Scritto da Andrea Purpura • mar 2019
1.
L’atto di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, come noto, è detto avviso di accertamento ed assolve la funzione di controllo della dichiarazione resa dal contribuente – laddove questa sia stata regolarmente presentata – ovvero agisce con effetti sostitutivi nei confronti della stessa in tutti quei casi in cui l’adempimento dell’obbligo tributario sia stato integralmente omesso.1
Più precisamente, l’avviso di accertamento – concretizzazione documentale di un procedimento amministrativo attraverso cui l’Ufficio garantisce o, quantomeno, dovrebbe garantire, la corretta applicazione delle imposte – si identifica con la reazione posta in essere dall’Amministrazione finanziaria innanzi alle irregolarità poste in essere dal contribuente, azione che, in termini tributari, si sostanzia in una nuova determinazione della capacità contributiva del contribuente, sia nel caso in cui quest’ultima venga rideterminata “ex novo” nella sua interezza, che rideterminata “in peius” sulla base di quanto già dichiarato.
Posto il carattere amministrativo, vincolato, autoritativo e monitorio dell’avviso di accertamento,2 questione lungamente dibattuta attiene la corretta identificazione degli effetti giuridici prodotti dall’avviso di accertamento in relazione all’obbligazione tributaria ex se esaminata,3 e se quindi quest’ultima sorga al momento dell’emanazione dell’atto accertativo o se quest’ultimo, di contro, funga da semplice “mezzo di comunicazione” di un obbligo già esistente e perfettamente precostituito.
Orbene, sul punto le linee di pensiero storicamente fronteggiatesi sono riconducibili essenzialmente a due orientamenti.
Da un lato, come si accennava, v’è chi attribuisce all’avviso di accertamento una natura squisitamente dichiarativa dell’esistenza di una obbligazione tributaria parzialmente adempiuta o integralmente omessa dal contribuente.
Dall’altro, a parere di altra dottrina,4 gli effetti scaturenti dall’avviso di accertamento avrebbero natura costitutiva dell’obbligazione tributaria medesima, prestazione, fino a quel momento, considerata non adeguatamente assolta.
In questa prospettiva, l’avviso di accertamento assolverebbe una duplice funzione, divenendo strumento di emersione dell’obbligazione tributaria e, contestualmente, presupposto costitutivo della medesima.
Già a primo acchito – almeno a parere di chi scrive – deve propendersi per la condivisione di quest’ultima linea di pensiero. E ciò per una molteplicità di ragioni.
In primo luogo, sotto un profilo definitorio e qualificatorio non appare corretto equiparare un avviso di accertamento ad una mera “dichiarazione”.
Il verbo “dichiarare”, infatti, si identifica, nella sua essenza, con l’azione attraverso cui la Pubblica Amministrazione e, nella materia che ci occupa, l’Amministrazione finanziaria, sancisce, per mezzo della propria autorità, un fatto, conferendo a quest’ultimo un valore giuridico ben preciso.5
Il concetto di dichiarazione, dunque, sfociando inevitabilmente in quello di “comunicazione”, pone innanzi al fatto, non controvertibile, per il quale gli effetti che l’avviso porta con sé non si esauriscono nella mera informazione, o “dichiarazione”, di un fatto, ma, di contro, in una serie di obblighi, e correlati doveri, sorgenti in capo al contribuente tali da non poter essere giustificati da una semplice comunicazione.
In secondo luogo, da un punto di vista eziologico, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria non avesse posto in essere le attività accertative di propria competenza, non si sarebbe avuta alcuna emersione circa l’effettiva capacità contributiva imputabile in capo al contribuente. Ne consegue che, in detta ipotesi, l’obbligazione tributaria, seppur preesistente in ragione di un fatto economicamente rilevante ed apprezzabile sotto il profilo tributario, non avrebbe trovato consolidamento in capo al contribuente medesimo. Da qui la natura, giustappunto, costitutiva dell’avviso di accertamento.
In ultima istanza, riconoscere detta origine all’atto accertativo sembra ancor più corretto laddove si guardi alla parte centrale dell’atto e, più precisamente, alla diversa gravità, e profondità, della motivazione presumibilmente attendibile dall’adozione di un avviso d’accertamento meramente dichiarativo e non costitutivo dell’obbligo d’adempimento d’una determinata prestazione tributaria.
Ciò posto, è di immediata percezione la non interscambiabilità tra l’una e l’altra interpretazione perché, anche per quanto attiene al profilo motivo sotteso all’avviso di accertamento, nell’un caso significherà attribuire a quest’ultimo un’esigenza motivazionale di portata inferiore, nell’altro maggiore.
Limitarsi a dichiarare l’esistenza di un fatto concretizzantesi nella necessità di adempiere un obbligo tributario, ed argomentare la sussistenza di detto obbligo giustificandone la portata e l’imputabilità al contribuente non possono essere utilizzati, infatti, come sinonimi concettuali, atteso che si tratti, come si vedrà, di impostazioni diverse la cui relazione proprio con l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento necessita un ulteriore e rigoroso approfondimento.
2.
Per motivazione dell’avviso di accertamento si intende l’argomentata enunciazione delle ragioni di fatto e di diritto idonee a giustificare l’esistenza, la legittimità e, in ultima istanza, l’incisività, dell’atto amministrativo stesso.
La parte motiva dell’atto accertativo costituisce un elemento centrale del corretto svolgimento della fase di controllo e verifica posta in essere dall’Amministrazione finanziaria costituendone, infatti, tanto il criterio di valutazione «del rispetto delle regole sulla formazione del convincimento dell’Ufficio (in particolare, della previa acquisizione e valutazione degli elementi che ne giustificano l’emanazione)»,6 quanto lo strumento attraverso cui il contribuente, una volta valutate le argomentazioni sottese al provvedimento, potrà contestarne la validità presentando una motivata impugnazione.7
Il generalizzato dovere di motivazione ricadente su tutti gli atti tributari, trova, oggi, cristallizzazione nell’art. 7 dello Statuto del contribuente, disposizione in ragione della quale gli atti dell’Amministrazione finanziaria possono considerarsi motivati nel momento in cui risultino indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione.
Sicché, a titolo esemplificativo, gli atti dell'Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione, nel momento in cui verranno emanati, dovranno tassativamente indicare: “i) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; ii) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; iii) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili”. Può dirsi che l’introduzione della menzionata disposizione, integralmente ispirata all'articolo 3 della Legge 7 agosto 1990, n.241,8 abbia portato con sé una molteplicità di effetti.
Da una parte, è da riconoscersi a questa il ruolo di integrazione e convergenza tra disposizioni, relative alla fase accertativa di tributi diversi, già vigenti al momento della propria introduzione, ovvero l’articolo 42, terzo comma, del D.P.R. del 29 settembre 1973 n.6009 e l’articolo 56 del D.P.R. n.633 del 26 ottobre 1972.10 In altri termini, «l’articolo 7 rafforza in modo deciso le previsioni contenute nelle disposizioni riguardanti la motivazione degli atti di accertamento dei vari tributi».11
Dall’altra, però, la chiarezza espositiva e concettuale della summenzionata disposizione non è stata oggetto di accoglimento unanime da parte della Giurisprudenza di legittimità la quale ha, di contro, mostrato una tendenza ondulatoria nell’interpretazione dell’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento, approdando verso soluzioni più, o meno, restrittive del summenzionato dovere ricadente sull’Amministrazione finanziaria.
Per lungo tempo la Corte di Cassazione ha inteso interpretare la motivazione sottesa all’avviso di accertamento emanato dall’Amministrazione finanziaria al termine della propria attività di controllo, quale mera “provocatio ad opponendum”.
Condividere detta impostazione, però, determina, e lo si accennava nelle pagine che precedono, il riconoscere alla motivazione dell’avviso di accertamento una funzione meramente processuale,12 esaurentesi nella comunicazione e nell’invito a prender visione dell’avviso dell’accertamento, proporre, se del caso, impugnazione dello stesso nei termini normativamente previsti e, in ultimo, delimitare l’oggetto del contendere.13
Più precisamente, una parte della Giurisprudenza di legittimità rilevava che in carenza di qualsivoglia convincente contraria argomentazione, vanno confermati i principi secondo i quali l’avviso di accertamento – che ha carattere di provocatio ad opponendum – soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente sia l’an che il quantum debeatur).14
Diversi sono i casi in cui i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto corretto riconoscere alla motivazione dell’avviso di accertamento l’esclusiva funzione di strumento attraverso il quale affermare ed informare il contribuente dell’esistenza d’una pretesa tributaria provocandone, giustappunto, la difesa.
A tal proposito, ancora in tempi recenti, i Giudici di Cassazione hanno affermato che l’avviso di accertamento notificato consente di ritenere soddisfatto l'obbligo di motivazione.
ogniqualvolta risultino enunciati il petitum dell'Ufficio impositore ed indicate le relative ragioni in termini sufficienti a definire la materia del contendere.15
Come evidenziato da autorevolissima dottrina, detta linea di pensiero affonda le proprie origini – con estrema probabilità – in risalenti posizioni di quella dottrina stante la quale, una volta interpretato l’avviso di accertamento quale semplice dichiarazione dell’esistenza di una determinata obbligazione tributaria da adempiere, l'oggetto del giudizio dinanzi alle Commissioni sarebbe da identificarsi nel rapporto obbligatorio d'imposta e non nell’atto impugnato.
Muovendo da detto assunto, «ne discenderebbe che l'Amministrazione finanziaria potrebbe integrare o modificare in sede contenziosa la motivazione dell'atto ed il giudice potrebbe formare il proprio convincimento, quanto alla sussistenza o meno del rapporto, indipendentemente dalla correttezza della motivazione dell'atto. Il che si traduce, in pratica, nella possibilità per il giudice di integrare l'iter logico esposto nell'atto di accertamento quando questo sia carente».16
In questa prospettiva, al Giudice si riconoscerebbero poteri, e prerogative, non soltanto extra-petitum ma, più semplicemente, non di propria competenza.
L’Autorità giudicante, infatti, non deve disporre di poteri integrativi ma, soltanto, interpretativi dei fatti di causa e delle ragioni di diritto addotte dalle parti coinvolte a fondamento delle proprie asserzioni.17
In tal senso, se è vero, com’è, che «il giudice di merito ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa attorea, senza che, in tale attività interpretativa, rilevino le espressioni utilizzate dalle parti, dovendo per converso prendere in esame il tenore letterale degli atti e la natura delle vicende di fatto rappresentate dalla parte, le precisazioni offerte nel corso del giudizio, il tipo di provvedimento concretamente richiesto»,18 allora, a maggior ragione, non potrà ammettersi un’interpretazione dell’avviso di accertamento quale mera provocatio ad opponendum, accostamento che, laddove condiviso, sortirebbe effetti pregiudizievoli non soltanto in termini di ampliamento, ingiustificato, dei poteri del giudice, ma anche nei confronti del corretto, e pieno, esercizio del diritto di difesa in giudizio da riconoscersi al contribuente.
Alla linea di pensiero della quale si sono, fin qui, brevemente, delineati i tratti maggiormente distintivi, se ne è contrapposta un’altra, oggi, fortunatamente, consolidatasi.
Secondo detta impostazione, «l'amministrazione finanziaria è obbligata ad indicare i presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Secondo detta impostazione, dunque, la motivazione attiene alla sostanza e non alla forma dell’atto tributario e, pertanto, non è riconducibile ad una mera provocatio ad opponendum, ma integra un elemento essenziale dell'atto suddetto, sulla cui base va definito il thema decidendum e probandum dell'eventuale successivo giudizio di impugnazione. In particolare, deve consentire il controllo interno e giurisdizionale dell'atto, al fine di valutare la correttezza dell'operato dell'amministrazione».19
In conseguenza di ciò, è di immediata comprensione che, dall’originaria inidoneità motivazionale dell'atto, dunque, ne discenderebbe tanto l'invalidità di questo quanto la possibilità che le Commissioni Tributarie, provinciali o regionali, si pronuncino in relazione alla sufficienza, o meno, della motivazione dell'avviso di rettifica oggetto di controversia.
È, altresì, di semplice intuizione che la linea argomentativa alla quale si è appena fatto riferimento sia da condividersi, a discapito della prima, per una molteplicità di ragioni.
In primo luogo, perché, a rigor di logica, le ragioni sottese all’emanazione di un provvedimento amministrativo – quale l’avviso di accertamento – destinato a sortire, in un modo o nell’altro, effetti nella sfera giuridica del contribuente, non possono esaurirsi in una breve, sommaria e, profilo ancor più allarmante, non esplicativa rassegna di stilizzate motivazioni non sempre, agilmente, complete, accessibili e comprensibili dal contribuente. Ciò in ragione della grave incidenza che siffatta carenza motivazionale dispiegherebbe sulla concreta possibilità di un pieno, e consapevole, esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost., essendo di tutta evidenza che una motivazione dell’atto impugnando poco chiara renda, alo stesso tempo, più che ardua la possibilità di proporre una parimenti adeguata strategia difensiva avverso le pretese avanzate dall’Amministrazione finanziaria.20
In termini pratici, dunque, dovrà convenirsi che un avviso di liquidazione dell'imposta di registro riferita a decreto ingiuntivo sarà da considerarsi contrario alle disposizioni contenute nella Legge n.212/2000, in particolare dell’art. 7, qualora non soltanto «ometta di indicare la base imponibile dell'imposta, ma anche i calcoli con cui l'Ufficio ha computato il quantum debeatur, per cui il comportamento dell'Ufficio è illegittimo, non consentendo all’opponente di esercitare appieno le proprie difese in diritto e nel merito».21
La portata di una regola siffatta, è di rilievo ed importanza tale, da non rimanere limitata, in termini applicativi, alla fase dell’accertamento condotta dall’Amministrazione, dovendosi, piuttosto, considerarsi estesa anche alla fase della riscossione del tributo.
Sposando detto assunto, la Suprema Corte ha più volte ribadito il principio di diritto in ragione del quale sarebbero da considerarsi nulle tutte quelle cartelle di pagamento sprovviste – ad esempio – del criterio di calcolo degli interessi, perché non supportate, in detta eventualità, da una motivazione adeguata, tale soltanto laddove contenga l’indicazione delle imposte, delle sanzioni e degli interessi contestati al contribuente, pena il possibile annullamento del debito notificato dall’Agente per la riscossione.22
3.
Optare per l’una o l’altra chiave interpretativa della motivazione sottesa all’avviso di accertamento, e scegliere, dunque, di condividere un approccio dichiarativo ovvero costitutivo dell’obbligazione tributaria, significa, per fatti concludenti, attribuire un minore o maggior valore ed importanza tanto al concetto di buona fede quanto a quello di legittimo affidamento, principi ai quali il nostro ordinamento è integralmente informato e posti a tutela del contribuente verso l’attività accertativa posta in essere dall’Amministrazione finanziaria e di quest’ultima nei confronti della veridicità delle dichiarazioni rese dal primo.
Ai fini della questione che forma oggetto di studio, tuttavia, appare necessario soffermarsi perlopiù sul primo profilo delineato, guardando con particolare attenzione all’influenza del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in relazione ai temi che ci occupano.
Si proceda con ordine. Muovendo dall’assunto per il quale all’elaborazione di un’esaustiva, ed argomentata, motivazione dell’avviso di accertamento si accompagni – o possa, in ogni caso, legittimamente presumersi vi si affianchi – una maggior consapevolezza del contribuente circa la pretesa tributaria avanzata nei propri confronti dall’Ufficio, nel caso in cui quest’ultimo avesse contezza sufficiente circa le contestazioni avanzate dall’Amministrazione finanziaria, non potrà che trarne beneficio sotto ogni punto di vista.
Ebbene, tra le altre funzioni assolte, la motivazione dell’avviso di accertamento assurge, a fondamentale momento di cristallizzazione del dettato costituzionale,23 a trasposizione pratica delle disposizioni contenute all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente24 ed a strumento attraverso il quale l’Amministrazione finanziaria possa farsi potatrice di una condotta fiscale eticamente orientata,25 tale perché improntata alla correttezza ed alla buona fede nei rapporti giuridici con il contribuente.
Più precisamente, con l’introduzione del primo comma dell’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente il legislatore ha inteso sancire che «nelle obbligazioni tributarie vige un principio generale di buona fede, che obbliga le parti del rapporto obbligatorio – Amministrazione finanziaria e contribuente – ad una condotta corretta, leale ed improntata ad uno spirito collaborativo. Per il Fisco esso costituisce declinazione delle esigenze di efficienza cui deve ispirarsi ogni articolazione dello Stato, evitando comportamenti contraddittori ed obbligandolo a comportarsi con lealtà e trasparenza, facilitando l’adempimento della prestazione tributaria».26
Detto principio, essenziale ai fini del buon funzionamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione finanziaria, richiede che ogni atto emanato dalla stessa sia necessariamente supportato da una motivazione adeguata, senza operare disparità tra pubblico e privato, contemperando gli interessi coinvolti, e ponendo il contribuente nelle condizioni di adempiere i propri obblighi contributivi o dissentire dalle pretese dell’Ufficio, discostandovisi ed impugnandole.
Per far ciò, è necessario che contribuente ed Amministrazione finanziaria cooperino e collaborino attivamente e costruttivamente prima ancora che si instauri un eventuale procedimento giudiziale, definendo, così, immediatamente, in sede di contraddittorio endoprocedimentale, la reale entità dell’eventuale violazione.
Anche se in seno alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, oltreché a quella di merito, interna, sembra essersi consolidata l’idea per la quale il diritto al contraddittorio preventivo costituisca principio fondamentale operante anche in difetto di una espressa e specifica previsione normativa, a pena di nullità dell'atto finale del procedimento per violazione del diritto di partecipazione dell'interessato al procedimento stesso,27 la Suprema Corte di Cassazione mostra ancor’oggi, criticabili, perplessità.
Procedendo con ordine, a parere dei Giudici comunitari il contraddittorio relativo al procedimento amministrativo, tipologia processuale all’interno del quale rientra anche quello tributario «costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento Europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione».28
Di contro, i Giudici di legittimità hanno, recentemente, ricordato come all’interno del nostro ordinamento giuridico non sia, invece, rinvenibile alcun obbligo generalizzato di contraddittorio endoprocedimentale tra Amministrazione finanziaria e contribuenti e ciò alla luce di una lettura sistematica delle disposizioni vigenti entro i nostri confini.
Più precisamente, per usare le parole degli Ermellini, «il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto», rimanendo, tuttavia, esclusi da detta prescrizione i tributi armonizzati.29
In un quadro così delineato, stante le contrapposte posizioni appena riportate, si deve propendere, almeno a parere di chi scrive, per l’approccio argomentativo posto a supporto della statuizione comunitaria richiamata, la quale ricorda, pertinentemente, come il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento sia sancito dagli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, i quali, come noto, garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale.
Ed ancora, ulteriore supporto posto a fondamento dell’obbligo di instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale sarebbe rinvenibile nell’articolo 41 della medesima Carta, disposizione con cui si è inteso garantire il diritto ad una buona amministrazione, e dunque, contestualmente il diritto di ciascun individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo.30
Ed infatti, se è vero com’è che i Giudici di cassazione hanno addotto quali motivazioni del proprio arresto, un’analisi completa, e pienamente dirimente, delle disposizioni normative oggi vigenti all’interno del nostro ordinamento, non appare, tuttavia, soddisfacente la mera ricostruzione dello stato dell’arte operata dal Supremo Collegio.
Sicché, pur restando ferme le analisi da quest’ultimo operate, un intervento del legislatore in relazione al tema che ci occupa finalizzato alla formalizzazione dell’obbligo di instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale tra Ufficio e contribuente, e ad una costituzionalizzazione di questo, sarebbe certamente auspicabile.
È vero, potrà dirsi che il Giudice, nell’esercizio della propria attività, sia chiamato “soltanto” a giudicare e non a fornire un indirizzo politico-legislativo.
Ciononostante, la delicatezza della materia che ci occupa da una parte, ed il contrastante approdo giurisprudenziale della Corte di giustizia UE dall’altra, nonché la necessità di corroborare ed incrementare continuativamente un rapporto collaborativo tra i soggetti del rapporto tributario, avrebbe richiesto, quantomeno, un, seppur tacito, invito ad agire rivolto al legislatore da parte della Suprema Corte, cosa che, purtroppo, non si è verificata.
La questione in esame riveste rilievo ancora maggiore laddove si guardi alla relazione intercorrente tra questo e la motivazione fondante la legittimità, o meno, dell’avviso di accertamento.
Ed infatti, il primo, assolvendo una funzione – se non deflattiva del contenzioso tributario – certamente finalizzata alla definizione delle questioni sottese alle contestazioni avanzate dall’Ufficio nei confronti del contribuente, porrebbe quest’ultimo nelle condizioni di conoscere immediatamente e chiaramente le irregolarità contestategli, rendendo l’eventuale avviso di accertamento, una “mera”, seppur tristemente necessaria, formalizzazione di dette opposizioni.
Viceversa, paradossalmente, l’assenza di un contradditorio endoprocedimentale pone il contribuente in una posizione di assoluto svantaggio innanzi alla pretesa tributaria vantata dall’Amministrazione.
Di talché, quest’ultima, una volta emanato il provvedimento amministrativo conclusivo della fase accertativa – sempre che agisca in modo realmente equo ed imparziale – sarà chiamata a fornire una motivazione ancor più robusta, ed esaustiva, pena l’annullamento del provvedimento.
Tutto ciò premesso, la formale introduzione del contraddittorio endoprocedimentale all’interno dell’ordinamento giuridico tributario, sembra essere, oggi più che mai, necessaria, divenendo strumento attraverso cui superare quella logica garantistica di tutela partecipativa dei privati nei confronti dell’azione amministrativa immanente alla legislazione tributaria, apparato normativo che ancora oggi sembra privilegiare eccessivamente la tutela dell’interesse fiscale rispetto all’integrità patrimoniale del contribuente.31
4.
Se il versamento di tributo coincide con l’adempimento di una prestazione doverosa ancorata ad un presupposto economicamente rilevante e collegata, più o meno direttamente, al sostentamento della pubblica spesa, poste le considerazioni che si sono fin qui formulate appare chiaro che la pretesa di questo da parte dell’Amministrazione debba essere necessariamente supportata da una adeguata motivazione.
Se l’intimazione ad adempiere avanzata dall’Ufficio, infatti, in altro non si traduce se non nella richiesta di adempimento di una prestazione obbligatoria, allora occorre identificare, in modo quanto più preciso possibile, il titolo della pretesa, e dunque la giustificazione della stessa.
Ebbene, quest’ultima non potrà che essere riversata nella parte motiva dell’avviso di accertamento rivolto dall’Amministrazione al contribuente.
Viceversa, nel caso in cui così non fosse, l’avviso di accertamento rischierebbe di tradursi, paradossalmente, in una duplicazione della cartella di pagamento emanata dall’Agente di Riscossione, atto per il quale è, tuttavia, richiesto una parte motiva altrettanto significativa.
È assolutamente necessario che nella stesura dell’avviso di accertamento l’Amministrazione presenti un apparato argomentativo idoneo a porre il contribuente nelle condizioni di non conoscere soltanto gli elementi essenziali delle contestazioni mossegli, ma tutti i presupposti procedimentali posti a sostegno dell’azione accertativa di cui è stato destinatario.
Se in un quadro così delineato, è di certo auspicio il fatto che la Suprema Corte di Cassazione abbia superato – fatta eccezione per qualche, recente, ricaduta – l’idea per la quale l’avviso di accertamento abbia mera funzione processuale sicché sarebbe sufficiente che questo porti con sé, a proprio sostegno, una motivazione essenziale. non può non destare perplessità il mancato recepimento, tanto in sede giurisprudenziale quanto legislativa, dell’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale tra pubblica amministrazione e cittadino in tutti quei casi in cui la prima sia in procinto di adottare un provvedimento potenzialmente pregiudizievole nei confronti di quest’ultimo.
Se i latini avevano ragione nel dire che in medio stat virtus, il confronto preventivo tra Ufficio e contribuente costituirebbe certa occasione di confronto produttivo tra le parti tributarie, luogo di compromesso ove chiarire, definire e conoscere dettagliatamente i fatti alla base di una eventuale, successiva, controversia giudiziale.
1 Cfr. E. De Mita, Principi di diritto tributario, Giuffrè Editore, Milano, 2011, pp. 34 e ss..
2 L’avviso di accertamento ha, altresì, natura esecutiva. Con l’art. 29, primo comma, del D.L. n.78/2010, il legislatore ha, infatti, statuito che gli avvisi di accertamento ai fini dell’imposta sui redditi delle persone fisiche e delle società (IRPEF ed IRES), dell’IRAP e dell’IVA, oltre al relativo provvedimento di irrogazione delle sanzioni, debbano, altresì, contenere l’intimazione ad adempiere pari ad un/terzo della pretesa impositiva.
3 Cfr. S. Gorgoni, Appunti sull’avviso di accertamento: natura giuridica e contenuto. Le varie tipologie di accertamento, estratto quale contributo ad una lezione tenuta dall’Autore presso l’Università di Pavia (Novembre 2012).
4 Della quale, chi scrive, condivide in pieno l’apparato argomentativo.
5 Per il corretto significato del verbo “dichiarare” si vd. http://www.treccani.it/vocabolario/dichiarare/.
6 In questi termini si vd. G. Falsitta, Manuale di Diritto Tributario - Parte Generale, p. 376, X Edizione, CEDAM, Milano.
7 Op. cit., Manuale di Diritto Tributario - Parte Generale, p. 376.
8 Legge del 07/08/1990 n.241 recante Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. In ragione di detta diposizione, ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione della amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
9 Decreto recante Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Più precisamente, l’articolo 42, con riferimento alle imposte sui redditi, statuiva che “L'avviso di accertamento deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di acconto e dei crediti d'imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni”.
10 Decreto con cui il legislatore ha fornito Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto. Ai sensi dell’articolo 56, “Le rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti, mediante avvisi motivati, nei modi stabiliti per le notificazioni in materia di imposte sui redditi, da messi speciali autorizzati dagli uffici dell'imposta sul valore aggiunto o dai messi comunali. Negli avvisi relativi alle rettifiche di cui all'art. 54 devono essere indicati specificamente, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori. Per le omissioni e le inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indicati i fatti certi che danno fondamento alla presunzione.
Negli avvisi relativi agli accertamenti induttivi devono essere indicati, a pena di nullità, l'imponibile determinato dall'ufficio, l'aliquota o le aliquote e le detrazioni applicate e le ragioni per cui sono state ritenute applicabili le disposizioni del primo o del secondo comma dell'art. 55”.
11 Cfr. G. Marongiu, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, G. Giappichelli Editore, 2010, p. 190. L’Autore sottolinea che con l’art. 42, terzo comma, del D.P.R. n.600 del 1973, e l’art. 56 del D.P.R. n.633 del 1972, con riferimento quindi agli avvisi di accertamento relativi alle imposte sui redditi e all’imposta sul valore aggiunto, il legislatore abbia scientemente parlato di “nullità” in termini di annullabilità dell’avviso di accertamento immotivato.
12 In tal senso si vedano Cass., sentt. n.3898 del 1980, n.7991 del 1996, n.14427 del 1999, nn. 1209, 2500 e 5557 del 2000, n.14700 del 2001, nn. 6232 e 19515 del 2003, nn. 14673, 17293 e 20054 del 2006, nn. 12169 e 28955 del 2009, n.22370 del 2010, n.7360 del 2011 e n.9441 del 2014.
13 S. Stufano, Ipotesi applicative della disciplina sulla chiarezza e motivazione degli atti, Corriere Tributario, 48/2001, p. 3596.
14 Cfr. sent. della Corte di Cassazione, Sez. V, 31 marzo 2011, n.7360. Nel caso di specie gli Ermellini hanno ritenuto sufficientemente motivato quell’avviso di accertamento che facesse riferimento ad un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza regolarmente notificato o consegnato all’intimato, peraltro senza obbligo per l’Amministrazione finanziaria di includere nello stesso avviso di accertamento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, né di riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto.
15 Cfr. sent. della Corte di Cassazione, Sez. V, 20 marzo 2019, n.7808. O ancora, si vd. sent. della Corte di Cassazione, Sez. VI, 6 aprile 2017, n.9008.
16 Così, Cfr. F. Gallo, La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione nel sistema della giustizia tributaria: bilancio e prospettive ad un anno dalla sua istituzione. Motivazione e prova nell'accertamento tributario: l'evoluzione del pensiero della Corte, Rassegna Tributaria, n.4 del 2001, p. 1100.
17 Per un’approfondita disamina sul punto si vd. A. Carratta e M. Taruffo, Poteri del giudice: Art 112-120 c.p.c., 2011, a cura di Zanichelli Editore, Bologna, in S. Chiarloni (a cura di), Libro primo: Disposizioni generali, Bologna, 2011, pp. 131 e ss..
18 Così, sent. della Corte di Cassazione, Sez. III, novembre 2017, n.26511. Ed ancora, nel medesimo senso, si vedano le sentenze della Corte di Cassazione n.3041 del 2007, n.18653 del 2004 e n.10840 del 2003.
19 Sent. della Corte di Cassazione, Sez. V, 9 ottobre 2015, n.20251.
20 Cfr. sent. della Corte di Cassazione, Sez. V, 16 aprile 2014, n.8850.
21 In tal senso, si vd. Sent. della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, Sez. XVI, 27 febbraio 2017, n.750/2017.
22 Cfr. sent. della Commissione Tributaria Regionale per l’Abruzzo, Sez. VII, 12 marzo 2019, n.258, ove i Giudici richiamano il menzionato principio di diritto già formulato e ribadito dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, con recente ordinanza del 3 maggio 2018, n.10481.
23 Si sta chiaramente facendo riferimento agli artt. 2, 53 e 97.2 Cost..
24 Per tutti, si vd. gli artt. 7 e 10 dello Statuto.
25 Per approfondimento in merito al rapporto intercorrente tra norma tributaria ed etica, Cfr. C. Sacchetto e A. Dagnino, Analisi Etica delle norme tributarie, in Rivista Trimestrale di Diritto Tributario, 3/2013, pp. 617 e ss..
26 In questi termini cfr. L. Pennesi, Brevi note in tema di buona fede e sanzioni amministrative tributarie, in Diritto e Pratica Tributaria, 1/2019, p. 428.
27 Per tutte, si vd. sent. della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, Sez. XLVII, 14 marzo 2017, n.2094/2017.
28 Detta linea di pensiero viene chiaramente formulata dai Giudici comunitari nelle cause riunite C‑129/13 e C‑130/13, rispettivamente Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financiën, In detta sede, la Corte europea, ha esplicitamente dichiarato che «Il principio del rispetto dei diritti della difesa e, segnatamente, il diritto di ogni persona di essere sentita prima dell’adozione di un provvedimento individuale lesivo, devono essere interpretati nel senso che, quando il destinatario di un’intimazione di pagamento (…) non è stato sentito dall’amministrazione prima dell’adozione di tale decisione, i suoi diritti della difesa sono violati quand’anche abbia la possibilità di fare valere la sua posizione nel corso di una fase di reclamo amministrativo ulteriore, se la normativa nazionale non consente ai destinatari di siffatte intimazioni, in mancanza di una previa audizione, di ottenere la sospensione della loro esecuzione fino alla loro eventuale riforma». Per approfondimento in dottrina, si vd. A.M. Perrino e F. Buffa, Il diritto tributario europeo, 2018, Key Editore.
29 Così la sent. della Cassazione, SS.UU., 9 dicembre 2015, n.24823.
30 Op. cit., Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financiën, punto 29.
31 Sul punto si vd. G. Soricelli, Corte Costituzionale e contraddittorio endoprocedimentale tributario: è proprio un’occasione mancata?, in Gazzetta Amministrativa, 1/2018. Ed ancora, per ulteriore, autorevole, approfondimento sul tema, si rimanda a S. Sammartino, I diritti del contribuente nella fase delle verifiche fiscali, in G. Marongiu (a cura di), Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, p. 132.
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