Logo IeD
  • Archivio
  • 2021
  • Pubblicazione 3 - 2021
  • Le eccezioni al principio di immodificabilità del dispositivo e della motivazione della sentenza del giudice tributario (Nota a sentenza Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sez. Civ., n. 7323 del 15/10/2019, depositata in data 17/03/2020)

Le eccezioni al principio di immodificabilità del dispositivo e della motivazione della sentenza del giudice tributario (Nota a sentenza Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sez. Civ., n. 7323 del 15/10/2019, depositata in data 17/03/2020)

Scritto da Stefano Grisolìa • nov 2021

Sintesi

Con la sentenza in commento la cassazione ha evidenziato come l’errore di fatto afferente la modifica della motivazione e del dispositivo di una sentenza possa consentire di sostituire sia l’uno che l’altro ove siano sussistenti determinati requisiti quali: 1) la medesimezza delle parti - rectius la sostituzione di decisione assunta in altro e parallelo giudizio svoltosi contestualmente tra le stesse parti; 2) il dispositivo non modificato sia qualificabile come errore rilevabile ictu oculi – rectius la parte motiva ed il decisum sono rimasti i medesimi e nell'intestazione è rinvenibile un errore di collazione rilevabile ictu oculi. Sarà oltremodo interessante, dopo aver esaminato i principi di diritto confermati dalla Suprema Corte, analizzare le ulteriori pronunce della Cassazione che su questo tema si auspica potranno fornire ulteriori approfondimenti per confermare la prevalenza della “volontà” del Giudice rispetto al “decisum”.

Abstract

With the judgment in question, the Supreme Court highlighted how the factual error relating to the modification of the reasons and the judgment device of a sentence can allow to replace both one and the other where certain requirements exist such as: 1) the same nature of the parties - rectius the replacement of a decision taken in another and parallel judgment held at the same time between the same parties; 2) the unmodified device qualifies as a detectable error ictu oculi - rectius the motivating part and the decisum have remained the same and in the header there is a detectable collation error ictu oculi. It will be extremely interesting, after examining the principles of law confirmed by the Supreme Court, to analyze the further rulings of the Supreme Court which on this issue it is hoped will be able to provide further information to confirm the prevalence of the "will" of the Judge over the "decisum".

Contenuto

1. Premesse in fatto

Con la sentenza n. 7323/2020, la Corte di Cassazione ha confermato un orientamento sempre più consolidato con il quale si afferma in merito alla “correzione degli errori materiali e di calcolo” che: “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile ictu oculi, ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale (cfr. Cass. sent. 31 maggio 2011, n. 12035). E' stato, tuttavia, escluso che possa farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola delle parti, perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso. Tale conclusione è stata ribadita, secondo una prima pronuncia di questa Corte, anche nel caso in cui il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del file informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti, ritenendo che l'estensione della correzione integrerebbe il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta (cfr. Cass. sent. 12 febbraio 2016, n. 2815). Recentemente, tuttavia, altra pronuncia del giudice di legittimità ha ritenuto che sia possibile, in relazione a questa situazione, il ricorso al procedimento in esame, sostenendo che l'estensione della correzione non integrerebbe il deposito di una decisione distinta (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4319)”.

La vicenda riguarda il gravame interposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza in data 09.07.2012 e depositata in data 01.10.2012, che aveva accolto il ricorso proposto da E. riconoscendo il diritto della ricorrente al rimborso dell’IVA a credito di Lit. 31.624.000 pari ad € 16.332,43, relativa alla dichiarazione IVA dell’anno 1995.

E. impugnava e contestava quanto dedotto nell’interposto gravame, chiedendone il rigetto. L’appellato evidenziava la legittimità dell’iter procedimentale seguito da E. al fine di ottenere il rimborso IVA richiesto, a conferma della correttezza del suo operato.

La Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro in data 30.03.2015 inviava alle parti avviso di trattazione.

Alla predetta udienza la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro emetteva la sentenza n. 2109/2015, del 13.05.2015, depositata in data 02.12.2015, che così statuiva: “P.Q.M. La Commissione Tributaria Regionale della Calabria, Sezione Prima, definitivamente decidendo nel contraddittorio tra le parti sull’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate (Ex Agenzia del Territorio) – Ufficio Provinciale di Cosenza, mediante atto del 04.02.2013 nei confronti di E. avverso la sentenza deliberata inter partes addì 28.05/25.06.2012 dalla Commissione provinciale di Cosenza, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede: - dichiara inammissibile l’appello. – compensa le spese del presente grado. Così deciso in Catanzaro, il 14 gennaio 2015”.

Detta sentenza n. 2109/2015 del 13.05.2015, depositata in data 02.12.2015, era notificata da E. all’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Cosenza in data 18.02.2016.

In data 25.02.2016 l’Agenzia delle Entrate- Direzione Provinciale di Cosenza notificava ad E. ricorso per revocazione ordinaria dinnanzi la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, con il quale chiedeva la revocazione della sentenza n. 2019/2015 emessa dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro. Detto ricorso era iscritto al ruolo n. 634/2016, Sez. IV, Presidente Dott. M. S., Vice Presidente R. B.

Il ricorrente in data 21.04.2016 si costituiva nel predetto giudizio eccependo l’improcedibilità ed inammissibilità del ricorso per revocazione per insussistenza dei requisiti richiesti dalla legge ed, in subordine, chiedeva il rigetto del ricorso perché infondato in fatto e diritto.

In data 05.04.2016 la Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, Sezione I, comunicava la trattazione all’udienza dell’11.05.2016 sull’istanza di correzione della sentenza n. 2109/2015 e con la composizione di diverso collegio giudicante, a seguito di discussione, emetteva la ordinanza n. 291/16 del 16.05.2016 con la quale così provvedeva: “P.Q.M. La Commissione Tributaria Regionale della Calabria, Sezione prima, definitivamente decidendo sull’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate di Cosenza, mediante atto del 14.03.2013, nei confronti di E. avverso la sentenza deliberata tra le stesse parti in data 09.07/01.10.2012 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, disattesa ogni diversa istanza, eccezione e deduzione, così provvede:-1) in riforma della sentenza appellata rigetta il ricorso della E. -2) compensa le spese del doppio grado del giudizio. Così deciso in Catanzaro, il 13 maggio 2015 – Il Giudice Est------ Il Presidente -----------” “Così deciso in Catanzaro, in data 13 maggio 2015”.

La Commissione Tributaria Regionale della Calabria modificava integralmente il contenuto della precedente sentenza sia nella parte motiva che nel dispositivo.

E. proponeva ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza e susseguente ordinanza di correzione, fondato su 5 motivi: 1) nullità della sentenza per abnormità dell’atto in quanto la Corte non poteva sovvertire l’esito del giudizio con modifica del dispositivo, dei motivi e del testo integrale della sentenza; 2) inesistenza dei presupposti per poter effettuare la correzione dell’errore materiale in quanto alcun altro giudizio era pendente tra le stesse parti, né era stato definito con sentenza del 14.01/03.03.2015 (provvedimento inesistente); 3) eccepiva altresì che la sentenza n. 2109/2015 e poi la ordinanza n. 291/16 del 16.05.2016 erano state emesse da diverso collegio giudicante, con evidente violazione di legge; 4) eccepiva che la resistente non poteva esperire contro la sentenza il procedimento di correzione di errore materiale con contestuale ricorso per revocazione in quanto la sentenza, già notificata in data 10.02.2016, non era stata impugnata per Cassazione ed era passata in autorità di cosa giudicata; 5) si ribadiva, infine, la legittimità e fondatezza nel merito della istanza di rimborso iva.

Con sentenza n. 7323 del 15 ottobre 2019, depositata in data 17 marzo 2020, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto da E. compensando integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.


2. Immodificabilità del dispositivo e della parte motiva della sentenza: principio di diritto fondamentale

Nella motivazione della sentenza, la Corte sul primo motivo di ricorso afferente l’immodificabilità del decisum, rectius della sentenza e del dispositivo, afferma che: “il procedimento di correzione dell’errore materiale previsto ai sensi dell’art. 287 e 288 c.p.c. è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l’ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile ictu oculi, ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale (cfr. Cass. 31 maggio 2011, n. 12035)”.

Pertanto, entrando nel dettaglio della sentenza sopra citata e richiamata nella motivazione, “Cass. civ. Sez. II Sent., 31/05/2011, n. 12035, si può evincere che il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo previsto dagli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento mediante il semplice confronto della parte che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, difetto causato da mera svista o disattenzione e, come tale, rilevabile "ictu oculi". Ciò posto si sottolinea altresì che non può farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola delle parti, perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso”1 2.

Pertanto, la pronuncia di correzione di errori materiali (o di calcolo) deve considerarsi funzionale all'eliminazione di un errore che, non incidendo sul contenuto sostanziale della decisione (e, quindi, concretantesi in un elemento estrinseco alla ratio decidendi), si risolve, per converso, in un difetto di corrispondenza tra il contenuto "ideale" della sentenza e la sua ateriale rappresentazione mediante simboli grafici, emergente "ictu oculi" dalla lettura del provve mento, “con la conseguenza che detta pronuncia non può implicare una motivazione diversa ed ulteriore rispetto alla esplicitazione dei passaggi logici e delle operazioni attraverso i quali si pone rimedio all'errore del giudice3.

Si precisa altresì sul punto che “l’errore correggibile” deve consistere in un mero errore di espressione di una volontà in sè non viziata e deve essere riconoscibile dalla lettura del solo documento concernente la decisione e recante l'errore stesso. “La correzione non può, dunque, incidere sul "decisum", poichè l'errore correggibile non può intaccare in alcun modo le posizioni giuridiche delle stesse parti così come accertate nella decisione e, pertanto, la sua correzione - da ricondurre all'esplicazione di un'attività amministrativa (v. Cass. sent. 31 marzo 2007, n. 8060) e non implicante, perciò, propriamente un nuovo esercizio dell'attività giurisdizionale - uniforma semplicemente le espressioni (ritenute erronee) utilizzate nel documento con la decisione medesima, senza in alcun modo investire l'essenza di quest'ultima”4.

Sulla scorta di tali principi ne deriva che al procedimento di correzione è demandata la funzione di ripristinare la corrispondenza tra quanto il provvedimento ha inteso dichiarare e quanto ha formalmente dichiarato, in dipendenza proprio dell'errore o dell'omissione materiali, e non, quindi, di porre rimedio ad un vizio di formazione della volontà del giudice, funzione alla quale sono deputati i mezzi di impugnazione.

Pertanto, ciò che può giustificare il ricorso al procedimento di correzione è l'errore nell'espressione e non nel pensiero, dovuto a disattenzione o svista. Sicché esulano dal campo di applicazione di questo procedimento i vizi che attengono alla formazione della volontà e al processo di manifestazione della stessa, rimanendo spazio solo per quanto è involontario o si riferisce ad elementi che sono sottratti a qualunque forma di valutazione (ad es. inesatta o incompleta indicazione del nome delle parti nell'intestazione o nel dispositivo; erronea trascrizione delle conclusioni delle parti; contrasto tra motivazione e dispositivo conseguente a mera inversione dei termini nell'indicazione delle parti; omessa o errata indicazione della data di deliberazione della sentenza; omessa o inesatta indicazione dell'epigrafe della sentenza di uno o più nomi dei difensori ritualmente costituiti, e così via)5.

In sostanza, l'errore materiale (o di calcolo) può considerarsi sussistente ogni qual volta esso non sia una conseguenza dell’inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione, e, quindi, non implichi vizio del giudizio e nullità, cui si applica il principio previsto dall'art. 161 c.p.c. e, dunque, si risolva in un semplice difetto di formulazione del testo scritto, senza incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione.

In ultimo, il Supremo Collegio, sempre nella sentenza n. 12035/2011, chiarisce in ordine alla circostanza della sostituzione del dispositivo che alla luce dei principi sopra enunciati, l'adozione del procedimento di correzione è da considerarsi clamorosamente illegittimo, quando con il ricorso a detto procedimento si provveda a sostituire completamente il fatto e lo svolgimento del processo del precedente testo della sentenza, riferito ad altra e diversa controversia intercorsa tra le parti, oltre al dispositivo, così violando palesemente le norme di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., ed emanando così una sentenza, con la forma dell'ordinanza correttiva, caratterizzata, oggettivamente e soggettivamente, da un nuovo contenuto decisionale, logico, giuridico e sostanziale, in alcun modo rapportabile al testo corretto, se non per la mera comunanza dell'intestazione, e, quindi, in definitiva, ponendosi con tale condotta al di fuori dei ristretti limiti in cui è giuridicamente ammissibile il ricorso al procedimento di correzione.

Sulla scorta di tali motivazioni la Corte6 afferma un principio di diritto fondamentale: “posto che il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, causato da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile "ictu oculi", è inammissibile il ricorso a tale procedimento allorquando il giudice, ancorchè per motivi di carattere esterno e di scarsa diligenza nell'organizzazione del lavoro giudiziario, intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti afferenti ad altra e differente controversia (con in comune una sola delle parti), così conferendo alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso".

Ritornando alle motivazioni della Corte di Cassazione nella sentenza oggetto della presente nota, dopo aver fatto riferimento al predetto principio di cui alla sentenza n. 12035/2020, il supremo collegio prosegue il proprio iter motivazionale affermando che “E’ stato, tuttavia, escluso che possa farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola della parti, perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso.

Da quanto sin qui esposto, emerge in modo chiaro ed inequivocabile l’affermazione del principio di diritto afferente il divieto di modifica del dispositivo, a conferma dell’orientamento sopra esposto.

Tuttavia, la Corte nella sentenza oggetto di nota, proseguendo nella motivazione, precisa che: “Tale conclusione è stata ribadita, secondo una prima pronuncia di questa Corte, anche nel caso in cui il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del file informatico abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un’epigrafe pertinente, uno “svolgimento del processo”, dei “motivi della decisione” ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti, ritenendo che l’estensione della correzione integrerebbe il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta (cfr. Cass. sent. 12 febbraio 2016, n. 2815).

In questo passaggio motivazionale, la Corte richiama il sopra indicato principio di diritto contenuto anche in altra pronuncia, la n. 2815/2016, nella quale si afferma che: “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile "ictu oculi", ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Non può, tuttavia, farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, ad un'epigrafe pertinente abbia fatto seguire uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia: in tal caso, infatti, l'estensione della correzione integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta”.

Nella motivazione della sentenza n. 2815/2016 si ripercorre dunque l’iter argomentativo che ha portato ad una interpretazione estensiva del concetto di correzione di errore materiale da parte della Corte di Cassazione7.

Ed invero le Sezioni Unite8 hanno preso le distanze dall'indirizzo più restrittivo, che richiamava il tenore letterale dell'art. 287 c.p.c. e la sua interpretazione tradizionale, in base al quale il procedimento di correzione è invocabile solo quando sia necessario ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento e, come tale, percepibile ictu oculi. “Pur in tale prospettiva estensiva, peraltro, esse hanno comunque richiamato - con riguardo all'omissione -il carattere "necessitato" dell'elemento mancante e da inserire, ammettendo la correzione integrativa con riguardo a qualsiasi errore, anche non omissivo, che derivi dalla necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale” 9. In ogni caso il Supremo Collegio conferma che, anche in tale più lata accezione, il procedimento di correzione non possa giungere a sostituire l'intero testo della sentenza, pur se a causa della sostituzione di file informatico 10.

In applicazione dei principi sopra esposti la Suprema Corte chiarisce quando il procedimento di correzione possa qualificarsi quale 1) correzione di errore materiale e quando possa essere definito come 2) esplicazione di un nuovo potere decisorio. Afferma, pertanto, che:

- ricorre la prima ipotesi quando la correzione é esplicazione di un'attività nella sostanza amministrativa, che non implica un nuovo esercizio dell'attività giurisdizionale;

- mentre, ricorre la seconda ipotesi quando la natura dell'errore sia tale che correggere il medesimo comporti la riscrittura dell'intera decisione.

Non può in tal caso parlarsi di mero errore materiale, ma di vizio che – “avendo il giudice sostituito completamente fatto, diritto e dispositivo - si riflette sulla portata concettuale e sostanziale della decisione, non trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica rilevabile dal testo del provvedimento, ma venendo in rilievo un'inammissibile attività volitiva, che esula dalla nozione di errore materiale correggibile ai sensi degli artt. 287 c.p.c. e ss.”11.

Specifica in conclusione che debba parlarsi di attività volitiva del giudice, in continuità all'orientamento già espresso da questa Corte12,quando il giudice, nel redigere la sentenza, all'epigrafe pertinente abbia fatto seguire uno "svolgimento del processo", i "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti una diversa controversia”; Continua confermando che “a tale evenienza non è consentito porre rimedio mediante il procedimento di correzione di errore materiale, di cui agli artt. 287 c.c. e ss., neppure ove si deduca la mera sostituzione del file relativo, in quanto, in tal caso, l'estensione della correzione integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella asseritamente corretta”.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 7323/2020 oggetto della presente nota, mutuando le motivazioni dei richiamati arresti giurisprudenziali, espressioni di un orientamento oramai consolidato, prende atto e conferma il principio di immodificabilità del dispositivo della sentenza quale esplicazione di un potere decisorio.

Purtuttavia, dopo aver definito i confini entro i quali limitare il potere di correzione di errore materiale, la sentenza n. 7323/2020 nella motivazione (punto 2.1), con ulteriore sforzo interpretativo amplia il potere di correzione dell’errore materiale includendo anche la modifica di una decisione precedentemente adottata, e così precisa: “Recentemente, tuttavia, altra pronuncia del giudice di legittimità ha ritenuto che sia possibile, in relazione a questa situazione, il ricorso al procedimento in esame, sostenendo che l’estensione della correzione non integrerebbe il deposito di una decisione distinta (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4319)”.

La Cassazione con la sentenza sopra citata n. 4319/2019 apre ad una interpretazione nuova e più estensiva del concetto di correzione di errore materiale. Ed infatti nella massima di cui alla sentenza n. 4319/2019 si afferma che: “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile "ictu oculi", ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale. Può inoltre farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del "file" informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti: in tal caso, infatti, l'estensione della correzione non integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta”.


3. Le eccezioni al principio dell'immodificabilità del dispositivo e della parte motiva della sentenza

Al punto 2.2. della sentenza in commento si rinvia a quanto statuito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 4319/2019, ove nelle motivazioni si possono evincere delle eccezioni rispetto al principio di diritto sopra richiamato relativo alla immodificabilità del decisum.

In primo luogo la Corte nella sentenza n. 4319/2019 evidenzia che nel caso di specie la Corte di merito aveva ricomposto il provvedimento in sostanza espungendo l'intestazione (epigrafe) non inerente alla decisione, ma a quella assunta in altro e parallelo giudizio svoltosi contestualmente tra le stesse parti, sostituendola con quella corretta e indicante il corretto numero di registrazione del procedimento 13. Continua aggiungendo che: “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento mediante il semplice confronto della parte che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, difetto causato da mera svista o disattenzione e, come tale, rilevabile "ictu oculi".

Sebbene la Corte sia consapevole che: “La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che non può farsi ricorso a procedimento di correzione solo quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo perchè in questo modo si viene a conferire alla sentenza "corretta" un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12035 del 31/05/2011)” “nel caso in esame, invece, non vi è diversità di parti e la diversa intestazione della sentenza era riferibile ad altro giudizio svoltosi e definito con sentenza, la cui intestazione è stata scambiata”14.

La sentenza chiarisce ancora una volta che è l'errore nell'espressione e non nel pensiero, dovuto a disattenzione o svista, che può dare ingresso al procedimento di correzione, sicché esulano dal campo di applicazione di questo procedimento i vizi che attengono alla formazione della volontà e al processo di manifestazione della stessa, rimanendo spazio solo per quanto è involontario o si riferisce ad elementi che sono sottratti a qualunque forma di valutazione (come, ad es., nei casi dell'inesatta o incompleta indicazione del nome delle parti nell'intestazione o nel dispositivo, dell'erronea trascrizione delle conclusioni delle parti, del contrasto tra motivazione e dispositivo conseguente a mera inversione dei termini nell'indicazione delle parti, dell'omessa o errata indicazione della data di deliberazione della sentenza, dell'omessa o inesatta indicazione dell'epigrafe della sentenza di uno o più nomi dei difensori ritualmente costituiti, dall'errata indicazione del numero di ruolo del procedimento e così via). In virtù della delimitazione di tale ambito di applicabilità rimangono esclusi dal procedimento di correzione gli errori che implicano nullità della sentenza, come pure l'errore di fatto revocatorio che consiste in una divergenza di quanto risulta dalla sentenza dalla realtà processuale.

In sostanza, quindi, l'errore materiale (o di calcolo) può considerarsi sussistente ogni qual volta esso non sia conseguenza di una inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione, e, quindi, non implichi vizio del giudizio e nullità cui si applica il principio previsto dall'art. 161 c.p.c. e, dunque, si risolva in un semplice difetto di formulazione del testo scritto, senza incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione.

La sentenza afferma di dissentire da quella parte della giurisprudenza che, più di recente, in casi simili di "scambio di intestazione della sentenza" o di file, ha ritenuto sussistere un vizio che attiene alla formazione della volontà e al processo di manifestazione della stessa, posto che la parte relativa allo svolgimento del processo, alla motivazione della sentenza ed il dispositivo sono gli unici elementi idonei a individuare il dictum, le ragioni del decidere e le parti cui inequivocabilmente la sentenza si rivolge, mentre l'intestazione errata a causa di uno scambio di file informatici ovvero l'erronea indicazione del numero di registrazione del procedimento, non possono certamente dirsi conseguenza di una inesatta valutazione giuridica o di un vizio di motivazione e, come tale, costituire un errore rilevabile ictu oculi facilmente emendabile15.

Anche se la Corte ha proceduto a emendare l'errore unendo all'epigrafe la sentenza corrispondente, anziché correggere la sola epigrafe, tale attività non ha nei fatti comportato un mutamento di contenuto della sentenza, poiché l'errore rilevante ed emendato era in realtà riferibile all'epigrafe, e non al contenuto della sentenza, che è rimasto sostanzialmente immutato.

Nella citata sentenza pertanto si indicano i criteri sulla scorta dei quali valutare la sussistenza dei presupposti per adottare un provvedimento di correzione dell’errore materiale:

  1. Medesimezza delle parti: rectius sostituzione di decisione assunta in altro e parallelo giudizio svoltosi contestualmente tra le stesse parti;

  2. Dispositivo non modificato ed errore rilevabile ictu oculi: ovvero la parte motiva ed il decisum sono rimasti i medesimi e, pertanto, nell'intestazione si rinviene un errore di collazione rilevabile ictu oculi.

Dopo la disamina della sentenza n. 4319/2019, la sentenza in commento n. 7323/2020 prosegue nella motivazione affermando che: “I menzionati orientamenti giurisprudenziali hanno riguardo alla comune situazione fattuale – pur diversamente apprezzata – dell’esistenza di un contrasto tra il dispositivo della sentenza e il dispositivo risultante all’esito della correzione materiale, tale da poter ingenerare il dubbio che in questi casi si sia in presenza di una nuova esplicazione del potere decisorio, mentre nel caso in esame non si ravvisa alcun contrasto tra l’originario dispositivo e quello riprodotto nella sentenza, così come corretta. Tale circostanza consente, ad avviso di questo Collegio, il ricorso al procedimento della correzione dell’errore materiale, dovendosi escludere che si sia in presenza di un nuovo esercizio della potestà decisoria e, dunque, della sostituzione della decisione precedentemente assunta con una nuova, a seguito di una nuova delibazione della causa”.

La motivazione formulata afferma pertanto che alcun contrasto decisorio esisteva tra quello adottato nel dispositivo ed il dispositivo risultante all’esito della correzione della sentenza; d’altra parte si osserva come tra la prima sentenza emessa dalla CTR e la seconda sentenza corretta con ordinanza dalla medesima CTR risulta nel primo dispositivo “rigetto dell’appello”, rispetto a quello indicato nel secondo dispositivo “accoglimento dell’appello”. Sebbene sussistano evidenti contrasti di giudicato, a parere della Corte bisogna escludere che si sia in presenza di una “inesatta valutazione giuridica” o di un “vizio di motivazione” ovvero, ancora di più, di un nuovo esercizio della potestà decisoria e dunque della sostituzione della decisione precedentemente assunta.

Ciò che a parere del giudicante deve prevalere è la intrinseca ed effettiva volontà del giudicante e non quanto espresso materialmente, evidente dal contrasto tra i giudicati, rectius dispositivi.

Sul punto si consideri altresì il costante orientamento giurisprudenziale sin dalla Cassazione civile sez. II, 31 maggio 2011, n. 12035, la quale ha confermato, in un caso del tutto simile a quello in commento, che: “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo previsto dagli art. 287 e 288 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento mediante il semplice confronto della parte che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, difetto causato da mera svista o disattenzione e, come tale, rilevabile ictu oculi; ne consegue che non può farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola delle parti, perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso”.

Pertanto, con la sentenza in commento il Supremo Collegio effettua una ulteriore elaborazione del proprio orientamento interpretativo: anche se tra le parti non esisteva altra e diversa controversia, la prevalenza della volontà del giudicante deve essere preservata in ogni caso attraverso la disamina del giudizio nel caso concreto.

Detto orientamento difatti si pone in contrasto con quanto asserito da altra autorevole giurisprudenza che sul punto ha affermato che il procedimento di correzione non possa giungere a sostituire l'intero testo della sentenza, pur se a causa della sostituzione di file informatico 16.

In conclusione, in continuità con l'orientamento della Suprema Corte17, si è ribadito che “quando il giudice, nel redigere la sentenza, all'epigrafe pertinente abbia fatto seguire uno "svolgimento del processo", i "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti una diversa controversia, a tale evenienza non è consentito porre rimedio mediante il procedimento di correzione di errore materiale, di cui agli artt. 287 c.c. e ss., neppure ove si deduca la mera sostituzione del file relativo, in quanto, in tal caso, l'estensione della correzione integra il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella asseritamente corretta” (Cass. civ. Sez. I, sent. 12 febbraio 2016, n. 2815).

Ed ancora: “solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo. Tuttavia, la predetta insanabilità deve escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga (sì da potersi escludere l'ipotesi di un ripensamento del giudice); in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione”18.

Sarà oltremodo interessante osservare quale sarà l’orientamento che la Corte prediligerà in futuro posto che è del tutto pacifico come il concetto stesso di errore materiale (errore sottoponibile a correzione) e, conseguentemente, anche quello di correzione, siano assolutamente incompatibili con qualsivoglia mutamento della decisione.

Sul tema della assoluta immodificabilità della res iudicata 19è opportuno ed utile richiamare il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 28 del 7 gennaio 1974, la quale ha affermato che “il problema dell’impugnabilità del provvedimento di correzione non può essere risoluto scartando, in fatto, l’ipotesi di una divergenza fra l’essere e il dover essere di tale provvedimento, cioè assumendo che esso sarà sempre un provvedimento di correzione e non accadrà mai che il giudice emetta con le forme e le finalità della correzione un provvedimento che, sostanzialmente, modifica il giudicato (…). Il problema dell’impugnabilità del provvedimento di correzione neppure può essere risoluto considerando che tale provvedimento incide su di una sentenza e che questa sentenza diviene, per disposto dell’ultimo comma dell’art. 288, impugnabile nella parte corretta, talché l’ingiustizia eventuale della correzione non avrebbe rilievo essendo possibile la rimozione della pronuncia corretta. Siffatta considerazione è chiaramente contraddittoria, perché, se si esclude, in tesi, che il giudice possa, con il provvedimento di correzione, modificare il giudicato, non può affermarsi che, nell’ipotesi di questa evenienza, la modifica ha pieno vigore, al punto che quel giudicato non c’è più ed anzi si considera da sempre esistente la pronuncia corretta, salva la nuova decorrenza del termine di impugnazione di questa. Così opinando, in realtà, si viene a ritenere che il giudicato non resiste al potere di correzione e che, nel nome della correzione, è lecito al giudice qualsiasi modifica del giudicato senza possibilità di censura, dato che la cosiddetta censura del risultato, cioè l’impugnazione della sentenza corretta, proprio perché apre un nuovo giudizio di merito sulla causa ormai decisa, presuppone non solo l’efficacia, ma la piena validità della rimozione del giudicato operata attraverso la correzione ”. Ne consegue quindi, secondo la Corte, che, proprio perché la correzione non può incidere sul contenuto della pronuncia, la “parte” corretta della sentenza non può essere una parte sulla quale non si è formato il giudicato, sicché l’oggetto del giudizio di impugnazione non può che risolversi nella verifica della legittimità o meno del provvedimento di correzione (…) con l’accertamento eventuale della nullità di questa, resa fuori dai limiti di legge (sentenza citata, c. 335) 20.

In ultima analisi è interessante altresì comprendere se il predetto principio di carattere generale della immodificabilità del decisum, confermato da autorevole giurisprudenza, potrà essere salvaguardato qualora si lamenti altresì la violazione di altro principio di carattere generale, relativo alla immodificabilità del collegio giudicante, in quanto al punto 3.1. della sentenza in commento si legge che: “Come osservato in precedenza, il procedimento di correzione degli errori materiali è diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione e, in quanto tale, ha natura amministrativa, sicchè non opera il principio della immutabilità del giudice, di cui all'art. 276 c.p.c., dovendosi intendere il riferimento di cui al successivo art. 287 alla correzione effettuata dallo "stesso giudice" nel senso di "stesso ufficio giudiziario", senza che rilevi la persona fisica del magistrato che ha pronunciato il provvedimento (cfr. Cass., ord., 22 gennaio 2015, n. 1207; vedi, altresì, sulla natura amministrazione del procedimento, Cass., Sez. Un., 28 febbraio 2017, n. 5053)”.

Detto principio contraddice quanto confermato dalla Suprema Corte nelle più recenti pronunce, tra tutte Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 6 febbraio 2020, n. 2779, ove si afferma che: “La sentenza emessa da un magistrato diverso da quello che, a seguito della precisazione delle conclusioni, ha trattenuto la causa in decisione, deve ritenersi nulla, perché deliberata da un soggetto che è rimasto estraneo alla trattazione della causa. Qualora si renda necessario procedere alla sostituzione del magistrato che ha già trattenuto la causa in decisione, non è sufficiente un decreto del capo dell'Ufficio che dispone la sostituzione, ma il nuovo giudice nominato deve convocare le parti dinanzi a sé perché precisino nuovamente le conclusioni”21.


In conclusione, la sentenza in commento meriterà ulteriore approfondimento alla luce dei principi sopra esposti, in primo luogo perché, a parere di chi scrive, non sussistevano nel caso di specie i requisiti per poter effettuare la correzione dell’errore materiale posto che:

  1. La modifica dello svolgimento del processo, motivi della decisione e dispositivo, rappresentano l’esplicazione di un nuovo potere decisorio, si veda Cass. S.U. n. 16032/2010;

  2. Non sussisteva nel caso di specie il rischio di sostituzione di una decisione assunta in altro e parallelo giudizio svoltosi contestualmente tra le stesse parti, in quanto inesistente altro giudizio pendente o già definito tra le medesime parti;

  3. Nel dispositivo non era presente un errore rilevabile ictu oculi in quanto la modifica del dispositivo e dell’intera decisione ha rappresentato un vero e proprio nuovo giudizio, ovvero la modifica del giudicato formale in aperta violazione di legge (cfr. Cass. n. 18/1974);

  4. A tale elemento conclusivo si aggiunga che la nuova decisione ovvero il nuovo giudicato è stato emesso da un diverso collegio giudicante, anche questo produttivo di un effetto di nullità insanabile della “nuova sentenza emessa”.


Sarà oltremodo interessante, dopo aver esaminato i principi di diritto confermati dalla Suprema Corte, analizzare le ulteriori pronunce della Cassazione che su questo tema si auspica potranno fornire ulteriori approfondimenti per confermare la prevalenza della “volontà” del Giudice rispetto al “decisum”, decisioni che però dovranno rispettare quei limiti e canoni interpretativi che la giurisprudenza del Supremo Collegio, per come ampiamente esposto in questa breve nota, ha cristallizzato nel corso degli anni.


Cass. civ. Sez. V, Sent. (ud. 15-10-2019) 17-03-2020, n. 7323


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi - Presidente -

Dott. D’AQUINO Filippo - Consigliere -

Dott. CATALLOZZI Paolo - rel. Consigliere -

Dott. ANTEZZA Fabio - Consigliere -

Dott. NOCELLA Luigi - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8883/2015 R.G. proposto da:

Fallimento della (OMISSIS) s.a.s. di D.A., in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Stefano Grisolia, con domicilio eletto presso lo studio legale Gemma & Partners, sito in Roma, via di Villa Patrizi, 13; - ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12 - controricorrente –


avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, n. 2109/15, depositata il 2 dicembre 2015.


Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 ottobre 2019 dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso;


udito gli avv. Stefano Grisolia, per il ricorrente, e Giammario Rocchitta, per la controricorrente.


Svolgimento del processo

1. Il Fallimento della (OMISSIS) s.a.s. di D.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 2 dicembre 2015, che, in accoglimento dell'appello dell'Ufficio, ha respinto il suo ricorso per l'annullamento del diniego da questo opposto avverso la sua istanza di rimborso di un credito i.v.a.

2. Dall'esame della sentenza impugnata si evince che tale istanza, avente ad oggetto un credito relativo al periodo di imposta 1995, era stata disattesa dall'Ufficio in quanto il credito non era stato indicato nella dichiarazione relativa all'anno successivo, di cui era stata omessa la presentazione, e non era utile, a tale fine, l'istanza prodotta a distanza di tre anni e non supportata da idonea documentazione attestante la spettanza della pretesa.

2.1. Il giudice di appello ha accolto l'appello dell'Ufficio evidenziando che il contribuente non aveva offerto idonea prova dell'esistenza del credito vantato.

3. Il ricorso è affidato a cinque motivi.

4. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.


Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il Fallimento ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c. e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 35, 36 e 37, per aver il giudice di appello, a seguito di procedimento di correzione dell'errore materiale, sovvertito completamento l'esito del giudizio risultante dalla sentenza depositata, che si pronunciava nel senso dell'inammissibilità del gravame dell'Ufficio.

2. Con il secondo motivo deduce, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità e l'abnormità della sentenza per motivazione illogica, illegittima e contraddittoria, per aver il giudice di appello posto a fondamento della correzione della sentenza operata ai sensi dell'art. 278 c.p.c., un errore materiale in realtà insussistente.

Evidenzia, sul punto, che nessun altro contenzioso aveva interessato le parti, per cui non pertinente era la giustificazione dell'errore addotta dalla Commissione regionale.

Corretta era, poi, la sentenza originaria, che aveva dichiarato inammissibile l'appello dell'Ufficio.

2.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono infondati.

Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo, previsto dagli artt. 287 e 288 c.p.c., è esperibile non solo per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento e, come tale, rilevabile ictu oculi, ma anche in funzione integrativa, in ragione della necessità di introdurre nel provvedimento una statuizione obbligatoria consequenziale a contenuto predeterminato ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale (cfr. Cass. 31 maggio 2011, n. 12035).

E' stato, tuttavia, escluso che possa farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola delle parti, perchè in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso.

Tale conclusione è stata ribadita, secondo una prima pronuncia di questa Corte, anche nel caso in cui il giudice, nel redigere la sentenza e in conseguenza di un mero errore di sostituzione del file informatico, abbia commesso uno scambio di provvedimenti nella fase di impaginazione, facendo seguire, ad un'epigrafe pertinente, uno "svolgimento del processo", dei "motivi della decisione" ed un dispositivo afferenti ad una diversa controversia decisa in data coeva nei confronti delle stesse parti, ritenendo che l'estensione della correzione integrerebbe il deposito di una decisione affatto distinta, la quale verrebbe interamente sostituita a quella corretta (cfr. Cass. 12 febbraio 2016, n. 2815).

Recentemente, tuttavia, altra pronuncia del giudice di legittimità ha ritenuto che sia possibile, in relazione a questa situazione, il ricorso al procedimento in esame, sostenendo che l'estensione della correzione non integrerebbe il deposito di una decisione distinta (cfr. Cass., ord., 14 febbraio 2019, n. 4319).

2.2. I menzionati orientamenti giurisprudenziali hanno riguardo alla comune situazione fattuale – pur diversamente apprezzata dell'esistenza di un contrasto tra il dispositivo della sentenza e il dispositivo risultante all'esito della correzione materiale, tale da poter ingenerare il dubbio che in questi casi si sia in presenza di una nuova esplicazione del potere decisorio, mentre nel caso in esame non si ravvisa alcun contrasto tra l'originario dispositivo e quello riprodotto nella sentenza, così come corretta.

Tale circostanza consente, ad avviso di questo Collegio, il ricorso al procedimento della correzione dell'errore materiale, dovendosi escludere che si sia in presenza di un nuovo esercizio della potestà decisoria e, dunque, della sostituzione della decisione precedentemente assunta con una nuova, a seguito di una nuova delibazione della causa.

3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole, con riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della violazione e falsa applicazione degli artt. 132 e 276 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, per aver la Commissione regionale violato il principio dell'immutabilità del giudice, in relazione alla stesura del provvedimento di correzione materiale da parte di un magistrato, svolgente le funzioni di presidente del collegio, diverso da quello che aveva deciso la causa e sottoscritto la sentenza originaria.

3.1. Il motivo è infondato.

Come osservato in precedenza, il procedimento di correzione degli errori materiali è diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione e, in quanto tale, ha natura amministrativa, sicchè non opera il principio della immutabilità del giudice, di cui all'art. 276 c.p.c., dovendosi intendere il riferimento di cui al successivo art. 287 alla correzione effettuata dallo "stesso giudice" nel senso di "stesso ufficio giudiziario", senza che rilevi la persona fisica del magistrato che ha pronunciato il provvedimento (cfr. Cass., ord., 22 gennaio 2015, n. 1207; vedi, altresì, sulla natura amministrazione del procedimento, Cass., Sez. Un., 28 febbraio 2017, n. 5053).

4. Con il quarto motivo di ricorso il contribuente lamenta la violazione degli artt. 287 e 395 c.p.c., per aver il giudice di appello ritenuto ammissibile il ricorso per correzione dell'errore materiale benché la controparte avesse contestualmente proposto ricorso per revocazione.

4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto poggia sull'assunto fattuale che il ricorso dell'Amministrazione finanziaria contenesse anche la domanda di revocazione della sentenza, ma di tale circostanza non vi è alcun riscontro, difettando la riproduzione dell'atto e non emergendo riscontri dal contenuto della sentenza.

5. Con l'ultimo motivo di ricorso il Fallimento censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74-bis, e L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, nonchè per "violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ", per aver ritenuto che la parte fosse decaduta dal diritto al rimborso dell'I.v.a., relativa all'anno 1996, per omessa presentazione della dichiarazione annuale, benchè nessun addebito potesse imputarsi al curatore fallimentare, nominato successivamente alla scadenza del relativo termine.

Evidenzia, inoltre, l'insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al punto decisivo rappresentato dalla ritenuta carenza di prova del credito vantato 5.1. Il motivo è, quanto alla dedotta violazione di legge, inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi.

La Commissione regionale, infatti, ha escluso la fondatezza della domanda del contribuente in ragione del mancato assolvimento dell'onere di dimostrare la sussistenza del credito e non anche dell'omessa presentazione, nelle forme e nei termini previsti, della dichiarazione annuale.

5.2. Inammissibile è il motivo anche nella parte attinente il vizio motivazionale, trovando applicazione al caso in esame, ratione temporis, l'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come risultante a seguito alla riformulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che non consente più la deducibilità, quale vizio di legittimità, del semplice difetto di sufficienza o contraddittorietà della motivazione (cfr. Cass., ord., 25 settembre 2018, n. 22598; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).

6. Pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto.

7. In ragione della peculiarità delle questioni di diritto esaminate e dell'assenza di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine ai presupposti per il ricorso al procedimento di correzione dell'errore materiale, appare opportuno disporre l'integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.

8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis.


P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 17 marzo 2020


1 Il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all'art. 287 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione.

2 Si richiama sul punto il costante orientamento Suprema Corte di Cassazione Cfr. Cass. sent. 25 gennaio 2000, n. 816; Cass. sent. 11 aprile 2002, n. 5196; Cass. sent. 30 agosto 2004, n. 17392, e, da ultimo, Cass., SU.,sent. 5 marzo 2009, n. 5287.

3 Cass. civ. Sez. II sent., 31/05/2011, n. 12035 (rv. 618091): “Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo previsto dagli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo del provvedimento mediante il semplice confronto della parte che ne è inficiata con le considerazioni contenute in motivazione, difetto causato da mera svista o disattenzione e, come tale, rilevabile "ictu oculi"; ne consegue che non può farsi ricorso a tale procedimento quando il giudice intenda sostituire completamente la parte motiva e il dispositivo precedenti, afferenti ad altra e diversa controversia avente in comune una sola delle parti, perché in questo modo si viene a conferire alla sentenza corretta un contenuto concettuale e sostanziale completamente diverso”.

4 Cass. civ., Sez. III, sent., 31/03/2007, n. 8060 “Il provvedimento mediante il quale, ai sensi dell'art. 287 cod. proc. civ., la sentenza passata in cosa giudicata può essere corretta con la eliminazione delle omissioni o degli errori materiali o di calcolo, in cui sia incorso il giudice che l'ha pronunciata - ha natura amministrativa. Infatti, detto provvedimento è diretto a porre rimedio ad un vizio meramente formale, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione oltre a lasciare intatto il contenuto della decisione corretta, tanto che, se nessuna delle parti si avvale del procedimento di correzione, non è preclusa la possibilità di cogliere ed affermare il reale contenuto precettivo della statuizione giudiziale in via interpretativa, sulla base di una lettura coordinata del dispositivo e della motivazione e, conseguentemente, porla in esecuzione facendola valere come titolo esecutivo (fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto valido titolo esecutivo una sentenza, contenente nella motivazione la precisazione che era stata raggiunta la piena prova del credito, ma che nel dispositivo non recava la corrispondente condanna al pagamento, aggiunta solo successivamente con il procedimento di integrazione)”. in Mass. Giur. It., 2007.

5 Cfr. Cass. civ., Sez. II, sent., 31/05/2011, n. 12035 “in virtù della delimitazione di tale ambito di applicabilità rimangono esclusi dal procedimento di correzione gli errori che implicano nullità della sentenza, come pure l'errore di fatto revocatorio che consiste in una divergenza di quanto risulta dalla sentenza dalla realtà processuale”.

6 Cfr. Cass. civ., Sez. II, sent., 31/05/2011, n. 12035.

7 Ed invero, si è ammesso il procedimento di correzione in caso di omessa statuizione sulla distrazione delle spese di lite al difensore antistatario (cfr. Cass., sez. un., sent. 7 luglio 2010, n. 16037), mentre lo si è reputato, altresì, ammissibile per rimediare all'omessa cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale (Cass., ord. 19 gennaio 2015, n. 730).

8 Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, sent. 7 luglio 2010, n. 16037.

9 Si veda Cass. civ. Sez. Unite, sent. 7 lulgio 2010, n. 16037 - G.A. c. Presidenza del Consiglio dei Ministri: “L'omessa pronuncia da parte del Giudice adito sull'istanza di distrazione presentata dall'avvocato, onde ottenere gli onorari non riscossi e le spese anticipate al proprio cliente, costituisce una mancanza materiale piuttosto che un vizio di attività o un errore di giudizio da parte dell'organo giudicante e, pertanto, emendabile con il rimedio impugnatorio specifico della correzione della sentenza di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c. Il ricorso al predetto rimedio impugnatorio, anziché a quelli ordinari è, infatti, giustificato dal fatto che la decisione sulla predetta istanza è essenzialmente obbligata e che la relativa declaratoria accede a quanto complessivamente sancito in merito alla controversia in esame, senza però assumere una propria autonomia formale. La mancata pronuncia sull'istanza di distrazione promossa dall'avvocato è, dunque, riconducibile ad una mera disattenzione da parte del Giudice, tenuto conto anche del fatto che la concessione della distrazione, ricorrendone le condizioni, quali la dichiarazione di anticipazione delle spese da parte dell'avvocato e la formale richiesta di distrazione in suo favore, non è soggetta ad alcuna forma di valutazione giudiziale, atteso che il Giudice è vincolato a quanto asserito dal professionista. Ne deriva che in siffatta ipotesi, in cui sussiste un errore materiale di natura omissiva che rende palese la divergenza tra quanto statuito dal Giudice e quanto egli avrebbe dovuto esprimere in forza di un obbligo normativo, il rimedio esperibile è quello del procedimento di correzione degli errori e delle omissioni materiali volto a ricostruire la volontà oggettiva dell'organo giudicante, quale elemento immanente nell'atto per dettato ordinamentale e, non un'impugnazione ordinaria che, invece, è finalizzata alla correzione ed eliminazione di errori di giudizio. In tal senso, nel caso concreto, è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione promosso dall'avvocato avverso la sentenza in cui non vi era alcuna statuizione da parte dell'autorità giudicante sulla propria istanza di distrazione” in Massima redazionale, 2010.

10 Cfr. Cass., sent. 12 febbraio 2016, n. 2815: “Nella specie, la corte territoriale, dopo il deposito della sentenza afferente il giudizio intrapreso in primo grado da C.E. M.L. contro la B.A.M. s.p.a. in data 20 dicembre 2012, su ricorso della banca stessa e nel contraddittorio delle parti ha emesso l'ordinanza - decisa il 6 marzo 2013 e depositata il 19 marzo successivo - con la quale, preso atto di avere in precedenza operato "un abbinamento di un file che costituiva il corso di altra sentenza emessa dalla Corte nello stesso giorno", ha disposto che nella sentenza predetta "dopo Svolgimento del processo deve leggersi quanto segue", provvedendo, quindi, a modificare la precedente con integrale sostituzione di tutte le pagine (dalla n. 3 alla n. 39). Come emerge dal caso in esame, pertanto, in tale evenienza la sentenza non consentiva, sulla sola base del contenuto di essa, di comprendere in quale modo il giudice intendesse decidere e le ragioni della decisione, nè si trattava di una mera omissione materiale di pronuncia dovuta: essendo, al contrario, lo svolgimento del processo, la motivazione e il dispositivo della sentenza relativi ad altro processo. Ciò sebbene, sul piano sostanziale, la vicenda era analoga (l'altra sentenza, il cui testo è stato per errore utilizzato, riguardava una sorella dell'investitrice, la quale aveva esperito analoghe domande contro la banca). Resta, infatti, che, nella specie, non può parlarsi di mera divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale: ma - attesa l'estensione dell'"errore", tale da coinvolgere in toto il "testo-sentenza" - si andava in tal modo ad incidere, giocoforza, sul contenuto concettuale della decisione, finendo l'operazione per implicare una motivazione diversa ed ulteriore”.

11 Cfr. Cass., sent. 12 febbraio 2016, n. 2815.

12 Si veda Cass. sent. 31 maggio 2011, n. 12035.

13 Cfr. Cass. 4319/2019, nel caso di specie la parte motiva e il decisum erano rimasti i medesimi e, pertanto, nell'intestazione si rinveniva un errore di collazione rilevabile ictu oculi già con il semplice raffronto dell'intero contenuto del provvedimento afferente ad una controversia che si era effettivamente svolta e conclusa tra le medesime parti, ma aveva riguardato un procedimento registrato con altro numero.

14 Non sussiste, nel caso di specie, quel contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo che renderebbe altrimenti inammissibile il ricorso alla procedura di correzione di errore materiale, ricorribile solo in caso di errori grafici facilmente riconoscibili e non incidente sul contenuto decisorio (cfr. Cass., Sez. Lav., Sent. n. 1348 del 6 febbraio 1995; Cass, Sez. Lav., Sent. n. 2033 del 9 marzo 1999; Cass., Sez. I, Sentenza n. 16353 del 20 agosto 2004; Cass., SU., Sent. 5 marzo 2009, n. 5287).

15 Cfr., di contro, Cass. Sez. 1, sent. n. 2815/2016; Cass. sez. 2. sentenza n. 12035/2011.

16 Cass. civ., Sez. I, Sent., 12 febbraio 2016, n. 2815: “La correzione deve essere, invero, esplicazione di un'attività nella sostanza amministrativa, che non implica un nuovo esercizio dell'attività giurisdizionale; mentre ove la natura dell'errore sia tale che correggere il medesimo comporti la riscrittura dell'intera decisione, si finisce per ricadere nell'esplicazione di nuovo potere decisorio. Non può, invero, in tal caso parlarsi di mero errore materiale, ma di vizio che - avendo il giudice sostituito completamente fatto, diritto e dispositivo - si riflette sulla portata concettuale e sostanziale della decisione, non trattandosi di ovviare ad un difetto di corrispondenza tra l'ideazione del giudice e la sua materiale rappresentazione grafica rilevabile dal testo del provvedimento, ma venendo in rilievo un'inammissibile attività volitiva, che esula dalla nozione di errore materiale correggibile ai sensi degli artt. 287 c.p.c. e ss.

17 Cfr. Cass., Sez. Un., sent. 12 marzo 2004, n. 5165; conforme Cass. sent. 12 maggio 2004, n. 22658; Cass. sent. 28 dicembre 2004, n. 24061; Cass. sent. 5 maggio 2004, n. 8543; Cons. Stato sent. 22 aprile 2004, n. 2358; Cass. sent. 26 novembre 2008, n. 28189.

18 “Nel caso di specie, la sentenza di appello aveva corretto il dispositivo della sentenza di primo grado nella parte in cui riconosceva dal 1° gennaio 1981 il diritto alla promozione del ricorrente, dipendente di impresa bancaria, affermando che l'indicata decorrenza era frutto di mero errore materiale e non di contrasto con la motivazione che riportava la decorrenza dall'1 agosto 1986, così divergendo solo quantitativamente dal dispositivo e poggiando sulle fondate critiche mosse dalla banca convenuta alla consulenza tecnica d'ufficio che aveva fatto errato riferimento, per calcolare le dovute differenze retributive, alla data del gennaio 1981; la S.C., in accoglimento del motivo di ricorso incidentale che denunciava la formazione del giudicato interno sullo specifico punto della decorrenza del diritto alla promozione come indicata dal dispositivo della sentenza di primo grado, ha cassato la sentenza della corte territoriale in quanto affetta da "error in procedendo", avendo modificato il dispositivo della decisione appellata mediante correzione di errore materiale in realtà insussistente, giacché assenti elementi oggettivi di divergenza del dispositivo dalla realtà processuale, rispetto alla quale si era invece formata una diversa valutazione, così da determinarsi un vero e proprio contrasto tra motivazione e dispositivo non censurato in sede di gravame e dovendo perciò prevalere il dispositivo)” (cfr. Cass. Civ. Sez. Lavoro, Sent. n. 18090 del 27/08/2007)”.

19 M. ACONE, Riflessioni sul rapporto tra la correzione ed i mezzi di impugnazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1980, pp. 1297 e ss., e in Studi in memoria di S. Satta, I, Padova 1982, p. 1 e ss. M. ACONE, op. ult. cit., p. 1336 e ss. e p. 1347, sub nota 90, ove si afferma, spiegando la natura amministrativa del provvedimento di correzione, che “ la correzione non realizza mai una decisione sostitutiva di quella già contenuta nella sentenza”. In virtù della natura stessa dell’errore materiale, dunque, l’oggetto della decisione non muta né se si procede alla correzione, né se l’errore materiale passa, per così dire, “ inosservato ”: in altre parole, l’oggetto del “ giudicato ” è sempre lo stesso, si arrivi o meno a correggere l’errore materiale.

20 M. VANZETTI, In tema di correzione e di impugnazione a norma dell’art. 288, comma 4, c.p.c., in Riv. Dir. Proc., 2004, 3, 885.

21 Si rinvia anche a Cass. civ. Sez. I Ord., sent. 19 febbraio 2020, n. 4255: “Tra il collegio giudicante dinanzi al quale le parti hanno rassegnato le definitive conclusioni, ed ha assunto la causa in decisione, e quello che delibera la decisione, vi deve essere perfetta corrispondenza, non potendo essere sostituito un componente nella fase compresa tra l'udienza di precisazione delle conclusioni ed il deposito della sentenza, se non previa rinnovazione di detta udienza, a pena di nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice; tale principio, estensibile anche al giudice monocratico, vale per tutte le attività preliminari rispetto alla decisione e quindi non soffre deroga in caso di "incidente decisorio", allorché il giudice emetta ordinanza ex art. 101, comma 2, c.p.c. ritenendo di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, stante il dovere costituzionale del rispetto del contraddittorio e il divieto di decisioni cd. della "terza via". (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la nullità della sentenza impugnata perché, assunta la causa in decisione, un collegio diversamente composto aveva concesso termine alle parti per memorie su una questione rilevata d'ufficio, sebbene la sentenza fosse stata poi pronunciata dal medesimo collegio che aveva riservato la decisione)”.