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L’Istituto delle clausole sociali nella visione del Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36

Scritto da Sofia Bandini • giu 2023

Sintesi

SINTESI Il lavoro ha l’obiettivo di analizzare l’istituto giuridico delle clausole sociali, come previste dalle nuove regole del Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36. Partendo dalla disamina della disciplina europea e della conseguente normativa nazionale, si intende evidenziare come, attraverso appalti pubblici socialmente responsabili, si possano innalzare il livello di inclusività della società, di promozione di opportunità di lavoro e parità di genere.

Abstract

ABSTRACT. This work aims at analysing the legal institution of social clauses, as envisaged by the new rules of the Public Contracts Code, Legislative Decree no. 36 of 31 March 2023. Starting from an examination of the European Union and national regulations, in line with the innovations introduced, the aim is to highlight how, through socially responsible public tender, the Public Administration (PA) can promote actions aimed at raising the level of inclusion of society, increasing gender equality and employment opportunities, in particular for the disabled and disadvantaged.

Contenuto

1. Osservazioni introduttive

La tematica dei rapporti di collaborazione fra la pubblica amministrazione e gli operatori economici sta entrando in una fase nuova a seguito dell’emanazione del Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36 (in avanti, anche solo: nuovo Codice o Codice dei Contratti pubblici o CCP) che, in vigore, con i relativi allegati, dal 1° aprile 2023, dispiega l’efficacia a decorrere dal successivo 1° luglio.

Si tratta di una legislazione di grande rilievo non solo per lo svolgimento dell’attività delle pubbliche amministrazioni ma, soprattutto, nel segno della maggiore efficienza amministrativa e competitività del Paese.

Il nuovo Codice, basato su un impianto normativo innovativo e coraggioso, prevede per i contratti pubblici un modello attuativo più snello e flessibile, rispetto ai passati Codici dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 163/2006 e al D.Lgs. n. 50/2016, e più aderente alle disposizioni normative contenute nella Direttiva 2014/24 UE.

In particolare, il nuovo Codice prevede un uso strategico dei fondi allocati attraverso l’inserimento nei bandi di gara di specifiche clausole sociali che divengono vettori di innovazione tecnologica, crescita sociale e sviluppo ambientale sostenibile.1

Per delimitare l’area dell’indagine, si sceglie come filo conduttore del presente studio l’individuazione e l’analisi delle disposizioni attinenti alle clausole sociali applicabili ratione temporis ai contratti pubblici, così come regolate dal nuovo Codice, all’art. 57.


2. Genesi del Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36

In premessa, giova sottolineare che una delle principali novità del nuovo Codice introdotto, come detto, dal recentissimo D.Lgs. n. 36/2023, è rappresentata da una nuova visione degli appalti pubblici socialmente responsabili, che «intendono prendere in considerazione l’impatto sulla società dei beni, dei servizi e dei lavori acquistati dal settore pubblico. Viene riconosciuto il fatto che gli acquirenti pubblici non sono soltanto interessati all’acquisto al prezzo più basso o al miglior rapporto qualità/prezzo ma anche a garantire che tramite gli appalti si conseguano vantaggi sociali e si evitino o si attenuino impatti sociali avversi durante l’esecuzione del contratto di appalto».2

Dunque, gli appalti pubblici socialmente responsabili costituiscono una scelta da parte delle pubbliche amministrazioni volta a superare l’approccio basato esclusivamente sui requisiti economici.

Il tema degli appalti sociali è da tempo oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore europeo e nazionale.

Si pensi, ad esempio, alla dimensione etica degli appalti pubblici, cui fa riferimento anche il Parere del Comitato economico e sociale europeo (2016/C 013/06), Economia del bene comune: un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale, che afferma, infatti, che «gli appalti pubblici in Europa possono fungere da motore per lo sviluppo del mercato etico europeo attraverso l’integrazione nella Direttiva 2014/24/UE del Parlamento e del Consiglio di criteri relativi al contributo al bene comune e alla qualità dell’impronta sociale ed ecologica e mediante lo sviluppo di disposizioni sociali corrispondenti.

Sarà data priorità nell’ambito degli appalti pubblici, alle organizzazioni che dimostrano un maggiore contributo al bene comune».3

In tal senso, «L’economia deve essere al servizio delle persone ossia del bene comune.

Per conseguire tale obiettivo, si deve partire dal presupposto che il denaro e il capitale sono importanti strumenti di scambio e di investimento, ma non costituiscono in alcun caso il fine da perseguire».4

Sin dalla seconda decade degli anni 20005 l’Unione europea si è proposta, attraverso la leva degli appalti pubblici, di rendere la società europea maggiormente coesa ed inclusiva, in cui il modello dell’economia del bene comune sia in grado «di rafforzare i valori europei e di promuovere un sistema economico responsabile».6

Ma il passo decisivo dell’Europa in tale direzione è rappresentato dalla Dichiarazione di Roma, adottata dai leaders dell’UE il 15 marzo 2017, che sottolinea l’importanza della costruzione di un’Europa sociale, la cui rilevanza è altresì ripresa da una prima Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, Istituzione di un Pilastro europeo dei diritti sociali, del 20 Aprile 2017, e da due successive Comunicazioni, Un’Europa sociale forte per transizioni giuste, del 14 gennaio 2020 e, Il Piano di azione del Pilastro europeo dei diritti sociali, del 4 marzo 2021.

Il Pilastro europeo dei diritti sociali sancisce 20 princìpi e diritti, articolati in 3 categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque, protezione ed inclusione sociale.

Per raggiungere gli obiettivi del Pilastro di creare nuovi posti di lavoro, promuovere la parità di genere ed un’economia al servizio delle persone con disabilità, ovvero per trasformare l’impegno in azione, l’Unione europea ha attivato, attraverso lo strumento delle direttive, gli appalti pubblici socialmente responsabili che mirano proprio al conseguimento di impatti sociali positivi.

In questo senso, la scelta di acquisto di beni, servizi e lavori fatta dalla pubblica amministrazione deve tendere a superare l’approccio basato esclusivamente sui requisiti economici considerando, nel contempo, anche l’impatto sociale dei servizi prodotti o richiesti.

Dunque, attraverso la politica degli appalti sociali, si intensificano gli sforzi per fornire risultati in relazione a tutti gli aspetti dello sviluppo sostenibile che si articola su tre direttrici: etico sociale, ambientale ed economica.7

Ma gli appalti socialmente responsabili non sono l’unica leva per la realizzazione di un’economa sociale di mercato che, come riportato nella Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’economia sociale, si basa «su un paradigma sociale che è conforme ai princìpi fondamentali del modello sociale e di welfare europeo».8

«Le imprese dell’economia sociale sono solitamente PMI che contribuiscono ad un modello economico sostenibile in cui gli individui sono più importanti del capitale».9

Il Parlamento europeo sollecita, pertanto, a tener conto delle caratteristiche dell’economia sociale – gli scopi, i valori e i metodi di lavoro – nell’elaborazione delle politiche europee e, quindi, a difendere il concetto di «fare impresa in un altro modo»,10 insito nell’economia sociale, la cui principale forza propulsiva è la redditività sociale e non quella economica.

Di conseguenza, si consente agli Stati di tenere in debito conto la specialità dell’economia sociale nell’elaborazione di una legislazione basata su un quadro giuridico certo, tale per cui le imprese dell’economia sociale di mercato non debbano essere soggette all’applicazione delle stesse regole di concorrenza delle altre imprese ma possano contare su una normativa volta a promuovere un partenariato attivo con le autorità locali.

In applicazione, il legislatore italiano ha predisposto, per le imprese dell’economia sociale, il Codice del Terzo settore (D.Lgs. n. 117/2017), incentrato proprio sul riconoscimento degli specifici valori delle imprese sociali, in coerenza anche con quanto previsto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea11 che dispone che gli Stati membri, quando recepiscono la legislazione dell’UE, rispettino i diritti individuali, civili, politici, economici e sociali.

Tracciato il perimetro delle fonti del diritto europeo sotto il profilo sociale e passando alla disamina di quelle nazionali, si citano non solo il recepimento della Direttiva 2014/24 UE, in materia di appalti pubblici, con il Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), ma anche il riordino, in gran parte, della disciplina degli enti non profit nel Codice del Terzo settore, nonché la predisposizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR),12 cui hanno fatto seguito la L. n. 108/2021, recante la governance del PNRR, la L. n. 78/2022 di delega al Governo ad emanare il nuovo Codice dei contratti pubblici,13 il D.L. 24 febbraio 2023, n. 13, «Disposizioni urgenti per l’attuazione del PNRR ed PNC e per la politica di coesione»14 ed infine, appunto, la ristesura del Codice dei contratti pubblici con il D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36.

Come detto, il nuovo Codice è entrato in vigore con i relativi allegati il 1° aprile 2023, ma è applicabile a partire dal 1° luglio 2023 (art. 229 CCP): la prima data soddisfa il calendario previsto per usufruire dei benefici comunitari, in quanto imposta dagli accordi europei assunti con il PNRR; la seconda, relativa all’efficacia, consente di mantenere in vita le norme del previgente Codice, D.Lgs. n. 50/2016, fino a tale data, il cui compimento ne determina l’abrogazione.

Nonostante si pensi che la riforma del CCP sia stata disegnata soprattutto per accelerare la messa a terra dei progetti finanziati dal PNRR, detto convincimento è vero solo in parte visto che a quei progetti si applicherà ancora l’impianto di deroghe previsto dal D.L. n. 77/2021.15

Proprio per questo, coesistono due normative: quella degli investimenti ordinari e quella delle opere finanziate dal PNRR, dal PNC16 e dai fondi strutturali europei, che continueranno ad essere applicate in parte in parallelo e in parte in sovrapposizione.

Dunque, l’art. 225, comma 8, CCP, richiama l’applicazione della legislazione speciale ancora in vigore e lascia aperta una corsia preferenziale anche per il futuro, visto che continua ad includere «le specifiche disposizioni finalizzate a semplificare, agevolare la realizzazione degli obbiettivi stabiliti dal PNRR dal PNC e dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030».

I punti di contatto fra legislazione generale e speciale, ovviamente, non mancano.

Infatti, il lavoro della Commissione speciale del Consiglio di Stato,17 muovendosi in un complicatissimo dedalo normativo, è stato quello, da un lato, di rendere strutturali le deroghe varate fra il 2020 e il 2021 (D.L. n. 76 convertito in L. n. 120/2020, e D.L. n. 77 convertito in L. n. 108/2021) nonché quelle disposte con l’ultimo D.L. n. 13/2023, convertito in L. n. 41/2023, dall’altro, in non pochi casi, di conservare, verificandone preventivamente il positivo impatto, le norme del Codice, D.Lgs. n. 50/2016, che in sede applicativa hanno dato buona prova di sé.

Il CCP è, quindi, una riscrittura di tutta la legislazione vigente, ordinaria e speciale, in materia di contratti pubblici che, attraverso le connessioni, i necessari aggiornamenti, l’eliminazione di sovrapposizioni, regola con maggiore trasparenza e snellezza gli istituti giuridici della contrattualistica pubblica alla cui applicazione devono contribuire la pubblica amministrazione committente e gli operatori economici, in un rinnovato rapporto di collaborazione e fiducia reciproca.

Con l’approvazione del nuovo Codice si pone fine a quella stratificazione di leggi – desuete o inapplicate o insufficienti – che hanno segnato il percorso del nostro diritto dei contratti pubblici.

Nondimeno, le novità introdotte18 sono molteplici, a partire dalla scelta di redigere un CCP che non rinvii ad ulteriori provvedimenti attuativi e sia immediatamente auto-esecutivo, consentendo, da subito, una piena conoscenza dell’intera disciplina.

Ciò è stato possibile grazie a un innovativo meccanismo di delegificazione che opera su 35 allegati al Codice che sostituiscono ogni altra fonte attuativa: oltre ai 25 allegati al Codice D.Lgs. n. 50/2016, essi assorbono 17 Linee guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC)19 e 15 Regolamenti ancora vigenti (tra cui quello adottato con il D.P.R. n. 207 del 2010, risalente all’attuazione del Codice del 2006, nonché quello del Ministero della Difesa, ridotto da oltre 100 articoli a poco più di 10).

Con tale impianto normativo si è inteso dare un senso sostanziale alle seguenti parole chiave in quanto «il giurista non solofa cose con parolema mediante le parolefa cose con regole”».20

- semplificazione, ottenuta aumentando la discrezionalità delle amministrazioni e rimuovendo il goldplating ovunque possibile.

Il rischio di fenomeni corruttivi è prevenuto da un più ampio ricorso alla digitalizzazione, trasparenza e qualificazione;

- accelerazione, intesa come massima velocizzazione della procedura, ma non solo “sulla carta”, perché il termine ridotto è stato individuato avendo sempre presente la sua effettiva fattibilità; assieme alla rapidità occorre, garantire anche certezza nei tempi di affidamento, esecuzione e pagamenti alle imprese;

- digitalizzazione completa, delle procedure e la interoperabilità delle piattaforme, secondo il princìpio dell’once only ossia dell’unicità dell’invio dei dati, documenti e informazioni alle stazioni appaltanti;

- tutela, dando piena attuazione alla delega a protezione dei lavoratori (tramite clausole sociali, valorizzazione dei CCNL e lotta ai “contratti pirata”), e delle imprese (per esempio, in tema di rinegoziazione e revisione prezzi o di suddivisione in lotti dell’appalto)».21

Tuttavia, anche se la normativa sugli appalti pubblici è stata riordinata e semplificata attraverso una ristesura del CCP, affinché la riforma abbia successo, occorre che alle norme sia data esecuzione concreta.

In questa prospettiva, è necessario perseguire almeno tre condizioni essenziali non legislative che costituiscono, peraltro, l’oggetto di impegni già assunti in sede del PNRR:

  1. un’adeguata formazione dei funzionari pubblici che saranno chiamati ad applicare il CCP;

  2. una selettiva riqualificazione delle stazioni appaltanti;

  3. una piena interoperabilità delle banche dati pubbliche, pur nel rispetto di tutte le regole di sicurezza.22

Dette misure possono rivelarsi decisive per l’effettivo funzionamento della riforma, il cui tratto distintivo è l’innovazione che, però non può però essere governata con strutture e mezzi inadeguati o, peggio, con personale non specificamente preparato a gestire il cambiamento se si vuole evitare il retaggio, nell’applicazione del nuovo Codice, di una concezione che crea un sistema giuridico nel quale anche i princìpi ispiratori, come oggi innovati, divengono incerti nella complessa operazione di interpretazioni delle regole.


3. I princìpi ispiratori del nuovo Codice

Prima di sviluppare il tema oggetto del nostro studio, giova sottolineare che una delle principali novità del CCP è l’inserimento dei Princìpi generali nel Libro I, Parte I,23 in considerazione, come si sottolinea nella Relazione del Consiglio di Stato, che «la caratteristica di un Codice è la sua tendenza a costituire un “sistema normativo”, nell’ambito del quale i princìpi rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al codice rispetto alla frammentarietà delle sue parti e consentono al tempo stesso una migliore comprensione di queste, connettendole al tutto».24

Detti princìpi rappresentano, ad avviso di chi scrive, il cuore pulsante del Codice e sono intesi come norme giuridiche caratterizzate da un elevato grado di genericità, «regole generali e imprescindibili che devono essere rispettate nel corso dell’affidamento dell’appalto indipendentemente dall’ammontare delle commesse pubbliche. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha la funzione di interpretare i princìpi del diritto comunitario equiparabili alle norme quanto all’obbligo di osservanza degli Stati membri e, quindi, in funzione di fonte suppletiva del diritto».25

Nondimeno, «per gli appalti di valore superiore a una certa soglia comunitaria sono state elaborate tramite le direttive un insieme di regole sempre più articolate e complesse costitutive un corpus normativo autonomo fondate su detti princìpi, talché anche le suddette regole devono essere interpretate conformemente ai princìpi» (CGUE, sez. III, 10 maggio 2012 in C. 368/10), e ancora, in proposito occorre ricordare che «le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a rispettare nel corso di tutta la procedura i princìpi di aggiudicazione degli appalti di cui all’art. 2 della Direttiva 2004/18/UE tra i quali figurano, in particolare, i princìpi di parità di trattamento, di trasparenze e proporzionalità» (CGUE, 27 novembre 2019, in C. 402/18).26

Il tema dei princìpi era, peraltro, già previsto dal D.Lgs. n. 50/2016 che, al Titolo I, “Princìpi generali”, si limitava, però, a delineare l’ambito di applicazione del Codice (art. 1) e le competenze legislative tra Stato e Regioni (art. 2), ad introdurre un corposo elenco di definizioni (art. 3) e a dedicare ai princìpi per l’aggiudicazione ed esecuzione degli appalti e concessioni un solo articolo (art. 30).

Il ruolo dei princìpi nel Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. n. 50/2016, subiva, così, una compressione rilevante da parte delle norme puntuali che finivano per erodere ambiti di discrezionalità alle pubbliche amministrazioni, indotte a considerare tali princìpi come valori astratti cui doveva rispondere, solo in via tendenziale, la loro azione.

Di contro, nell’ambito della nuova codificazione c.d. “di settore”, com’è il nuovo Codice dei contratti pubblici, i princìpi «rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al Codice rispetto alla frammentarietà delle sue parti e consentono al tempo stesso una migliore comprensione di queste connettendole al tutto» (Cons. di Stato Ad. Plen. 7 maggio 2023, n. 13).

In tal senso, si esprime anche la Relazione del Consiglio di Stato secondo cui «nell’ambito di tale sistema i princìpi generali di un settore esprimono, infatti, valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico, che hanno una “memoria del tutto” che le singole e specifiche disposizioni non possono avere, pur essendo ad esso riconducibili».27

Dunque, in diritto, bisogna imparare a riconoscere, in presenza di una determinata realtà, di per sé mutevole, che solo i princìpi ne esprimono l’aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivandone la decisione.

Non sono, invece, ugualmente permanenti le forme concrete enucleate in diritto in specifiche norme, perché dipendono dalla situazione storica e possono, quindi, essere sottoposte a mutamenti.

Attraverso i princìpi, pilastri dell’architettura normativa del CCP, si è inteso non tanto richiamare i princìpi generali ispiratori dell’azione amministrativa (già desumibili dalla Costituzione e dalla L. n. 241/1990) «ma [...] fornire una più puntuale base normativa anche a una serie di princìpi “precettivi”, dotati di immediata valenza operativa, che vanno in parte a soppiantare la struttura normativa rigida, dettagliata e a volte contraddittoria attraverso la quale detti princìpi hanno finora trovato spazio angusto nel tessuto normativo».28

È sulla base di tale logica impostazione che i princìpi sono stati tutti codificati con funzione ordinante nel Libro I del nuovo Codice per non fare commistione fra princìpi e regole.

Più in dettaglio, la codificazione dei princìpi si articola in due Titoli distinti.

Il Titolo I è dedicato ai princìpi generali veri e propri.

I primi articoli, come statuito dall’art. 4, sanciscono che le disposizioni del Codice si interpretano e si applicano in base ai princìpi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato, contenuti nei corrispondenti articoli.

L’art. 1, infatti, riporta l’innovativo princìpio del risultato, destinato ad operare come criterio prioritario di bilanciamento nell’individuazione della regola del caso concreto, insieme con gli altri princìpi cui sono dedicati gli articoli successivi.

L’art. 2 è relativo alla reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e coerente dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici, e l’art. 3 riguarda l’accesso al mercato, ovvero l’impegno degli enti concedenti di favorire, secondo le modalità indicate dal Codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei princìpi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità e trasparenza e proporzionalità.29

Il Titolo II codifica, invece, i princìpi comuni a tutti i Libri del Codice in materia di campo di applicazione, di responsabile unico dell’intervento e di fasi della procedura di affidamento.

Da ultimo, ma non meno importante, giova osservare, in sintesi, che il ricorso ai princìpi assolve ad una duplice funzione: la prima, di completezza dell’ordinamento giuridico, perché essi vengono espressamente richiamati come criteri di interpretazione delle altre norme del nuovo Codice e sono ulteriormente declinati in specifiche disposizioni di dettaglio, e la seconda, di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni.

Va sottolineato, per quanto qui rileva, fra questi princìpi quello denominato Solidarietà e sussidiarietà orizzontale. Rapporti con gli Enti del Terzo settore (art. 6) che consente, alle condizioni stabilite, l’affidamento dei servizi sociali agli enti del Terzo settore, ovvero consente alla pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, di avviare con i suddetti enti modelli organizzativi di amministrazione condivisa, privi di rapporti sinallagmatici.

Con il nuovo Codice si è giunti finalmente al completamento del raccordo della norma codicistica con quella degli enti del Terzo settore, mettendole in dialogo30 sulla base della coerenza rispetto all’ordinamento europeo e alla nostra Costituzione, seguendo il dettato della sentenza n. 131 del 26 giugno 2020 della Corte costituzionale, nonostante gli aspetti di complessità che caratterizzano il loro rapporto in materia di affidamento dei servizi sociali, quale conseguenza della conflittualità fra il valore della concorrenza, sostrato del diritto europeo, e quello della solidarietà, alla base del Codice del Terzo settore.31

Peraltro, è in tal senso significativo quanto previsto dalla stessa sentenza secondo cui «lo stesso diritto dell’Unione europea mantiene, a ben vedere, in capo agli Stati membri la possibilità di apprestare, in relazione ad attività a spiccata valenza sociale, un modello organizzativo non ispirato al princìpio di concorrenza, ma a quello di solidarietà».

Alla luce del soprarichiamato orientamento, le suddette modifiche, introdotte nel D.Lgs. n. 50/2016, hanno raggiunto un duplice risultato: maggiormente chiarito gli spazi di reciproca pertinenza degli strumenti competitivi, governati dal Codice dei contratti pubblici, e degli strumenti collaborativi, introdotti dal Codice del Terzo settore, ed anche riconosciuto, oltre ogni residuo dubbio, pari dignità agli appalti e alla co-programmazione e co-progettazione.

Dunque, se, per un verso, emerge una situazione simmetrica in riferimento ai due complessi di norme, CCP e CTS, che si possono contrapporre ma non mettere in rapporto di sovra e sottordinazione, per altro verso, tale rapporto di equiordinazione e di indipendenza viene ancor più rafforzato dalla formulazione del secondo periodo dell’art. 6, del nuovo Codice, che precisa che gli istituti di affidamento diretto previsti dal CTS, Titolo VII (artt. 55, 56 e 57), non rientrano nel campo del CCP.

In conclusione, la codificazione dei princìpi mira, da un lato, a ribadire che la concorrenza è uno strumento il cui fine è realizzare al meglio l’obiettivo di un appalto aggiudicato ed eseguito in funzione del preminente interesse della committenza pubblica, quindi della collettività (art. 1, comma 2); dall’altro, ad accentuare lo spazio valutativo di autoresponsabilità ed i poteri d’iniziativa delle stazioni appaltanti per contrastare, in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione amministrativa, il fenomeno della c.d. “burocrazia difensiva”32 che può generare ritardi e inefficienze nell’affidamento ed esecuzione dei contratti (art. 2, comma 2).

In applicazione dei princìpi, invece, si valorizza l’autonomia e la discrezionalità (amministrativa e tecnica) della PA, superando le criticità di una disciplina a volte troppo dettagliata e rigida.33


4. Clausole sociali del bando di gara e degli avvisi

Lo spazio riconosciuto dal nostro legislatore, in parallelo a quanto statuito da quello europeo, alla tutela delle esigenze sociali nel sistema delle gare pubbliche e delle loro modalità attuative è tracciato dalla possibilità di farvi valere aspetti sociali ed ambientali, introducendo legittimamente, in più fasi della procedura, il rispetto di corrispondenti parametri, ora attraverso un’adeguata configurazione dell’oggetto del contratto, delle specifiche tecniche e delle modalità di esecuzione, ora includendo detti parametri tra gli elementi di selezione e/o di esclusione dei candidati, o, infine, tra i criteri di valutazione delle offerte, di cui sono esempio le c.d. clausole sociali previste dall’art. 57 del CCP.

Le clausole sociali34 oggetto del nostro studio sono definite, nell’allegato I.1, art. 2, punto O) del CCP: «disposizioni che impongono ad un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie».

Le clausole sociali sono, allora, considerate previsioni di fonte normativa o pattizia che comportano non solo specifici obblighi a carico di soggetti appaltatori o concessionari di contratti pubblici ma anche condizioni o limiti alla libertà di iniziativa economica e ai princìpi dell’economia di mercato, subordinandoli ad interessi collettivi socialmente rilevanti.

La previsione delle clausole sociali trova legittimazione giuridica nel c.d. princìpio dell’utilità sociale ̶ conferente al punto di diritto in esame – affermato dall’articolo 41 della Costituzione, secondo cui «l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale».

In altre parole, si tratta di ricercare equilibrio e contemperamento tra due diversi diritti fondamentali che si muovono in maniera contrapposta nel settore degli appalti pubblici: il rispetto della libertà per l’imprenditore di garantire e gestire l’attività economica (ai sensi dell’art. 41 Costituzione), con il conseguente divieto di ingerenza della pubblica amministrazione, e il diritto alla sicurezza ambientale e sociale dei lavoratori (ai sensi dell’art. 35 Costituzione).

Da queste brevi osservazioni si evince che l’inserimento delle clausole sociali negli appalti pubblici è indubbiamente un tema sensibile sotto due punti di vista.

Da un lato, può avere effetti restrittivi sul corretto esplicarsi delle regole comunitarie della concorrenza, talché il legislatore nazionale dispone nel nuovo Codice la clausola di salvaguardia del diritto europeo (all’art. 113, commi 1 e 2) con la locuzione: «le stazioni appaltanti possono richiedere requisiti particolari per l’esecuzione del contratto, purché siano compatibili con il diritto europeo e con i princìpi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, innovazione e siano precisati nel bando di gara o nell’invito in caso di procedure senza bando o nel capitolato d’oneri. Dette condizioni possono attenere, in particolare, a esigenze sociali e ambientali.

In sede di offerta gli operatori economici dichiarano di accettare i requisiti particolari nell’ipotesi in cui risulteranno aggiudicatari».

Dall’altro, può incidere sulla sfera giuridica dell’appaltatore in ordine alla libertà di iniziativa economica privata tutelata dall’articolo 41 della Costituzione.

Il CCP ha l’indubbio merito di avere previsto espressamente le predette clausole sociali attraverso la disciplina contenuta negli articoli 57 e 113, con cui ci si richiama agli art. 18, comma 2, e 70 della Direttiva n. 2014/24/UE, e all’art. 1, comma 2, lett. h) della L. 21 giugno 2022, n. 78, «Delega al governo in materia di contratti pubblici».

Dal combinato disposto degli articoli in esame è agevole evidenziare, in particolare, tre tipologie di specifiche clausole sociali, previste in conformità ai princìpi e ai criteri di cui all’art. 1, comma 2, lett. h) della L. di delega n. 78/2022:

- la clausola sociale di stabilità occupazionale del personale, così detta perché prevede, a seguito di una nuova gara, di oggetto uguale al contratto antecedente, il riassorbimento del personale dal precedente al nuovo affidatario;

- le clausole sociali orientate, tra l’altro, a garantire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità o svantaggiate, intendendosi per disabili i lavoratori di cui alla L. n. 68/1999 e per svantaggiati quelli individuati dal D.M. Lavoro 20/3/2013 che, a sua volta, fa riferimento al Regolamento UE n. 654/2014, e le pari opportunità generazionali e di genere;

- le clausole sociali che garantiscono l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto o della concessione e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività, oggetto dell’appalto o della concessione, svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare.

Nell’ambito delle regole fissate nella lex specialis della gara, le citate clausole sono soggette al regime giuridico delineato dall’art. 57, comma 1, e devono essere inserite nel bando di gara come requisiti necessari dell’offerta, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio, e nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea. Sempre ai sensi di detto art. 57, comma 1, il loro inserimento è obbligatorio per affidamenti dei contratti di appalti di lavori e servizi e per i contratti di concessione, di importo superiore e inferiore alla soglia comunitaria, mentre la loro applicazione resta esplicitamente esclusa per i servizi di natura intellettuale.

Dunque, l’art. 57, comma 1, rappresenta non solo l’approdo di plurimi interventi normativi ̶ legislazione di emergenza per il contrasto alla pandemia da Covid 19 ̶ e di risoluzione di dubbi interpretativi sorti in sede applicativa in ordine all’art. 50 del D.Lgs. n. 50/2016,35 esplicati, prima, nel parere del Consiglio di Stato (21/11/2018 n. 2703), poi, nelle Linee guida di ANAC, recanti la «Disciplina delle clausole sociali» (n. 13 del 13 febbraio 2019), ma anche un notevole cambiamento di passo, rispetto al precedente Codice, D.Lgs. n. 50/2016.

Ad esempio, nel D.Lgs. n. 50/2016, la clausola di stabilità occupazionale, prevista dall’art. 50, veniva inserita obbligatoriamente solo nei contratti ad alta intensità di manodopera come clausola sociale di esecuzione del contratto, quindi, con l’obbligo del soggetto vincitore della gara di attuarla nei limiti di una particolare condizione di esecuzione della prestazione oggetto del contratto senza farne, peraltro, oggetto di valutazione nella presentazione delle offerte.

Nel nuovo Codice, come detto, l’applicazione della suddetta clausola è, invece, obbligatoria e declinata quale requisito necessario dell’offerta per tutti i contratti di lavori e servizi, di importo superiore e inferiore alla soglia comunitaria, con esclusione solo dei servizi di natura intellettuale, e viene meno anche la condizione che i suddetti contratti siano pure ad alta intensità di manodopera.36

In ordine al contenuto dell’art. 57 si impone, ad avviso di chi scrive, una riflessione che si evince dall’interpretazione letterale della norma.

Se si prevede, in applicazione del disposto dell’art. 1, comma 2, lett. h) della L. 21 giugno 2022, n. 78, di delega al Governo in materia di contratti pubblici, l’inserimento obbligatorio, come requisito necessario dell’offerta, delle clausole sociali citate nell’art. 57, comma 1, definibili, a parere di chi scrive, di inserimento lavorativo e dedicate, analogamente, si potrebbe, altresì, la previsione nei bandi di gara, tenuto conto della tipologia d’intervento, di ulteriori specifiche clausole sociali, come requisiti necessari dell’offerta, ma di contenuto diverso da quello previsto dall’art. 57, comma 1, seppur sempre orientato all’inclusione sociale.

Di conseguenza, le suddette clausole sociali si andrebbero ad aggiungere a quelle tipizzate, già previste nel perimetro applicativo dell’obbligo di inserimento ai sensi dell’art. 57, comma 1.

Nella determina a contrarre, le stazioni appaltanti esplicitano i presupposti per l’applicazione delle clausole sociali nei casi in cui sussiste l’obbligo di previsione, ovvero motivano in ordine alla scelta effettuata negli altri casi.37

Milita a favore di tale interpretazione, la locuzione dell’art. 57 secondo cui «i bandi di gara devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste come requisiti necessari delle offerte misure orientate tra l’altro a garantire le pari opportunità di genere, generazionali, e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate».

Se tale è l’interpretazione che si evince dal disposto letterale dell’art. 57, si chiede all’operatore economico di formulare la propria offerta in rapporto e nel rispetto del contenuto delle clausole sociali per non ricadere in una offerta condizionata, come tale inammissibile nelle gare pubbliche, per la quale si impone l’esclusione.38

Dunque, le clausole sociali, nel contenuto tipizzato previsto dall’art. 57 e non solo, come si è detto, vanno inserite obbligatoriamente nei bandi di gara, quale requisito necessario dell’offerta, e, in tal modo, rientrano tra gli elementi qualitativi di tipo sociale che compongono il criterio di aggiudicazione della gara, qualità/prezzo, cui viene assegnato il punteggio stabilito nella lex specialis.

L’ultima riflessione, ma non meno importante, attiene a quello che non emerge in maniera evidente, ad una prima lettura, dal significato letterale del disposto dell’art. 57, comma 1, rispetto invece a quanto statuito dall’art 1, comma 2, lett. h) della L. di delega 21 giugno 2022, n. 78, nel solco della quale il Governo è stato delegato a adottare la disciplina dei contratti pubblici.39

Infatti, quest’ultimo articolo contiene «la previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, avvisi ed inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi beni culturali, e nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali con le quali sono indicati, come requisiti necessari dell’offerta, criteri orientati tra l’altro a:

- garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato;

- garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore;

- promuovere meccanismi e strumenti anche di premialità per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate».

Di contro, l’art. 57, comma 1, si discosta da tale impostazione perché, mentre prevede che le clausole sociali, in particolare quelle di genere, generazionali e di inclusione sociale di disabili o svantaggiati, siano inserite obbligatoriamente nelle gare come requisiti necessari dell’offerta non ne dispone, del pari, l’inserimento anche come criteri di premialità della stessa offerta ai sensi dell’art. 108, comma 7, del CCP.

A tale conclusione, si perviene, anzitutto, in ragione del concetto sotteso alla locuzione «meccanismi e strumenti anche di premialità» il cui contenuto è indicato, in sede di prima applicazione del CCP, nell’allegato II.3, art. 1, comma 4, che, a sua volta, richiama le disposizioni dell’art. 47, comma 4, della L. n. 108/2021 sulla governance del PNRR le quali vengono così «stabilizzate ed estese, a regime, a tutti i contratti pubblici in attuazione di apposito criterio di delega».40

In proposito, il dettato dell’art. 1, comma 4, dell’allegato II.3 recita: «le stazioni appaltanti prevedono nei bandi, negli avvisi, e negli inviti, specifiche clausole dirette all’inserimento come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere, l’assunzione di giovani di età inferiore a 36 anni e donne. Il contenuto delle clausole sociali determinato tenendo, tra l’altro, conto dei princìpi di libera concorrenza, proporzionalità e non discriminazione, nonché dell’oggetto del contratto della tipologia della natura del singolo progetto in relazione ai profili occupazionali richiesti, dei princìpi dell’Unione europea, degli indicatori degli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile e giovanile e di tasso di occupazione delle persone disabili al 2026 anche in considerazione dei corrispondenti valori medi, nonché dei corrispondenti indicatori medi settoriali europei in cui vengono svolti i progetti».

Dunque, dal combinato disposto dell’art. 1, comma 2, punto h), numero 3, della L. di delega n. 78/202241 e dell’art. 1, comma 4, dell’allegato II.3 del CCP, si conferma, a parere di chi scrive, la regola che il CCP prevede all’art. 57, comma 1, una norma ad hoc che obbliga le stazioni appaltanti ad inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti le clausole sociali volte a realizzare le pari opportunità generazionali, di genere42 ed inclusione lavorativa di disabili o svantaggiati, declinati come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali della stessa offerta.43

La previsione normativa delineata traduce in chiave di diritto positivo l’obiettivo di premiare maggiormente l’imprenditore che si fa carico, insieme alla pubblica amministrazione, della sostenibilità sociale dell’appalto pubblico in quanto valorizza l’offerta qualitativamente migliore sotto il profilo sociale e, nel contempo, consente alla stazione appaltante di perseguire il princìpio del risultato.

Se tale è l’interpretazione corretta, che emerge, a mio avviso, dal suddetto reticolato normativo, il punteggio che viene assegnato nel disciplinare di gara alle clausole sociali per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa di disabili o svantaggiati attiene a due profili concorrenti e non alternativi tra loro: da un lato, infatti, le suddette clausole sociali sono inserite nel bando di gara o nell’avviso come requisiti necessari dell’offerta e, quindi, vengono valutate, in punteggio, solo per la parte qualitativa dell’offerta sotto l’aspetto sociale; dall’altro sono inserite, altresì, come requisiti premiali dell’offerta e, quindi, sono valutate come maggior punteggio della medesima secondo il miglior criterio di aggiudicazione qualità/prezzo, ai sensi dell’art. 108, comma 7, CCP, con cui, poi, si determina la scelta del contraente aggiudicatario della gara, attraverso la somma totale dei punteggi acquisiti dall’operatore economico.


5. Considerazioni finali

Con l’inserimento obbligatorio negli appalti socialmente responsabili delle clausole sociali attinenti la stabilità occupazionale, la parità di genere e generazionale e l’inclusione dei soggetti disabili e svantaggiati, si è inteso perseguire indubbiamente l’obiettivo di politica sociale relativo all’occupazione propugnato già a livello di legislazione europea, rispetto al quale «gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità nella definizione delle misure atte a determinare un determinato obiettivo in materia di politica sociale e di occupazione» (sent. CGUE, sez. V, 6/10/2021 in C. 598/19).

Se è vero che l’azione armonizzante dell’ordinamento comunitario emerge nettamente dall’anzidetta pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, si ritiene che la volontà del legislatore italiano sia altrettanto decisa nel blindare le tutele sociali, introducendo a tal fine un’importante novità rispetto al passato quando alcuni temi, fra cui il suddetto, erano solo accennati, per non dire trascurati.

Nel riscrivere tutto il CCP seguendo le norme europee, per la cui interpretazione, secondo una giurisprudenza costante, «occorre tenere conto non solo dei termini della disposizione, ma anche degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte e della genesi di tale normativa»,44 per l’ordinamento italiano si pone il problema della stratificazione di disposizioni, dovuta a continue integrazioni e modificazioni del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), ciascuna portatrice di un sapere, cioè di una conoscenza dei princìpi e delle cause, e, quindi, di una filosofia diversa circa il funzionamento del mercato degli appalti pubblici.

Nondimeno, la scelta operata dal legislatore di porre come incipit del CCP il valore del risultato, inteso come attuazione del princìpio del buon andamento dell’azione pubblica di cui all’art. 97 della Costituzione, conferma l’importanza dell’inserimento delle clausole sociali come innovativa ed efficace leva per realizzare un’economia sociale di mercato, applicando il princìpio del risultato in senso sostanziale e non solo formale oltre che il princìpio di solidarietà e sussidiarietà, anche questo non solo a parole ma a fatti.

Per concludere, i molteplici elementi argomentativi sin qui illustrati inducono a ritenere che nelle gare pubbliche l’inserimento obbligatorio delle clausole sociali, declinate non solo come requisiti necessari ma pure premiali dell’offerta, rappresentano un’innovazione strategica per la crescita economica, sociale e culturale del nostro Paese poiché consentono la formazione e l’assunzione di giovani, donne, disabili e svantaggiati, nel contesto della politica degli appalti pubblici socialmente responsabili posta in capo alla pubblica amministrazione.45

La persona è messa al centro degli obiettivi di pubblico interesse che la pubblica amministrazione deve perseguire in piena aderenza alla tutela dei diritti sociali prevista dal Pilastro europeo dei diritti sociali e dalla Costituzione italiana.

Ma le regole non bastano da sole a realizzare gli obiettivi, perché occorre una nuova e diffusa cultura dell’inclusione sociale intesa quale valore sostenibile e perseguibile, in quanto princìpio etico, dalla società civile, dai corpi sociali intermedi dello Stato, dalla pubblica amministrazione in modo consapevole sulla base delle proprie competenze e spazi di intervento perché, se come insegna il filosofo Seneca, «non c’è vento favorevole per il marinaio che non lo sa governare»,46 si tratta di porre in atto un cambiamento culturale in ordine alla sostenibilità sociale.

1 Il Considerando 101 della Direttiva 2014/24/UE recita: «Le amministrazioni aggiudicatarie dovrebbero continuare ad avere la possibilità di escludere operatori che si sono dimostrati inaffidabili, per esempio, a causa di violazioni di obblighi ambientali e sociali comprese le norme in materia di accessibilità per le persone con disabilità».

2 Comunicazione della Commissione, Acquisti sociali – una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici, 26 maggio 2021, C 2021) 3573 final.

3 Punto 5.6 del Parere del Comitato economico e sociale europeo (2016/C 013/06) sul tema “Economia del bene comune un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale”.

4 Punto 3.2 del Parere del Comitato economico e sociale europeo (2016/C 013/06) sul tema Economia del bene comune un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale.

5 Si rinvia a: Comunicazione della Commissione europea, Appalti pubblici: uno spazio di dati per migliorare la spesa pubblica, promuovere l’elaborazione delle politiche basata sui dati e migliorare l’accesso delle PMI alle gare d’appalto, 16 marzo 2023, (2023/C 98 I/01); Relazione della Commissione, Orientamenti in materia di appalti per l’innovazione, 16 luglio 2021, COM (2021) 245 final; Comunicazione della Commissione europea, Acquisti sociali. una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici, 18 giugno 2021, (2021/ C237/01); Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Appalti pubblici efficaci in Europa e per l’Europa, 3 ottobre 2017, COM (2017) 572 final; Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico sociale europeo e al Comitato delle regioni, Migliorare il mercato unico: maggiori opportunità per i cittadini e per le imprese, 28 ottobre 2015 COM (2015) 550 final; Risoluzione del Comitato delle Regioni, Carta della governance multilivello in Europa, 2-3 aprile 2014, 2014/C 174/01; Libro Verde, La politica di sviluppo dell’Unione europea a sostegno della crescita inclusiva e dello sviluppo sostenibile. Potenziare l’impatto della politica di sviluppo dell’Unione europea, 10 novembre 2010, COM (2010) 629 definitivo.

6 Punto 1.3 del Parere del Comitato economico e sociale europeo (2016/C 013/06) sul tema Economia del bene comune un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale.

7 Comunicazione della Commissione europea, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, 3 marzo 2010, COM (2010)2020.

8 Punto B) dei Considerando della Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’Economia sociale (2008/2250 (INI)) in Economia sociale P6 -TA (2009) 0062, che delinea i caratteri dell’Economia sociale, la quale «rappresenta il 10% di tutte le imprese europee vale dire 2 milioni di imprese o il 6% di posti di lavoro totali e presenta un notevole potenziale in termini di generazione e di mantenimento di una occupazione stabile [...] L’economia sociale si è sviluppata attraverso forme imprenditoriali organizzative o giuridiche particolari come cooperative, mutue, associazioni, imprese e organizzazioni sociali e fondazioni, nonché altre forme esistenti nei vari Stati membri, e viene indicata con concetti come “economia solidale” e “terzo settore” per quanto tali concetti non siano considerati facenti parte dell’economia sociale in tutti gli stati membri, attività simili contraddiste dalle stesse caratteristiche esistono in tutta l’Unione europea».

9 Punto G) dei Considerando della Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’Economia sociale (2008/2250 (INI)) in Economia sociale P6 -TA (2009) 0062.

10 Punto 8) della Risoluzione del Parlamento europeo del 19 febbraio 2009 sull’Economia sociale (2008/2250 (INI)) in Economia sociale P6 -TA (2009) 0062.

11 Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea, 18 dicembre 2020 (2000/C364/01).

12 In tema si vedano le analisi di: M. Dugato, L’intervento pubblico per l’inclusione, la coesione, l’innovazione e la sostenibilità ed il ruolo dell’intervento pubblico locale nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, Munus, 2022, n. 1; L. Golisano, Il PNRR e lo sviluppo del territorio, Munus, 2022, n. 1; V. Molaschi, L’economia circolare nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Ambientediritto, n. 1/2022; L. Carbone, Problematiche e prospettive della responsabilità erariale: dalla gestione dell’emergenza epidemiologica all’attuazione del piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in Ambientediritto, 2021, n. 2; F. Conte, L’evoluzione dei princìpi contabili nazionali nella prospettiva di riforma del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza – PNRR, in federalismi.it, 2021, n. 20; A. Didone, Il processo esecutivo nel prisma degli obiettivi del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), in Rivista dell’esecuzione forzata, 2021, n. 2; L. Fiorentino, Il piano di ripresa e il Sud, in Giornale di diritto amministrativo, 2021, n. 2; M. C. Manca, Le linee d’intervento e le missioni nel PNRR "Piano nazionale di ripresa e resilienza", in Finanza e tributi locali, 2021, n. 7; R. Moscati, L’Università nel PNRR, Il Mulino, Bologna, 2021, n. 3; M. Pianta, La politica industriale al tempo del PNRR, Il Mulino, Bologna, 2021, n. 2; S. Staiano, Il Piano nazionale di ripresa e resilienza guardato da Sud, in federalismi.it, 2021, n. 14; V. Tevere, Il regolamento europeo "Next generation EU": una nuova sfida per l’Unione europea, in Lo Stato Civile Italiano, 2021, n. 3; V. Vacca, Guida al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, Pisa, 2021; A. Vespignani, Decreto-legge ‘governance’ e semplificazioni: la grande sfida per l’attuazione del PNRR, in, I contratti dello Stato e degli enti pubblici, 2021, n. 2; G. Zorzoli, PNRR: un piano con scarse sinergie, in Energia, 2021, n. 3.

13 Per una completa disamina della L. di delega, si rimanda a P. CarboneVerso nuovo codice dei contratti pubblici in Rivista trimestrale degli appalti, n. 3/2022.

14 Convertito con L. n. 41 del 21 aprile 2023.

15 Art. 225, comma 8, D.Lgs. n. 36/2023, che afferma che «A stabilirlo è lo stesso CCP quando in una delle norme finali, l’art. 225, comma 8, precisa che “anche dopo il 1° luglio a guidare le procedure di affidamento e i contratti (anche suddivisi in lotti) finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR e dal PNC nonché dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’UE saranno le norme speciali di cui al dl. 24 febbraio 2023 n. 13, nonché le specifiche disposizioni finalizzate a semplificare, agevolare la realizzazione degli obiettivi stabiliti dal PNRR e dal PNC e dal piano nazionale integrato per l’energia e il clima 2030 di cui regolamento (UE)2018/1999 del Parlamento europeo, e del Consiglio del’11 dicembre 2018».

16 Il Piano Nazionale degli investimenti complementari è stato approvato con D.L. n. 59, 6 maggio 2021, Misure urgenti relative al Fondo complementare al Piano nazionale di ripresa e resilienza e altre misure urgenti per gli investimenti, convertito con modificazioni dalla L. n. 101 del 1° luglio 2021.

17 In data 30 giugno 2022 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha comunicato al Presidente del Consiglio di Stato di voler affidare la formulazione del progetto del Codice dei contratti pubblici al Consiglio di Stato, ai sensi del comma 4, dell’art. 1, della L. n. 78 del 21 giugno 2022. Ha ricordato che l’approvazione di questa riforma costituisce un importante obiettivo del PNRR, che ne dettaglia il contenuto. A tal fine, è stata nominata una Commissione speciale del Consiglio di Stato formata da Consiglieri di Stato, Consiglieri dei Tar regionali, Avvocati di Stato, Consiglieri della Corte Cassazione e della Corte dei Conti, Professori universitari.

18 Si fa riferimento, per il commento delle regole del nuovo Codice, alla Relazione di accompagnamento del Consiglio di Stato recante lo Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, 7 dicembre 2022.

19 C. Nicolosi, Anticorruzione e antiriciclaggio: spunti critici, in Ambientediritto, n. 2/2023; A. Sinatra, Il catalogo dei poteri e dei compiti assegnati all’Anac in La vigilanza e la procedura di irrigazione delle sanzioni amministrative, a cura di A. Cagnazzo, S. Toschei, F.F. Tuccari, Milano, 2021; C. Contessa, Il ruolo dell’ANAC nel nuovo codice dei contratti, in Il libro dell’anno 2017, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani S.p.A., Torino, 2017; G. Morbidelli, Linee Guida dell’ANAC: comandi o consigli?, in L’Italia che cambia: dalla riforma dei contratti pubblici alla riforma della pubblica amministrazione, Atti del LXII Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione, Milano, 2017; C. Deodato, Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto, in giustamm.it, n. 4/2016.

20 G. Alpa, Declinare la solidarietà in un contesto giuridico europeo, Il Sole 24 ore, 19/5/2023 n. 136.

21 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 10.

22 Ibidem.

23 Libro I, Dei princìpi, Della digitalizzazione, Della Programmazione, Della Progettazione, Parte I, Dei princìpi; Titolo I, I princìpi generali.

24 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 11.

25 Consiglio di Stato, Sentenza n. 541 del 18 giugno 1996.

26 Parallelamente, TAR Puglia – Lecce, 5/12/2019, n. 1938, e Corte di Giustizia UE 23/12/2009, in Causa C 376/08.

27 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 11.

28 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 12.

29 Ulteriori princìpi sono quello di buona fede e di tutela dell’affidamento (art. 5); di solidarietà e sussidiarietà orizzontale. Rapporti con gli Enti del Terzo settore (art. 6); di auto-organizzazione amministrativa (art. 7); divieto di prestazione d’opera intellettuale a titolo gratuito (art. 8); conservazione dell’equilibrio contrattuale (art. 9); tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione (art. 10); applicazione dei contratti collettivi nazionali di settore. Inadempienze contribuire e ritardi nei pagamenti (art. 11).

30 Con l’inserimento delle modifiche/integrazioni agli artt. 30, comma 8, 59, comma 1 e 140, comma 1, del Codice, D.Lgs. n. 50/2016, con il D.L. n. 76/2020, convertito con L. 120/2020. Per una disamina della materia, si veda per tutti: A. Gualdani, Il rapporto tra le P.A. e gli enti del Terzo settore, in Federalismi, n. 21/2021.

31 In tema la letteratura è amplissima e qui ci si limita a richiamare, fra gli altri: E. Bani, Il Codice dei contratti pubblici tra Stato mercato e non profit, in A. Fioritto, (a cura di), Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato, Torino, 2017; L. Gili, Il codice del Terzo settore ed i rapporti collaborativi con la p.a., in Urb. e app., 2018; L. GORI, La “sagra” della sussidiarietà orizzontale. La tortuosa vicenda dei rapporti tra Terzo settore e P.A., in www.federalismi.it; F. Giglioni - A Nervi, Gli accordi delle pubbliche amministrazioni, Napoli, 2019; G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, in Giurisprudenza costituzionale, 2020, n. 3; P. Michiara, L’ordinamento giuridico del Terzo Settore: profili pubblicistici, in MUNUS, 2019, n. 2.

32 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 12. In tema, si richiama, per tutti: M. Giustiniani, Semplificazione e responsabilità amministrativa e penale. L’ultimo fronte normativo contro la burocrazia difensiva, in Rivista Trimestrale degli appalti, n. 3/2021.

33 Ibidem.

34 Molto vasta la dottrina sul tema; a titolo esemplificativo, si citano: G. Barberis, La tutela del lavoro e le clausole sociali in Francia, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, VI, 2017; S. Varva, Le clausole sociali, in Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubblici. Inquadramento giuridico ed effettività, a cura di M.T. Carinci, C. Cester, M. Mattarolo, F. Scarpelli Torino, 2011; R. Caranta, Clausole sociali e ambientali e rispetto del princìpio di concorrenza, in La dimensione sociale della contrattazione pubblica, a cura di C. Marzuoli, S. Torricelli, Napoli, 2017; G. Biasutti, Alcune riflessioni in tema di clausole sociali (dopo il primo decreto correttivo al Codice degli appalti pubblici), in Rivista Trimestrale degli Appalti, 2018, n. 2.

35 Tra i principali interventi normativi, si citano: D.L. n. 32 del 18 aprile 2019, c.d. “Sbloccacantieri”, convertito con L. n. 55 del 14 giugno 2019; D.L. n. 34 del 30 aprile 2019, c.d. “Crescita”, convertito con L. n. 28 giugno 2019; D.L. n. 124 del 26 ottobre 2019, c.d. “Fiscale”, convertito con L. n. 157 del 19 dicembre 2019; D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, c.d. “CuraItalia”, convertito in L. n. 27 del 24 aprile 2020; D.L. n. 34 del 19 maggio 2020, c.d. “Rilancio”, convertito in L. n. 77 del 17 luglio 2020; D.L. n. 76 del 16 luglio 2020, c.d. “Semplificazione e innovazione digitale”, convertito in L. n. 120 dell’11 settembre 2020; D.L. n. 183 del 31 dicembre 2020, c.d. “Milleproroghe”, convertito in L. n. 21 del 26 febbraio 2021; D.L. n. 77 del 31 maggio 2021, c.d. “Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure”, convertito con L. n. 108 del 19 luglio 2021.

36 Recita, infatti, l’art. 57, comma 1: «Per gli affidamenti dei contratti di appalto dei lavori e servizi diversi da quelli di natura intellettuale e per i contratti di concessione, i bandi di gara gli avvisi e gli inviti, tenuto conto della tipologia di intervento, in particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio, e nel rispetto dei princìpi dell’Unione europea, devono contenere specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate “tra l’altro,” a garantire la pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate, la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione di contratti collettivi nazionali e territoriali di settore».

37 Linee guida ANAC n. 13, Disciplina delle clausole sociali, del 13/2/2019, p. 3.

38 Linee guida ANAC n. 13, Disciplina delle clausole sociali, del 13/2/2019, p. 5.

39 Consiglio di Stato, Schema definitivo di Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’art. 1 della Legge 31 giugno 2022 recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, p. 97.

40 Ibidem.

41 La soluzione è, in linea con i criteri direttivi dettati dal legislatore delegato. È, infatti, previsto dall’art. 1, comma 2, della L. delega n. 78/2022 che il Governo adotti i decreti legislativi recanti la disciplina dei contratti pubblici nel rispetto dei princìpi dei criteri direttivi previsti.

42 A titolo di esempio, si può citare l’introduzione, con la L. n. 162/2021, della certificazione della parità di genere nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs. 11 aprile 2006 n. 198, come strumento per aiutare le imprese a divenire un luogo di lavoro più equo ed inclusivo.

43 L’obbligatorietà dell’inserimento delle clausole sociali è temperata nel solo caso che operi la deroga prevista dall’art. 1, comma 7, Allegato II.3. Ai sensi dell’art. 1, commi 4, 5 e 7, di detto allegato, è requisito necessario dell’offerta l’aver assolto, al momento della presentazione dell’offerta stessa, agli obblighi di cui alla L. 68/99, e l’assunzione dell’obbligo di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari almeno al 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali, sia all’occupazione giovanile sia a quella femminile. Il comma 5 elenca le ulteriori misure premiali che possono prevedere l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo all’offerente o al candidato. Il comma 7, invece, introduce la deroga del rispetto dell’obbligo dell’inserimento delle clausole sociale, secondo il seguente disposto: “le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento delle clausole sociali nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, o stabilirne una quota inferiore dandone adeguata e specifica motivazione, qualora l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

44 Corte di Giustizia UE, Sez. V, 6/11/2021 in. C-589/19 punto 20.

45 S. Vinti, Sole 24 ore, 18/4/2023, n. 106; prendendo le mosse da tale presupposto, giova presentare il problema sottolineato dalla voce critica del Prof. Stefano Vinti, che osserva come ora sia «prevista la convivenza di due princìpi in contrasto l’uno con l’altro: se si conservano i livelli occupazionali è evidente che non si può rinnovare in chiave di pari opportunità. E così i due obiettivi sono in palese conflitto: non se ne può rispettare uno senza violarne l’altro e viceversa, perché è evidente che non è possibile riequilibrare il genere della forza lavoro o svecchiarla assumendo giovani se nello stesso tempo è necessario tenere in piedi il vecchio assetto occupazionale».

46 L. Seneca, Seneca, Lettere a Lucilio, lettera 71, 1975, pp. 458-459.