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Quale riforma fiscale per un'edilizia sostenibile?

Scritto da Giuseppe Melis • mar 2022

Sintesi

Il lavoro evidenzia in primo luogo le dimensioni quasi confiscatorie assunte dal prelievo tributario nell’ordinamento italiano, dovute al sovrapporsi di imposte sul reddito e patrimoniali, rilevando come in tale contesto i bonus edilizi andrebbero visti anche nell’ottica di mera restituzione di risorse ad un settore sovra-tassato. Si rileva poi la centralità assunta dalle politiche ambientali nella definizione di questi bonus, ma anche l’effetto negativo di incremento delle rendite catastali che l’effettuazione dei lavori di adeguamento determina, originando la necessità di rinvenire un correttivo tramite la valorizzazione della dimensione anche funzionale del catasto, quale luogo di rilevazione anche delle caratteristiche energetiche e sismiche dei singoli edifici onde poter costruire agevolazioni ad hoc per tutti quei fabbricati che contribuiscono a ridurre, se non ad azzerare, le c.d. “esternalità negative”. Si evidenziano, infine, talune ulteriori possibili misure fiscali utili alla “riqualificazione” energetica e sismica degli edifici.

Abstract

The work firstly highlights the almost confiscatory dimensions assumed by taxation in the Italian legal system, due to the overlapping of income and property taxes, noting that in this context building bonuses should also be seen as a sort of return of resources to an “overtaxed” sector. It also points out that environmental policies play a central role in the definition of these bonuses. The renovation works of the buildings, however, is also capable of increasing the cadastral rents of the buildings. In this respect, a corrective measure could be found by enhancing the functional dimension of the cadastral system, as a place where the energy and seismic characteristics of individual buildings are also recorded, so as to be able to create ad hoc benefits for all those buildings that contribute to reducing, if not eliminating, the so-called 'negative externalities'. Finally, some further possible tax measures for the energy and seismic 'requalification' of buildings are highlighted.

Contenuto

1. Il settore immobiliare e le conseguenze negative derivanti dalla pressione fiscale record

Non vi è dubbio che quando di parla di fiscalità immobiliare il pensiero corre immediatamente alla pressione fiscale che attualmente opprime il settore.

Le cause di questa pressione fiscale, che colloca l’Italia ai primissimi posti tra i Paesi UE e ciò nonostante la sostanziale detassazione delle abitazioni principali (1), sono notissime, sol che si pensi che nel 2011 l’ICI pesava per ca. 9,2 mld di euro su un totale di ca. 32,3 mld di euro di imposte sul patrimonio immobiliare, mentre nel 2012 l’IMU ne pesava ca. 23,1 mld di euro (+155%) su un totale di ca. 44,2 mld di euro (+37%). Si tratta, all’evidenza, dell’effetto delle misure di finanza pubblica adottate durante il Governo Monti per far fronte alle esigenze derivanti dalla ben nota crisi finanziaria, in sostanziale osservanza delle raccomandazioni provenienti da taluni organismi internazionali che ritenevano e ritengono tuttora (discutibilmente) che l’imposizione patrimoniale immobiliare sia la forma meno avversa alla crescita economica (in altri termini, la meno “growth-friendly”).2

Questo inasprimento, che ha risparmiato per effetto del successivo intervento normativo attuato con L. n. 147/2013 le sole abitazioni principali purché non classificate in A/1, A/8 e A/9,3 è universalmente riconosciuto quale uno dei fattori che hanno contribuito alla depressione del mercato immobiliare – poiché, incidendo negativamente sul rendimento, ha diminuito i valori – e, con essa, alla depressione del settore edilizio in generale.

Il fenomeno ha assunto dimensioni quasi confiscatorie. Come già rilevato da chi scrive in sede di Audizione dinanzi alle Commissioni finanze sulla Riforma tributaria,4 cui per brevità sia consentito rinviare, le due affermazioni contenute nel documento MEF-Agenzia delle Entrate “Gli immobili in Italia 2019. Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare”,5 secondo cui, rispettivamente, i canoni di locazione sono mediamente superiori di 8 volte le rendite catastali6 e i valori di mercato mediamente superiori di 2 volte il valore imponibile IMU,7 consentono di ricostruire la tassazione “media” – tra imposte sul reddito e sul patrimonio – di un immobile destinato ad investimento a seconda che il reddito dell’immobile sia soggetto a cedolare secca oppure ad imposta progressiva (essendo ovviamente soggetto ad IMU, non trattandosi dell’abitazione principale).

Sviluppando un banale modellino matematico, si giunge alle conclusioni secondo cui – mediamente – un investimento immobiliare in Italia rende il 2,38% lordo; quasi un quarto di tale rendimento viene “assorbito” dall’IMU; in assenza di cedolare secca, le imposte sugli immobili – reddituali e patrimoniali – incidono per il 61% sul canone di locazione considerando una aliquota marginale al 38%, con una redditività netta dell’investimento immobiliare rispettivamente nella misura dello 0,93%, incidenza che aumenta di quasi altri 10 punti percentuali assumendo l’aliquota marginale massima e sommandovi le addizionali regionale e comunale; con la cedolare, l’incidenza complessiva scende invece al 44,9%, con una redditività netta dell’1,31%; con l’aggravio, però, per il locatore di rinunziare all’incremento annuale ISTAT del canone di locazione. Questi rendimenti asfittici non tengono peraltro conto dei costi effettivi di gestione a carico del proprietario non deducibili dalla base imponibile (considerati solo “a forfait” nel regime ordinario), né delle imposte pagate sull’acquisto che, per immobili a destinazione non abitativa, sono come noto pari al 9% a titolo di imposta di registro applicata al valore di vendita (o, ricorrendo specifiche condizioni soggettive ed oggettive, al valore catastale), né dell’imposta di successione nella misura attualmente applicabile.

Questa sovrapposizione tra tributi reddituali e patrimoniali solleva, tra l’altro, precise questioni giuridiche.

Sotto un primo profilo, connesso al tema del federalismo fiscale, è sufficiente ricordare che l’art. 28, co. 2, lett. b), L. n. 42/2009, delegava al legislatore anche il compito di individuare meccanismi idonei ad assicurare «la determinazione periodica del limite massimo della pressione fiscale nonché del suo riparto tra i diversi livelli di governo».8 Disposizione, questa, rimasta tuttavia inattuata, con il rischio di vedere il prelievo giungere a livelli persino confiscatori, «proprio per il sovrapporsi di imposizioni di più soggetti attivi, su fatti imponibili identici o simili, o su fatti diversi, ma tutti impattanti sull’unico saldo numerario attivo del contribuente».9 La discussione attualmente in corso sul completamento dell’attuazione della L. n. 42/2009 pare dunque l’occasione per tornare nuovamente e proficuamente sull’argomento.

Sotto un secondo profilo, connesso al livello massimo del prelievo tributario onde non “sconfinare” in un prelievo di carattere confiscatorio, va invece rilevato che la necessaria considerazione degli effetti complessivi dell’imposizione patrimoniale e reddituale ai fini della determinazione del carico massimo sopportabile in relazione ad un cespite – nel senso che, per effetto del concorso di imposte di diversa natura, non si dovrebbe superare una “quota” del reddito complessivo del soggetto – è affermata, oltre che dalla prevalente dottrina che storicamente si è occupata della tassazione patrimoniale10 – che la intende come tassazione sul reddito che discende dal patrimonio – anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca la quale, seppure non ha inteso fissare un limite quantitativo massimo all’imposizione tributaria, ha assunto in ogni caso tale “concorso” quale parametro per la valutazione della ragionevolezza dell’imposizione, oltre ad essere stata ben tenuta presente, quale limite, nell’esperienza dell’imposta patrimoniale francese.11


2. I bonus edilizi quale modalità di restituzione di risorse al settore immobiliare

In questo contesto fortemente critico si pone la questione di quali politiche fiscali adottare per ripristinare un livello sopportabile di pressione fiscale sul settore immobiliare e dare così anche un impulso alla relativa crescita, trainante per l’economia italiana.

Le ricette sono naturalmente le più diverse e non è questa la sede per farne una disamina esaustiva, ma sicuramente ciò cui abbiamo assistito in questi ultimi anni è una robusta azione, particolarmente intensificatasi in questi ultimi tempi, sul fronte della “restituzione” al settore, da parte del legislatore, di una parte di tale prelievo mediante la concessione di una serie di bonus che pongono a carico dell’Erario una quota di lavori di ristrutturazione i quali, concorrendo ad aumentare il valore della proprietà immobiliare oggetto di intervento, generano un beneficio in capo al destinatario, oltre naturalmente a stimolare il settore edilizio con le rilevanti implicazioni in termini di crescita economica e di occupazione che ne derivano. A tal fine, lo sconto in fattura e la cessione del credito giocano naturalmente un ruolo decisivo per superare il diffuso fenomeno di incapienza che altrimenti ne impedirebbe la fruizione.

Il CRESME, che si occupa da tempo, anche su impulso della VIII Commissione (Ambiente) della Camera dei deputati, della stima dell’impatto sulle incentivazioni, ha rilevato che, dal 1998 al 2020 sono stati effettuati oltre 21 milioni di interventi, sicché circa il 60% delle abitazioni italiane hanno fruito di interventi agevolati, con l’attivazione di investimenti per ca. 350 mld di euro ed un assorbimento cumulato nel periodo 2011-2020 di ca. 2,5 mln di occupati diretti (che diventano ca. 4 mln considerando l’indotto). È ciò che il CRESME definisce il “primo ciclo dell’ambiente costruito” dal secondo dopoguerra, a voler sottolineare le nuove caratteristiche del mercato e le sfide innovative e di modello di offerta che questo richiede in termini di riqualificazione energetica, tecnologie e qualità dell’abitare.

La stima della differenza tra i minori introiti per lo Stato legati agli interventi di efficientamento energetico (minori imposte sui consumi di energia) da un lato, e la quota di gettito per lo Stato derivante dai consumi e dagli investimenti mobilitati dai redditi aggiuntivi dei nuovi occupati, viene determinata in un saldo negativo per lo Stato di ca. 256 milioni annui, che rappresenta un ammontare insignificante se paragonato alle imposte annualmente prelevate sul settore immobiliare.

Senza considerare che il saldo generale – tenendo conto anche della posizione degli investitori e delle imprese e del fattore lavoro – viene stimato sempre dal CRESME in ca. 28 mld di euro nel periodo 1998-2020.

Sotto questo profilo, dunque, deve essere definitivamente abbandonata la logica della “graziosa concessione” che talvolta si accompagna alla concessione dei bonus in edilizia, poiché essi non fanno che restituire ai contribuenti una quota, peraltro minima, dell’enorme tassazione oggi gravante sul settore immobiliare.

E, aggiungo, una loro stabilizzazione e “messa a sistema” in un orizzonte temporale adeguato eviterebbe anche quei fenomeni di imbuto derivanti dall’accaparramento dei bonus nei termini di volta in volta prorogati, che rendono oggi persino complesso reperire un ponteggio per fare i lavori.


3. La tutela dell'ambiente quale fonte ispiratrice portante dei bonus edilizi

Ebbene, in questo meccanismo sostanzialmente “restitutorio” dal lato dei contribuenti e di “nuovo sviluppo” del settore immobiliare dal lato delle imprese, lo scopo “ambientale” – ivi compreso quello specifico “sismico” – è stato indubbiamente quello portante.

Non ha senso neanche far cenno alle innumerevoli fonti e giustificazioni della centralità assunta dalla tutela del bene “ambiente”, dai cambiamenti climatici e della c.d. “transizione ecologica” nella comunità internazionale, dovendoci piuttosto domandare quali ulteriori interventi fiscali possano essere adottati per meglio “aggiustare il tiro” in relazione all’obiettivo di migliorare l’efficienza energetica e la sicurezza degli insediamenti civili e degli edifici pubblici.

La prima questione che si pone attiene agli effetti fiscali della riqualificazione energetica degli edifici: se, cioè, questa non finisca poi per tradursi in un boomerang tale che, aumentando la redditività degli immobili, ne aumenti anche la rendita catastale e, conseguentemente, il valore di riferimento ai fini delle plurime imposte gravanti sul patrimonio immobiliare.

La classe è infatti attribuita in funzione della qualità urbana, di quella ambientale e delle caratteristiche edilizie possedute dall’unità immobiliare; elementi, questi, ai quali gli edifici a massima efficienza energetica sono particolarmente sensibili.

Il “gioco al rialzo” che ormai l’Agenzia delle Entrate-territorio pone sistematicamente in essere in sede di dichiarazione DOCFA oppure avvalendosi del set di norme a tal fine previsto dall’art. 1, commi 334 e ss., L. n. 311/2004, è ormai notissimo tra gli operatori professionali, periodicamente impegnati nell’impugnazione di atti di riclassamento emanati dall’Agenzia del territorio e degli atti impositivi che su tali atti a loro volta si fondano.

Sotto questo profilo, è chiaro che un edificio costruito o che abbia formato oggetto di lavori nell’ottica del massimo efficientamento energetico, parte da pessime premesse, sicché va rinvenuto un correttivo.

La seconda questione è se la recente proposta di riforma del catasto contenuta nel disegno di legge delega per la riforma del sistema tributario possa essere l’occasione anche “tecnica” per un simile intervento correttivo.

Va al riguardo evidenziato che attenta dottrina tributaria non ha mancato di osservare come “nonostante i tanti tentativi (da ultima la legge delega di riforma del sistema fiscale 11 marzo 2014, n. 23, rimasta inattuata), non abbiamo nemmeno immesso nella nuova regolamentazione del catasto quegli strumenti di funzionalizzazione che consentano di tener conto per esempio della variante della sostenibilità, della tutela del paesaggio, del consumo di suolo, guardando ad un catasto moderno, sostenibile, legato anche ai processi di sviluppo”.12

Viene dunque rilevata la necessità di muovere da un catasto con finalità solo fiscali ad uno di tipo funzionale orientato pure al perseguimento di finalità extrafiscali, anche collegando le politiche di incentivazione a modelli virtuosi di gestione del territorio e del paesaggio e di sviluppo delle c.d. “smart cities” e «mettendo in moto il settore immobiliare nel giusto equilibrio tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale».13

In tale prospettiva, la riforma del catasto deve rappresentare l’occasione anche per acquisire queste ulteriori informazioni, in specie relative alla classe energetica e sismica, e ciò sia per avere una fotografia aggiornata dello stato di avanzamento del processo di adeguamento, sia, in un’ottica squisitamente extrafiscale, per calibrare in modo appropriato trattamenti agevolativi, incidenti sulla rendita catastale e sui conseguenti valori imponibili delle imposte che sulla rendita si fondano, per tutti quei fabbricati che contribuiscono a ridurre, se non ad azzerare, le c.d. “esternalità negative”.

Siamo tutti a conoscenza del testo “asciutto” della delega tributaria in materia di riforma del Catasto,14 da un lato finalizzata a far emergere situazioni di natura evasiva, dall’altro volta a ribadire il doppio binario reddituale-patrimoniale, con necessità di tenere conto sia dei successivi mutamenti delle condizioni di mercato sia delle specificità in termini di oneri manutentivi e vincoli legislativi propri dei beni storico-artistici.

Va solo ricordato, al riguardo, che la ben più dettagliata ipotesi di riforma contenuta all’art. 2 della Legge delega n. 23/2014 in materia di catasto delegava il legislatore, nell’ambito dei decreti attuativi del nuovo catasto, anche a «p) prevedere un regime fiscale agevolato che incentivi la realizzazione di opere di adeguamento degli immobili alla normativa in materia di sicurezza e di riqualificazione energetica e architettonica».

Sicché da questo punto di vista non si tratterebbe di nulla di particolarmente innovativo, se non nell’inserirsi siffatta agevolazione in un momento storico in cui la finalità extrafiscale cui essa è preposta trova il suo massimo fondamento e consenso di sempre.


4. Ulteriori misure fiscali per il settore edilizio destinate alla riqualificazione energetica

Il quadro degli interventi fiscali finalizzati alla “riqualificazione” energetica e sismica deve completarsi con una serie di misure altrettanto importanti.

La prima misura, indispensabile poiché incide in modo decisivo sulla convenienza economica delle operazioni di riqualificazione energetica, riguarda il sostanziale azzeramento dell’imposizione di registro, ipotecaria e catastale.

A tale proposito, il legislatore è intervenuto con l’art. 7, d.l. 30 aprile 2019, n. 34, valevole sino al 31 dicembre 2021, prevedendo l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di euro 200 ciascuna, per i trasferimenti di interi fabbricati, a favore di imprese di costruzione o di ristrutturazione immobiliare (anche nel caso delle operazioni di cui all’art. 10, d.p.r. n. 633/72), che, entro i successivi dieci anni, provvedano alla demolizione e ricostruzione degli stessi, anche con variazione volumetrica rispetto al fabbricato preesistente, ove consentita dalle vigenti norme urbanistiche, o eseguano, sui medesimi fabbricati, gli interventi edilizi previsti dall'articolo 3, comma 1, lettere b), c) e d), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, in entrambi i casi conformemente alla normativa antisismica e con il conseguimento della classe energetica NZEB, A o B, e procedano alla successiva alienazione degli stessi, anche se suddivisi in più unità immobiliari qualora l'alienazione riguardi almeno il 75 per cento del volume del nuovo fabbricato.

È infatti evidente che l’applicazione in misura proporzionale dell’imposta di registro in fase di acquisto del bene da riqualificare, nella misura tipica del 9%, comporterebbe un “delta” che, unitamente ai costi già di per sé rilevanti propri della riqualificazione dell’edificio, renderebbe l’operazione complessiva spesso non conveniente sotto il profilo economico.

Va detto, peraltro, che tale disposizione non andrebbe solo prorogata – anzi, stabilizzata – ma anche estesa alle permute, onde attivare il c.d. “mercato di sostituzione”, rivolto a quella fascia di popolazione che possiede una abitazione che per motivi vari (da ultimo, l’esperienza del lock-down) non è più idonea alle proprie esigenze, ma che per poter acquistare una casa nuova deve prima vendere quella “vecchia”. La società immobiliare o impresa di costruzioni che deve vendere il prodotto nuovo potrebbe anche acquistare a parziale scomputo del prezzo il vecchio alloggio (che poi a sua volta ristrutturerebbe per rimetterlo sul mercato). Le banche non hanno normalmente difficoltà a finanziare questo tipo di operazioni, ma i costi fiscali – in primis, l’imposta di registro al 9% - sulla intestazione (temporanea) del bene “vecchio” da ristrutturare finiscono per rendere impossibile anche questa operazione. Così facendo, peraltro, l’Erario beneficerebbe da subito dell’IVA sulle vendite degli appartamenti nuovi e sulle transazioni ad esse accessorie (prestazioni del notaio e dell’agente immobiliare, forniture di mobili, ecc.).

La seconda misura riguarda, invece, l’imposizione sulle prime abitazioni, posto che allo stato attuale si registra una rilevante differenza di imposizione tra chi acquista da un privato un edificio vecchio – 2% di imposta di registro applicata sul valore catastale secondo il sistema del c.d. “prezzo valore” – e chi acquista da una impresa o da una cooperativa un edificio nuovo – 4% sul corrispettivo pattuito.

A tale proposito, considerata da un lato l’impopolarità di un raddoppio dell’imposta di registro e, dall’altro, gli angusti spazi di intervento derivanti dalle regole unionali in materia di IVA, andrebbe ripristinato quanto già disposto dall’art. 1, co. 56, L. n. 208/2015, che prevedeva una detrazione dall’imposta lorda Irpef, sino alla concorrenza del suo ammontare, del 50 per cento dell'importo corrisposto per il pagamento dell’IVA in relazione all'acquisto, effettuato entro il 31 dicembre 2017, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B ai sensi della normativa vigente, cedute dalle imprese costruttrici delle stesse.15

1 Si v. il Documento della Commissione europea, Taxation Trends in the European Union, Data for the EU Member States, Iceland and Norway, 2020 Edition.

2 Per un giudizio fortemente critico nei confronti di questa tesi, si veda D. BAIARDI, P. PROFETA, R. PUGLISI, S. SCABROSETTI, Tax Policy and economic growth: does it really matter?, in International Tax nad Public Finance, Springer, 11 maggio 2018, https://link.springer.com/article/10.1007%2Fs10797-018-9494-3, i quali osservano quanto segue: «When we extend the time period under investigation, consider the full sample of OECD countries or focus only on current members of the Eurozone neither the long-run relationship between tax burden and economic growth nor the relationships between revenue-neutral tax shifts and economic growth are statistically significant. Overall, our analysis provides a comprehensive assessment of these relationships which is robust to the choice of the investigated sample of countries and years. Our study also suggests that the inconsistent findings that appear in previous empirical contributions in the macroliterature may be due to the different – mainly arbitrary – choices about the sets of countries and years that different authors decide to include in their analyses. International organizations such as the IMF and the OECD, if they want to make sound policy recommendations — e.g., to move from direct to indirect taxation — need more robust analyses than the ones provided by Arnold et al. (2011)».

3 Sollevando peraltro, a sua volta, una serie di obiezioni sia in relazione alla mancata partecipazione al finanziamento dei Comuni proprio da parte di coloro che maggiormente fruiscono dei relativi servizi e che giudicano, votando, sull’operato dei propri amministratori (anche se in tale prospettiva occorrerebbe tenere conto della tassa sui rifiuti, il cui gettito complessivo si attesta intorno ai 10 mld di euro, che in taluni ordinamenti stranieri è parte integrante della service tax), sia in relazione alle stesse ipotesi di esclusione dall’esenzione, considerando che attualmente l’attribuzione della categoria A/1 è sostanzialmente “random” e che i beni riconosciuti di interesse storico possono indifferentemente essere classificati anche in una categoria “ordinaria” agevolata.

4 Il cui testo è stato pubblicato su Innovazione e diritto, n. 1/2021, pp. 1 e ss.

5 Https://www1.finanze.gov.it/finanze3/immobili/contenuti/immobili_2019.pdf.

6 MEF-Agenzia delle Entrate, Gli immobili in Italia 2019. Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare, p. 102.

7 MEF-Agenzia delle Entrate, Gli immobili in Italia 2019. Ricchezza, reddito e fiscalità immobiliare, p. 90.

8 M. AULENTA, L’intermediazione dei bilanci pubblici, tra tributi e spesa pubblica, in AA.VV. (a cura di A. Uricchio, M. Aulenta, P. Galeone e A. Ferri), I tributi comunali dentro e oltre la crisi, t. II, Bari, 2021, p. 19.

9 M. AULENTA, L’intermediazione dei bilanci pubblici, tra tributi e spesa pubblica, cit., p. 20.

10 C. COSCIANI, L’imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, Urbino, 1940, p. 122; G. DALLERA, voce Patrimonio (imposta sul), in Dig. Comm., vol. X, Torino, 1994, p. 490; G. STAMMATI, voce Patrimonio (imposta ordinaria sul), in Nss. Dig., vol. XII, Torino 1965, p. 646; M.S. KNOLL, Of Fruit and Trees : The Relationship Between Income and Wealth Taxes, 53 Tax L. Rev., 2000, p. 587 ss.; E. MORSELLI, Le imposte in Italia, VIII ed., Padova, 1965, p. 114; L. EINAUDI, Principii di scienza delle finanze, La firma sociale, Torino, 1932, p. 176; A. DE VITI DE MARCO, Principi di economia finanziaria, Torino, 1939, p. 184; A.D. GIANNINI, Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1938, p. 227.

11 Ci si riferisce alla nota pronuncia del 1995 (c.d. HalbteilungsgrundsatzBVerfGE 93, 121) che aveva ritenuto inammissibile, per violazione del diritto di proprietà, un’imposizione complessiva sui redditi di un imprenditore superiore al 50%, e alla successiva sentenza (BVerfGE, 2° Senato, 18-1-2006 - 2 BvR 2194/99), che, traendo argomento dall’art. 14, 2° co. della Costituzione tedesca – secondo cui “la proprietà deve servire anche al bene comune” – ha precisato che la sentenza del 1995 non andava letta nel senso che esiste un tetto massimo alla tassazione a difesa dell’economia privata e, in particolare, dei diritti proprietari, intendendo essa solo «gettare le basi per un giudizio di ragionevolezza circa la tassazione medesima». Ricorda peraltro E. MARELLO, Contributo allo studio delle imposte sul patrimonio, Milano, 2006, p. 64, come a seguito delle consistenti riduzioni di entrata e delle difficoltà amministrative conseguenti la sentenza, l’imposta è stata abrogata due anni dopo la pronuncia della rilevante decisione giurisprudenziale. Ricorda inoltre il CNEL nella propria audizione dinanzi alle Commissioni finanze sulla Riforma tributaria (2021), p. 22, nota 25, il caso della Impôt sur la fortune francese in cui, con alterne vicende, furono posti limiti superiori al livello complessivo del prelievo fiscale, inclusa la stessa ISF, in modo che non eccedesse una percentuale (da ultimo, la metà) del reddito imponibile.

12 A. URICCHIO, La riforma dei tributi comunali, in AA.VV. (a cura di A. Uricchio, M. Aulenta, P. Galeone e A. Ferri), I tributi comunali dentro e oltre la crisi, t. I, Bari, 2021, p. 55.

13 A. URICCHIO, La riforma dei tributi comunali, cit., pp. 57-58.

14 Disegno di legge “Delega al Governo per la riforma fiscale” (AC n. 3343 presentato il 29.10.2021), Art. 6 (Principi e criteri direttivi per la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e la revisione del catasto dei fabbricati): “1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il Governo osserva, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali fissati dal medesimo articolo 1, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi per modificare la disciplina relativa al sistema di rilevazione catastale al fine di modernizzare gli strumenti di individuazione e di controllo delle consistenze dei terreni e dei fabbricati: a) prevedere strumenti, da porre a disposizione dei comuni e dell’Agenzia delle entrate, atti a facilitare e ad accelerare l’individuazione e, eventualmente, il corretto classamento delle seguenti fattispecie: 1) gli immobili attualmente non censiti o che non rispettano la reale consistenza di fatto, la relativa destinazione d’uso ovvero la categoria catastale attribuita; 2) i terreni edificabili accatastati come agricoli; 3) gli immobili abusivi, individuando a tale fine specifici incentivi e forme di valorizzazione delle attività di accertamento svolte dai comuni in questo ambito, nonché garantendo la trasparenza delle medesime attività; b) prevedere strumenti e modelli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l’Agenzia delle entrate e i competenti uffici dei comuni nonché la loro coerenza ai fini dell’accatastamento delle unità immobiliari. 2. Il Governo è delegato altresì a prevedere, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, l’integrazione delle informazioni presenti nel catasto dei fabbricati in tutto il territorio nazionale, da rendere disponibile a decorrere dal 1° gennaio 2026, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi: a) prevedere che le informazioni rilevate secondo i princìpi di cui al presente comma non siano utilizzate per la determinazione della base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali; b) attribuire a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base, ove possibile, ai valori normali espressi dal mercato; c) prevedere meccanismi di adeguamento periodico dei valori patrimoniali e delle rendite delle unità immobiliari urbane, in relazione alla modificazione delle condizioni del mercato di riferimento e comunque non al di sopra del valore di mercato; d) prevedere, per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico, come individuate ai sensi dell’articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario che tengano conto dei particolari e più gravosi oneri di manutenzione e conservazione nonché del complesso dei vincoli legislativi rispetto alla destinazione, all’utilizzo, alla circolazione giuridica e al restauro di tali immobili”.

15 Andrebbe inoltre risolta la questione delle imposte dovute sui contratti preliminari di compravendita registrati e trascritti cui si applicano l’imposta di registro in misura fissa pari ad Euro 200, oltre, eventualmente, lo 0,50% sulle somme date a titolo di caparra ed il 3% sulle somme date a titolo di acconto prezzo non soggetti ad IVA e l’imposta ipotecaria fissa di Euro 200. In entrambi i casi, l’imposta pagata (0,50% o 3%) è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo, ma non anche dall’Iva dovuta in tale sede. Problema, quest’ultimo, che va risolto mediante la concessione di un credito di imposta.