Scritto da Mario Cermignani • ott 2024
La sentenza afferma in sostanza la piena compatibilità della norma di cui all’art. 37 del D.L. n. 21/2022 (convertito nella Legge n. 51/2022), istitutiva di un contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario sugli extraprofitti congiunturali realizzati dagli operatori del settore energetico, con l’ordinamento giuridico dell’Unione europea (in particolare, con il Regolamento UE n. 2022/1854, che prescrive l’obbligo, per gli Stati membri, di predisporre a carico delle imprese, “che svolgono attività” nel settore energetico, “un contributo di solidarietà temporaneo obbligatorio” teso a generare “proventi comparabili o superiori” rispetto a quello di cui alla propria prescrizione), nonché la sua altrettanto piena legittimità costituzionale, derivante dalla evidente conformità della norma legislativa in questione con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva di cui agli art. 3 e 53 della Costituzione.
Inoltre, per i Giudici di merito, il contributo straordinario in oggetto non è illegittimo neppure per contrasto con il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 42 della Costituzione e dall’art. 1 del protocollo n. 1 CEDU, in ragione del fatto che il diritto di proprietà e la libertà d’impresa (art. 41 Cost.) restano comunque recessivi rispetto al prevalente interesse pubblico generale.
The ruling essentially affirms the full compatibility of the rule pursuant to Art. 37 of Legislative Decree no. 21/2022 (converted into Law No. 51/2022), establishing a contribution as an extraordinary solidarity levy on the economic extra profits made by operators in the energy sector, with the legal system of the European Union (in particular, with the EU Regulation No. 2022/1854, which stipulates the obligation, for Member States, to provide for companies "carrying out activities" in the energy sector "a mandatory temporary solidarity contribution" aimed at generating "equivalent or higher revenues” with respect to that referred to in its own rule ECHR), as well as its equally full constitutional legitimacy, deriving from the evident conformity of the legislative provision in question with the principles of equality, reasonableness and contributory capacity pursuant to Articles 3 and 53 of the Constitution. Furthermore, for the Trial Judges, the extraordinary contribution in question is not illegitimate, not even due to conflict with the property right recognized by Art. 42 of the Constitution and Art. 1 of ECHR protocol No. 1, due to the fact that the right to property and free enterprise (Art. 41 Constitution) remain nevertheless recessive with respect to the prevailing general public interest.
1.
L’art. 37 del Decreto-Legge 21 marzo 2022, n. 21, ha introdotto un “contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario”, volto a colpire “una tantum” gli extraprofitti congiunturali realizzati dagli operatori del settore energetico, in ragione dell’anomalo aumento dei prezzi e delle tariffe del settore; ai sensi del comma 1, dell’art. 37 citato, tale contributo è posto a carico: 1) dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attività di produzione di energia elettrica; 2) dei soggetti che esercitano l’attività di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale; 3) dei soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale; 4) dei soggetti che esercitano l’attività di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi; 5) dei soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea.
La Società contribuente, attiva nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti, nonché di combustibili per riscaldamento, ha versato il contributo in questione sulla base di tutte le attività complessivamente svolte.
La stessa Società ha successivamente presentato all’Agenzia delle Entrate istanza di rimborso del contributo versato, considerandolo indebito in quanto dovuto in forza di una norma, l’art. 37 citato, ritenuta illegittima sul piano dell’ordinamento costituzionale interno e su quello dell’ordinamento europeo.
Avverso il silenzio-rifiuto formatosi in relazione all’istanza di rimborso presentata, è stato quindi proposto dalla contribuente tempestivo ricorso dinanzi alla Corte di giustizia tributaria di I° Grado di Milano.
Nel ricorso in questione la Società contribuente sostiene l’illegittimità del provvedimento tacito di rigetto dell’istanza di rimborso, in quanto il contributo istituito dall’art. 37, D.L. n. 21/2022, sarebbe incompatibile con il diritto europeo (ed in particolare con il Regolamento UE n. 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022), violerebbe il diritto di proprietà riconosciuto, oltre che dalla Costituzione all’art. 42, anche dall’art. 1, del Protocollo CEDU e dall’art. 17, della Carta di Nizza (CDFUE), e sarebbe in contrasto con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva sanciti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione, in ragione di un’asserita e presunta inesistenza e/o genericità, indeterminatezza ed irragionevolezza del presupposto impositivo (elemento strutturale fondamentale della fattispecie tributaria).
2. La sentenza della Corte di giustizia tributaria di I° Grado di Milano n. 1650/16/2024
La Corte di giustizia tributaria di I° Grado di Milano, rigetta il ricorso in toto e tutte le eccezioni proposte della ricorrente, dichiarando, nella sostanza, la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità con il diritto UE sollevate, con conseguente e logica affermazione della piena compatibilità della norma legislativa istitutiva del contributo di solidarietà in questione sia con la Costituzione che con l’ordinamento giuridico europeo.
La sentenza in commento, nello specifico, afferma testualmente quanto segue: “(…) il complessivo rilievo della ricorrente non appare convincente. Sotto la rubrica “Sostegno ai clienti finali di energia mediante un contributo di solidarietà temporaneo”, l’art. 14 del Regolamento UE 2022/1854 dispone: “1. Gli utili eccedenti generati da imprese e stabili organizzazioni dell’Unione che svolgono attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione sono soggetti a un contributo di solidarietà temporaneo obbligatorio, a meno che gli Stati membri non abbiano adottato misure nazionali equivalenti. 2. Gli Stati membri provvedono a che le misure nazionali equivalenti adottate condividano obiettivi simili a quelli del contributo di solidarietà temporaneo di cui al presente regolamento, siano soggette a norme analoghe e generino proventi comparabili o superiori ai proventi stimati del contributo di solidarietà. (…)”.
Dalla sua piana lettura risulta palese che la disposizione comunitaria contempla, per le finalità perseguite, l’obbligo, per gli Stati membri, di predisporre a carico delle imprese, “che svolgono attività” nel settore energetico, “un contributo di solidarietà temporaneo obbligatorio” non meno severo (teso a generare “proventi comparabili o superiori”) rispetto a quello di cui alla propria prescrizione. Ne discende, quindi, che certamente non può considerarsi violazione della norma sovranazionale una mera diversità e/o una maggior gravità della misura nazionale. Così come, per converso, è indubbio, con riguardo all’ambito di applicazione soggettivo della misura, che le imprese destinatarie del contributo nazionale rientrano sicuramente nel perimetro delineato dalla disciplina europea; sicché la questione al riguardo prospettata dalla ricorrente si rivela comunque, in concreto, priva di rilevanza.
Sul piano del mero raffronto della specifica disciplina europea e di quella nazionale, le soprariportate censure della ricorrente non colgono, dunque, nel segno.
In secondo luogo, sempre con riferimento al dato (oggettivo) delle regole di identificazione del presupposto dell’imposta e della base imponibile, per la società contribuente il contributo straordinario in oggetto sarebbe illegittimo, per contrasto con i principi di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva sanciti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione.
L’ “incremento del saldo tra le operazioni attive e le operazioni passive”, da calcolarsi in base ai dati delle liquidazioni periodiche Iva, sarebbe, infatti, un indicatore troppo generico ed aspecifico, di per sé inidoneo ad intercettare coerentemente un profitto o un extraprofitto congiunturale, quale quello ascrivibile all’imprevedibile e forte rincaro dei prezzi dei prodotti energetici e petroliferi, perché influenzati da fattori non indicativi o addirittura distorcenti ai fini della realizzazione di extraprofitti; come, in particolare, le accise, il cui valore è rilevante a fini Iva, quanto alle operazioni attive, ma potrebbero non esserlo quanto alle operazioni passive, se in regime forfetario.
Pur potendosi convenire che la finalità d’individuare extraprofitti risulterebbe più immediatamente perseguibile con riferimento ai canoni dell’imposizione diretta, la questione – attese anche, per un verso, l’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore ordinario in merito all’identificazione dei presupposti d’imposta ed alla diversificazione del regime tributario in funzione della tipologia di contribuente e, per altro, la circostanza che il contributo in rassegna incide solo parzialmente e temporaneamente su una riscontrata sopraredditività – non appare meritevole di rinvio alla Corte delle leggi.
I saldi tra le operazioni attive e quelle passive risultanti dalle liquidazioni Iva relative a due identici periodi di annualità successive si sostanziano comunque, infatti, di fattori (i ricavi, al netto dell’Iva, meno i costi, al netto dell’Iva, del 1° periodo e i ricavi, al netto dell’Iva, meno i costi, al netto dell’Iva, del 2° periodo) idonei ad esprimere un differenziale incrementale significativamente espressivo di un effettivo “plusvalore economico”, anche in ragione della comparazione di identici parametri economici in periodi temporali in stretta successione. E ciò, tanto più in considerazione della retroattiva espulsione dai saldi predetti, attuata dall’art. 1 comma 120, D.L. n. 197/2022, dei dati meno rilevanti sul puro piano reddituale e, peraltro, della soltanto mera eventualità, in concreto non comprovata, della mancata considerazione del valore delle accise nelle operazioni passive (mancata considerazione che, peraltro, appare, comunque, verosimilmente destinata a riprodursi similmente in entrambi i successivi periodi in comparazione ed, in tal modo, a non sbilanciare in modo apprezzabile il computo del differenziale assunto a base dell’imposta).
Secondo la società contribuente, il contributo straordinario in oggetto sarebbe, infine, illegittimo, perché collidente con il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 1 del protocollo n. 1 C.e.d.u.
L’assunto non è condivisibile, atteso che, anche per l’ordinamento internazionale, il diritto di proprietà e di libertà d’impresa restano comunque recessivi rispetto al prevalente interesse pubblico generale.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto dei ricorsi. (…)”.
3.
L’art. 37, del Decreto-Legge 21 marzo 2022, n. 21, recante “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, convertito con modificazioni dalla Legge 20 maggio 2022, n. 51, ha introdotto, per l’anno 2022, un contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario, al fine di contenere, per le imprese e i consumatori, gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico, a carico dei soggetti che esercitano nel territorio dello Stato, per la successiva vendita dei beni, l’attività di produzione di energia elettrica, dei soggetti che esercitano l’attività di produzione di gas metano o di estrazione di gas naturale, dei soggetti rivenditori di energia elettrica, di gas metano e di gas naturale, dei soggetti che esercitano l’attività di produzione, distribuzione e commercio di prodotti petroliferi e dei soggetti che, per la successiva rivendita, importano a titolo definitivo energia elettrica, gas naturale o gas metano, prodotti petroliferi o che introducono nel territorio dello Stato detti beni provenienti da altri Stati dell’Unione europea.
Si tratta pertanto (come emerge dai lavori e dagli atti parlamentari “preparatori” relativi all’approvazione della norma in argomento) di un “contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario”, dovuto solo per l’anno 2022 (“una tantum”), a cui sono tenuti i produttori, importatori e rivenditori di energia elettrica, di gas nonché di prodotti petroliferi che hanno beneficiato di extraprofitti, a causa dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore (cfr. ex aliis, Senato della Repubblica, Iter D.d.L. S. 2564 - Conversione in legge del Decreto-Legge 21 marzo 2022, n. 21, recante misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina).
Il contributo è dovuto sull’incremento del saldo tra le operazioni attive e passive rilevanti ai fini IVA, risultanti dalla Comunicazione delle liquidazioni periodiche IVA (LIPE) del periodo da 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022, rispetto al saldo delle medesime operazioni del periodo dal 1° ottobre 2020 al 30 aprile 2021. Il contributo straordinario è stabilito nella misura del 25 per cento dell’anzidetto incremento e si applica se l’incremento stesso è superiore al 10 per cento e a Euro 5.000.000,00 (Circ. Ag. Entr. n. 22/E del 23 giugno 2022).
Il “contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario” introdotto dal citato art. 37, del D.L. 21 marzo 2022, n. 21, come afferma (lapidariamente quanto correttamente) la sentenza in commento, ha indubbiamente natura giuridica di “tributo” e, più precisamente, di “imposta”. Ciò emerge in modo chiaro ed evidente dallo stesso dato normativo sopra riportato, alla luce del quale il contributo in questione risulta pienamente configurabile come prelievo coattivo di natura strettamente tributaria,1 fornito cioè di tutte le caratteristiche e gli elementi costitutivi atti ad integrare concretamente lo schema giuridico-normativo del tributo, in modo costituzionalmente legittimo ossia pienamente conforme ai parametri costituzionali di riferimento (rinvenibili, innanzitutto, negli artt. 3, 23 e 53 Cost.).
In proposito, deve essere innanzitutto precisato che (tenendo presenti le disposizioni normative di cui agli articoli 2, 3, 23 e 53 della Costituzione) il “tributo” o “obbligazione tributaria” è un’obbligazione giuridica di diritto pubblico (ovvero di natura pubblicistico-autoritativa) avente per oggetto una prestazione monetaria (o comunque patrimoniale) a titolo definitivo (tendenzialmente priva di una relazione di reciprocità e corrispettività sinallagmatica con un’eventuale controprestazione), nascente direttamente o indirettamente dalla legge (cioè da una norma giuridica legislativa tributaria “impositrice”, che delinea, definisce ed individua, sul piano razionale ed astratto, la fattispecie tributaria nei suoi elementi costitutivi essenziali e fondamentali, quali i soggetti attivo e passivo, il presupposto impositivo, la base imponibile e l’aliquota) e connessa, sul piano della funzione e della ragione giuridica giustificativa, al finanziamento ed alla copertura delle spese pubbliche.2
L’obbligazione tributaria ha perciò natura coattiva, coercitiva, unilateralmente obbligatoria o “doverosa”,3 vincolante ed immediatamente attuabile in via “forzosa” (ossia “forzata”) secondo moduli tipicamente pubblicistico-autoritativi, e sorge giuridicamente al verificarsi di un presupposto oggettivo “di fatto”, espressivo di capacità contributiva e, quindi, di idoneità economica alla contribuzione intesa nel senso di “concorso” alle spese collettive o “comuni” da parte del soggetto consociato a cui il presupposto impositivo è imputabile.
L’obbligazione tributaria (il tributo) è pertanto necessariamente funzionale al finanziamento generale di spese pubblico-collettive (riferibili cioè all’intera collettività sociale organizzata). Conseguentemente, il “presupposto impositivo” o “di fatto” del tributo (e dell’obbligazione tributaria) è in sintesi definibile come l’elemento oggettivo, fattuale, materiale e strutturale (espressivo di capacità contributiva o “forza” ed idoneità economica alla doverosa contribuzione alle spese pubbliche, direttamente riconducibile o imputabile ad un soggetto definibile come “soggetto passivo” del tributo), al cui concreto verificarsi e realizzarsi la norma giuridica legislativa impositrice ricollega il sorgere dell’obbligazione tributaria (e, quindi, della complessiva fattispecie tributaria o imponibile) a carico del soggetto passivo dello stesso rapporto giuridico-tributario obbligatorio che viene di volta in volta a costituirsi sulla base della medesima norma legislativa impositrice.
Sul tema specifico, la Corte costituzionale con sentenza n. 269, del 14 dicembre 2017, ripercorrendo brevemente i suoi stessi precedenti giurisprudenziali, ha affermato quanto segue: “In proposito va rilevato che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che “gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese” (sent. n. 70 del 2015). Si deve cioè trattare di un “prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva (sentenza n. 102 del 2008). Tale indice deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all’obbligazione tributaria>> (ancora sentenza n. 70 del 2015)”.
La stessa Corte costituzionale, nelle sentenze n. 73, del 2008, n. 219/2014 e n. 70 del 2015, ha quindi compiutamente definito il “tributo”, sul piano della sostanza giuridica ed a prescindere dalla denominazione formale utilizzata dal legislatore, come “prelievo coattivo finalizzato al concorso alle pubbliche spese posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva”.
Il medesimo Supremo Giudice Costituzionale delle Leggi, nella sentenza n. 141, del 2009, ha ancora più chiaramente affermato che “occorre, dunque, interpretare la disciplina sostanziale alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per qualificare come tributarie alcune entrate: criteri che consistono nella doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti, e nel collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante (ex plurimis: sentenze n. 335 e n. 64 del 2008, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005)”, e, nella sentenza 238 del 2009, ha ribadito che i tributi vanno individuati indipendentemente dal “nomen iuris” e con riferimento alla sussistenza, nella prestazione pecuniaria oggetto del rapporto obbligatorio impositivo, di una sostanziale “struttura autoritativa e non sinallagmatica”.
Pertanto la giurisprudenza costituzionale ha costantemente chiarito che il “tributo” possiede i seguenti elementi caratteristici e tratti distintivi: a) trova la sua fonte originaria in un atto normativo di livello legislativo (art. 23 Cost.); b) è strutturalmente connesso ad un presupposto impositivo oggettivo o “fatto generatore” dell’obbligazione tributaria (e del connesso obbligo di pagamento), espressivo di capacità contributiva ovvero di “idoneità economica” alla contribuzione riferibile ad un determinato soggetto passivo (art. 53 Cost.) e che prescinde dalla circostanza che i soggetti obbligati al pagamento del tributo (contribuenti) traggano o meno un diretto beneficio dagli scopi (di finanziamento delle spese pubblico-collettive in generale) a cui esso è destinato; c) si configura come prelievo giuridicamente doveroso ed obbligatorio con struttura pubblicistico-autoritativa e non sinallagmatica (ovvero non commutativa/corrispettiva); d) è destinato alla copertura delle “spese pubbliche” (intese in senso generale ed onnicomprensivo), a prescindere dal rapporto specifico di tali spese con il soggetto inciso, esprimendo quindi una essenziale funzione “solidaristica” (art. 2 Cost.) che consiste sostanzialmente nel fatto che il tributo stesso, essendo appunto funzionale al finanziamento di spese pubblico-collettive ad utilità e rilevanza comune, generale e sociale, risulta, per ciò stesso, essere il più rilevante strumento di attuazione degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale previsti dall’art. 2 della Costituzione repubblicana.
Tutti i sopra descritti elementi costitutivi, tratti indefettibili e connotati essenziali/distintivi della fattispecie tributaria (compreso, ed anzi soprattutto, il fondamentale presupposto impositivo oggettivo e fattuale) sono integralmente e compiutamente presenti, in modo chiaro e definito, nel contributo straordinario solidaristico di cui si discute in questa sede, il quale deve essere pertanto qualificato come “tributo” e, più precisamente, come “imposta”, stante la sua spiccata funzione solidaristica e la sua destinazione al finanziamento delle spese pubbliche a copertura di “servizi indivisibili” ossia delle spese pubbliche nel loro complesso generale ed indifferenziato (quand’anche lo stesso contributo possa essere definito come “tributo di scopo”).
4.
Dalla lettura degli atti parlamentari accompagnatori e/o preparatori riferibili ai procedimenti legislativi di formazione ed approvazione della norma di cui al citato art. 37, del D.L. n. 21/2022 (relazione illustrativa, relazione tecnica, atti ed approfondimenti degli Uffici Studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica), emerge in modo estremamente chiaro e preciso, innanzitutto la “ratio” ossia la (legittima e sicuramente “equa”) ragione giuridica giustificatrice della stessa norma impositrice in esame, la quale è, con ogni evidenza, funzionalmente diretta a tassare (in modo proporzionato e ragionevole) gli “extraprofitti” realizzati da determinati soggetti imprenditoriali operanti nel settore energetico per effetto dell’anomalo e rilevante incremento dei prezzi e delle tariffe registrati, in un determinato e circoscritto arco temporale, all’interno dello stesso comparto dell’energia ed a causa del conflitto militare russo-ucraino.4
Inoltre (ed a conferma della legittimità costituzionale della medesima norma), nei lavori parlamentari preparatori all’iter legislativo di approvazione, si delinea con estrema chiarezza la struttura essenziale dell’obbligazione tributaria di che trattasi, interamente comprensiva del basilare presupposto oggettivo di fatto (indicatore di capacità contributiva) chiaramente riferibile al medesimo (con)tributo in argomento. In effetti, il contributo di solidarietà è sostanzialmente diretto ad assoggettare (del tutto legittimamente) ad imposizione fiscale lo specifico presupposto tributario “strutturale” costituito dai c.d. “extraprofitti” (o “sovraprofitti” ossia da quel margine “incrementale” straordinario di plusvalore economico sensibilmente superiore al normale/medio margine di profitto o “utile” ̶ inteso certamente in senso ampio ed “atecnico” ma comunque calcolato e determinato sulla base di precisi e dettagliati parametri economico-normativi indicatori di una rilevante maggiore capacità contributiva ̶ di carattere intrinsecamente supplementare ed aggiuntivo rispetto ai normali e fisiologici livelli di redditività del settore di riferimento) che le imprese operanti nel comparto dell’energia hanno effettivamente generato, realizzato ed acquisito, per effetto dell’aumento esponenziale dei prezzi e delle tariffe dei beni e delle materie prime del settore energetico e, quindi, delle “fonti di energia” fondamentali (gas naturale e petrolio), dovuto alla forte restrizione dell’offerta di mercato causata dalla eccezionale crisi bellica scaturente dall’aggressione militare Russa nei confronti dell’Ucraina e dall’inevitabile interruzione (in seguito all’applicazione delle sanzioni internazionali) dei normali rapporti commerciali di approvvigionamento e fornitura di gas naturale e petrolio con la Russia.
Ciò comporta, indubbiamente ed in primo luogo, la piena legittimità costituzionale della norma impositrice in questione con riferimento all’art. 23 Cost., il quale, stabilendo l’obbligo per il legislatore di osservare il fondamentale “principio di legalità” in ordine alla istituzione delle “prestazioni patrimoniali e personali imposte”, impone che la stessa norma legislativa che istituisce il tributo e la connessa obbligazione tributaria, debba (come avviene correttamente nello specifico) individuare e definire in modo chiaro, preciso, puntuale e tassativo tutti gli elementi fondamentali costitutivi della stessa obbligazione (o fattispecie) tributaria ovvero i soggetti (attivo e passivo), il presupposto impositivo e la base imponibile del tributo in questione, ciò che è integralmente ed effettivamente avvenuto con riferimento alla disposizione di cui all’art. 37, D.L. n. 21 del 2022 in esame.
Il tributo in questione (denominato precisamente dal legislatore come “contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario” dotato, come si è visto, di un’intrinseca natura tributaria) assoggetta quindi a tassazione (e ciò viene perfettamente colto con grande lucidità dalla sentenza in esame) il presupposto impositivo di fatto “strutturale” (cioè l’elemento fattuale oggettivo “basilare” da cui sorgono ed in cui trovano origine l’obbligazione e la fattispecie tributaria individuate dalla norma legislativa impositrice), evidentemente ed indiscutibilmente espressivo di capacità contributiva (ex art. 53 Cost.) ossia di forza economica e conseguente idoneità alla contribuzione tributaria (al “concorso alle spese pubbliche”) da parte del soggetto cui il presupposto stesso è ragionevolmente riconducibile o imputabile, costituito da un margine di “sovraprofitto” o “extraprofitto” (inteso, in senso necessariamente “atecnico”, molto ampio e generale o generico, come “sovraredditività” o “sovracapacità produttiva di valore” che genera inevitabilmente una “sovraproduzione” di valore economico, indubbia manifestazione di una evidente maggiore capacità contributiva) riferibile al differenziale di (plus)valore economico “incrementale” ̶ oggettivamente ulteriore, aggiuntivo, straordinario ed eccedente rispetto al valore economico normale ed ordinario che integra il tasso di profitto o l’utile (sempre inteso nel significato ampio, generale e generico di complessiva “redditività” o capacità effettiva di generare valore economico superiore ai costi sostenuti) che normalmente si attesta su livelli fisiologici, ordinari e/o “medi” ̶ prodotto ed appropriato interamente dalle imprese energetiche per effetto del mero incremento congiunturale (elevato ed anomalo) del livello dei prezzi di mercato e delle tariffe di tutti i prodotti energetici generati dai processi industriali e forniti ai cittadini-consumatori ed alle (altre) imprese (essenzialmente sotto forma di “energia elettrica” derivante soprattutto dall’utilizzo di gas naturale e di petrolio, come principali fonti naturali di energia).
Tale “plusvalore economico” marginale ed aggiuntivo (qualificabile come “sovraprofitto” in senso lato e costituente il presupposto impositivo del contributo di solidarietà) è parametrato/determinato appunto, in modo puntuale e preciso, sul “differenziale incrementale” (attivo e superiore ad una certa misura minima stabilita dalla norma, cioè il 10% e 5.000.000,00 di Euro e, per ciò stesso, ragionevolmente sintomatico della presenza effettiva di un margine di extraprofitto o sovraredditività) del saldo tra componenti positivi di valore economico derivanti dal totale delle operazioni attive rilevanti ai fini dell’Iva ed al netto dell’Iva stessa (si tratta sostanzialmente del totale dei ricavi d’impresa rilevanti e/o imponibili ai fini Iva o “fatturato”) e componenti negativi di valore economico derivanti da operazioni passive rilevanti ai fini dell’Iva ed al netto dell’Iva stessa (sostanzialmente si tratta dei costi d’impresa sostenuti e documentati ai fini Iva), realizzato nel periodo temporale ottobre 2021-aprile 2022, rispetto al saldo delle medesime operazioni riferibili al precedente periodo ottobre 2020-aprile 2021.
Appare pertanto evidente che tale differenziale incrementale, ragionevolmente sintomatico di un effettivo “plusvalore economico”, costituisce il necessario presupposto impositivo del tributo in argomento, cioè il fatto oggettivo e materiale (espressivo di una chiara e rilevante “maggiore” capacità contributiva o effettiva forza ed idoneità economica alla contribuzione fiscale finalizzata, ex art. 53 Cost., al doveroso concorso alle spese pubblico-collettive di natura ed interesse generale e sociale) generatore, sulla base della norma giuridica legislativa di cui all’art. 37, del D.L. n. 21/2022 (convertito dalla Legge n. 51/2022), della legittima obbligazione tributaria.
Se ne deduce (contrariamente a quanto asserito in modo del tutto erroneo e infondato da parte ricorrente) la piena legittimità costituzionale della norma legislativa istitutiva del contributo in esame, sotto il profilo dell’esistenza del presupposto impositivo oggettivo dell’obbligazione tributaria (art. 23 Cost.), della manifestazione della capacità contributiva ad esso correlabile (art. 53 Cost.) e del pieno rispetto del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), il quale implica, con riferimento alla materia giuridico-tributaria, l’uguale trattamento normativo impositivo di situazioni simili in modo giuridicamente rilevante sul piano dell’uguale capacità contributiva e di diverso ragionevole trattamento normativo impositivo di situazioni dissimili in modo giuridicamente rilevante sul piano della diversa capacità contributiva (in altri termini, e ciò si verifica effettivamente ad opera della norma in esame, ad uguale capacità contributiva deve corrispondere un’uguale imposizione tributaria ed a diversa capacità contributiva deve corrispondere una diversa ragionevole imposizione tributaria).
In questo caso specifico, ad una capacità contributiva sensibilmente maggiore (derivante dalla presenza effettiva di una rilevante sovraredditività) imputabile a talune imprese operanti nel settore energetico, corrisponde una ragionevole e proporzionalmente maggiore imposizione tributaria finalizzata alla realizzazione (solidaristica) dei principi di perequata giustizia redistributiva del prodotto sociale e di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), attraverso lo strumento dell’imposizione fiscale e della correlata spesa pubblica funzionale a trasferire risorse economiche da strati, classi e categorie di soggetti “avvantaggiati” verso ed a favore di strati, classi e categorie di soggetti oggettivamente “svantaggiati” (in adempimento necessario dei doveri inderogabili di solidarietà economico-sociale a norma dell’art. 2 Cost.).5
La “ratio”, la ragione giuridica fondamentale ovvero il fondamento razionale giustificativo della norma istitutiva di tale tributo è peraltro rinvenibile nella necessità solidaristica di reperire coattivamente risorse economiche (presso alcuni soggetti economicamente “forti” che hanno accumulato e centralizzato quote aggiuntive e molto rilevanti di plusvalore) da destinare al finanziamento di una spesa pubblica orientata socialmente in quanto diretta, attraverso l’erogazione di sussidi e agevolazioni (anche di natura fiscale) a fondo perduto, a ridurre drasticamente gli effetti negativi (sotto il profilo socio-economico generale) dell’aumento (anomalo ed eccessivo) dei prezzi dei prodotti energetici finali (gas metano ed energia elettrica) sulle imprese e sui cittadini appartenenti agli strati sociali più svantaggiati e deboli, nel contesto di una logica complessiva di perequata redistribuzione egualitaria del valore economico prodotto collettivamente e di realizzazione di generali obiettivi di uguaglianza sostanziale e giustizia distributiva (tendente ad avvantaggiare i soggetti più svantaggiati) tra le classi ed i gruppi da cui è costituita la comunità sociale nel suo complesso.
Tutto ciò appare integralmente conforme al combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost., cioè a quel principio di uguaglianza tributaria che la Corte costituzionale ha nettamente definito come principio in base al quale “a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale”, in modo tale che, nel rispetto del principio di capacità contributiva espresso nell’art. 53 Cost., venga in ogni caso garantita (come in effetti nel caso specifico viene garantita) “l’esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza” (Corte cost. n. 120/1972).
Infatti, il tributo in esame si configura come pienamente legittimo sul piano dei predetti principi costituzionali proprio perché colpisce esclusivamente la maggiore ricchezza, il maggiore valore economico e la conseguente maggiore capacità contributiva o forza economica “connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una determinata congiuntura (Corte cost. n. 10/2015), posto che “la possibilità di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell’imposta” (Corte cost. n. 142/2014 e n. 21/2015).
E non vi è dubbio, alla luce di quanto sopra argomentato, che il tributo (più specificamente, l’imposta) di che trattasi presenti una rilevante ed adeguata ragione giustificatrice obiettiva che si traduce in modo coerente, proporzionato e ragionevole o razionale nella articolazione strutturale dell’imposta stessa. Ciò è tanto più vero se si considera che, in ordine alla scelta legislativa del presupposto del tributo, rientra pienamente nella “discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva quale idoneità del soggetto all’obbligazione imposta, che può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale” (Corte cost. n. 156/2001).
La Corte costituzionale si è espressa più volte nel senso di riconoscere un’ampia discrezionalità al legislatore con riferimento all’identificazione degli indici di capacità contributiva (necessariamente manifestati dal presupposto impositivo), osservando costantemente che “in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forma di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica” (Corte cost., sent. n. 288/2019 ed ord. n. 165/2021).
Inoltre, il Supremo Giudice delle Leggi ammette anche (in piena coerenza con i principi di uguaglianza e capacità contributiva di cui al combinato disposto degli artt. 3 e 53 Cost.) una ragionevole diversificazione del regime tributario effettuata dal legislatore per tipologia di contribuenti, a condizione che tale diversificazione sia “supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione” (Corte cost. n. 104/1985 e n. 42/1980).
Analogo principio viene ribadito dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017, laddove, in modo ancora più aderente alla fattispecie oggetto del presente giudizio, si può testualmente leggere che «al legislatore spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale” (sent. n. 240 del 2017), con il solo limite della non arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza e sproporzione. In questa prospettiva, costantemente ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte, non può ritenersi costituzionalmente illegittima la scelta del legislatore di imporre la contribuzione in esame esclusivamente a carico delle imprese che si contraddistinguono per una presenza significativa sui mercati, perché dotate di una particolare struttura e perché caratterizzate da una rilevante dimensione economica» (in questo caso si tratta, in modo del tutto simile, di imprese di rilevanti dimensioni economico-strutturali, con presenza significativa sul mercato dell’energia e che hanno realizzato un sensibile margine di sovraprofitto dovuto ad una particolare congiuntura economica di carattere straordinario ed eccezionale).
E’ evidente che, nel caso che occupa, la discrezionalità del legislatore nella determinazione del presupposto impositivo e della base imponibile del tributo in argomento non ha affatto travalicato il limite della non arbitrarietà, della ragionevolezza e della proporzionalità complessiva dell’intervento legislativo istitutivo del tributo stesso, stabilendo l’assoggettamento ad imposizione maggiorata di un margine di valore economico aggiuntivo (identificabile sostanzialmente con un margine di “extraprofitto” inteso, come ripetuto più volte, nel senso “atecnico” e largo di extraredditività generante un plusvalore economico rilevante) prodotto ed acquisito da determinati soggetti imprenditoriali del settore energetico.
Ne deriva logicamente che, sulla base dei principi costituzionali di cui agli articoli 3, 23 e 53 della Costituzione, il tributo qui esaminato presenta indubbiamente “un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)” (Corte cost. n. 341/2000 e n. 223/2012).
Inoltre, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 10 del 2015, ha comunque affermato, in linea di principio, che la congiuntura economica caratterizzata da un eccezionale rialzo dei prezzi di prodotti energetici al contempo insostenibile per gli utenti e idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto degli operatori dei settori interessati può costituire “un elemento idoneo a giustificare un prelievo differenziato che colpisca gli eventuali “sovra-profitti” congiunturali”. Tuttavia, “affinché il sacrificio recato ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva non sia sproporzionato e la differenziazione dell’imposta non degradi in arbitraria discriminazione, la sua struttura deve coerentemente raccordarsi con la relativa ratio giustificatrice” (Corte cost. n. 10/2015).6 Dunque, un’imposta sui sovraprofitti è, in linea di principio, integralmente legittima, equa/giusta, complessivamente ragionevole e proporzionata sul piano costituzionale, quando (come avviene puntualmente nel caso del contributo istituito dall’art. 37, del D.L. n. 21/2022) sia idonea ad incidere sul “sovraprofitto” o “extraprofitto” inteso come segmento di utile o valore economico “incrementale”, ulteriore ed aggiuntivo (in via eccezionale) rispetto al livello ordinario o normale del margine di redditività dell’impresa tassata, in connessione con la “particolare congiuntura economica” e, comunque, considerato in senso ampio, largo e generale (cioè essenzialmente “atecnico”), purché sia espressivo di una concreta e fattuale sovraredditività e, dunque, di una rilevante maggiore capacità contributiva o forza economica (e ciò a prescindere dalle restrittive e formali definizioni tecnico-giuridiche di profitto o utile civilistico).
Per quanto concerne la piena legittimità costituzionale dell’imposta in argomento con riferimento alla sua integrale compatibilità con i principi di cui all’art. 42 Cost. (e conseguentemente anche con quelli contenuti negli artt. 41 e 43 Cost.), in continuità ed a completamento del corretto ragionamento sinteticamente esplicato da Giudice tributario nella decisione in esame laddove viene affermato che “il diritto di proprietà e di libertà di impresa restano comunque recessivi rispetto al prevalente interesse pubblico generale”, va precisato quanto segue.
La struttura e la formulazione della Costituzione della Repubblica Italiana contiene espliciti e ben definiti concetti e principi giuridico-normativi che si pongono come fondamento logico-giuridico dell'intervento pubblico nell'economia (categoria generale a cui è interamente ascrivibile l’attività e la funzione pubblica dell’imposizione tributaria): - il principio generale della necessaria “funzione sociale” della proprietà privata (art. 42 Cost.), che allude alla necessità che la proprietà privata (soprattutto dei mezzi di produzione cioè dei complessi economico-produttivi) sia funzionale (anche) al raggiungimento di interessi pubblico-collettivi di rilevanza sociale ossia di interessi caratterizzati da un'utilità generale e collettiva (occupazione, sviluppo economico e benessere sociale complessivo, tutela della salute e dell'ambiente, sicurezza delle condizioni di lavoro etc.), e trovi un limite giuridico in tale funzione sociale; - quello, strettamente connesso al precedente, di “utilità sociale” come limite all'iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) che non può svolgersi in contrasto con essa (cioè con l'utilità generale-collettiva e gli interessi pubblici riferibili all'intera collettività sociale organizzata), né in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana (vale a dire in modo da violare l'obbligo giuridico di rispetto e considerazione per l'essere umano in quanto ontologicamente portatore di intrinseci valori e principi morali e/o razionali fondamentali che devono essere sempre riconosciuti e tutelati); - quello di espropriazione della proprietà privata e di collettivizzazione/nazionalizzazione/socializzazione di imprese o categorie di imprese, cioè di soppressione giuridica della proprietà privata ed instaurazione su determinati beni (soprattutto quelli di natura economico-produttiva organizzati in aziende, ma non solo) di una proprietà pubblico-collettiva o sociale, per motivi di preminente interesse generale ossia in ragione della realizzazione di un interesse pubblico generale e collettivo preponderante o preminente rispetto a tutti gli altri interessi particolari e privati coinvolti (artt. 42 e 43 Cost.); - quello dei programmi e controlli istituiti per legge e finalizzati ad indirizzare e coordinare l'attività economica pubblica e privata a fini sociali, quindi di utilità generale/collettiva (art. 41 Cost.); - quello di proprietà pubblico-collettiva (appartenenza allo Stato o ad enti pubblici) dei “beni economici” (dei mezzi o strumenti di produzione cioè, in sostanza delle aziende) (art. 42 Cost.), funzionale strutturalmente alla realizzazione di interessi generali e collettivi anche attraverso la possibilità di esercizio di un'impresa pubblica (gestita ed esercitata da enti pubblici economici e non finalizzata al profitto privato ma alla basilare produzione economica di beni e servizi ad utilità generale).
E’ perfettamente chiaro, quindi, che il diritto di proprietà privata e la libertà (il diritto) di iniziativa economica privata, debbano essere necessariamente inquadrati nel delineato contesto complessivo dei più ampi, fondamentali e prevalenti principi giuridici “sociali” e solidaristici contenuti nella Carta costituzionale, e con tali principi vadano quindi contemperati, bilanciati, ponderati e soprattutto limitati in modo ragionevole e proporzionato (ciò che il tributo solidaristico sui sovraprofitti delle imprese energetiche su ci si controverte fa, in modo, come si è visto, assolutamente legittimo).
La Costituzione repubblicana prevede espressamente, infatti, accanto al principio generale dell'uguaglianza “formale”, un corrispondente principio generale di uguaglianza “sostanziale”, che consiste nell'obbligo per i poteri pubblici di superare ed abbattere le disuguaglianze economiche e sociali (strutturali/fattuali) esistenti nella società, attraverso un'azione pubblica diretta ad attuare principi di giustizia (re)distributiva delle risorse, delle ricchezze e dei beni sociali secondo criteri di effettiva e sostanziale uguaglianza proporzionale ai diritti fondamentali spettanti a ciascun consociato, in ragione della necessità di riparare o compensare gli svantaggi naturali e sociali esistenti oggettivamente tra classi ed individui.
L'art. 3 della Costituzione italiana afferma il principio di uguaglianza sostanziale (economico-sociale) e, quindi, di giustizia sociale, in termini di obbligo per la Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Il principio generale di uguaglianza sostanziale fornisce evidentemente la base giuridica sufficiente per azioni pubbliche dirette a vantaggio di categorie o classi sociali svantaggiate/sfavorite. L'uguaglianza sostanziale, in altri termini, consente la possibilità di quella continua opera di contaminazione e connessione dialettica tra i principi e gli elementi di giustizia commutativa e quelli di giustizia distributiva, che costituisce la modalità basilare di avanzamento delle politiche sociali.
Un elemento fondamentale che giustifica l'intervento pubblico nell'economia a fini di giustizia sociale e di redistribuzione egualitaria delle risorse economiche (della “ricchezza”), è quindi rappresentato dal concetto e dal principio generale di “solidarietà” (art. 2 Cost.), definibile come dovere giuridico di cooperazione e collaborazione tra tutti i consociati, finalizzato alla realizzazione di interessi comuni o pubblico-collettivi ed alla garanzia del livello minimo di prestazioni, funzioni e servizi sociali erogati dai pubblici poteri ed idonei a tutelare, realizzare e preservare il diritto di ognuno ad un'esistenza libera e dignitosa mediante il soddisfacimento dei diritti e dei bisogni sociali fondamentali; esso riguarda essenzialmente i cd. “diritti sociali”.
I diritti sociali si collocano a fianco dei diritti civili e politici come diritti di “terza generazione” tutelati e garantiti (sia come diritti individuali fondamentali, sia, soprattutto, come interessi pubblico-collettivi a rilevanza generale) dalle funzioni pubbliche svolte dal cd. “Stato sociale” e dirette ad erogare prestazioni e servizi di utilità pubblica, finalizzati a soddisfare i fondamentali bisogni ed interessi di carattere “sociale” (in quanto connessi all'organizzazione sociale/collettiva nel suo complesso) degli individui consociati (lavoro, sanità/assistenza medica, abitazione, istruzione, trasporti pubblici, erogazione di servizi pubblici essenziali generali come energia elettrica, acqua, gas, rete fognaria, igiene e tutela urbana ed ambientale, illuminazione, viabilità etc., assistenza sociale, previdenza sociale etc.).
L'effettivo godimento di questi diritti è dunque condizionato dall'intervento attivo del legislatore e della pubblica amministrazione (cioè dei “pubblici poteri”), che devono stabilire, organizzare ed erogare materialmente il servizio o la prestazione pubblico-collettiva a rilevanza sociale e finanziarla attraverso le entrate tributarie generali.
Nel dettato costituzionale si parla, dunque, di “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art. 2), di “pari dignità sociale” di tutti i cittadini (art. 3); di “utilità sociale” e di rispetto della dignità, della sicurezza e della libertà umana, come limiti giuridici all'iniziativa economica privata (art. 41); di “funzione sociale” del diritto di proprietà (art. 42); di espropriazione e collettivizzazione, cioè di legittima soppressione giuridica della proprietà privata su determinati beni (produttivi o meno) e di instaurazione su di essi della proprietà pubblico-collettiva (dello Stato, di enti pubblici o di comunità di lavoratori o utenti), per motivi di preminente interesse generale ossia in ragione della realizzazione di un interesse pubblico generale e collettivo preponderante o comunque preminente rispetto a tutti gli interessi particolari e privati (artt. 42 e 43); di programmi e controlli pubblici finalizzati ad indirizzare e coordinare l'attività economica pubblica e privata a fini sociali (di utilità generale/collettiva) (art. 41); di proprietà pubblico-collettiva (appartenenza allo Stato o ad enti pubblici) dei beni economici (dei “mezzi o strumenti di produzione”, cioè, in sostanza, delle aziende) (art. 42), funzionale strutturalmente alla realizzazione di interessi generali e collettivi, attraverso la possibilità di esercizio di un'impresa pubblica (gestita ed esercitata da enti pubblici economici o da enti pubblici in forma societaria).
Proprio in ragione di tali principi generali il contributo in questione si applica (senza, come ampiamente detto, operare alcuna irragionevole, arbitraria ed illegittima discriminazione o disparità di trattamento ossia senza ledere, in alcun modo, il principio costituzionale di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.) solo alle imprese energetiche che hanno realizzato effettivamente rilevanti “sovraprofitti” determinati dall’aumento congiunturale e straordinario dei prezzi dell’energia, derivante, in particolare, dal conflitto militare tra Russia e Ucraina e dalle conseguenti sanzioni e chiusura (o, comunque, forte riduzione) delle forniture di gas naturale e petrolio da parte della Russia stessa (tra i principali esportatori mondiali di tali prodotti), interruzione delle forniture/importazioni che ha a sua volta determinato in occidente un drastico calo dell’offerta di tali materie prime energetiche sul mercato internazionale, a fronte di una domanda immutata.7
Tutto ciò in funzione dell’acquisizione di risorse economiche aggiuntive idonee al finanziamento di interventi pubblici diretti a ridurre i costi al consumo dell’energia (cioè i costi in bolletta del gas naturale e dell’energia elettrica) e l’impatto sociale negativo, derivante da tali consistenti aumenti dei prezzi delle medesime forniture energetiche, sulle imprese e sui cittadini (soprattutto appartenenti agli strati più deboli e svantaggiati economicamente).
Né può affermarsi che il contributo in esame può “sortire effetti espropriativi”, in ragione della presunta “arbitrarietà dell’imposizione”, posto che lo stesso contributo (di natura, lo si ripete, chiaramente tributaria e qualificabile come imposta) appare chiaramente conforme al modello normativo estratto definito dall’art. 53 Cost., nel senso che, come afferma la Corte costituzionale (sentenza n. 111/1997), risulta evidente (da quanto sopra dettagliatamente illustrato) “la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione” (che è parametrata, in una misura del tutto ragionevole e limitata, solo ed esclusivamente sul margine aggiuntivo/ulteriore di valore economico prodotto dall’impresa e qualificabile, a ragione, come “sovraprofitto” o “extraprofitto” di natura straordinaria ed eccezionale), rispettando, per ciò stesso, il principio cardine di “ragionevolezza e proporzionalità” in base al quale “il legittimo sacrificio che può essere imposto in nome dell’interesse pubblico non può giungere sino alla pratica vanificazione dell’oggetto del diritto di proprietà” (Corte cost. sentenza n. 348/2007).
Trattandosi quindi, in questo caso, di una perequata tassazione di “sovraprofitti” (ovvero di assoggettamento ad imposizione tributaria di un “surplus” di utile economico), risulta pienamente rispettato (si potrebbe in un certo senso dire “in re ipsa”), da parte della norma impositrice istitutiva del contributo in questione, il principio di legittimità costituzionale, più volte affermato dallo stesso supremo Giudice delle leggi (ex plurimis, Corte cost. n. 97/1968), secondo cui “vi è soggezione all’imposizione solo quando sussista una disponibilità di mezzi economici che consenta di farvi fronte” e la capacità individuale di concorrere alle spese pubbliche in funzione della propria capacità contributiva “non coincide affatto con la percezione di un qualsiasi reddito”, essendo coerentemente escluso da tassazione il reddito minimo necessario e sufficiente a garantire l’esistenza e la sopravvivenza (cioè la “permanenza in vita”) del soggetto passivo d’imposta (c.d. “minimo vitale”), elemento di cui non si controverte e che non rileva affatto nel caso di un’imposta che incide solo sugli extraprofitti e dunque sull’extrareddito di grandi imprese industriali.
Da quanto sopra ampiamente illustrato, emerge in modo logicamente consequenziale ed inequivocabile il pieno rispetto, da parte della disposizione normativa impositrice in esame, del principio di uguaglianza ovvero di non discriminazione e parità di trattamento di cui al combinato disposto degli artt. 20 e 21 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea; la norma infatti appare sostanzialmente e formalmente conforme al fondamentale principio di uguaglianza e di divieto di discriminazioni irragionevoli (e, dunque, anche al diritto all’uguaglianza di ogni individuo o soggetto giuridico), posto che lo stesso principio di uguaglianza consiste nell’uguale trattamento normativo di situazioni simili (o “uguali”) in modo giuridicamente rilevante (ed appartenenti ad una stessa classe logica generale/universale sulla base di determinate caratteristiche “comuni” rilevanti) e nel diverso e razionale/logico trattamento normativo di situazioni dissimili (o “disuguali”) in modo giuridicamente rilevante (ed appartenenti a diverse classi logiche generali sulla base di caratteristiche “non comuni” rilevanti).
Emerge, inoltre, anche il pieno rispetto, sempre da parte della stessa norma impositrice nazionale, del principio di proporzionalità di cui all’art. 52 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale, nel precisare la portata dei diritti garantiti, stabilisce che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà; nel rispetto del principio di proporzionalità (e di ragionevolezza o razionalità), possono dunque essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie (razionalmente inevitabili) e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale (a finalità di tutela di rilevanti e prevalenti interessi di natura pubblico-collettiva) riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui (comma 1); ciò sulla base del principio razionale ed universale secondo cui i diritti e le libertà fondamentali sono riconosciuti a tutti gli individui in posizione di assoluta e generale uguaglianza e reciprocità, trovando il diritto di ciascuno un limite invalicabile (e dunque un obbligo di rispetto) nell’uguale e corrispettivo diritto di tutti gli altri consociati e nell’interesse generale o pubblico-collettivo dell’intera organizzazione sociale.
Deve in altri termini sussistere (ed in questo caso sussiste effettivamente) un rapporto o correlazione di ragionevole “uguaglianza proporzionale” tra l’entità della compressione o della limitazione normativa dei diritti e delle libertà fondamentali stabiliti dalla Carta (in questo caso si tratta del diritto di proprietà privata e della libertà di impresa o di iniziativa economica) e la rilevanza (assolutamente prevalente) degli interessi (e dei diritti) generali e pubblico-collettivi (in questo caso si tratta di interessi e diritti individuali e collettivi connessi alle rilevantissime finalità sociali di giustizia/equità redistributiva sostanziale realizzate, in favore degli strati economicamente più deboli della società, attraverso lo strumento giuridico-normativo tributario e nel pieno rispetto del principio di capacità contributiva) perseguiti e tutelati dalla norma legislativa limitativa dei predetti diritti.
5.
Infine, dalla sentenza in esame si deduce anche la piena legittimità e compatibilità del contributo straordinario in argomento con l’ordinamento giuridico dell’Unione europea e la sua inevitabile necessità razionale per fare fronte alla situazione emergenziale di grave crisi energetica; ciò emerge chiaramente dal “Regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per fare fronte ai prezzi elevati dell’energia”, il quale all’art. 14 (“Sostegno ai clienti finali di energia mediante un contributo di solidarietà temporaneo”), comma 1, stabilisce quanto segue: “Gli utili eccedenti generati da imprese e stabili organizzazioni dell’unione che svolgono attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione sono soggetti a un contributo di solidarietà temporaneo obbligatorio, a meno che gli Stati membri non abbiano adottato misure nazionali equivalenti”; mentre, al comma 2, prevede che “Gli Stati membri provvedono a che le misure nazionali equivalenti adottate condividano obiettivi simili a quelli del contributo di solidarietà temporaneo di cui al presente regolamento, siano soggette a norme analoghe e generino proventi comparabili o superiori ai proventi stimati dal contributo di solidarietà”.
Appare evidente che, alla luce di quanto esposto e come affermato dalla sentenza in commento, il contributo di solidarietà introdotto dal legislatore italiano è pienamente legittimo in quanto conforme al modello giuridico-normativo generale ed astratto delineato dal legislatore europeo con il Regolamento sopra indicato, risultando logicamente riconducibile ed assimilabile a tale modello generale nella misura in cui esso è sicuramente qualificabile come “misura (fiscale) nazionale equivalente” (ovvero “simile”) a quella delineata dalla disposizione normativa europea8. Infatti, secondo quanto specificato dettagliatamente dal Regolamento europeo in argomento, l’obiettivo della misura fiscale nazionale è del tutto simile all’obiettivo generale del contributo di solidarietà istituito dallo stesso Regolamento europeo e consiste nel “contribuire all’accessibilità economica” universale al servizio ed al bene pubblico fondamentale costituito dall’energia elettrica. Inoltre, la norma impositrice nazionale che istituisce il contributo di solidarietà in questione risulta essere, nella sua sostanza giuridica, analoga o simile alla norma europea istitutiva della corrispondente misura fiscale comunitaria; ciò in ragione del fatto che essa riguarda effettivamente attività economico-imprenditoriali relative al settore energetico (imprese energetiche in generale, anche operanti nei settori petrolifero, del gas naturale, del carbone e della raffinazione), definisce, in maniera compiuta e precisa, una “base imponibile” razionale, la quale, direttamente o indirettamente, è idonea ad individuare un determinato margine di extraprofitto, di maggiori ricavi o maggiore redditività ovvero, in ogni caso e più in generale, di plusvalore economico aggiuntivo prodotto da alcune categorie di imprese e derivante dall’incremento dei prezzi dell’energia, prevede un “tasso” (un’aliquota proporzionale) e garantisce che i proventi della stessa misura fiscale nazionale (che ha peraltro durata circoscritta e limitata nel tempo, essendo una misura “una tantum”) siano usati per finalità “sociali” che sono assolutamente simili a quelle del contributo di solidarietà europeo.
6.
Quanto sopra illustrato trova essenzialmente piena conferma nella recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 111/2024 del 4 giugno 2024, depositata il 27 giugno 2024, sull’argomento: la Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 111/2024, sostanzialmente conferma la legittimità costituzionale delle norma istitutiva del contributo solidaristico sugli extraprofitti delle imprese energetiche, tranne che nella parte in cui non prevede la deduzione delle accise dal calcolo della base imponibile dell’imposta in questione, dichiarando non fondate o inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Giudici rimettenti con riferimento ad un presunto contrasto con gli articoli 2, 3, 23, 41, 42, 53 e 117 (quest’ultimo in relazione all’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU).
La Corte di legittimità delle Leggi, nello specifico ed al primo punto del dispositivo, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del D.L. n. 21/2022, convertito con modificazioni nella Legge n. 51/2022, «nella parte in cui prevede che “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’Iva”, anziché “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’Iva e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive”».
Nella motivazione della decisione in esame, la Corte, stabilendo la piena conformità del contributo solidaristico con l’art. 2, 3, 23 e 53 Cost., afferma che “si evince che il presupposto del tributo si identifica (…) con l’incremento di un saldo differenziale conseguente la vendita, a determinate condizioni, di prodotti energetici da parte di taluni soggetti operanti nel settore energetico in un particolare contesto temporale. L’elemento materiale di tale presupposto, ossia la base imponibile, viene del resto concretamente apprezzato attraverso l’incremento, eccedente la soglia assoluta e la percentuale fissate, del saldo tra operazioni attive e operazioni passive, al netto dell’IVA, registrate nei periodi temporali presi a riferimento e come tali indicate all’interno delle Comunicazioni dei dati delle cosiddette LIPE (…)”.
La Corte, per affermare la non arbitrarietà dell’indice di capacità contributiva scelto dal legislatore, ribadisce che, secondo la sua consolidata giurisprudenza, «in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica» (sent. Corte cost. n. 288 del 2019). Tale conclusione della giurisprudenza costituzionale non contraddice il significato del principio di capacità contributiva; al contrario lo conferma nel suo significato originario e altresì lo adegua, nella prospettiva dell’uguaglianza e della solidarietà insite nel dovere inderogabile di concorrere alle pubbliche spese, alla moderna evoluzione dei dinamismi economici in un contesto in cui la ricchezza può sfuggire agli inquadramenti più tradizionali. (…) Nello stesso senso, nella sentenza n. 10 del 2015 si è ritenuto di per sé non illegittimo che «un tributo (…) potesse perseguire lo scopo di colpire un indice di capacità contributiva ravvisato nella “eccezionale redditività dell’attività economica per gli operatori del petrolio” registrata in una “complessa congiuntura economica”».
La Corte conclude rilevando che “(…) la valutazione della sussistenza di un adeguato indice di capacità contributiva in riferimento all’imposta censurata non può essere compiuta sulla base – come vorrebbero i rimettenti – di una considerazione solo atomistica del saldo incrementale di cui all’art. 37, comma 3, scelto dal legislatore al fine della determinazione della base imponibile. Occorre invece considerare anche gli altri fattori che, valutati complessivamente e unitariamente, hanno concorso alla selezione della concreta forza economica che risiede alla base del contributo straordinario (…)” (cioè, da un lato, la situazione congiunturale della rilevante ed improvvisa impennata dei prezzi dell’energia, e, dall’altro, i tratti oligopolistici ed a forte concentrazione di capitale del mercato dei prodotti energetici, caratterizzato da una domanda “del tutto anelastica”).
“In questa prospettiva – continua il Giudice di legittimità costituzionale - è innegabile che una particolare forza economica, ulteriore a quella registrabile in condizioni normali, sia divenuta potenzialmente ascrivibile alle imprese energetiche che hanno beneficiato di questa situazione (…). In conclusione, in questo contesto, non appare arbitrario che il fortissimo aumento dei prezzi dei prodotti energetici nell’eccezionale situazione congiunturale e lo specifico mercato in cui le imprese energetiche operano, siano identificati dal legislatore – al verificarsi di una serie di condizioni – come indice rivelatore di ricchezza (…)”.
La Corte opportunamente aggiunge che proprio tale maggiore forza economica è stata posta alla base, pure se in una diversa logica impositiva, della necessità dell’introduzione di un’imposta sugli “extraprofitti” delle imprese energetiche, diretta a colpire i margini di redditività supplementari e straordinari realizzati negli anni 2022 e/o 2023, da parte del citato Regolamento del Consiglio europeo emanato dopo pochi mesi dall’entrata in vigore dell’art. 37 in argomento.
Infine, la Corte evidenzia, che, considerato il contesto di crisi del tutto straordinario ed eccezionale in cui si colloca e trova causa giustificatrice la misura legislativa in argomento ed una volta appurato che l’indice di capacità contributiva non è arbitrario, il tributo è sicuramente conforme anche ai canoni costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza (ossia rispetta il “rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire” e quindi rispetta il rapporto di ragionevole uguaglianza proporzionale tra la rilevanza dell’interesse pubblico perseguito e l’entità della compressione dei diritti soggettivi che viene attuata dalla norma legislativa).
In proposito, la Corte costituzionale procede ad alcune considerazioni critiche del tutto condivisibili, affermando che, in via generale, per le imposte finalizzate ad intercettare gli “extraprofitti”, “sarebbe certamente fisiologico fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (IRES), dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti. È significativo che lo stesso legislatore per il contributo straordinario di solidarietà successivo a quello qui censurato, previsto dall’art. 1, comma 115, della Legge n. 197 del 2022, abbia strutturato la base imponibile, al comma 116, facendo riferimento all’incremento del reddito IRES del 2022 rispetto alla media realizzata nel quadriennio precedente (…).
Al contrario, l’aver mutuato, per il tributo censurato in questa sede, le regole applicative di un’imposta indiretta come l’IVA non garantisce con altrettanta sicurezza il risultato di intercettare la maggiore ricchezza (…).
Si tratta di elementi della struttura dell’imposta che, in un tempo ordinario, non consentirebbero, di per sé – nemmeno in forza della più moderna concezione del principio di capacità contributiva in precedenza ricordata (…) -, di superare il test della connessione razionale e della proporzionalità.
Tuttavia, vengono qui in rilievo circostanze straordinarie che qualificano in termini del tutto sui generis l’intervento normativo. Da un lato, la situazione di crisi, che, se non fosse stata «affrontata rapidamente», avrebbe potuto «avere gravi effetti negativi sull’inflazione, sulla liquidità degli operatori di mercato e sull’economica nel suo complesso» (così il già citato Regolamento n. 1854/2022/UE). D’altro lato, la circostanza che, in quel particolare contesto, i dati desumibili dai saldi IVA ricavabili dalle LIPE erano gli unici disponibili e, quindi, i soli che avrebbero potuto essere considerati dal legislatore per intervenire tempestivamente a finanziare, con una nuova e temporanea imposta, l’insieme di interventi urgenti, a sostegno di famiglie e imprese, previsti da D.L. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato (…).
Pertanto, quando a marzo del 2022 è stata valutata la necessità di introdurre una misura straordinaria per finanziare interventi a favore di famiglie e imprese, le LIPE sono state considerate l’unico strumento disponibile e idoneo a individuare l’incremento congiunturale di ricchezza realizzato dalle imprese del settore energetico da sottoporre a base di un contributo di solidarietà.
È solo tenendo conto del carattere del tutto sui generis del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore, ovvero il riferimento ai dati relativi alla determinazione dell’imponibile dell’IVA, nonostante il loro oggettivo grado di approssimazione nell’intercettare la maggiore forza economica delle imprese energetiche. (…).
Ne consegue che, secondo la Corte che si esprime con una sentenza tipicamente “additiva”, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del D.L. n. 21 del 2022, come convertito e più volte modificato, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., solo nella parte in cui prevede che “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA”, anziché “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive”.
E’ evidente che, attraverso un ragionamento articolato, la Corte accoglie qui la tesi secondo la quale il tributo in questione presenta comunque un presupposto impositivo ed una base imponibile costituita da un “differenziale” ricavi/costi (qualificati in termini di componenti positivi/componenti negativi rilevanti ai fini Iva) pienamente espressivo di un effettivo “plusvalore economico” assimilabile sostanzialmente ad un “extraprofitto” inteso in senso “atecnico” e generico come “sovraredditività”, indice ragionevole e proporzionato (sia pure con un certo grado di approssimazione) di una concreta maggiore capacità contributiva o forza economica (ciò che lo rende costituzionalmente legittimo, con i dovuti “aggiustamenti” contabili proposti dalla stessa Corte costituzionale).
Merita, in conclusione, di essere richiamato un rilevante principio generale (il quale assume anche la connotazione di un vero e proprio “monito” al legislatore) che la Corte si sente in dovere di esplicitare, vista la particolare complessità, importanza ed eccezionalità della vicenda giuridica sottoposta al suo vaglio: il “necessario bilanciamento di interessi fra esigenze finanziarie della collettività e tutela delle ragioni del contribuente” (sentenza n. 73 del 1996), cui, soprattutto in passato, si è fatto spesso riferimento (prevalentemente per affermare la giusta prevalenza dell’interesse pubblico-collettivo alla perequata e legittima percezione delle entrate tributarie), non può sistematicamente risolversi a favore delle prime, perché anche nella materia tributaria e persino quando, in momenti particolari, siano implicate straordinarie e preminenti esigenze della collettività, la Corte costituzionale è chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale.
1 In questo senso v. L. SALVINI, Sugli Extraprofitti prelievo a rischio costituzionalità, in Il Sole 24 Ore, 23 marzo 2022, 14; S. DE MARCO, Riflessioni in tema di tassazione degli utili extraprofitti delle imprese energetiche, in Dir. prat. trib., n. 6, 2022, pp. 2093 e ss.; ASSONIME, circ. 30 marzo 2023, n. 8, Contributo straordinario contro il caro bollette per il 2022. Contributo di solidarietà straordinario per il 2023).
2 Sulla nozione di tributo, in generale, v. ex multis, A. FEDELE, La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, pp.1 e ss.; ID., La corte ritorna sulla definizione del tributo e sui limiti alla sua legittimità costituzionale, in Giur. Cost., n. 6, 2017, pp. 3105 e ss., G. FRANSONI, La nozione di tributo, in AA.VV., Diritto tributario e Corte Costituzionale, a cura di L. Perrone e C. Berliri, Napoli, 2006, p. 135; A. VIOTTO, Tributo, in Digesto, disc. priv., sez. comm., ed in Riv. dir. trib., 1998, I, pp. 772 e ss.
3 Il profilo della coattività come elemento connotante la nozione di tributo è valorizzato dalla Corte costituzionale: nella sentenza 8 febbraio 1982, n. 26, la Corte ha ravvisato uno dei caratteri distintivi dei tributi nel “prelievo forzoso di risorse economiche”; nella sentenza 2 febbraio 1990, n. 63, la Corte ha individuato il “sacrificio economico individuale” come elemento che accomuna le imposte e le tasse; analogo orientamento si rinviene nella successiva sentenza 12 gennaio 1995, n. 2, ove si è specificato ulteriormente che deve trattarsi di “sacrificio economico individuale realizzato tramite un atto autoritativo a carattere ablatorio”.
4 Sulla “ratio” del contributo v. S. DE MARCO, Riflessioni in tema di tassazione degli utili extraprofitti delle imprese energetiche, cit.; L. SALVINI, Il contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese energetiche, www.fiscalitadellenergia.it, 4; R. IAIA, La disciplina del contributo di solidarietà temporaneo nel settore energetico (art. 1, commi 115 e ss., L. n. 197/2022) nella prospettiva sistematica e comparatistica, in Riv. tel. dir. trib., 13 giugno 2023; C. FONTANA, La tassazione dei sovraprofitti delle imprese energetiche tra indirizzi europei, prospettive di riforma e persistenti dubbi di legittimità costituzionale, in Riv. dir. trib. int., 2022, 3, pp. 163 e ss.; D. STEVANATO, Extraprofitti: una tassa ingiusta, inutile e dannosa, in IBL Focus, 2022; P. PURI, I troppi punti deboli di un tributo nato sotto cattiva stella, Norme e Tributi, 21 aprile 2022.
5 In senso critico sull’idoneità del contributo ad individuare una maggiore capacità contributiva, v. L. SALVINI, Sugli extraprofitti prelievo a rischio di costituzionalità, cit., p. 14; G. ZIZZO, La costituzionalità dubbia dell’imposta sugli extraprofitti, in Il Sole 24 Ore, 29 giugno 2022, 12; F.P. SCHIAVONE, Il contributo straordinario sugli extraprofitti: differenze tra la disciplina italiana e quella unionale, in Dir. prat. trib. int., n. 2, 2023, pp. 497 e ss.; S. DE MARCO, Riflessioni in tema di tassazione degli utili extraprofitti delle imprese energetiche, cit., pp. 2095-2097.
6 A. FEDELE, Intervento sulla rilevanza dei dati nella determinazione degli imponibili nell’era digitale, in Riv. dir. trib. on line, 19 settembre 2023, 5, ha invece evidenziato una sostanziale differenza del contributo straordinario rispetto ai criteri elaborati nella sentenza n. 10/2015, in quanto “l’indice di capacità contributiva cui si ha riguardo si pone al di fuori dell’area del reddito: non si tratta di imposizione di un sovra-reddito, ma di una diversa misura dell’andamento dell’attività economica e dei suoi risultati”.
7 Sui profili relativi alla discriminazione qualitativa dei redditi, v. A. GIOVANNINI, Equità impositiva e progressività, in Dir. prat. trib., n. 5, 2015, p. 686; G. BIZIOLI, Eguaglianza tributaria e discriminazione soggettiva dei redditi, in Quaderni costituzionali, 2015, p. 723.
8 Contra, A. FEDELE, il quale rileva come il “contributo di solidarietà contro il caro bollette” introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 37 D.L. n. 21/2022 diverga sostanzialmente dal modello del contributo delineato dal regolamento Ue, essenzialmente per via della diversa base imponibile colpita dal tributo: “l’esigenza di realizzare immediatamente un gettito rilevante già nel corso dell’anno 2022 ha infatti indotto il legislatore italiano a prendere a base per la determinazione del prelievo dati disponibili nel corso dell’anno, cioè i dati relativi all’applicazione dell’IVA risultanti dalle dichiarazioni periodiche”; profili di criticità nella comparazione con il contributo europeo sono stati evidenziati anche da F.P. SCHIAVONE, Il contributo straordinario sugli extraprofitti: differenze tra la disciplina italiana e quella unionale, pp. 504-510; M. PANE, A. FODERA’, Il contributo sugli extra-profitti delle imprese energetiche è compatibile con la disciplina unionale?, in il fisco, n. 45, 28 novembre 2022, p. 4345.
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