=3_SA_52288.

33 Cfr. punti da 95 a 101 della Decisione. Nel caso de quo la Commissione ha concluso che la vendita della partecipazione detenuta da HsH BM nella banca fosse avvenuta a condizioni di mercato, vale a dire attraverso una procedura di gara aperta e non discriminatoria volta a premiare l’offerente che aveva presentato l’offerta vincolante e credibile più elevata. Il che ha permesso di stabilire che nessun vantaggio fosse stato conferito agli acquirenti e che pertanto il salvataggio non comportasse, anche sotto questo punto di vista, la concessione di alcun aiuto di Stato.

34 La Commissione, che aveva dato il via libero provvisorio a HsH in un mese, ha avuto bisogno di oltre due anni per un “accordo di principio” (arrivato a ottobre 2015, quindi ben oltre l’agosto 2013) e di tre anni per il via libera definitivo. In tal modo alla banca tedesca è stato concesso un lasso tempo che le ha consentito di rimettersi in sesto: per la vendita dell’istituto si è dato tempo fino al febbraio 2018, una scadenza questa è ulteriormente rimandabile di sei mesi. Ai Länder azionisti è stato così concesso di mantenere il 25% del capitale della banca per altri quattro anni. Le condizioni di cessione dei crediti navali deteriorati non sono nel frattempo definite.

35 La banca di Hannover è stata trascinata a picco dal deteriorarsi di prestiti erogati al settore dei trasporti marittimi: di quasi 20 miliardi di finanziamenti concessi da Nord LB, un terzo si è trasformato in “non performing loans”.

36 La stessa banca era stata chiamata a rilevare integralmente un’altra landesbank in grave difficoltà, la Bremer (controllata al 55%). I crediti navali avevano già messo in ginocchio HSH Nordbank, scampata al burden sharing solo perché, con grande tempismo, la richiesta di nuove garanzie pubbliche era stata avanzata pochi giorni prima della stretta delle regole sugli aiuti di Stato varata dalla Commissione Ue nell’estate 2013.

37 Similmente a quanto verificatosi per Banca Carige, la ricerca di un investitore è risultata estremamente complessa. Uno dei motivi potrebbe essere dato dall’incentivo degli investitori ad aspettare fino all’imminente transazione per acquistare le banche claudicanti a condizioni più favorevoli.

38 Commissione Ue, Case SA.34381 (2012/N) – Restructuring aid to Norddeutsche Landesbank. Nel 2011 Nord Lb aveva ricevuto un sostegno di capitale di circa 500 milioni di EUR dalla Bassa Sassonia e di circa 100 milioni di EUR dalle associazioni delle casse di risparmio. Lo stress test EBA a livello dell’UE nel 2011 non aveva più tollerato che le “silenziose” partecipazioni detenute dallo Stato venissero classificate come strumenti di assorbimento delle perdite alla luce delle imminenti modifiche normative. Pertanto, questi strumenti hanno dovuto essere convertiti in capitale di base di livello 1 (“CET-1”) per un importo di 1,07 miliardi di EUR (Case SA.33571 (2011/N) – Kapitalstärkungsprogramm NORD/LB. Successivamente, in risposta all’obiettivo di capitale posto dall’UE di un rapporto CET-1 al 9%, come concordato dal Consiglio europeo nel 2011, i proprietari pubblici di Nord LB hanno proceduto nel 2012 alla conversione di ulteriori “partecipazioni silenziose”, finanziamenti aggiuntivi e al rilascio di una garanzia di sulle attività in bonis (che, tuttavia, non è stata attivata), mantenendo in tal guisa la proprietà pubblica dell’istituto. Le misure adottate nel 2012 sono state accompagnate da impegni di ristrutturazione conclusisi a dicembre 2016.

39 Si tenga presente che le comunicazioni legate alla crisi consentono alle banche soggette ad un piano di ristrutturazione di ricevere aiuti al salvataggio più di una volta, mentre gli orientamenti sul salvataggio e la ristrutturazione del 2004 stabiliscono il principio dell’aiuto una tantum.

40 La Germania ha presentato, nel contesto di una procedura di pre-notifica, il progetto di piano di ricapitalizzazione il 10 maggio 2019, compresa la proposta di conferimento di capitale diretto e varie altre misure, tra cui il rilascio di garanzie patrimoniali. Questi ultimi sono stati ulteriormente elaborati in una presentazione ricevuto il 23 maggio 2019. La procedura di valutazione degli aiuti di Stato da parte della Commissione, prevista dall’art. 108 TFUE e disciplinata dal regolamento n. 659/1999, prevede che la Commissione, dopo aver ricevuto la notifica dell’aiuto da parte di uno Stato membro e aver effettuato una valutazione preliminare, ove nutra dubbi sulla compatibilità con il mercato comune, possa avviare un esame formale, all’esito del quale può escludere la natura di aiuto di Stato della misura oppure considerarla tale e stabilirne la compatibilità o meno con il mercato comune.

41 Commissione Europea, Market-conform measures for strengthening capital and restructuring of Norddeutsche Landesbank, SA.49094 (2019/N), 05-12-2019.

42 V., ad esempio, sentenza della Corte di giustizia del 21 marzo 1990, Belgio / Commissione (“Tubemeuse”), C-142/87, ECLI: EU: C: 1990: 125, punto 29; Sentenza della Corte di giustizia del 21 marzo 1991, Italia / Commissione ("ALFA Romeo"), C-305/89, ECLI: EU: C: 1991: 142, punti 18 e 19; Sentenza del Tribunale del 30 aprile 1998, Cityflyer Express / Commissione, T-16/96, ECLI: EU: T: 1998: 78, punto 51; Sentenza del Tribunale del 21 gennaio 1999, Neue Maxhütte Stahlwerke e Lech-Stahlwerke / Commissione, cause riunite T-129/95, T-2/96 e T-97/96, ECLI: EU: T: 1999: 7, paragrafo 104; Sentenza del Tribunale del 6 marzo 2003, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein-Westfalen / Commissione, cause riunite T-228/99 e T-233/99, ECLI: EU: T: 2003: 57.

43 Il piano prevede una cura drastica da attuarsi attraverso la riduzione di un terzo degli assets e il dimezzamento dei costi, ipotizzando che così nel 2024 la banca arrivi ad avere un Roe del 7% e un Cet1 del 15%. Il Roe prospettico calcolato per Nord Lb risulta infatti paragonabile a quello dei competitor domestici ed europei, che in tali valutazioni fungono da bechmark. Per quanto riguarda le garanzie fornite dalla Bassa Sassonia, la valutazione della Commissione ha dimostrato che le commissioni pagate dalla banca sono in linea con i tassi di mercato praticati per tale tipo di protezione e, quindi, con la remunerazione che un investitore privato in un’economia di mercato accetterebbe di ricevere.

44 Il piano di salvataggio statale per complessivi 3,7 prevede l’iniezione di capitali pubblici da parte dello Stato della Bassa Sassonia (che fornirà capitali per 1,7 miliardi e si impegna a prestare garanzie su eventuali altre perdite quantificate in circa 800 milioni di euro), e un contributo elargito dalle casse locali forniranno i restanti altri 1,2 miliardi di euro.

45 La Commissione osserva che la detenzione di azioni di per sé non è un'attività economica, quando dà luogo solo all'esercizio dei diritti connessi allo status di azionista, compreso il diritto a percepire dividendi (p.to 195 della Decisione).

46 V. p.ti 196-198 della Decisione.

47 V. p.ti 210-211 della Decisione.

48 La BCE aveva previamente approvato il piano di ricostituzione del capitale della banca per quanto concerne il ripristino dei requisiti prudenziali imposti dal quadro CRDIV-CRR. La BCE ha strettamente seguito e supervisionato il processo di sviluppo del piano di ristrutturazione e, dopo aver valutato le misure di conservazione del capitale e di riorganizzazione aziendale della banca, ha concluso che erano state fornite prove sufficienti a comprovare le proiezioni ivi stabilite. La decisione della Commissione europea, pur determinante, non è comunque l’ultimo passo. Affinché il meccanismo di salvataggio si metta in moto, deve seguire l’approvazione del piano da parte dei due Parlamenti regionali.

49 In una decisione della Commissione Ue del 20 ottobre 2004, C(2004) 3926, riguardante la stessa banca, si legge che «L’esistenza di un aiuto può essere accertata soltanto verificando se il prezzo pagato dal beneficiario della misura corrisponda al prezzo di mercato. Quando fondi pubblici e altri attivi vengono utilizzati per attività commerciali svolte in concorrenza con altri operatori, le regole normali dell’economia di mercato devono essere applicate”.

50 In particolare, una valutazione delle iniezioni di capitale è possibile solo dopo che la remunerazione di qualsiasi altra misura contemplata nel piano sia stata ritenuta in linea con il suddetto principio e contabilizzata di conseguenza nel piano aziendale.

51 Si veda, al riguardo, ciò che la Corte di giustizia ha dichiarato nella sentenza Stardust Marine (Caso 482/99), cit., p.to 71: “Nella fattispecie, è incontestato tra le parti che, per stabilire se lo Stato abbia adottato o no il comportamento di un investitore avveduto in un’economia di mercato, occorre porsi nel contesto dell’epoca in cui sono state adottate le misure di sostegno finanziario al fine di valutare la razionalità economica del comportamento dello Stato e occorre quindi astenersi da qualsiasi valutazione fondata su una situazione successiva”. Fra le altre si segnala l’interpretazione fornita nelle Conclusioni dell’AG Jacobs nelle cause riunite C-278/92, C-279/92 e C-280/92, Spagna c. Commissione, in Racc., 1994, I-4103, p.to 28, ove si precisa che “È erogato un aiuto statale ogni volta che uno Stato membro mette a disposizione di un’impresa fondi che nel naturale corso degli eventi un investitore privato, che applichi criteri commerciali ordinari senza tener conto di fattori sociali, politici o filantropici, non avrebbe fornito”. Secondo l’interpretazione fornita da M. Ebner e E. Gambaro, La nozione di aiuto di Stato, in A. Santa Maria (a cura di), Concorrenza e aiuti di Stato. Un osservatorio sulla prassi comunitaria, Giappichelli, Torino, 2006, p. 28, “ il criterio relativo al comportamento di un investitore privato non è altro che un corollario del principio della parità di trattamento fra proprietà pubblica e privata, di cui all’art. 295 CE, in forza del quale i capitali messi a disposizione di un’impresa, direttamente o indirettamente, da parte dello Stato, in circostanze che corrispondono alle normali condizioni di mercato, non possono essere considerati aiuti di Stato”. Per un’esatta determinazione del contenuto precettivo di tale principio e delle metodologie utilizzate dalla Commissione per verificarne il rispetto, cfr. P. Mengozzi, Il principio dell’investitore in una economia di mercato e i valori del diritto comunitario, in Riv. dir. eur., 1995, pp. 19 e ss.; Malinconico, Aiuti di stato, in M.P. Chiti e G. Greco, (a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo, Giuffrè, Milano, 1997; B. Slocock, The market economy investor principle, in Competion Policy Newsletter, 2, 2002, p. 23 ss.; G. Karydis, Le principe de l’“opérateur économique privé”, critère de qualification des mesures étatiques, en tant qu’aides d’Etat, au sens de l’article 87 par. 1 du Traité CE, in Rev. trim. droit eur., 2003, pp. 389 e ss.; M. Parish, On the private investor principle, in Eur. law rev., 2003, pp. 70 e ss.; C.F. Ghelarducci e M. Capantini, Gli aiuti di stato e il principio dell’investitore privato negli orientamenti della Commissione e nella giurisprudenza comunitaria, in A. MASSERA (a cura di), Il diritto amministrativo dei servizi pubblici tra ordinamento nazionale ed ordinamento comunitario, Pisa, plus, 2004, pp. 127 e ss.; H.W. Friederiszick e M. Troge, Applying the Market Economy Investor Principle to State Owned Companies - Lessons learned from the German Landesbanken Cases, in EC Competition Policy Newsletter, 2006, pp. 105 e ss.; A. Pagano, Sull’applicazione del criterio dell’investitore privato operante in un’economia di mercato, in DPCE, 2010, 3, pp. 1282 e ss.; M. Kohler, New Trends Concerning the Application of the Private Investor Test, in European State Aid Law Quarterly, 1, 2011, pp. 21 e ss.; P. De Luca, Il criterio dell’investitore privato in economia di mercato: il caso Commissione c. Electricité de France (Edf), in Merc. conc. reg., 3, 2012, pp. 519 e ss.; R.F. Balducci, Lo stato può investire nel capitale di imprese pubbliche anche per mezzo di esenzioni fiscali: è la fine del “market economy investor principle” in DPCE, 2012, pp. 1710 e ss.; F. Laprévote - M. Paron, The Commission’s Decisional Practice on State Aid to Banks: An update, in ESTAL, I, 2015, pp. 92 e ss.

52 Cfr. Corte UE, 21 marzo 1990, causa C-142/87, Regno del Belgio/Commissione, c.d. Tubemeuse, Racc., I-959, p.to 25; 16 maggio 2002, causa C-482/99, Repubblica Francese/Commissione (Stardust Marine), Racc., I-4397, p.to 68; 24 luglio 2003, causa C-280/00, Altmark Trans GmbH e Regierungspräsidium Magdeburg, Racc., I-7747, p.ti 74 e 75.

53 Tribunale Ue, sent. 19 marzo 2019, cause riunite T-98/16, T-196/16 e T-198/16, avverso la Decisione della Commissione Ue del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA. 39451 (2015/C) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas, in www.ec.europa.eu. In dottrina cfr. G. Brancadoro, La sentenza Tercas in tema di aiuti di stato: è necessaria una rilevazione di dati concreti e univoci nelle operazioni sotto esame, in Federalismi, Editoriale, n. 8/2019, pp. 1 e ss.; D. Domenicucci, Il salvataggio di banca Tercas non è un aiuto di stato secondo il Trubunale dell’Unione europea, in Eurojus, 3/2019, pp. 174 e ss.; N. Spadaro, Aiuti di Stato alle banche. Il Tribunale di primo grado dell’UE apre la strada ad un’interpretazione meno rigorosa da parte della Commissione, in Riv. reg. merc., n. 2, 2019, pp. 263 e ss.; A. Vignini, State Aid and Deposit Guarantee Schemes. The CJEU Decision on Tercas and the role of DGSs in banking crises, in The role of the CJEU in shaping the Banking Union: notes on Tercas (T-98/16) and Fininvest (C-219/17), Quaderni di Ricerca Giuridica della Consulenza Legale, Banca d’Italia, n. 85, 2019, pp. 9 e ss.; S. Maccarone, La sentenza del Tribunale europeo sul caso Tercas, in Bancaria, 3, 2019; Grossule, Crisi bancarie ed intervento del FITD: prime considerazioni sulla sentenza Tercas, in www.dirittobancario.it, 21 marzo 2019; D. Rossano, Il Tribunale Ue boccia la Commissione europea sul caso Tercas, in Riv. trim. dir. eco., II, 2019, pp. 22 e ss.; F. Ferraro, Il Tribunale dell’Unione riconsidera la decisione sul caso Tercas in tema di aiuti(non) di Stato alle banche, in I Post di Aisdue, I, 2019; C. Buzzacchi, Il fondo interbancario nel caso Tercas e la tutela del risparmio: mandato pubblico o privato?, in Riv. Reg. Merc., n. 2, 2018, pp. 279 e ss.; S. Amorosino, La Commissione europea e la concezione strumentale di “mandato pubblico” (a proposito del “caso FITD/Tercas” – Sentenza del Tribunale UE 19 marzo 2019), in Dir. banca merc. finan., n. 2, 2019, p. 364 ss.; L. Scipione, Aiuti di Stato, crisi bancarie e ruolo dei Fondi di garanzia dei depositanti, in Giur. comm., n. 1, 2020, pp. 184 e ss.

54 Ciò nondimeno, il Tribunale non manca di osservare che, specularmente al rischio di sotto-inclusione, esiste anche un rischio di sovra-inclusione, laddove vengano considerati aiuti di Stato vantaggi che non siano imputabili allo Stato o che non comportino l’utilizzo di risorse statali. Sul rischio di sotto-inclusione, sentenza del 16 maggio 2002, Francia/Commissione (C-482/99, EU:C:2002:294, p.to 23), nota anche come “sentenza Stardust”, e, sul rischio di sovra-inclusione, conclusioni dell'avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella causa ENEA (C-329/15, EU:C:2017:233, punti 68 e 69), e da ultimo sent. Tercas, p.to 65.

55 M. Parish, On the private investor principle, in European Law Review, 2003, pp. 70 e ss.

56 Nel caso Züchner (Corte Ue, Caso 172/80 Züchner v. Bayerische Vereinsbank [1981] ECR I-02021, parr. 6-8), la Corte di giustizia chiarì che le istituzioni finanziarie non possono essere considerate alla stregua delle imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale e, conseguentemente, non sono esenti dall’applicazione del diritto della concorrenza. La Commissione, alla luce di tale pronuncia, cominciò a gestire il rapporto tra gli interventi statali e le istituzioni finanziarie in maniera rigorosa: era prassi consolidata fare riferimento alla generale disciplina contenuta negli “Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà” (c.d. Rescue and Restructuring Guidelines), in GUUE C 244 del 1° ottobre 2004, p. 2.

57 Nel salvataggio del Crédit Lyonnais la prima misura, venne considerata aiuto di Stato illegittimo e incompatibile con il mercato interno, dato che l’iniezione di capitale era avvenuta in violazione del MEIP. Le autorità pubbliche francesi erano intervenute in assenza di un’analisi ex ante del bilancio della banca e di un piano di ristrutturazione in grado di dimostrarne la capacità dell’istituto creditizio di tornare ad essere redditizio in un ragionevole periodo di tempo. In seconda battuta, la Commissione si pronunciò sul trasferimento delle attività deteriorate ad una società veicolo; anche in questo caso dichiarò l’illegittimità di tale operazione, giacché essa risultava essenziale per la sopravvivenza dell’intermediario, prevedeva una durata troppo lunga, nonché un alto livello di rischio non adeguatamente remunerato. Per un primo commento in dottrina cfr. N. Pesaresi - C. La Rochefordiere, Crises bancarie: un bilan de l’application des règles de concurrence en matière d’aides d’Etat. Lecons de la crise du Crédit Lyonnais, in Competition Policy Newsletter, 2000, 3, pp. 12 e ss. L’autorizzazione agli aiuti poi concessa dalla Commissione Ue (Decisione del 20 maggio 1998 concernente gli aiuti accordati dalla Francia al gruppo Crédit Lyonnais, in GUCE L 221, 8 agosto 1998, pp. 28 e ss.) non escludeva la ristrutturazione dell’ente creditizio in generale, dovendosi conciliare il sostegno statale con la politica di concorrenza e liberalizzazione del mercato bancario nell’ambito della Comunità europea. Oltre all’utilizzo del MEIP, la decisione della Commissione faceva puntuale applicazione dei requisiti previsti negli “Orientamenti del 1994” esigendo, pertanto, che sussistessero: i) un piano di ristrutturazione fondato su ipotesi realistiche di redditività minima attesa dei capitali investiti e di recupero a lungo termine della redditività economico-finanziaria dell’impresa; ii) contropartite idonee a compensare l’effetto distorsivo (dell’aiuto) sulla concorrenza, come cessioni di attivi e chiusure di filiali; iii) il rispetto del principio di proporzionalità; iv) l’attuazione integrale del piano di ristrutturazione, con la garanzia dello Stato di svolgere un’attività di monitoraggio e vigilanza adeguata sulla corretta esecuzione della decisione della Commissione.

58 Commissione Ue, Decisione 2000/600/EC del 10 novembre 1999, che approva in via condizionata l’aiuto concesso dall’Italia alle banche pubbliche Banco di Sicilia e Sicilcassa (GUCE L 256 del 10.10.2000, p. 21), p.to 60.

59 Cfr. P. Rossi - V. Sansonetti, Survey of State Aid in the Lending Sector – A Comprehensive Review of main State Aid cases’, in Società Italiana di Diritto ed Economia, 2007, p. 8 s. Nel caso di specie, il piano di salvataggio elaborato dalla Banca centrale spagnola prevedeva un aumento di capitale sottoscritto dal Fondo di garanzia dei depositi. La Commissione stabilì che la transazione era conforme al MEIP, visto che al Fondo partecipavano su base volontaria banche private che finanziavano la maggior parte delle sue risorse.

60 Corte Ue, caso C-142/87 Belgium v Commissione (“Tubemeuse”), in Racc. 1990, I-959, par. 26.

61 A tal proposito A. Canepa, Il difficile equilibrio fra concorrenza e aiuti di stato nella crisi: ruolo e scelte della Commissione nel settore bancario, cit., p. 17, nell’individuare le condizioni, strettamente dipendenti dalle peculiarità del settore bancario, di inapplicabilità del criterio in esame rileva: “a) la difficoltà di avere un investitore in grado di mettere a disposizione un elevato ammontare di risorse quale quello necessario per i salvataggi delle banche b) la diversificazione di interventi realizzati e la conseguente assunzione di livello di rischio c) la rapidità di attuazione delle misure”.

62 La Commissione ha spiegato che “è necessario distinguere tra l’applicazione del test MEIP e il rispetto dei criteri Altmark. Mentre entrambi i test servono a valutare l’esistenza di un vantaggio per il beneficiario, fanno chiaramente riferimento ai diversi ruoli che le autorità pubbliche possono assumere quando adottano misure finanziarie a favore di una determinata impresa”.

63 Corte di giustizia, sentenza del 14 settembre 1994, cause riunite da C-278/92 a C-280/92, Spagna c. Commissione, par. 22. Si vedano anche Corte di Giustizia, sentenza del 5 giugno 2012, causa C-124/10 P, Commissione c. EDF, e Tribunale dell’Unione europea, sentenza del 17 dicembre 2008, causa T-196/04, Ryanair, par. 85.

64 Cfr. C. Ahlborn e D. Piccinin, The Application of the Principles of Restructuring Aid to Banks During the Financial Crisis, in European State Aid Law Quarterly, 1/2010, pp. 47 e ss.; A. Tonetti, La disciplina comunitaria e globale degli aiuti a favore del sistema bancario, in Giorn. dir. amm., 2009, 6, pp. 659 e ss.; V. Giglio, Gli aiuti di Stato alle banche nel contesto della crisi finanziaria, in Merc. conc. reg., 1, 2009, pp. 23 e ss. J. Doleys Thomas, Managing State Aid in Times of Crisis: The Role of the European Commission, Paper presented at the ECPR Fifth Pan-European Conference on EU Politics, June 23-26, 2010, University of Oporto and University of Fernando Pessoa, Porto, Portugal; S. Gebski, Competition first? Application of State aid rules in the banking sector, in Comp. Law Rev., 6, 2009, p. 103.

65 CGUE, causa T-296/97, Alitalia / Commissione, par. 100.

66 Sul punto la Corte ha inoltre sottolineato che quando l’apporto di capitale di un investitore pubblico non tiene conto di alcuna prospettiva di redditività, anche a lungo termine, tale contributo deve essere considerato un aiuto ai sensi dell’art. 107 del TFUE e la sua compatibilità con il mercato interno deve, di conseguenza, essere valutata alla luce dei criteri pertinenti. Per un caso da manuale si veda Commissione europea, decisione 2005/145, che la Francia ha concesso un aiuto incompatibile a Electricite de France [EDF] e la successiva nuova decisione 2016/154 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016D0154&from=EN.

67 La necessità di una valutazione ex ante è stata sottolineata nella sentenza del Tribunale del 18 settembre 2018, causa T-93/17, Duferco contro Commissione europea. Il MEIP dovrebbe essere applicato ex ante, vale a dire che si dovrebbe determinare se al momento dell’investimento un investitore privato in un’economia di mercato avrebbe valutato positivamente il versamento di un contributo di capitale. Un investitore del mercato prenderebbe debitamente in considerazione i rischi associati all'investimento, in modo da richiedere una maggiore redditività in presenza di investimenti più rischiosi. Se, ad esempio, requisiti regolamentari specifici, come il capitale minimo o la liquidità, rendono l’investimento non redditizio, un investitore operante in un’economia di mercato non procederebbe con gli investimenti.

68 V. la decisione della Commissione SA.36574 su presunti aiuti di Stato concessi dalla Francia ad Altrad, http://ec.europa.eu/competition/state_aid/cases/258693/ 258693_1686915_85_4.pdf., parr. 44 s. Se la società da ricapitalizzare è in una posizione finanziaria precaria, un investitore in un'economia di mercato avrebbe richiesto l'attuazione di un piano per ripristinare la redditività dell'impresa, in modo che la società potesse fornire un rendimento sufficiente per i suoi azionisti.

69 Al riguardo la Commissione osserva che la Nord Lb aveva avviato un processo di vendita privata nel 2018 che era stato sospeso nel gennaio 2019 a favore della soluzione del settore pubblico. Dato che questo processo aveva avuto luogo prima dell’elaborazione del piano aziendale come notificato e che, in ogni caso, non si era proceduto alla fase delle offerte vincolanti incondizionatamente, la Commissione ha ritenuto che non avesse rilevanza per la valutazione delle misure notificate (p.to 111 della Decisione).

70 Le autorità tedesche, infatti, prima di varare il piano pubblico hanno respinto una proposta privata, avanzata dai fondi Cerberus e Centerbridge. Come se non bastasse, il premier della Bassa Sassonia Stephan Weil ha definito l’operazione dei Länder «la migliore opzione possibile». Quindi, per ammissione delle stesse autorità pubbliche, il salvataggio non è avvenuto «a condizioni di mercato».

71 Sul tema, si rinvia a Corte di giustizia, sentenza del 24 gennaio 2013, causa C-73/11 P, Frucona Košice c. Commissione e A. NUCARA, In Search of the Holy Grail of a Hypothetical Private Creditor, in European State Aid Law Quarterly, 2014, p. 80. Per un’ampia disamina delle diverse fattispecie di aiuto, si veda M. ORLANDI, Gli aiuti di Stato nel diritto comunitario, ESI, Napoli, 1995.

72 Si pensi al caso in cui vi sono opzioni limitate per recuperare i propri investimenti e le azioni alternative possono risultare più costose.

73 Cfr. M. KÖHLER, New Trends Concerning the Application of the Private Investor Test, in European State Aid Law Quarterly, 2011, pp. 21 e ss.

74 Nell’arco della crisi finanziaria l’istituto danese aveva beneficiato di alcune misure adottate dal governo della Repubblica di Danimarca (un apporto di capitale e una garanzia statale su nuove passività) per garantire la stabilità del settore bancario, valutate compatibili con il mercato interno da parte della Commissione europea. Successivamente, al fine di far fronte alla mancanza di liquidità che si ricollegava alla scadenza delle obbligazioni, il governo danese era nuovamente intervenuto in favore di FIH attraverso un pacchetto articolato di misure che nel dettaglio prevedeva: i) il trasferimento di prestiti immobiliari e prodotti derivati in NewCo, una controllata di FIH Holding costituita ad hoc; ii) un finanziamento a FIH da parte della Financial Stability Company (FSC), un ente di diritto pubblico danese creato nell’ambito della crisi finanziaria; iii) l’acquisto delle partecipazioni in NewCo da parte di FSC; iv) la concessione di due prestiti da FIH a NewCo, in modo da assorbire le perdite di questa; v) la liquidazione di NewCo; vi) il rilascio di una garanzia illimitata da parte di FIH Holding nei confronti di FSC, per permettere a quest’ultima di recuperare le perdite eventualmente subite a seguito dell’acquisto e della liquidazione di NewCo. Nel valutare la compatibilità delle misure contenute nel piano di ristrutturazione con il regime degli aiuti di Stato, la Commissione (Decisione 2014/884/UE dell’11 marzo 2014 relativa all’aiuto di Stato SA. 34445 (12/C) al quale la Danimarca ha dato esecuzione per il trasferimento di attività patrimoniali da FIH a FSC) concluse nel senso che il criterio dell’investitore privato in economia di mercato non fosse stato rispettato (par. 108).

75 Tribunale Ue, 15 settembre 2016, causa T-386/14, FIH Holding e FIH Erhvervsbank c Commissione, parr. 57 e s., secondo cui un operatore economico, che ha concesso previamente alla società interessata un apporto di capitale e una garanzia, “è paragonabile più a un creditore privato che mira a minimizzare le sue perdite che non ad un investitore privato che punta a massimizzare la redditività del capitale che può investire dove desidera. […] Può essere razionale per un operatore economico, che ha partecipazioni al capitale di una società alla quale ha concesso una garanzia, adottare misure che implichino un certo costo, qualora queste permettano di ridurre notevolmente, se non di eliminare, il rischio di perdita del suo capitale o di escussione della garanzia”. In ragione di ciò, il Tribunale giunse alla conclusione che la Commissione avesse applicato un criterio di verifica giuridico errato, annullando pertanto la decisione impugnata.

76 Corte di giustizia, sentenza del 28 gennaio 2003, causa C-344/99, Germania c. Commissione, parr. 133-141. Si consideri che nelle Conclusioni dell’AG Szpunar presentate il 28 novembre 2017, causa C-579/16 P, Commissione c. FIH Holding e FIH, parr. 55-57.

77 Si veda Corte di giustizia, sentenza del 24 ottobre 2013, cause riunite C-214/12 P, C-215/12 P e C-223/12 P, Land Burgenland e altri c. Commissione, par. 50-56.

78 Corte di giustizia, sentenza del 3 aprile 2014, causa C-224/12 P, Commissione c. Paesi Bassi e ING Groep, parr. 34 s. Sul caso si rinvia a A. Canepa, Aiuti di stato alle banche ed ambito di applicazione del criterio dell’investitore privato, in DPCE, 2014, pp. 1366 e ss.

79 Per completezza, sembra utile dar conto anche di un orientamento piuttosto discutibile registratosi nel caso BP Chemicals In tale circostanza, il Tribunale europeo (sentenza del 15 settembre 1998, causa T-11/95, BP Chemicals c. Commissione, par. 170) aveva riutilizzato parte di una precedente sentenza, ove lo stesso collegio affermava che il solo fatto che un’impresa pubblica abbia già effettuato apporti di capitale qualificati come aiuti di Stato a favore di una controllata non esclude, in linea di principio, la possibilità che un’ulteriore immissione di risorse possa essere qualificato come investimento che soddisfa ipso iure il MEIP. In realtà, nel richiamarsi a tale teorema, i giudici europei avevano (coscientemente) omesso di considerare la parte restante di tale decisum, ove invece si giungeva a disconoscere la validità di un simile automatismo dovendo constatare che, nel caso in esame, i primi due apporti di capitale non avevano prodotto alcuna redditività e che, pertanto, la verifica del MEIP dovesse considerarsi disattesa.

80 A questo interrogativo ha risposto la Corte di giustizia, 6 marzo 2018, causa C-579/16 P, Commissione / FIH Holding, che ha annullato la sentenza di primo grado e ha rinviato la causa al Tribunale per decidere un problema che non era stato preso in considerazione dal giudice di prime cure. Nella sua sentenza, la Corte ha ribadito ed elaborato il principio esposto per la prima volta nella causa Land Burgenland [C-214/12 P] secondo cui gli aiuti passati devono essere ignorati dall’autorità che agisce come investitore privato: “[…] il semplice fatto che un’impresa pubblica abbia già effettuato iniezioni di capitale in una controllata classificata come aiuto non significa automaticamente che un ulteriore conferimento di capitale non possa essere classificato come investimento che soddisfa il test dell’investitore in economia di mercato”. Respingendo l’orientamento formulato dal Tribunale, la Corte afferma, dunque, il principio, opposto, secondo cui ogni iniezione di risorse deve essere valutata in base alle sue prospettive di redditività in futuro e non in base al denaro concesso in passato.

81 Tribunale Ue, 19 settembre 2019, causa T ‑ 386/14 RENV, FIH c. Commissione europea, p.to 112. Sebbene l’esposizione economica di uno Stato membro derivante dalla precedente concessione di aiuti di Stato e il suo desiderio di proteggere i suoi interessi economici non siano presi in considerazione nella valutazione, ai sensi dell’art. 107, par. 1, TFUE, dell’esistenza degli aiuti di Stato, resta il fatto che “tali considerazioni possono essere prese in considerazione nella valutazione, ai sensi dell'articolo 107, paragrafo 3, TFUE, della compatibilità di eventuali misure di aiuto successive con il mercato interno e possono quindi indurre la Commissione a ritenere, come nel caso di specie, che la misura è compatibile con il mercato interno” (p.to 113).

82 L’investimento da parte del DSGV viene effettuato tramite due veicoli di investimento, FIDES Delta GmbH e FIDES Gamma GmbH. Entrambe le entità sono controllate dal DSGV nella sua funzione di IPS per il settore delle Casse di risparmio. La suddivisione in due veicoli di investimento è dovuta alla differenziazione interna dell’IPS tra il Fondo di sostegno di Landesbanken e Girozentralen (“Sicherungsreserve”, finanziamento FIDES Delta) e il Fondo di sostegno della Cassa di risparmio (“Sparkassenstützungsfonds”, finanziamento di FIDES Gamma).

83 Il sistema tedesco sembra riconducibile al genus privatistico previsto in Italia. Il modello germanico si caratterizza, infatti, per la presenza di molteplici DGS, alcuni di natura obbligatoria (come il Sicherungseinrichtung des Bundesverband der Deutschen Volksbanken und Raiffeisenbanken BVR) ed altri di natura volontaria (Deutscher Sparkassen und Giroverband Sicherungseinrichtung - DSGS). Nel panorama dell’UE, infatti, i DGS presentano in prevalenza modalità di funzionamento e processi decisionali caratterizzati da un penetrante coinvolgimento delle autorità pubbliche. Ad esempio, in Francia gli interventi di sostegno sono decisi direttamente dall’Autorité de controle prudentiel et de Résolution, senza alcuna partecipazione del Fondo. In Olanda, i fondi operano sotto il controllo esclusivo della Banca Centrale olandese, pertanto vi è un’imputabilità automatica delle decisioni allo Stato.

84 Per vero, l’Esecutivo europeo era giunto alle medesime conclusioni in altri casi (Danimarca, Polonia e Spagna), sostenendo con argomentazioni analoghe che l’intervento dei DGS anche in tali ordinamenti sia in realtà imputabile allo Stato. Cfr., a tal proposito, Commissione Ue, State aid n. 407/2010 – Danish winding up scheme; State aid SA.37425 (2013/N) – Poland Credit Unions Orderly Liquidation Scheme; State aid NN 61/2009 – Spain, Rescue and restructuring of Caja Castilla-La Mancha; State aid SA.34255 (2012/N) – Spain Restructuring of CAM and Banco CAM. Al contrario, con riferimento ad una banca danese, l’intervento in forma di garanzia da parte di un’associazione privata di banche (Det Private Beredskab) non è stato considerato aiuto di Stato poiché la partecipazione delle banche all’associazione era del tutto volontaria, gestita da organi da queste nominati ove, per ogni decisione, ciascuna internediario aveva diritto di veto, senza, dunque, alcuna interferenza da parte del Ministro delle finanze (State aid NN 36/2008 – Denmark, Roskilde Bank A/S).

85 Per un interessante excursus della storia della regolamentazione europea degli Schemi di garanzia dei depositi v. Brescia Morra, The Third Pillar of the Banking Union and its Troubled Implementation, in M.P. Chiti - V. Santoro (a cura di), The Palgrave Handbook of the European Banking Union Law, New York, USA, Palgrave Macmillan, 2019, pp. 394 e ss.

86 Diffusi soprattutto in Germania (Sparkassen e Volksbanken), Austria (banche Raiffeisen) e Spagna (Casse di risparmio), i suddetti dispositivi differiscono sia dai gruppi bancari, sia dai network di banche. In particolare, in Germania esistono sei diverse tipologie di DGS. Per i settori delle banche private e di quelle pubbliche esistono sistemi sia obbligatori sia volontari, costituiti su iniziativa delle rispettive associazioni di categoria. I primi garantiscono un massimo di copertura pari al livello comunitario armonizzato di 100.000 euro per depositante; i secondi integrano la tutela fornita dai sistemi obbligatori fino a offrire una copertura integrale ai depositanti. Infine, lo schema di garanzia per le casse di risparmio (Deutscher Sparkassen und Giroverband Sicherungseinrichtung) ha natura volontaria, mentre quello istituito dall’associazione delle banche di credito cooperativo (Sicherungseinrichtung des Bundesverband der Deutschen Volksbanken und Raiffeisenbanken ‐ BVR) è di tipo obbligatorio per tutte le banche aderenti alla BVR; entrambi sono degli Institutional Protection Scheme (IPS) e presentano la caratteristica di poter gestire interventi di sostegno alla liquidità e alla solvibilità degli istituti aderenti, avvalendosi dei relativi fondi o attraverso il ricorso a processi di concentrazione. mentre il mandato del Fondo obbligatorio è limitato al rimborso dei depositanti, per lo schema volontario il raggio di azione è più ampio e si configura un coinvolgimento attivo nella risoluzione della banca in dissesto.

87 È interessante notare che l’IPS può esercitare un’influenza sugli enti partecipanti; ad esempio, emanando delle raccomandazioni, praticando delle multe nel caso di mancato rispetto degli impegni, fino all’espulsione nei casi più gravi. È fatto divieto, tuttavia all’IPS di intromettersi nell’autonoma gestione dei singoli istituti partecipanti. Un modello alternativo è costituito dai gruppi bancari centrali dei sistemi di credito cooperativo. In tali strutture sull’altare di un rafforzamento patrimoniale si sacrifica l’autonomia delle banche partecipanti, sarebbe a dire che la sfera della loro capacità decisionale viene ceduta anche riguardo alle politiche di allocazione del credito. A questa forma ibrida di gruppo bancario e IPS, peraltro già presente in Austria (Erste Group e RZB Group) e in Spagna (Grupo Cooperativo Cajamar), si è ispirato il legislatore italiano in occasione della riforma del credito cooperativo attuata con la legge 49/2016.

88 Con riferimento alla costituzione di tali Schemi, se l’IPS è formato solo da enti non significativi la procedura di valutazione del rispetto dell’art. 113, par. 7, CRR sarà in capo all’ANC. Se invece nella compagine dell’IPS saranno presenti solo enti significativi, allora la responsabilità competerà alla BCE. La vigilanza su tali operatori spetta all’ANC, se l’IPS non assume una forma mista e se, oltre ad enti non significativi, vi facciano parte anche enti significativi (oltre i 30 miliardi di euro di assets). Ad ogni buon grado, nei casi misti, è richiesto un coordinamento tra la ANC e la BCE. Per vero, non esistono dei criteri oggettivi che gli IPS debbono rispettare. La valutazione è quindi lasciata agli organi di vigilanza. Solo due anni dopo la nascita dell’Unione bancaria, la Banca Centrale Europea, Guida sull’approccio per il riconoscimento dei sistemi di tutela istituzionale a fini prudenziali, luglio 2016, ha esplicitato alcuni requisiti regolamentari che un IPS deve rispettare per poter essere riconosciuto.

89 Sono le stesse autorità tedesche ad indicare che gli attuali azionisti e il DSGV devono avere un approccio diverso dal punto di vista MEIP, e a sottolineare inoltre che un investitore privato prenderebbe in considerazione la rischiosità del business e la solidità del piano aziendale.

90 Pertanto, l’adesione ad un IPS determina diversi vantaggi per le banche partecipanti: 1) alle esposizioni verso gli altri partecipanti all’IPS è assegnata una ponderazione per il rischio pari a zero. In altri termini, tali esposizioni non implicano un assorbimento di capitale alla luce delle regole di Basilea. Come conseguenza diretta del rilascio di un’autorizzazione ai sensi dell’art 113, par. 7, CRR, gli enti autorizzati all’utilizzo del metodo IRB possono applicare in via permanente il metodo standardizzato a tali esposizioni (art. 150, par. 1, lett. f), CRR); 2) alle esposizioni verso gli altri partecipanti all’IPS non si applicano i limiti verso le grandi esposizioni, previsto dall’art. 395, par. 1, CRR; 3) è prevista l’esenzione dalla deduzione di strumenti di fondi propri prevista all’art. 49, par. 3, CRR a fronte della partecipazione di minoranza nell’IPS; 4) è presente una deroga, sulla base dell’art. 8, par. 4, CRR, all’applicazione dei requisiti di liquidità previsti da Basilea III (liquidity coverage ratio - LCR); è applicata una percentuale di deflusso più bassa e di afflusso più elevata ai fini del calcolo del requisito di copertura della liquidità di Basilea III (net stable funding ratio - NSFR) ai sensi dell’art. 422, par. 8 e dell’art. 425, par. 4, CRR (in deroga a quanto previsto dal comma 2. lett. g) dello stesso articolo), in combinato disposto con gli artt. 29 e 34 dell’atto delegato sul requisito di copertura della liquidità.

91 A tal proposito v. T. Stern, Regulating Liquidity Risks within “Institutional Protection Schemes, in Beijing Law Review, 2014, n. 5, pp. 216 e ss. che si è espresso in questi termini: “la decisione del legislatore europeo di non estendere la regolamentazione riguardante capitale e liquidità agli IPS è rimarchevole e difficile da capire da un punto di vista prudenziale”.

92 Art. 49, par. 3, CRR.

93 La sentenza del Tribunale Ue sul caso Tercas sconfessa le decisioni della Commissione [Decisione (UE) 2016/1208 della Commissione, del 23 dicembre 2015, relativa all’aiuto di Stato SA.39451 (2015/C) (ex 2015/NN) cui l’Italia ha dato esecuzione a favore di Banca Tercas (GUUE L 203 del 28.7.2016, p. 1)] sui salvataggi bancari degli ultimi anni e certifica che l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi non poteva essere impedito. Senza voler riavvolgere il nastro, occorre tuttavia sottolineare che la suddetta pronuncia ha fatto crollare un pilastro della linea tenuta dall’Antitrust Ue nella gestione di diversi dossier bancari italiani. Interpretazioni giuridicamente ineccepibili in linea di principio, sebbene non adeguatamente supportate da una solida trama argomentativa, e che nei fatti hanno cambiato le regole a gioco già iniziato. Il decisum riporta la strada delle crisi bancarie italiane nel percorso del Fondo interbancario, che può realizzare interventi preventivi e ad esempio finanziare, facilitandole, operazioni di fusione tra banche evitando il ricorso a strumenti che impongano perdite a investitori e risparmiatori pur di evitare il dispendio di denaro pubblico. Per un’ampia disamina della decisione cfr. F. Ferraro, Il Tribunale dell’Unione riconsidera la decisione sul caso Tercas in tema di aiuti (non) di Stato alle banche, in I Post di Aisdue, I (2019), pp. 3 e ss. A. Argentati, Sistemi di garanzia dei depositi e crisi bancarie: c’è aiuto di Stato?, cit., p. 317; S. Amorosino, La Commissione europea e la concezione strumentale di “mandato pubblico” (a proposito del “caso FITD/Tercas” – Sentenza del Tribunale UE 19 marzo 2019), in Dir. banca merc. finanz., n. 2/2019, pp. 364 e ss; D. Domenicucci, Il salvataggio di Banca Tercas non è un aiuto di Stato secondo il Tribunale dell’Unione europea, in rivista.eurojus.it, 3, 2019, pp. 174 e ss.; P. DE GIOIA CARABELLESE, Bridge bank e decisum della Suprema Corte Britannica relativa al Banco Espírito Santo: dal bonus argentarius al coactus argentarius, in Banca impr. soc., 2/2019, pp. 377 e ss.; J. Cariboni - E. Joossens - A. Uboldi, The Promptness of European Deposit Protection Schemes to Face Banking Failures, in Journal of Banking Regulation, n. 11/2019, pp. 192 e ss.; S. Maccarone, La sentenza del Tribunale europeo sul caso Tercas, in Bancaria, 3, 2019; E. Grossule, Crisi bancarie ed intervento del FITD: prime considerazioni sulla sentenza Tercas, in www.dirittobancario.it, 21 marzo 2019; D. Rossano, Il Tribunale Ue boccia la Commissione europea sul caso Tercas, in Riv. trim. dir. eco., 2, 2019, pp. 22 e ss.

94 A distanza di quasi quattro anni, la Corte europea ha sconfessato la lettura “pubblicistica” data dalla Commissione al sistema italiano di garanzia dei depositi, imputando all’esecutivo Ue di non aver considerato in modo adeguato la natura contrattuale del Fondo interbancario, la sua autonomia decisionale, il carattere non pubblico delle risorse, il tipo di controllo esercitato dalla Banca d’Italia. All’epoca dei fatti la Commissione Ue decise, come è noto, di vietare la concessione di un sostegno alle banche in difficoltà valutando come aiuto di Stato l’intervento preventivo del Fondo interbancario, nonostante questi fosse alimentato da denaro delle banche – e non del Tesoro. Un segnale della severità adottata quale metro di valutazione dalle autorità europee che ha pesato non poco sulle soluzioni adottate per il salvataggio di altri istituti italiani. Per A. Enria, Capo della Vigilanza BCE, la decisione dell’Esecutivo Ue sulla banca di Teramo avrebbe aperto ‘strade nuove’, dimenticando che la strada degli interventi del FITD era stata da sempre percorsa per gestire i dissesti bancari degli ultimi 30 anni in Italia, senza perdite per soggetti diversi dagli azionisti, e che solo l’improvvida posizione della Commissione UE l’aveva sbarrata nel 2015.

95 A tal proposito v. A. Baglioni, Crisi bancarie: questa sentenza è una lezione per l’Europa, in lavoce.info, 22.03.2019. Se l’intervento del FITD finanziato interamente dalle banche aderenti non fosse stato configurato come aiuto di Stato, anche l’operazione di salvataggio delle quattro banche poste in risoluzione nel novembre 2015 – a cominciare da Banca delle Marche, per la quale erano stati già stanziati 800 milioni – non avrebbe comportato il sacrificio dei diritti dei creditori subordinati e sarebbe avvenuta valutando le sofferenze delle banche a valori di bilancio.

96 Già commissariate da Banca d’Italia, le banche sono state poste in risoluzione tramite il D.L. n. 185/2015. Per evitare le conseguenze del fallimento (dannose per risparmiatori, imprese, dipendenti e l’intero sistema del credito) e limitare il costo del salvataggio per le finanze pubbliche, lo Stato ha fatto ricorso alla procedura di burden sharing. In altre parole, il valore di azioni (i soci proprietari delle banche) e obbligazioni subordinate (junior) è stato azzerato, mentre sono stati tutelati i conti correnti e le obbligazioni senior. Le perdite non erano però tali da poter essere assorbite dagli azionisti e dagli obbligazionisti. Il contributo al ripianamento, seguendo la filosofia della direttiva sul bail-in, è stato però completamente privato, richiedendo l’intervento del Fondo Nazionale di Risoluzione, istituito nel 2015, partecipato dalle banche operanti in Italia e destinato al risanamento delle banche in difficoltà.

L’esborso del fondo è stato di 4,7 miliardi di euro: questi sono serviti a ricapitalizzare le quattro banche, a coprire le perdite derivanti dai crediti sofferenti e a creare l’istituto destinato al recupero di tali crediti (la REV). Non vi è stato, quindi, alcun contributo in termini di liquidità da parte dello Stato, ed è per questo infondato sostenere che la manovra sia stata un tentativo del governo di favorire gli istituti finanziari e la loro proprietà (il cui capitale è stato invece azzerato). Al contrario, il salvataggio ha mirato a tutelare per quanto possibile chi nella banca aveva depositato o risparmiato. Peraltro, è stato sempre il sistema interbancario (tramite il FITD) a provvedere ai rimborsi degli obbligazionisti truffati, per un valore totale di circa 200 milioni.

97 La Commissione fece sapere che non era possibile un intervento obbligatorio del Fondo sulle quattro banche perché si esponeva a passare per aiuto di Stato. Oltre a un problema di praticabilità motivato dall’opposizione della Commissione, vi fu una questione di disponibilità delle banche a intervenire volontariamente per i quattro istituti in toto. È la Banca d’Italia a precisare che per le quattro banche poi poste in risoluzione non fu possibile al sistema bancario raccogliere al suo interno il necessario consenso a mettere insieme una somma molto maggiore, ovvero rispetto ai 300 milioni di euro messi a disposizione per Tercas dal Fondo partecipato dagli istituti bancari.

98 La posizione assunta dalla Commissione ha impedito de facto di procedere con la ricapitalizzazione ad opera del FITD. Predisponendo un decreto che prevedeva l’azzeramento del capitale di azionisti e obbligazionisti subordinati pochi mesi prima dell’entrata in vigore del bail-in, il governo motivò l’intervento come “protettivo” per i correntisti. Il Fondo interbancario per la tutela dei depositi ha successivamente messo a disposizione le risorse per ristorare i risparmiatori truffati, su impulso del legislatore con l’istituzione del Fondo di indennizzo risparmiatori.

99 Cfr. M. Rispoli Farina, La resolución bancaria en Italia. Nuevas tendencias y comparación con Europa, in J.C. González Vázquez - J.L. Colino Mediavilla (a cura di), Regulación bancaria y actividad financiera frente a los nuevos desafíos, Madrid, 2020, pp. 450 e ss.

100 La specifica disciplina della ricapitalizzazione precauzionale è rinvenibile nel Capo II del D.L. 237/2016 agli articoli 13-22. Per mezzo di tale misura di sostegno, lo Stato veniva autorizzato, sino al 31 dicembre 2017, a sottoscrivere o acquistare azioni emesse da banche italiane o società italiane capogruppo di gruppi bancari. La via del negoziato con la Commissione europea per una soluzione al problema del Monte dei Paschi di Siena si è chiusa ai primi di luglio 2016, dopo che la Concorrenza Ue aveva respinto la richiesta italiana di un intervento pubblico in deroga alle norme sul bail-in. Alla richiesta italiana, infatti, la Commissione aveva controproposto una soluzione che ricalcava grosso modo le modalità con cui nel 2015 era stata salvata, con esiti disastrosi, la banca portoghese Novo Banco: iniezione di soldi pubblici cioè, accompagnata da una penalizzazione circoscritta essenzialmente agli investitori istituzionali possessori di obbligazioni subordinate, che aveva portato a una crisi di fiducia degli investitori esteri.

101 Limitatamente a tale misura, gli interventi devono essere circoscritti agli apporti necessari per far fronte alle carenze di capitale stabilite nelle prove di stress a livello nazionale, dell’Unione o degli Stati membri, nelle verifiche della qualità delle attività o in esercizi analoghi condotti dalla BCE, dall’ABE o da autorità nazionali, se del caso, confermate dall’autorità competente (si veda pure art. 18, comma 2, d.lgs. 180/2015).

102 L’operazione più importante, in termini di contributo dello stato, è stata quella che ha riguardato la Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, acquisite a giugno del 2017 dal Gruppo Intesa-San Paolo dopo la liquidazione coatta amministrativa. M. Rispoli Farina, La soluzione della crisi delle banche venete nell’ambito della procedura di risanamento e risoluzione delle banche italiane. Uno sguardo di insieme, in Innovazione e diritto, n. 2, 2018.

103 Il D.L. n. 1 del 2019 ha introdotto misure di sostegno pubblico in favore di Banca Carige S.p.a, già posta in amministrazione straordinaria. Successivamente, il decreto c.d. crescita (D.L. n. 34 del 2019) ha esteso dal 30 giugno al 31dicembre 2019 la concessione della garanzia dello Stato sulle nuove passività emesse dall’istituto ligure sui finanziamenti erogati discrezionalmente dalla Banca d’Italia al medesimo istituto. Per un primo commento sia consentito rinviare a L. Scipione, Il “decreto Carige” e la “ragion di stato”. Considerazioni sugli strumenti “normativi” di soluzione preventiva delle crisi bancarie in Italia, in Dir. merc. ass. finan., 2, 2019.

104 Tra maggio e giugno 2016, prima cioè che i due istituti venissero posti in liquidazione, il Fondo ha sottoscritto il 99 per cento del capitale di Banca Popolare di Vicenza e il 97 per cento di Veneto Banca.

105 La Commissione, in accordo con il Governo italiano, ha recentemente introdotto un altro strumento per la gestione delle crisi delle banche piccole: il cosiddetto “Liquidation Scheme for small banks”. Per garantire l’uscita ordinata dal mercato di banche con attivo inferiore a 3 miliardi di euro l’Italia è stata autorizzata (fino al 12 aprile 2019, ma il periodo è prorogabile) a erogare, previo burden sharing, aiuti di Stato tramite il Fondo Interbancario di tutela dei depositi (FITD) e il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (FGDCC). Questo schema, già applicato in Croazia, Danimarca, Irlanda e Polonia, consentirà il trasferimento della parte sana della banca a un altro istituto. Le banche piccole potranno quindi beneficiare di una soluzione di salvataggio simile a quella utilizzata per le banche venete. Il caso più recente di applicazione di questo modello interventistico è l’operazione di acquisizione di Banca del Fucino da parte di Igea Banca.

106 Il 13 dicembre 2019 la Banca d’Italia ha disposto lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della Banca Popolare di Bari e la sottoposizione della stessa alla procedura di amministrazione straordinaria, ai sensi degli arti. 70 e 98 T.u.b. Al riguardo si ricorda che per le sue caratteristiche dimensionali e strutturali BPB risulta nella lista delle cd. less significant institutions e, pertanto, non è direttamente vigilata dalla Banca Centrale Europea ma dall’Autorità Nazionale, ovvero dalla Banca d’Italia. La non significatività ai fini della vigilanza, tuttavia – si legge nel dossier del Servizio Studi del bilancio del Senato, A.S. 1672: “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento”, n. 112, gennaio 2010, – “non esclude la rilevanza dell’operazione in esame ai fini della disciplina comunitaria; nel corso degli ultimi anni, infatti, sono stati numerosi gli interventi pubblici a sostegno di singoli istituti bancari, nel più generale quadro degli interventi volti a fronteggiare la crisi economico-finanziaria e a tutelare il sistema creditizio nazionale”.

107 Si veda, in proposito, A. Perrazzella, Esame del disegno di legge C. 2302, di conversione in legge del decreto-legge n. 142 del 2019, recante misure urgenti per il sostegno al sistema creditizio del Mezzogiorno e per la realizzazione di una banca di investimento, Audizione della Vice Direttrice Generale della Banca d’Italia, Camera dei Deputati - VI Commissione (Finanze), Roma, 9 gennaio 2020, ove, tra le altre precisazioni, si sottolinea la centralità che il ruolo dello Stato ricoprirà nel rilancio dell’istituto barese: “è ugualmente indispensabile che l’azionista pubblico svolga un ruolo di direzione e impulso attivo, forte e continuo, mirante a orientare solidamente la banca verso prospettive industriali credibili in un’ottica di medio-lungo termine”. Quanto alla nazionalizzazione, il mix più appropriato da conseguire dovrebbe essere quello – diverso – di un equilibrato rapporto tra ammontare della partecipazione pubblica e ammontare di quella, auspicabile, del FITD, con la prima che progressivamente si riduce. Il tutto da inquadrare in un contesto che comprenda anche l’irrobustimento del complessivo tessuto bancario meridionale anche utilizzando la norma di legge che consente, a determinate condizioni, la trasformazione di attività fiscali differite in crediti di imposta (DTA).

108 Cfr. B. Inzitari, Banca Popolare di Bari e disciplina degli aiuti di Stato, in Riv. dir. banc., 27 dicembre 2019, pp. 3 e ss. Il D.L. n. 142/2019, all’art. 1 si limita a stabilire la corresponsione delle risorse dello Stato e le modalità di prelievo delle stesse. Ai sensi dell’art. 2, l’attuazione delle misure per il sostegno del sistema creditizio del Mezzogiorno è poi affidata a successivi decreti ministeriali, i quali, in deroga alla disciplina di diritto comune, regoleranno la corresponsione delle risorse, le trasformazioni societarie, l’attribuzione senza corrispettivo delle azioni al Ministero delle finanze.

109 Si segnala che il FITD, anche sulla base di un “Accordo quadro” con MCC e BPB, ha effettuato il 31 dicembre 2019 una prima ricapitalizzazione della BPB per complessivi 310 milioni di euro.

110 A tal proposito, è stato inoltre chiarito che il ruolo di MCC è quello di intervenire sottoscrivendo un aumento di capitale per un importo da determinare in funzione di un rendimento di mercato del capitale investito e che sia l’intervento di MCC sia quello del Fondo saranno basati su un piano industriale prodotto dalla banca e condiviso con le altre parti, da cui risulti un fabbisogno patrimoniale effettivo, necessario al rilancio concreto dell’istituto di credito, determinato all’esito di un processo di due diligence a cui partecipano le parti interessate.

111 Evidenti sono le similitudini con il progetto di risanamento nei confronti di due banche pubbliche siciliane, Banco di Sicilia e Sicilcassa, del 1998, venne confezionato con l’obiettivo dichiarato di costituire un unico polo bancario regionale attorno a Banco di Sicilia. Il piano di salvataggio prevedeva la liquidazione di Sicilcassa, nel frattempo sottoposta ad amministrazione controllata, e la cessione delle sue attività e passività al Banco di Sicilia, con il sostegno, anche in tale circostanza, di Banca d’Italia, Microcredito centrale e Fondo interbancario di tutela dei depositi.

112 L’operazione messa in campo dai commissari straordinari per arrivare a superare le ostilità dei soci prevede cinque interventi, il primo dei quali riguarda i 15 mila possessori di obbligazioni subordinate, il cui valore sarà totalmente rimborsato entro il 2021. Per chi parteciperà all’assemblea e “a prescindere” da come voterà, sono stati messi a disposizione una serie di incentivi fra cui azioni gratuite per complessivi 20 milioni e il riconoscimento di un valore per azione pari all’ultimo prezzo di quotazione del titolo nel mercato HI-MTF a favore di quei soci che abbiano rinuncino ad ogni pretesa o azione connessa agli aumenti di capitale della Banca, deliberati ed eseguiti nel corso degli esercizi 2014 e 2015. Sono stati esclusi da questa proposta i clienti dell’istituto pugliese con posizioni in sofferenza o c.d. “unlikely to pay”, i dirigenti della banca o loro familiari, i destinatari di provvedimenti sanzionatori di Banca d’Italia e Consob o coinvolti in procedimenti giudiziari non conclusi. È stato previsto altresì un warrant a titolo gratuito per ciascuna azione posseduta, diversa da quelle sottoscritte nell’aumento di capitale 2014/15, che conferisce la facoltà a chi lo riceve di sottoscrivere l’acquisto di azioni della futura banca a un prezzo conveniente e a una scadenza stabilita. Infine i commissari fanno propria anche una proposta delle associazioni dei consumatori e propongono l’istituzione di un “tavolo di conciliazione” con una dotazione iniziale da 8 milioni di euro. Una misura riservata agli azionisti che hanno acquistato titoli prima del 2014 e che si trovano in gravi condizioni economiche o che comunque hanno motivi risarcitori fondati. A tutto ciò si aggiunge la non meno rilevante copertura integrale delle perdite e la ricostituzione del capitale, pari a 10 milioni di euro, grazie agli stanziamenti di Fondo interbancario e Mediocredito Centrale (i.e., lo Stato).

113 A questo proposito, è bene ricordare che in alcuni altri paesi europei la presenza pubblica nel capitale degli istituti di credito è ben più significativa che in Italia, dove essa si limita a MPS. In paesi come Irlanda, Regno Unito, Portogallo, Belgio, Olanda, Grecia, lo Stato ha assunto partecipazioni molto consistenti in alcune banche di grande dimensione, durante l’intensa fase di salvataggi avvenuti negli anni più acuti della crisi finanziaria (2008 - 2013). Ad essi si aggiunge la Germania dove, oltre alla partecipazione assunta dallo Stato centrale in Commerzbank durante una operazione di salvataggio, vi sono le partecipazioni degli enti pubblici locali (Stati federali e municipalità) nelle banche regionali (Landesbanken).

114 Cfr. art. 27 e considerando 40 della BRRD.

115 Cfr. G. Napolitano, L’intervento dello Stato, cit., p. 6.

116 L’esclusiva competenza degli Stati a deliberare eventuali erogazioni di aiuti nei confronti di banche in crisi è del resto espressamente stabilita nello stesso reg. SRM, che all’art. 6 ha cura di precisare che «le decisioni o azioni del Comitato, del Consiglio o della Commissione non impongono agli Stati membri di fornire un sostegno finanziario pubblico straordinario né interferiscono con la sovranità e le competenze degli Stati membri in materia di bilancio».

117 A questo proposito riveste particolare rilevanza quanto affermato nei considerando 55 e 57 della BRRD.

118 All’economia strutturalmente più forte dell’Eurozona corrisponde uno dei sistemi bancari tra i più fragili, puntellato costantemente dalla mano pubblica che ha sorretto le proprie banche, dall’avvio della crisi nel 2008, con una cifra che, tra aumenti di capitale e titoli tossici rilevati dallo Stato federale o dai vari Land, vale oltre il 7% del Pil tedesco. Se poi alle iniezioni di denaro pubblico si aggiungono le garanzie statali e le linee di liquidità offerte, l’ammontare balza addirittura al 17% della ricchezza annua prodotta. Un’enormità che disvela la particolare struttura del sistema creditizio teutonico.

119 In questi termini R. Hamauy, Salvataggi bancari: il Fondo non basta, in lavoce.info, 18.11.2018. Ma l’accusa di aver salvato le banche con soldi pubblici non corrisponde al vero: in tutte le vicende sopra richiamate l’intervento dello Stato è stato accompagnato dal salvataggio privato che ha contribuito per più di due terzi. In ogni caso, gli interventi con risorse statali sono stati volti a contenere il costo per i piccoli risparmiatori derivante da crisi bancarie. Se confrontati con quanto accaduto nel resto d’Europa, i salvataggi di matrice pubblica nel settore creditizio rimangono di modesta entità.