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La società di persone partecipata da una società di capitali fra norme ordinarie e fiscali: considerazioni de iure condendo

Scritto da Antonio Orlando • gen 2021

Sintesi

La possibilità per una società di capitali di partecipare, come socio illimitatamente responsabile, una società di persone è stata ammessa solo con la riforma del diritto societario attuata dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6. Il legislatore tributario, invece, per ragioni di interesse fiscale, ha previsto di assoggettare a tassazione i redditi prodotti da questa forma societaria ibrida, anche nei periodi di imposta precedenti al 2003. L’obiettivo di questo lavoro è di illustrare i principali aspetti presenti nella disciplina ordinaria e fiscale di una società di persone integralmente partecipata da società di capitali, proponendo delle considerazioni de iure condendo al fine di garantire una maggiore omogeneità nella tassazione del reddito prodotto da questa particolare società di persone.

Abstract

After the reform introduced by Legislative Decree of 17 January 2003 n. 6, it’s possible for a capital company to partecipate in a partnership, becoming thereby a fully liable member. But tax legislation, because of tax interest, has foreseen to subject to regular tax incomes produced by this kind of ibrid company, also before 2003. The aim of this present paper is to deepen the main aspects of civil and fiscal laws regarding partnerships that are fully constituted by capital companies, proposing some considerations de iure conendo in order to improve the direct taxation of income produced by this kind of partnership.

Contenuto

1. L'ammissibilità di una società di persone partecipata da una società di capitali nell'evoluzione del diritto ordinario

La possibilità di ammettere fra i soci di una società a base personale soggetti diversi dalle persone fisiche è stato fra gli interrogativi che i cultori del diritto societario si sono posti1 già prima dell’emanazione dell’attuale Codice civile2, che ha trovato una risposta definitiva nella riforma del 2003, con l’introduzione nel nostro ordinamento degli artt. 2361, comma 2, cod. civ. e 111-duodecies disp. att. cod. civ.

In dottrina, prima del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, si sono susseguite diverse riflessioni sull’asserita compatibilità di una partecipazione di una società di capitali in un soggetto societario a base personale.

I cultori del diritto commerciale, segnatamente, si sono interrogati se la capacità giuridica delle società personificate avesse degli elementi di incompatibilità con la posizione di socio illimitatamente responsabile3, nonché con l’intuitus personae caratterizzante i rapporti associativi fra i soci di una società a base personale4.

In entrambi i casi, la dottrina si è espressa in senso favorevole al rapporto partecipativo, sostenendo come il legislatore abbia previsto esplicitamente delle incompatibilità e limitazioni nella disciplina degli enti societari5. Ne deriva, quindi, che l’assenza di un divieto espresso lascia intendere implicitamente la compatibilità fra la figura di socio illimitatamente responsabile e la disciplina delle società di capitali6.

Inoltre, la capacità giuridica di cui gode quest’ultima categoria societaria è pari a quella di ogni persona fisica. Pertanto, le norme del Libro V – Titolo V – capo II, III, IV del Codice civile, che attribuiscono particolare rilievo alle qualità personali dei soci, sono da considerare disposizioni derogabili e non imperative7; queste ultime sono, quindi, da disapplicare in caso di compagine sociale composta, integralmente o parzialmente, da società di capitali.

Dalla fine degli anni sessanta le riflessioni sull’argomento si sono concentrate sulla difficile compatibilità delle disposizioni dettate per la società di persone con le norme inderogabili previste per le società personificate8.

L’attenzione è stata posta sulla possibilità di affidare l’amministrazione di una società a base personale ad una persona giuridica9, da cui scaturivano criticità sulla possibilità di nominare amministratori estranei alla compagine sociale10 e sul loro assoggettamento ad eventuali responsabilità di natura civile e penale nei confronti della società amministrata11.

Inoltre, i soci della società di capitali subirebbero una carenza informativa relativamente al proprio investimento qualora la società di capitali conferisse risorse proprie in una società di persone. Quest’ultima, infatti, non è soggetta agli stessi obblighi contabili e di pubblicità previsti per le società personificate12.

Il lungo dibattito dottrinale ha trovato come punto di arrivo l’interpretazione offerta dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza del 17 ottobre 1988 n. 5636, nella quale i giudici di legittimità hanno ritenuto nulla la partecipazione di una società di capitali in una società in accomandita semplice, anche in veste di socio accomandante13.

L’interpretazione offerta dall’organo giudicante si è rivelata conforme agli orientamenti dottrinali più datati14. Invero, non sono mancati commenti dottrinali critici verso le conclusioni della Suprema Corte15, poiché secondo questa impostazione, i giudici sarebbero stati guidati nella loro decisione dalla preoccupazione che <<una rottura degli argini del diaframma della personalità avrebbe potuto generare una tracimazione sul terreno della certezza del diritto delle società e della tenuta complessiva del sistema>>16.

Tuttavia, l’influenza del diritto vivente negli altri sistemi giuridici d’oltralpe, più permissivi verso queste forme di ibridazione17, ha sollecitato l’emanazione della Direttiva del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE18, finalizzata ad armonizzare il fenomeno a livello comunitario, estendendo ai soggetti societari a base personale partecipati integralmente da società personificate la stessa disciplina dei bilanci delle società di capitali.

Con l’intervento legislativo del D.Lgs. 17 gennaio 2003 n. 6, difatti, il legislatore ha adottato una soluzione alternativa rispetto al divieto proposto nel 1988 dall’arresto dei giudici di legittimità19. È stata prevista una regolamentazione, almeno parziale, di questo fenomeno partecipativo ibrido con l’introduzione nel nostro ordinamento degli artt. 2361, comma 2, cod. civ. e 111-duodecies disp. att. cod. civ.20.

La possibilità per le società di capitali di partecipare enti societari a responsabilità illimitata è stata tipizzata dal legislatore nell’art. 2361, comma 2, cod. civ., disposizione che va ad arricchire la disciplina dedicata alle società per azioni.

Tuttavia, il dettato normativo dell’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ., indica fra le persone giuridiche che possono partecipare una società in nome collettivo o in accomandita semplice anche le società a responsabilità limitata e le società in accomandita per azioni21.

Per quanto concerne, invece, le condizioni di validità della partecipazione, oltre al generico divieto di modifica dell’oggetto sociale, valevole per qualunque tipologia di rapporto partecipativo22, è necessaria una delibera dell’assemblea ordinaria dei soci23, nonché offrire un’adeguata informazione nella nota integrativa accompagnatrice del bilancio di esercizio24.

In ultimo, l’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ, introduce degli adempimenti anche per la società di persone partecipata. Infatti, qualora la compagine sociale sia composta interamente da società per azioni, a responsabilità limitata o da società in accomandita per azioni, vi è l’obbligo per il soggetto societario a base personale di redigere il bilancio secondo le norme previste per le società di capitali, ed il bilancio consolidato come disposto dall’art. 26 del D.Lgs. 9 aprile 1991 n. 12725.

Tale obbligo sussiste solo in caso di compagine societaria integralmente composta da società di capitali, mentre non vi sono disposizioni che contemplino il caso di simultanea presenza di soci persone fisiche e persone giuridiche26. Tuttavia, nulla vieta agli organi amministrativi della società di persone di scegliere volontariamente di adempiere comunque agli obblighi previsti dall’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ27.


2. La società di persone partecipata da una società di capitali nell'ordinamento tributario ed il trattamento fiscale dei relativi redditi prodotti in forma associata

A differenza del diritto ordinario, dove si sono registrate teorie contrapposte sull’ammissibilità di una società di persone partecipata da società di capitali, in ambito tributario, già dal 1958, si è consolidato un orientamento giurisprudenziale a favore del fenomeno partecipativo ibrido28, corroborato dalla disciplina presente nell’art. 148 del Testo Unico 29 gennaio 1958 n. 645, che includeva nella base imponibile dei soggetti tassati in base al bilancio <<somme percepite a titolo di distribuzione o ripartizione degli utili di società ed associazioni di ogni tipo>>.

Tale disposizione, tuttavia, divergeva dal principio di trasparenza sancito dall’art. 135, comma 2, lett. c) dello stesso Testo Unico del 1958, in quanto la tassazione in capo ad una società di capitali degli utili di una società di persone sarebbe dovuta avvenire secondo il principio dell’effettività. Il carico fiscale, difatti, veniva determinato esclusivamente sulla base della ricchezza corrisposta alla società partecipante nel periodo di imposta in cui vi è stata la distribuzione; mentre con il regime della trasparenza si assoggettavano a tassazione in capo ai soci anche gli utili non distribuiti, in proporzione al valore delle quote di partecipazione.

In presenza di una società di persone con una compagine sociale costituita da persone fisiche e da persone giuridiche, gli utili maturati avrebbero avuto momenti impositivi differenti in base alla natura degli stessi soci.

Questa disparità di trattamento è stata spiegata dalla giurisprudenza di legittimità con l’attribuzione al bilancio delle società personificate di un particolare rilievo, tale da rendere il documento contabile uno strumento di tutela delle ragioni creditorie dell’Amministrazione finanziaria29.

Con la riforma tributaria del 1971 non è stata ripresentata una norma analoga a quella prevista dal predetto art. 148, cmma 1, lett. d) nei D.Lgs. 29 settembre 1973 nn. 597 e 598; tuttavia, da una riflessione sul testo di legge dell’art. 6, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 si può intuire il perdurare dell’orientamento legislativo favorevole alla partecipazione di una società di capitali in una società a base personale30.

Per le società di persone, infatti, si è stabilito l’obbligo di presentare la dichiarazione <<agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche dovute dai soci o dagli associati>>. È contemplata nella casistica, quindi, anche la circostanza che nella compagine societaria siano presenti soggetti diversi dalle persone fisiche31.

Più esplicita nell’ammettere il fenomeno partecipativo ibrido è stata l’Amministrazione finanziaria, che ha espresso il proprio orientamento in primis nelle istruzioni del “modello 760” previsto per le società di capitali.

Le istruzioni al modello dichiarativo, approvate annualmente con decreto ministeriale e, pertanto, rientranti fra i documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria, prevedono espressamente, fra le variazioni in aumento, i redditi da partecipazione di società di capitali in società di persone32.

Inoltre, si sono susseguiti nel tempo un diverso numero di Risoluzioni che hanno consolidato questo orientamento favorevole verso la partecipazione di un soggetto societario IRPEG in una società di persone, ed in particolare in una società di fatto, specie quando l’Ente impositore è stato chiamato ad offrire una qualificazione giuridica alle imprese riunite in associazioni temporanee per l’aggiudicazione e la realizzazione di appalti pubblici33.

È evidente come, nel periodo precedente alla riforma del diritto societario del 2003, nonostante il divieto alla partecipazione di una società di capitali in una società di persone sancito dalla Suprema Corte di Cassazione 17 ottobre 1988 n. 5636, il legislatore fiscale non ha escluso l’assoggettamento a tassazione dei redditi prodotti da questo fenomeno partecipativo ibrido, anche se non ammissibile nel diritto commerciale34.

Difatti, secondo quanto affermato da una certa parte della dottrina <<i risultati reddituali maturati nei periodi d’imposta nei quali la società di persone, con la partecipazione della società di capitali, ha svolto la sua attività d’impresa, non verrebbero a modificarsi per effetto dell’eventuale acclaramento della nullità del contratto sociale, né nella loro consistenza, né nel loro criterio di ripartizione fra i (mancati) soci partecipanti>>35.

Nella scelta del legislatore fiscale di non attribuire efficacia ex tunc all’eventuale nullità del rapporto partecipativo, ma di ritenere valide le obbligazioni tributarie dei periodi di imposta precedenti alla stessa pronuncia di nullità, si possono riconoscere le finalità di tutela dell’interesse fiscale. L’organo legiferante ha preferito allargare il perimetro impositivo anche ad un fenomeno non ammesso nel diritto commerciale, pur di non lasciare vuoti normativi che avrebbero potuto dare adito a fenomeni di impunità fiscale36.

Dubbi sussistono, invece, sul momento impositivo degli stessi proventi da partecipazione in capo alla società di capitali partecipante. Nello specifico tali perplessità afferiscono alla circostanza secondo cui si debba attendere il momento dell’effettiva percezione, come previsto dalla precedente disciplina contenuta nell’art. 148, lett. d) TUID del 1958, ovvero sia sufficiente la maturazione degli utili a conclusione del periodo d’imposta, come avviene per le persone fisiche.

Non è mancato in dottrina chi, favorevole alla prima ipotesi, ha sostenuto la continuità con la disciplina precedente37; tuttavia, i diversi interventi della Commissione Tributaria Centrale38 hanno portato alla conclusione di un’applicazione generalizzata del principio di trasparenza ex art. 5 TUIR, indipendentemente dalla natura giuridica del socio percettore39.

Tale orientamento è condivisibile anche per ragioni di tecnica legislativa. Invero, la versione originaria dell’art. 95 TUIR prevedeva l’estensione ai soggetti societari IRPEG delle disposizioni sancite per il reddito d’impresa e, quindi, anche di quanto stabilito nella prima versione dell’art. 56, ovvero l’applicazione tout court del principio di trasparenza ex art. 5 TUIR in presenza di redditi da partecipazione corrisposti a soggetti esercenti attività d’impresa.

Della stessa opinione è anche un’attenta voce della dottrina tributarista che, non ravvisando ragioni sistematiche tali da determinare un trattamento differenziato a seconda della natura giuridica del soggetto partecipante40, ha perfino ipotizzato, nel caso in cui la stessa società partecipante sia un soggetto trasparente, il verificarsi di una “doppia trasparenza”, con una imputazione del reddito dalla società partecipata alla partecipante e da quest’ultima ai propri soci41.

L’introduzione dell’IRES e le modifiche apportate al Testo Unico del 1986 dalla riforma contenuta nell’art. 1 D.lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, hanno fugato ogni dubbio sul trattamento fiscale da destinare ai redditi di partecipazione di spettanza di una società di capitali. L’attuale art. 89, comma 1, TUIR prevede esplicitamente che: <<per gli utili derivanti dalla partecipazione in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato si applicano le disposizioni dell'articolo 5>>42.

In modo speculare, la versione dell’art. 101, comma 6, Testo Unico del 1986, entrata in vigore a partire dal gennaio 200443 ha stabilito l’estensione ai contribuenti IRES delle disposizioni previste dall’art. 8, comma 2, TUIR, riferite al trattamento delle perdite derivanti dalla partecipazione di un soggetto IRPEF in una società commerciale a base personale44.

Tuttavia, mentre il trattamento fiscale del reddito da partecipazione ex art. 89, comma 1, TUIR è rimasto inalterato fino ai giorni nostri, le disposizioni riferite alle perdite di esercizio contenute nell’art. 101, comma 6, hanno subito nel tempo diverse modifiche, che le hanno portate a divergere rispetto alla disciplina generale dell’art. 8, comma 2, TUIR.

Dopo l’introduzione dell’IRES il trattamento fiscale delle perdite da partecipazione in una società di persone dipendeva non tanto dalla natura giuridica del socio, quanto dal regime contabile utilizzato dalla stessa società partecipata45.

Fino al gennaio 2008, infatti, i redditi di partecipazione di spettanza di un soggetto IRES seguivano le stesse disposizioni dell’art. 8, comma 2 grazie ad un esplicito rinvio contenuto nell’art. 101, comma 6, TUIR.

La legge 24 dicembre 2007, n. 244 ha apportato significative modifiche all’allora versione dell’art. 101, comma 6, stabilendo che le perdite di una società a base personale attribuite per trasparenza ad un soggetto IRES, non potevano concorrere alla determinazione del reddito complessivo della società partecipante. Il loro utilizzo in compensazione, limitato ad un arco temporale di cinque periodi d’imposta, si poteva avere esclusivamente in abbattimento degli eventuali utili prodotti dalla stessa società trasparente che ha generato le perdite.

La dottrina ha collegato la ratio di tale disposizione ad una finalità antielusiva, per ostacolare l’aggiramento <<delle limitazioni alla deducibilità degli interessi previste per i soggetti IRES (commisurata al 30% del ROL) mediante l’assunzione dei finanziamenti da parte di società di persone (che non subiscono tale penalizzazione), le cui perdite sarebbero poi imputate per trasparenza ai soci società di capitali>>46.

Non sono mancate, tuttavia, le critiche alla nuova versione dell’art. 101, comma 6, fondate sull’assenza di una differenziazione di tipo qualitativo dei componenti negativi che hanno generato le perdite della società trasparente.

La limitazione alla compensazione delle perdite è stata considerata, pertanto, eccessivamente gravosa poiché trova applicazione anche nel caso in cui il risultato negativo di esercizio non sia dovuto a manovre elusive, ma a fattori fisiologici della gestione di un’impresa47.

È evidente, altresì, la disparità di trattamento che si è venuta a creare a seconda della natura giuridica del socio della società di persone48. Nel caso di una persona fisica la perdita attribuita, secondo il metodo della trasparenza, può essere utilizzata in diminuzione degli altri redditi da partecipazione; mentre in presenza di un soggetto societario IRES la stessa perdita può essere compensata solo nei successivi cinque anni con i risultati positivi di gestione della medesima società trasparente49.

Questa disparità di trattamento non è stata superata dal successivo intervento riformatore contenuto nella Legge 30 dicembre 2018 n. 145, il quale, nonostante abbia unificato la disciplina fiscale delle perdite maturate nell’esercizio di un’attività d’impresa, ha inciso sul testo di legge contenuto nell’art. 101, comma 6, TUIR soltanto per eliminare il limite temporale dei cinque anni di riportabilità in avanti dello stesso risultato negativo di gestione50.

Pertanto, a differenza delle altre tipologie societarie, le perdite attribuite ad una società di capitali secondo il principio della trasparenza ex art. 5 TUIR non soggiacciono al limite quantitativo di compensazione pari l’ottanta per cento dei redditi conseguiti nel periodo ex art. 8, comma 2, TUIR, ma possono essere utilizzate esclusivamente in abbattimento degli utili futuri prodotti dalla medesima società trasparente.


3. Considerazioni de iure condendo sulla disciplina fiscale della società di persone interamente partecipata da società di capitali

Il mancato completamento processo legislativo volto ad un avvicinamento della disciplina dei diversi tipi societari, così da giungere ad una sostanziale uniformità nel trattamento impositivo dell’intera categoria societaria51, è verosimilmente alla base delle criticità presenti nella disciplina fiscale delle società di persone partecipate da soggetti societari con personalità giuridica.

Le stesse sono essenzialmente riferite all’ambito dell’imposizione diretta, dove le società a base personale sono destinatarie di un trattamento impositivo diverso rispetto alle altre tipologie societarie.

In particolare, in presenza di una società di persone interamente partecipata da soggetti societari con personalità giuridica, il disposto dell’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ. estende alla società partecipata gli obblighi di redazione del bilancio previsti per le società per azioni e di stesura del bilancio consolidato come disposto dall’art. 26 del D.Lgs. 9 aprile 1991 n. 12752.

Per adempiere alle disposizioni del Codice civile, la società a base personale deve necessariamente dotarsi di un apparato organizzativo strutturato, che la rende differente dalla tipica società di persone, per avvicinarla al modello organizzativo riscontrato in un soggetto societario personificato.

Si è dinanzi ad una fattispecie societaria in cui la forma giuridica e la sostanza dei rapporti sociali non corrispondono, in quanto non si verifica la situazione di immedesimazione fra soci e società, propria delle società prive di personalità giuridica53.

Viene meno, infatti, il distinguo fra i tipi societari basato sul diverso grado di formalizzazione della struttura organizzativa, a cui corrisponde un maggiore grado di rischio per l’interesse fiscale: meno adempimenti formali rendono più agevole per i soci di una società di persone incidere sulle voci del patrimonio netto ed adottare schemi di elusione d’imposta finalizzati alla riduzione del proprio carico tributario54.

Tuttavia, nonostante questa particolare tipologia di società a base personale sia chiamata ad adempiere agli stessi obblighi di una società di capitali in termini di informativa di bilancio, il suo regime fiscale di riferimento rimane contenuto nel titolo I del TUIR.

Non si comprendono pertanto le ragioni per cui, innanzi ad un’organizzazione societaria strutturata, con un impianto contabile-informativo tale da permettere di scongiurare i possibili comportamenti elusivi scaturenti dalla commistione fra patrimonio societario e personale dei soci, non si possa avere una sostanziale uniformità nel trattamento impositivo del reddito di impresa.

Più omogeneo in termini sistematici sarebbe, invece, l’introduzione di un regime fiscale, almeno su base opzionale, destinato alle sole società di persone obbligate agli adempimenti ex art. 111-duodecies disp. att. cod. civ. che facesse riferimento alle norme previste per le società di capitali.

In tal modo si offrirebbe a queste particolari società a base personale la possibilità di adottare, per la determinazione della loro base imponibile, direttamente il regime fiscale dei soggetti societari IRES55; ad oggi, invece, le norme contenute nel Titolo II del TUIR trovano applicazione alle società prive di personalità giuridica solo in via residuale, per quanto non disposto dal Titolo I, Capo VI dello stesso Testo Unico.

Queste riflessioni de iure condendo sono in linea con la ratio adottata dal legislatore fiscale negli altri casi di trasparenza conosciuti dall’ordinamento56; difatti, qualora l’ente trasparente adotti un regime di determinazione della base imponibile diverso da quello seguito dai propri partecipanti, è prevista l’applicazione delle regole valevoli per questi ultimi e si derogano le disposizioni dell’ente trasparente, a vantaggio di un’omogeneità verticale del sistema impositivo57.

In tal modo si avrebbe una sostanziale uniformità nel trattamento fiscale dei redditi di partecipazione imputati ad una società di capitali, a prescindere dalla natura del soggetto partecipato. In particolare, l’adozione dei limiti alla deducibilità degli interessi passivi previsti dall’art. 96, comma 1, TUIR anche per la società di persone interamente partecipata da società di capitali58 – a fronte delle disposizioni meno restrittive contenute nell’art. 61, comma 1, TUIR59 – porterebbe al superamento della disciplina antielusiva ex art. 101, comma 6, TUIR, in quanto si andrebbe ad intervenire a monte rendendo antieconomiche eventuali strategie aziendali volte ad un eccessivo indebitamento.

Il suddetto art. 101, comma 6, TUIR troverebbe, invece, applicazione in tutte quelle super-società, formalizzate o di fatto, con compagini societarie miste composte da persone fisiche e giuridiche, che non sono assoggettate agli obblighi di bilancio ex art. 111-duodecies disp. att. cod. civ. In tal caso, qualora la società partecipata generasse una perdita, la stessa avrebbe un trattamento diverso a seconda della natura del socio60.

Per superare completamente la discriminante nel trattamento delle perdite presente nell’art. 101, comma 6, TUIR, sarebbe sufficiente, invece, allineare le disposizioni contenute nell’art. 61, comma 1, TUIR con la disciplina in materia di deducibilità degli interessi passivi prevista per i soggetti IRES, in quanto l’art. 101, comma 6, TUIR rappresenta una norma antielusiva finalizzata a porre rimedio alle condotte volte ad aggirare i limiti alla deducibilità degli interessi passivi stabiliti dall’art. 96, comma 1, TUIR.

Difatti, la società di capitali partecipante potrebbe decidere di far assumere alla società a base personale partecipata ingenti finanziamenti, cosicché i relativi oneri finanziari – che soggiacciono alla disciplina dell’art. 61, comma 1, TUIR meno restrittiva rispetto all’art. 96, comma 1, TUIR – genererebbero perdite imputate per trasparenza alla stessa società partecipante61.

Gli interventi proposti avrebbero, quindi, come merito di garantire una maggiore omogeneità nel trattamento fiscale dei redditi da partecipazione prodotti da una società di persone, indipendentemente dalla natura giuridica degli stessi soci.


1 Le maggiori criticità si sono riscontrate nella compatibilità fra la figura di socio illimitatamente responsabile e la fattispecie societaria dotata di personalità giuridica. Per quanto concerne, invece, la partecipazione di una società di persone in un altro soggetto societario a base personale, la dottrina è stata concorde nel ritenere ammissibile tale possibilità, anche perché non vi è alcuna sostanziale modifica al regime di responsabilità illimitata. Cfr. G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2 Diritto delle società, Torino, 2002, p. 75 ed anche F. Vessia, Società in nome collettivo partecipate da persone giuridiche, in Riv. dir. priv., p. 588. L’autrice offre una riflessione sulle criticità che si possono riscontrare in caso di partecipazione di una società di capitali in un’altra società a base personale, ponendo attenzione alla compatibilità con le peculiarità della società semplice.

2 Si possono attribuire al Vivante le prime riflessioni sulla partecipazione di una società di capitali in una società di persone nelle sue opere C. Vivante, Trattato di diritto commerciale, II, Le società commerciali, Milano, 1923, pp. 20 ss., seguite dal saggio di A. Sraffa - P. Bonfante, Società in nome collettivo fra società anonime, in Riv. dir. comm., 1921, I, pp. 609 ss.

3 Cfr. M. Rescigno, voce Capacità giuridica (diritto civile), in Noviss. Dig. it., II, Torino, 1958, pp. 873 ss. ed anche A. Falzea, voce Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano, 1960, pp. 13 ss.

4 Cfr. R. Provinciali, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 1962, p. 158, ed anche M. Ghidini, Società personali, Padova, 1972, pp. 93 ss., G. Cottino, Diritto Commerciale, I, Padova, 1986, pp. 374 ss.

5 Cfr. F. Ferrara Jr., Gli imprenditori e le società, Milano, 1962, p. 206; ed anche P. Greco, Le società nel sistema legislativo italiano, Torino, 1959, p. 281.

6 Secondo il Campobasso: <<non esiste alcuna norma che vieti la partecipazione di tali società [società di capitali] in società di persone. Ed è fuori dubbio che una società di capitali può essere titolare di partecipazioni anche non azionarie in altre società (arg. ex artt. 2424 e 2425-bis n. 4)>>. G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2 Diritto delle società, op. cit., p. 72.

Di opinione opposta è, invece, una certa dottrina che, in un periodo precedente alla riforma societaria del 2003, riteneva superfluo uno specifico divieto di partecipazione in una società a base personale da parte di soggetti diversi dalle persone fisiche, in quanto una simile eventualità era ritenuta priva di reale rilevanza pratica.

A conferma di quanto detto, si fa presente che nonostante nel Progetto del codice di commercio Asquini del 1940 vi fosse la previsione di una norma che vietasse espressamente alle persone giuridiche di partecipare le società di persone, tale divieto non è mai confluito nel Codice del 1942. Cfr. P. Talice, La partecipazione all’atto costitutivo di soggetti diversi dalle persone fisiche, in F. Preite - C.A. Busi (a cura di), Trattato società di persone, 2015, I, p. 260. L’autore sostiene altresì che: <<eventuali previsioni normative volte a consentire o vietare la partecipazione di un determinato soggetto di diritto, diverso da una persona fisica, in una società di persone non potrebbero trovare la loro collocazione logico-sistematica nel corpo delle disposizioni legislative che disciplinano dette società. Piuttosto dovrebbero essere introdotte all’interno della disciplina positiva propria di ogni singolo ente, in quanto ad oggetto la capacità giuridica del soggetto partecipante e non quella della società partecipata, la quale, in ultima analisi, risulta indifferente alla qualità soggettiva dei propri soci>>. Ivi, pp. 261-262.

7 Cfr. P. Spada, La tipicità delle società, Padova, 1974, p. 239. Negli stessi termini, anche, A. Buffa, Ammissibilità della partecipazione di società di capitali a società di persone, in Riv. dir. comm., 1949, II, p. 110; ed anche P. Guerra, Appunti in tema di holding, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 123.

8 Fra tutti, si riportano le parole del Satta, che così si esprime sulle criticità di una partecipazione di una società di capitali in una società di persone: <<la società di capitali costituisce una norma chiusa, che non consente evasioni, e così attività che non siano direttamente e immediatamente riconducibili a quella normativa. In altre e più semplici parole, la società, che è un ente essenzialmente strumentale, non può operare attraverso un altro strumento, quale è un’altra società, quasi sostituendo questa a se stesso, a meno che ciò non sia reso possibile dalla legge stessa della società, con una specifica previsione delle norme statutarie>> S. Satta, Società di persone tra società di capitali, in Riv. dir. comm., 1968, I, p. 3.

9 Il dibattito su quest’argomento è giunto a conclusione con la riforma del 2003. La stessa riforma, difatti, ha inciso anche sulla possibilità di nominare una persona giuridica con il ruolo di amministratore di una società di persone. Nell’art. 2318, comma 2, cod. civ. è previsto che in una società in accomandita semplice l’amministrazione deve essere affidata esclusivamente ai soci illimitatamente responsabili; pertanto, ammettere la possibilità che i soci accomandatari siano delle società di capitali, porta quale conseguenza che alle stesse deve essere attribuito anche il potere di amministrare. Tale principio si può estendere per analogia anche alle società collettive e semplici, in quanto, sostenere che una persona giuridica possa solo partecipare una società di persone senza amministrarla, equivarrebbe a sostenere che le stesse società di capitali siano una categoria interiore di socio, alla quale è inibito ricoprire il ruolo di amministratore.

Fra gli autori che dopo la riforma hanno approfondito l’argomento, si possono menzionare: A. Gambino, Impresa e società di persone, Torino, 2004, pp. 147 ss; A. Riccio, La persona giuridica può, dunque, esercitare la funzione di amministratore, in Contr. e impr., pp. 17 ss. ed anche R. Guglielmo, Riflessi della riforma del diritto societario sull’amministrazione delle società di persone, in Riv. not., 2006, pp. 1199 ss.

10 Cfr. M. Ghidini, Società personali, op. cit., p. 97; ed anche F. Galgano, Diritto commerciale, L’imprenditore, Bologna, 1986, pp. 320 ss.

11 Cfr. M. Ghidini, Società personali, op. cit., p. 98. Negli stessi termini, F. Guerrera, voce Società in nome collettivo, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, p. 945.

Tuttavia, in dottrina si è fatto presente che le stesse criticità riscontrate nel conferire la carica di amministratore di una società di persone ad una persona giuridica si possono avere anche in caso di amministrazione di una società di capitali ovvero di partecipazione in una Associazione temporanea di imprese. Cfr. G.E. Colombo, La partecipazione di società di capitali ad una società di persone, in Riv. soc., 1998, pp. 1518 ss.

12 C. Amatucci, La partecipazione di società di capitali a società di persone, Napoli, 1996, pp. 125 ss.

In dottrina però si è fatto presente che la società di persone deve osservare gli stessi criteri di valutazione nella stesura del proprio bilancio stabiliti per le società di capitali, a seguito del rinvio previsto dall’art. 2217 cod. civ. alla disciplina del bilancio delle società per azioni. Inoltre, la società di capitali deve annotare nella sezione dell’attivo del bilancio la propria partecipazione nella società di persone nonché offrire indicazione nella Nota integrativa e nella relazione sulla gestione accompagnatrici dello stesso documento contabile. Tali adempimenti sono ritenuti sufficienti per tutelare il diritto di informazione dei soci e dei creditori sociali. Cfr. E.G. Colombo, La partecipazione di società di capitali ad una società di persone, op. cit., pp. 1528 ss. ed anche A. Borgioli, Partecipazioni di società di capitali in società di persone, in Riv. dir. comm., 1989, I, pp. 315 ss.

13 I giudici di legittimità hanno argomentato la loro decisione, sostenendo che: <<l’atto costitutivo della partecipazione di una società per azioni ad una società in accomandita semplice, in qualità di socio accomandante, è nullo per violazione di norme imperative, atteso che l’investimento di porzione del patrimonio della società di capitali in quella partecipazione si pone in conflitto con inderogabili regole che presiedono per la tutela dei soci e dei creditori, alla amministrazione od alla formazione del bilancio di società di capitali, con particolare riguardo alle regole attinenti alla responsabilità degli amministratori ed al controllo sul loro operato, nonché alle esigenze di chiarezza e precisione del bilancio>>. Cass., SS.UU., sent. 17 ottobre 1988 n. 5636, in Dir. Fall., 1989, II, p. 315.

Si fa presente che i giudici di legittimità, precedentemente al 1988, si erano pronunciati negando alla società di capitali la possibilità di costituire società di persone, offrendo argomenti ritenuti meno convincenti di quelli esposti nel 1988, quali l’impossibilità di riscontrare nella società di capitali l’intuitus personae e l’affectio societatis, ed anche il differente regime di responsabilità in ordine all’adempimento delle obbligazioni sociali. v. Cass., Sez. civ., sent. 19 novembre 1981 n. 6151, in Riv. not., 1982, p. 283 ed anche Cass., Sez. lav., sent. 28 gennaio 1985 n. 464, in Società, p. 867.

In ultimo, l’orientamento espresso dalla Suprema Corte nel 1988 si è consolidato in giurisprudenza ordinaria e di legittimità. v. Cass., Sez. civ., sent. 2 gennaio 1995 n. 7, in Riv. dir. comm., 196, II, p. 35; ed anche, ad esempio, App. Milano 25 maggio 2004, in Giur. comm., 2005, II, p. 269 ss; Trib. Milano 18 giugno 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, p. 7; Trib. Torino, 24 febbraio 1998, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 135.

14 Si può annoverare fra gli orientamenti dottrinali contrari all’ammissione del fenomeno dell’ibridazione partecipativa – ed in particolare all’ammissione di una super-società di fatto – una certa dottrina, la quale riteneva che <<se una società di capitali potesse partecipare ad una società di fatto con persone fisiche (e i termini del problema non varierebbero neppure se la combinazione avesse luogo con altre società) la parte del capitale investita dalla società regolare nella società di fatto sarebbe sottratta al sistema legale di amministrazione e di controllo che agisce esclusivamente rispetto al corpo sociale regolarmente costituito; e per di più sarebbero svincolate da ogni controllo le varie operazioni eseguite, e le relative obbligazioni contratte, dagli amministratori della società di fatto (che ben potrebbero essere diversi da quelli della società socia di questa) con assunzione di responsabilità che pure si ripercuoterebbero in misura illimitata sul patrimonio dei soci della società di fatto e quindi anche su quello della società di capitali>>.U. Azzolina, Sull’ammissibilità di una società di fatto tra società di capitali e persone fisiche, in Riv. Dir. Comm., 1958, p. 496; in senso conforme C. Amatucci, La partecipazione di società di capitali a società di persone, op. cit., pp. 72 ss.

Un altro orientamento dottrinale ha sostenuto l’ammissibilità di una partecipazione di una società di capitali in un soggetto societario a responsabilità illimitata incompatibile con norme imperative poste a tutele degli interessi di terzi e con il divieto di costituire società atipiche. Secondo questa dottrina: <<l’ordinamento giuridico riconosce al negozio un’efficacia che si estende oltre le parti contraenti, a garanzia dei terzi interessati, deve imporre che i negozi stessi non possano porsi in essere se non nelle forme dall’ordinamento stesso predisposte (…) Dal negozio di società consegue la creazione di una organizzazione, destinata a svolgere nei confronti dei terzi attività economica: a garanzia di costoro, l’autonomia privata è ristretta alla scelta fra i tipi di società previsti dalla legge. Non sono, dunque, ammesse società atipiche>>. A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, p. 14.

15 Fra i tanti, si menzionano, R. Colombo, La partecipazione di società di capitali ad una società di persone, op. cit., pp. 1513 ss.; A. Borgioli, Partecipazioni di società di capitali in società di persone, op. cit., pp. 301 ss; S. Scotti Camuzzi, Società per azioni accomandante di società in accomandita semplice, in Contr. Impr., 1989, pp. 97 ss.

16 F. Fimmanò, Super-società di fatto ed estensione di fallimento alle società eterodirette, op. cit., p. 5.

Negli stessi termini si è espresso anche il Cottino, il quale ritiene che i giudici di legittimità abbiano preferito un meccanismo di repressione dell’abuso dello schermo societario che agisce ex ante, sentenziando la nullità della partecipazione di una società di capitali in un soggetto societario a base personale, rinunciando a distinguere le situazioni di reale abuso da quelle, invece, di un utilizzo corretto dell’istituto giuridico. Cfr. G. Cottino, Diritto commerciale, op. cit. pp. 375 ss.

17 Per un’attenta esposizione delle discipline presenti negli altri paesi europei, si rimanda a F. Vessia, Società in nome collettivo partecipate da persone giuridiche, op. cit., pp. 560 ss., approfondimento riportato anche in F. Vessia, La partecipazione all’atto costitutivo di soggetti diversi dalle persone fisiche, in C.A. Busi – F. Preite (a cura di), Trattato sulle società di persone, I, Torino, 2015, p. 1165 ss. L’autrice conclude il proprio esame comparato sostenendo che: <<non sono considerati impedimenti all’acquisto di partecipazioni di società di capitali in società di persone né il diverso regime di responsabilità per le obbligazioni sociali tra ente partecipante e società partecipata, né il tendenziale binomio tra rischio personale e potere di gestione, a condizione che si superi lo schermo della persona giuridica e si indirizzino obblighi e responsabilità [alla] persona fisica rappresentante in solido con la persona giuridica rappresentata, e che si estendano gli obblighi di pubblicità della nomina e della revoca al rappresentante legale della persona giuridica>>. F. Vessia, Società in nome collettivo partecipate da persone giuridiche, op. cit., p. 570.

Nel nostro ordinamento nazionale queste conclusioni hanno trovato conferma nelle discipline del Gruppo europeo di interesse economico – ex art. 5 dal Regolamento CE del 25 luglio 1985 n. 2137 – e della Società Europea – ex art. 47 del Regolamento UE del 10 novembre 2001 n. 2157. In particolare, per la Vessia, la disciplina del GEIE deve essere applicata in caso di lacune normative, ogniqualvolta la figura dell’amministratore è ricoperta da una persona giuridica, pertanto, anche per integrare la disciplina delle società di persone. F. Vessia, ult. op. cit., p. 571.

18 La Direttiva Comunitaria del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE è stata pubblicata in Giur. comm., 1991, I, pp. 442 ss.

19 Cfr. A. Tucci, Il fallimento della società di fatto fra società di capitali, in Riv. dir. soc., 2016, 3, p. 576.

20 Cfr. G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, in Società di persone e consorzi, in G. Cottino – M. Sarale – R. Weigmann (a cura di), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004, p. 94. Gli autori hanno posto un parallelismo fra l’art. 1, comma 3, Direttiva del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE e la disciplina dell’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ., in quanto il primo rappresenta la fonte materiale del secondo, con alcune differenze previste in merito alla pubblicazione dei bilanci.

21 Nonostante nell’art. 111-duodecies non sia contemplata esplicitamente la società semplice, in dottrina non si dubita sulla possibilità per una società di capitali di partecipare anche una società semplice, in considerazione del principio della libertà di partecipazione della società di capitali in qualsiasi tipologia associativa contenuto nella legge delega di riforma del diritto societario art. 2 lett. g) Legge 3 ottobre 2001 n. 366.

Una certa dottrina ritiene, altresì, che <<il motivo per cui è stata data attuazione alla delega affrontando unicamente il caso della partecipazione di società azionaria, quale socio illimitatamente responsabile, in altra “impresa” (art. 2361, comma 2, c.c.) e quello della partecipazione di società di capitali in società di persone diverse dalla società semplice (art. 111-duodecies disp. att.) è che tali ipotesi erano le uniche discusse in giurisprudenza, oltre che rientranti in specifiche previsioni di alcune direttive comunitarie>>. P. Talice, La partecipazione all’atto costitutivo di soggetti diversi dalle persone fisiche, op. cit., p. 270.

22 In dottrina si ritiene che sia necessario un nesso di strumentalità fra l’acquisto di partecipazioni e l’oggetto sociale della società di capitali. Tale relazione serve per evitare che l’acquisto di partecipazioni determini, anche indirettamente, una deviazione delle risorse sociali rispetto alla destinazione funzionale che ha ispirato gli investimenti degli azionisti nella società per azioni medesima.

Al riguardo occorre accertare l’eventuale mutamento sostanziale del tipo di attività che gli amministratori sono tenuti a svolgere successivamente all’acquisto della nuova partecipazione che, per il suo valore o rilevanza, potrebbe rendere la sua gestione un’attività particolarmente significativa o addirittura preponderante. A. Mirone, sub art. 2361, G. Niccolini – A. Stagno D’Alcontres (in a cura di), Società di capitali. Commentario, Napoli, 2004, pp. 418 ss.

Una chiara voce del diritto ha così esposto la ratio dello stesso divieto: <<lo scrupolo normativo è, dunque, il razionale utilizzo delle risorse produttive in coerenza con la loro destinazione, quale derivante dalla programmazione operata (e tenuta presente) dai soci investitori in via originaria o in sede di successiva modifica dello statuto>> E. Ginevra, sub art. 2361, E. Gabrielli (diretto da), in Commentario del codice civile, II, Torino, 2015, p. 3.

23 Non vi è dubbio in dottrina che l’art. 2361, comma 2, cod. civ. faccia riferimento alla delibera dell’assemblea ordinaria, anche in presenza di sistemi alternativi di amministrazione, in quanto le attribuzioni all’assemblea straordinaria devono trovare specifico ed espresso riconoscimento nella legge ex art. 2365 cod. civ.. fra i tanti, v. V. Donativi, sub art. 2361, in M. Sandulli – V. Santoro (a cura di), La riforma delle società di capitali, I, Torino, 2003, p. 233 ed anche U. Tombari, Le partecipazioni di società di capitali in società di persone come nuovo “modello di organizzazione dell’attività d’impresa”, in Riv. soc., 2006, pp. 185 ss.

La necessità di una delibera assembleare è stata, invece, spiegata dalla volontà legislativa di riservare un ruolo di centralità ai soci, in considerazione della responsabilità illimitata che sarebbe scaturita dalla partecipazione nella società di persone. Una certa dottrina ha connesso il coinvolgimento dei soci alle alterazioni delle condizioni di rischio originariamente connesse alla società di capitali. cfr. V. Calandra Buonaura, I modelli di amministrazione e di controllo nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2003, I, p. 543.

Altri autori hanno, invece, spiegato questa scelta legislativa con l’assoggettamento dell’intero patrimonio sociale in un rischio non gestito direttamente dagli organi della società di capitali. Cfr. A. Bartalena, La partecipazione di società di capitali in società di persone, op. cit., pp. 106 ss.

Difatti, l’operazione in parola tocca un interesse primordiale dell’azionista, che non può rappresentare un argomento oggetto di piena delega nei confronti dell’organo amministrativo. Tale considerazione spiega la scelta del legislatore di prevedere che una apposita delibera da parte dell’assemblea dei soci, piuttosto di una mera autorizzazione. Gli amministratori, tuttavia, restano liberi nel decidere l’an dell’acquisto, ed ogni successiva decisione circa la gestione della partecipazione. Cfr. E. Ginevra, sub art. 2361, in E. Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, II, Torino, 2015, pp. 9-10.

24 Tale disposizione è finalizzata a tutelare il diritto d’informazione dei creditori con la previsione di una specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. I terzi che instaurano rapporti commerciali nei confronti della società di capitali hanno il diritto a di conoscere la circostanza che può incidere sull’affidabilità della propria controparte che, con la nuova partecipazione, assume un rischio differente rispetto a quello tipico di una società personificata. Cfr. U. Tombari, La partecipazione di società di capitali in società di persone come nuovo “modello di organizzazione dell'attività d'impresa”, in Riv. soc., 2006, p. 196.

Per quanto concerne la sede più opportuna dove collocare nella Nota integrativa l’informazione richiesta dal Codice civile, vi è stato chi ha proposto l’inserimento nel punto 5 della stessa Nota Integrativa, in quanto spazio dedicato ad accogliere i dati riferiti alle società controllate e collegate. Cfr. G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, op. cit., pp. 93 ss.

Altri, invece, sono stati più propensi nel dedicare al rapporto partecipativo una voce dei conti d’ordine, in considerazione del rischio legato alla posizione di socio illimitatamente responsabile. Cfr. L. Quattrocchio, La novità in tema di bilancio di esercizio, in Soc., 2003, p. 161.

Un diverso problema attiene anche alle informazioni da indicare in Nota integrativa, dove una parte della dottrina ritiene si debba prendere come riferimento l’onere informativo previsto per le società controllate e collegate, con particolare attenzione alle informazioni relative al capitale sociale e, in caso di assenza, alle garanzie a supporto delle obbligazioni sociali, come l’elenco dei soci e della loro posizione patrimoniale. Cfr. F. Vessia, sub art. 2427, in P. Perlingieri (a cura di), Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli, 2010, pp. 1829 ss.

25 Tale disposizione rappresenta l’adozione dell’art. 1, comma 3 della Direttiva del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE; per quanto concerne l’obbligo di pubblicazione, da un’interpretazione sistematica del testo legislativo e della stessa Direttiva, si può ritenere che l’obbligo di pubblicazione sussiste sia per i bilanci consolidati sia per i bilanci di esercizio, anche in considerazione della disciplina prevista dall’art. 2429, comma 3, cod. civ. per quanto concerne i bilanci delle società controllate o collegate. Cfr. G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, op. cit., pp. 94 ss. ed anche A. Borgioli, Partecipazioni di società di capitali in società di persone, op. cit., pp. 314 ss.

26 In dottrina è stata spiegata questa scelta legislativa come un recepimento minimale della Direttiva del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE. Cfr. F. Vessia, Società in nome collettivo partecipate da persone giuridiche, op. cit., p. 588.

27 Cfr. F. Ferrara Jr. - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, pp. 825.

28 Si menzionano fra le più significative, Cass., Sez. civ., sent. 24 febbraio 1975, n. 681, in Foro it., 1976, I, p. 1700 ed anche Cass., Sez. civ., sent. 16 febbraio 1963 n. 342, Foro it, 1963, I, p. 1990; quest’ultima sentenza è stata altresì oggetto di commento nel contributo dottrinale F. Batistoni Ferrara, Società di capitali socie di società di persone ed imposta di registro sui conferimenti, in Foro it., 1964, I, pp. 369 ss.

Fra gli arresti giurisprudenziali dove è enunciata una super-società di fatto nei rapporti con l’Amministrazione finanziaria, fra le tante, si menziona la recente Cass., Sez. trib., ord. 23 febbraio 2021 n. 4763, in C.E.D. Cassazione.

29 Cfr. Cass., Sez. trib., sent. 6 aprile 1982 n. 2108 in Le società, 1982, I, p. 1017.

30 Tuttavia è da riportare il pensiero di un’attenta dottrina formulato in un periodo antecedente alla riforma del diritto societario del 2003, la quale ha criticato un’interpretazione dell’art. 6 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 che legittimi il conferimento di soggettività tributaria a riunioni di beni e persone che sul terreno privatistico non godano dello stesso riconoscimento. Secondo il Giovannini, infatti, <<l’art. 6 della legge sull’accertamento tenda a “chiudere” il sistema relativo agli effetti della dichiarazione, nel senso che, qualora sul terreno del diritto civile si giungesse ad ammettere la legittimità di società di persone partecipate da società di capitali, l’imputazione degli utili da quelle prodotti già godrebbe di specifica regolamentazione rispetto ai soci sottoposti all’IRPEG>> A. Giovannini, Soggettività tributaria e fattispecie impositiva, Padova, 1996, p. 393.

31 Cfr. P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, Milano, 1996, p. 216.

32 Cfr. L. Rosa, sub art. 56, in N. D’amati, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, Torino, 1992, p. 433. Per l’autrice, le indicazioni fornite nelle istruzioni del modello dichiarativo 760 del 1989, sono da interpretarsi con la volontà del Ministero delle finanze di non far venir meno l’obbligo di includere nella dichiarazione dei redditi redatta dalla società di capitali, in luogo degli utili distribuiti e contabilizzati, la quota di reddito spettante al socio secondo la disciplina dettata dall’art. 5 del T.U.I.R, anche qualora lo stesso fenomeno partecipativo ibrido fosse ritenuto irregolare.

33 Sono diversi i documenti di prassi emessi dal Ministero delle Finanze in date precedenti alla riforma del diritto societario del 2003 che consolidano l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria a favore di una partecipazione di una società di capitali in una società di persone; fra i quali, le Risoluzioni del 30 marzo 1979 n. 571, del 13 agosto 1982 n. 2147, del 30 ottobre 1982 n. 350845, del 17 novembre 1983 n. 782, del 31 dicembre 1986 n. 363406, del 28 giugno 1988 n. 550231, del 16 maggio 1989 n. 550763 e del 24 settembre 1991 n. 500161.

Anche successivamente alla riforma del diritto societario contenuta nel D.lgs. 12 dicembre 2003 n. 344, l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria è rimasto immutato, come risulta dalle Risoluzioni del 13 luglio 2007 n. 172 e del 16 giugno 2008 n. 246.

Tutti i documenti di prassi menzionati sono consultabili in Banche dati fisconline.

34 Un’illustre dottrina, a favore l’esistenza di una nozione autonoma di società di fatto ai fini fiscali, ha giustificato questa scelta del legislatore, sostenendo che <<la legislazione in materia tributaria è sovente più avanzata (o forse più spregiudicata) rispetto a quella relativa ad altri settori e ciò in quanto il legislatore è particolarmente attento al fenomeno economico (che vuole assoggettare ad imposizione) che non sempre può essere individuato con esattezza (anche al fine di evitare elusioni di imposta) utilizzando le categorie giuridiche proprie di altre branche del diritto (…) anche in materia di consorzi e di associazioni temporanee d’imprese abbiamo esempi di tale posizione avanzata (o spregiudicata) del legislatore tributario (e in certi casi anche della prassi amministrativa) che (…) accoglie tranquillamente alcune soluzioni giuridiche che in altri campi del diritto sono assai controverse>> L. Perrone, Associazioni temporanee di imprese e consorzi con attività esterna: problemi di diritto tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1984, pp. 128-129.

35 L. Rosa, sub art. 56, op. cit., p. 433.

36 Per il rapporto fra interesse fiscale ed il contrasto con i fenomeni elusivi ed evasivi v. P. Boria, I principi costituzionali dell’ordinamento fiscale, in A. Fantozzi (a cura di), Diritto Tributario, Torino, 2012, pp. 80 ss. ed anche Id, L’interesse fiscale, Torino, 2002, pp. 107 ss.; E. De Mita, Introduzione. Una giurisprudenza necessaria, in L. Perrone, C. Berlini (a cura di), Diritto Tributario e Corte Costituzionale, Napoli, 2006, XX ss.

37 Cfr. M. Sacconi, Tassabilità ai fini Irpeg solo se percepiti gli utili di partecipazione di società di capitali in società di persone, in Boll. Trib., 1983, pp. 1845 ss. L' Autore esamina sinteticamente la normativa IRPEF ed IRPEG relativa alle partecipazioni di società IRPEG in società a base personale; ne afferma la tassabilità degli utili solo in caso di effettiva distribuzione, mentre le perdite relative, per converso, non possono essere portate in diminuzione del reddito della società di capitali se non in quanto essa sia chiamata alla copertura delle perdite della società di persone.

38 v. Comm. Trib. Cent. 4 agosto 1982 n. 3908, in Comm. Trib. Centr., 1982, I, p. 848 ed anche Comm. Trib. Centr. 26 marzo 1983 n. 325, in Comm. Trib. Centr., 1983, I, p. 101.

39 Cfr. A. De Salvo, La tassazione degli utili derivanti da partecipazione di società di capitali in società di persone, in Corr. Trib., 1984, p. 103.

40 Al riguardo il Boria ritiene che: <<rispetto alla scelta di riferire il risultato dell’attività sociale mediante lo schema della “trasparenza” non sembra che ricorrano differenze fra il fattore di unificazione delle persone fisiche ed il fattore di unificazione delle società che possano indurre a considerare diversamente applicabile il suddetto schema di imputazione>>. P. Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, op. cit., p. 217.

41 Cfr. P. Boria, ult., op. cit., p. 217.

42 Per un commento del testo di legge contenuto nell’art. 89 TUIR, v. F. Padovani, sub art. 89, in A. Fantozzi (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie – Tuir e leggi complementari, Padova, 2010, III, pp. 451 ss.

43 Nello stesso art. 101 TUIR, al comma 7 si puntualizza la disciplina da seguire in presenza di versamenti in denaro ed in natura eseguiti a fondo perduto o in conto capitale a favore di società in nome collettivo o accomandita semplice da parte di soci soggetti IRES, quando gli stessi soci rinuncino al credito. In tal caso, il socio non può dedurre il relativo ammontare del credito che, invece, si aggiunge al costo della partecipazione stessa. Tale disposizione è allineata in modo coerente con il contenuto normativo dell’art. 88, comma 4, TUIR dell’art. 94, comma 6, TUIR. v. V. Mastroiacovo, sub. art. 101,in A. Fantozzi (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie – Tuir e leggi complementari, Padova, 2010, III, p. 532, ed anche M. Leo, Le imposte sui redditi nel testo unico, Milano, 2014, p. 1676.

44 Cfr. V. Mastroiacovo, sub. art. 101,op. cit., p. 532

45 Si rammenta che dalla riforma contenuta nel D.lgs. 12 dicembre 2003 n. 344 emerge un trattamento fiscale differente delle perdite fra imprese in regime ordinario ed imprese in regime semplificato. Per un raffronto fra le due discipline, v. A.F. Uricchio, sub art. 8, in N. D’amati, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, op. cit., pp. 49 ss. e N. Pennella, sub art. 66, in N. D’amati, L’imposta sul reddito delle persone fisiche, op. cit., pp. 524 ss.

Tale disallineamento è perdurato sostanzialmente fino al gennaio 2019, quando le modifiche contenute nella Legge 30 dicembre 2018 n. 145 hanno uniformato la disciplina delle perdite fiscali indipendentemente dalla natura giuridica dell’imprenditore commerciale. Cfr. A. Fantozzi – F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Milano, 2019, pp. 54 ss.

Per un esame del nuovo regime delle perdite generate dalle società a base personale e le criticità dovute all’allineamento fra i diversi trattamenti fiscali delle perdite d’impresa, si rinvia a G. Ferranti, Cambia la disciplina delle perdite delle imprese soggette all’Irpef, in Fisco, 2018, pp. 4113 ss.

46 Cfr. G. Ferranti, La nuova disciplina del riporto delle perdite secondo l’Istituto di Ricerca DCEC, in Corr. Trib., 2011, p. 3098. L’autore, commentando in un’altra sua opera il nuovo vincolo al riporto delle perdite introdotto nell’art. 101, comma 6, TUIR, sostiene che la norma <<sembrerebbe ingiustificatamente penalizzante nei casi in cui la società partecipata non abbia assunto finanziamenti ovvero la perdita derivi solo in parte dal sostenimento degli interessi passivi: in quest’ultimo caso dovrebbero essere, comunque, forniti i criteri per la determinazione della quota di perdita deducibile in deroga al criterio dell’art. 101, comma 6, del T.U.I.R.>>.G. Ferranti, I rapporti tra la nuova disciplina delle perdite e gli altri istituti fiscali, in Corr. Trib., 2012, p. 385.

La medesima ratio, ha portato il legislatore ad introdurre – sempre con le modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 – nell’art. 152, comma 2, TUIR, lo stesso limite nella disciplina delle società ed enti commerciali non residenti privi di una stabile organizzazione in Italia, che detengono partecipazioni in una società di persone residente, che tuttavia è stato in vigore solo nell’arco temporale fra il gennaio 2008 e l’ottobre 2015. Cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, op. cit., pp. 1675-1676.

L’autore, altresì, ritiene vi sia un’analogia fra le finalità antielusive introdotte nel nuovo art. 101, comma 6, TUIR e le disposizioni applicabili alle perdite delle Controlled Foreign Companies dell’art. 2, comma 1, D.M. 21 novembre 2001, n. 429.

47 Un’attenta voce della dottrina si esprime sugli eccessivi limiti posti dalla nuova versione dell’art. 101, comma 6, TUIR evidenziando che le perdite della società di persone imputate per trasparenza alle società di capitali <<sarebbero soggette a un doppio limite: quello della utilizzabilità delle perdite solo in abbattimento degli utili imputati dalla stessa società e quello della portabilità delle perdite solo “nei successivi cinque periodi d’imposta”; cosicché il limite quinquennale opererebbe anche in casi in cui le perdite fossero, ai sensi dell’art. 8, comma 3, illimitatamente riportabili>>. G. Fransoni, Finanziaria 2008 e modifiche alla disciplina delle perdite, op. cit., p. 651.

Lo stesso autore ha altresì proposto l’opportunità di valutare la disapplicazione della novella disciplina contenuta nell’art. 101, comma 6, TUIR mediante istanza di interpello ai sensi del comma 8 dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Cfr. Ivi, p. 702.

48 Cfr. G. Rebecca – M. Zanni, Perdite fiscali. Guida operativa, Milano, 2012, p. 22.

49 Tale divergenza è stata rivelata anche da un’attenta voce della dottrina, secondo la quale <<si verificherà così che un soggetto IRES tratti differentemente le perdite dallo stesso prodotte e quelle a lui attribuite a seguito della sua partecipazione in società di persone commerciali>> F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, Padova, 2012, p. 231.

50 Le modifiche apportate dalla Legge 30 dicembre 2018 n. 145 al testo dell’art. 101, comma 6, TUIR sono ben spiegate dalla stessa Agenzia delle Entrate nel proprio documento di prassi: <<l’articolo 101, comma 6, del TUIR nella sua formulazione previgente stabiliva che, in caso di quote di s.n.c. e s.a.s. detenute da società di capitali, le perdite attribuite dalle società personali erano utilizzabili solo a riduzione degli utili assegnati dalle medesime società nei successivi cinque periodi d’imposta. L’articolo 1, comma 23, lettera c), della legge di bilancio 2019 prevede che “all’articolo 101, comma 6, le parole «nei successivi cinque periodi d’imposta» sono soppresse”. A seguito della modifica, quindi, in caso di quote di S.n.c. e S.a.s. detenute da società di capitali, le perdite attribuite dalle società personali sono utilizzabili solo a riduzione degli utili assegnati dalle medesime società in esercizi successivi senza limiti di tempo. Viene, quindi, cancellato il precedente limite quinquennale di portabilità delle perdite (in linea con le modifiche effettuate all’articolo 8 del TUIR)>>. Circ. 10 aprile 2019 n. 8, in Banca dati fisconline.

51 Tale processo evolutivo è stato auspicato dalla migliore dottrina tributarista, fra i tanti, si menzionano C. Cosciani, Stato dei lavori della commissione per lo studio della riforma tributaria, Milano, 1964, pp. 231 ss.; G. Falsitta, Problemi, vicende e prospettive della tassazione del reddito d’impresa nell’ordinamento italiano, in La struttura e l’imposizione fiscale, Atti del Convegno di S. Remo, Padova, 1981, p. 117; A. Fedele, Profilo fiscale delle società di persone, in Riv. not., 1988, p. 551 ed anche A. Cicognani, voce Società, IV) Diritto tributario, in Enc. giur. Treccani, XXIX, Roma, 1993, p. 5; A. Gastaldo, La responsabilità solidale e illimitata dei soci di società di persone per i tributi dovuti dalla società, in Dir. prat. trib., 2000, p. 1171.

52 Cfr. G. Cottino – R. Weigmann, Le società di persone, op. cit., pp. 94 ss. ed anche A. Borgioli, Partecipazioni di società di capitali in società di persone, op. cit., pp. 314 ss.

La norma non indica gli adempimenti a cui devono sottostare le società di persone partecipate contemporaneamente da persone fisiche e persone giuridiche. Tuttavia, in dottrina si ritiene che, avendo il legislatore adottato un recepimento minimale della Direttiva del 8 novembre 1990, n. 90/605/CEE, nulla vieta la scelta volontaria degli organi amministrativi della società di persone di adempiere ugualmente agli obblighi previsti dall’art. 111-duodecies disp. att. cod. civ. Cfr. F. Vessia, Società in nome collettivo partecipate da persone giuridiche, op. cit., pp. 588 ss. ed anche F. Ferrara jr. – F. Corsi, Gli imprenditori e le società, op. cit., pp. 825.

53 Si avrebbe la condizione opposta rispetto a quella che si verifica in presenza del regime di trasparenza destinato alle società a responsabilità di capitali a ristretta base proprietaria, le quali rappresentano <<enti nei quali “forma giuridica” e “sostanza dei rapporti sociali” non corrispondono: la perfetta alterità che garantisce la forma di società di capitali è tradita da una situazione di immedesimazione fra soci e società. L’estrema astrazione del rapporto associativo che li dovrebbe connotare è superata a favore di quella estrema personalizzazione dello stesso che qualifica la società di persone>>. F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, op. cit., p. 18.

54 Cfr. G. Falsitta, Lezioni sulla riforma tributaria, Padova, 1972, pp. 158 ss.

Sull’adozione del principio della trasparenza fiscale per esigenze di cautela fiscale si è espresso favorevolmente anche A. Fedele, Profilo fiscale delle società di persone, op. cit., p. 552; Boria, Il principio di trasparenza nella imposizione delle società di persone, op. cit., p. 359; e M. Procopio, I limiti del beneficium excussionis nella fattispecie dei debiti tributari, in Giur. comm., 2017, p. 982.

55 Tale regime opzionale si ritiene applicabile ad una società di persone partecipata da società di capitali aventi i requisiti indicati all’art. 111-duodecies, disp. att. cod. civ. piuttosto che all’intera categoria delle società di persone che adottano la contabilità ordinaria in quanto, l’elemento determinante per scongiurare eventuali commistioni fra il patrimonio societario e quello particolare dei singoli soci non è dato dal regime contabile adottato, ma dal grado di strutturazione dell’organizzazione d’impresa.

Queste considerazioni sono avvalorate dalle contestazioni adottate dall’Amministrazione finanziaria in presenza di una società a responsabilità limitata con una ristretta base partecipativa. Infatti, nonostante il soggetto societario utilizzi un impianto contabile di tipo ordinario, sussistono determinati elementi tali da assimilare la struttura organizzativa della società a responsabilità limitata ad una società a base personale. Pertanto, l’Ente impositore ha proceduto ad imputare la ricchezza prodotta dalla società a responsabilità limitata pro-quota ai singoli soci, sulla falsariga dell’art. 5 TUIR.

56 Questo principio non trova, tuttavia, applicazione in presenza di un trust; in tal caso, infatti, la commisurazione del tributo dovuto avviene in maniera unitaria indipendentemente che si tratti di un trust opaco o trasparente. Tanto si apprende dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2007 n. 48/E visionabile in Banche dati fisconline.

57 Cfr. L. Salvini, La tassazione per trasparenza, op. cit., p. 1522.

Un’attenta dottrina sostiene che l’allineamento delle regole di determinazione dell’imponibile fra soci e società rappresenterebbe <<una manifestazione di quella omogeneità orizzontale e verticale che deve sussistere circa le regole di determinazione dell’imponibile fra i soci e la società, finalizzato ad evitare che la trasparenza si risolva in uno strumento attraverso cui consentire arbitraggi fiscali>>. F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, op. cit., p. 230.

58 Gli interessi passivi e gli altri oneri finanziari, qualificati come tali dai principi contabili adottati dalla realtà imprenditoriale, sono deducibili dal reddito d’impresa integralmente a concorrenza dell’ammontare degli interessi attivi. La parte di oneri finanziari eccedente è deducibile nei limiti del 30% del risultato operativo lordo, id est un valore del conto economico pari alla differenza fra il valore ed i costi della produzione con esclusione degli ammortamenti e dei canoni di leasing relativi ai beni strumentali.

Per un excursus storico sulle diverse discipline che si sono susseguite nel tempo riferite al trattamento degli interessi passivi ed oneri finanziari, si rimanda ad A. Fantozzi - F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, op. cit., pp. 217 ss. Gli autori, in riferimento alla disciplina in vigore dal 2008, ritengono che la novella norma: <<denota chiari limiti concettuali perché, in sostanza, assume un livello fisiologico di indebitamento della stessa misura a prescindere dal settore di appartenenza e dell’impresa e della fonte (soci o terzi)>>Ivi, p. 220.

Per un approfondimento sulle nuove condizioni di deducibilità degli interessi passivi nella determinazione del reddito imponibile di un soggetto societario IRES, v. G. Zizzo, La determinazione del reddito delle società e degli enti commerciali, in G. Falsitta (a cura di), Manuale di diritto tributario, il sistema delle imposte in Italia, pp. 462 ss.; P. Tarigo, I pro-rata (generale e patrimoniale) di deducibilità degli interessi passivi, in Imposta sul reddito delle società, (diretta da) F. Tesauro, Bologna, 2007, pp. 427 ss.; M. Poggioli, Interessi passivi, imposta sul reddito delle persone fisiche e principio di inerenza, in M. Beghin (a cura di), Saggi sulla riforma IRES, 2008, pp. 112 ss.

59 Le componenti negative di reddito relative agli interessi passivi ed oneri finanziari ricadenti nell’ambito della tassazione degli imprenditori individuali e delle società di persone sono deducibili sulla base del rapporto fra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono al reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi ed i proventi. v. A. Fantozzi - F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, op. cit., p. 222; ed anche P. Russo, Manuale di diritto tributario, parte speciale, Milano, 2009, pp. 225-226, F. Coli, sub. art. 61, in A. Fantozzi (a cura di), Commentario breve alle leggi tributarie – Tuir e leggi complementari, Padova, 2010, III, pp. 318 ss.

60 La disciplina contenuta nell’art. 101, comma 6, TUIR determina un’importante divergenza nel trattamento fiscale dei redditi di partecipazione, che sarebbe evidente qualora le società partecipate generassero una perdita. Nel caso in cui il risultato negativo di esercizio fosse scaturito dall’attività di impresa della società di capitali trasparente, la stessa perdita concorrerebbe, al pari degli altri redditi, alla determinazione della base imponibile della società partecipante; qualora, invece, la perdita scaturisse dalla società di persone, la stessa troverebbe compensazione solo nei futuri risultati positivi della stessa società partecipata, secondo le disposizioni previste dall’art. 101, comma 6, TUIR.

Questa divergenza nel trattamento delle perdite dovute ad una partecipazione detenuta da una società di capitali, a seconda della natura del soggetto societario partecipato, non è stata esente da critiche. Fra i tanti, il Rasi ha concluso l’esame della disciplina contenuta nell’art. 101, comma 6, TUIR, sostenendo che <<ad avviso di chi scrive si ritengono tutti questi effetti non il frutto di una meditata scelta del legislatore, ma solo il risultato di un malaccorto intervento legislativo che meriterebbe di essere emendato>> F. Rasi, La tassazione per trasparenza delle società di capitali a ristretta base proprietaria, op. cit., p. 231.

61 Tali criticità sono state evidenziate in dottrina anche da G. Ferranti, La nuova disciplina del riporto delle perdite secondo l’Istituto di Ricerca DCEC, op. cit., p. 3098; Id, I rapporti tra la nuova disciplina delle perdite e gli altri istituti fiscali, in Corr. Trib., 2012, p. 38; Cfr. M. Leo, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, op. cit., pp. 1675-1676.