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Regolazione e tassonomia delle banche cooperative nell'ordinamento italiano

Scritto da Gennaro Rotondo • dic 2019

Sintesi

Le banche cooperative disciplinate nell’ordinamento italiano sono rappresentate dalle due categorie delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo le quali hanno avuto percorsi evolutivi e regolamentari sensibilmente diversi. Lo scritto si propone di indagare se l’attuale tassonomia delle banche cooperative corrisponda alle originarie finalità mutualistiche di tali categorie di banche e di valutare in che misura abbiano inciso su questo percorso le riforme realizzate nell’ordinamento italiano.

Abstract

In the Italian legal system, the cooperative banks are represented by Popular Banks and Cooperative Credit Banks, that had significantly different evolutionary and regulatory paths. The paper aims to investigate whether the current taxonomy of cooperative banks corresponds to the original mutualistic purposes of these categories of banks, evaluating at the same time how the reforms in the Italian legal system are involved in this regard.

Contenuto

1. Premessa. Il genus delle “banche cooperative” nel Testo unico bancario

La cooperazione di credito nasce nella prima metà dell’ottocento e si evolve nell’alveo del diritto comune attraverso la conformazione degli statuti societari e le prassi operative concernenti l’erogazione di finanziamenti in favore delle economie locali. In questa fase di evoluzione del fenomeno, l’adozione della forma cooperativa non caratterizza il profilo causale del soggetto, ma ne disegna, sul piano strutturale, i tratti morfologici dati dalla partecipazione democratica e dalla variabilità del capitale.1

Su questa matrice si sono sviluppati i modelli delle “banche popolari” e delle “banche di credito cooperativo” (in precedenza casse rurali), che nel tempo avrebbero acquisito tratti organizzativi e operativi alquanto differenziati tra loro. Come si dirà, la maggiore divergenza attiene alla correlazione fra struttura societaria e funzione mutualistica che nelle banche di credito cooperativo (nel prosieguo anche “b.c.c.”) risulta particolarmente definita nonché coerente con la disciplina codicistica delle cooperative, mentre è decisamente più flebile nelle prime.2

Dunque, il Capo V del Titolo II del T.U.B. disciplina il genus delle banche cooperative costituito, come anticipato, dalle due species delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo. In particolare, l’art. 28 T.U.B., disponendo che l’esercizio dell’attività bancaria in forma cooperativa è riservato a queste due tipologie di banche, implementa le previsioni dell’art. 14, co. 1, T.U.B. in punto di previsione dei modelli societari (nel caso di specie, la società cooperativa per azioni a responsabilità limitata) richiesti quale condizione per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività bancaria.3

Le due categorie di banche cooperative disciplinate nel T.U.B. hanno avuto un percorso evolutivo non omogeneo. Difatti, la soluzione di ricomprendere in questo àmbito anche le banche popolari, malgrado le molteplici deviazioni dalla disciplina codicistica delle cooperative,4 è dipesa dall’originaria scelta di fondo di far divergere la regolazione speciale della categoria dai principi tipici della mutualità. Non a caso, tutte le leggi di riforma delle cooperative, nel tempo, hanno fatto salve le norme speciali dedicate alle banche popolari, in deroga rispetto alle disposizioni generali in materia di società cooperative. L’inclusione delle banche popolari nell’àmbito del Capo V, dunque, è stata oggetto di critiche fondate sulle caratteristiche di un peculiare percorso evolutivo che le ha allontanate in misura crescente dal mondo della cooperazione di credito,5 al punto da indurre alcuni studiosi a ritenere che esse fossero prive dell’originario scopo sociale (mutualistico).6

Di segno decisamente diverso è il percorso delle b.c.c. le quali hanno conservato intatta – almeno fino alla riforma del 2016 – la funzione tipizzante della categoria preordinata a supportare finanziariamente il tessuto economico in chiave di tutela delle realtà produttive del territorio.7

Per altro verso, va detto che la riconduzione di entrambe le species alla forma cooperativa sembra coerente con il ridimensionamento della centralità dello scopo mutualistico realizzata dalla riforma del diritto societario, la quale ha introdotto la distinzione tra cooperative “a mutualità prevalente” e “altre” cooperative.

A fronte della constatazione della perdita di specificità del modello societario cooperativo, le riforme realizzate in Italia si sono poste l’obiettivo di eliminare alcuni tratti distonici delle due categorie di banche in discorso. Motivo per cui il vigente quadro normativo si pone come la risultante di un processo di graduale tipizzazione degli enti creditizi orientato verso una forte limitazione dell’autonomia privata e un’accentuata compressione del pluralismo soggettivo nel settore bancario.

Gli esiti principali di questo percorso sono rappresentati dalle riforme delle banche popolari (Legge n. 33/2015) e delle b.c.c. (Legge n. 49/2016), interventi che hanno seguito linee di sviluppo differenti, sebbene accomunate da una stessa filosofia di fondo volta a consolidare il sistema creditizio, in linea con i principi dell’ordinamento europeo.

La revisione del modello organizzativo delle banche popolari si sostanzia nell’imposizione dell’obbligo di procedere ad una trasformazione in società per azioni (o a fusione con altra banca che adotti tale tipo societario) per quei soggetti che abbiano un attivo superiore a 8 miliardi di euro, da computare anche a livello consolidato.

Con riguardo alle b.c.c. la riforma impone un assetto organizzativo nella forma di gruppo bancario finalizzato a risolvere i paventati problemi di scarsa patrimonializzazione e di competizione in un contesto globalizzato, ma al contempo in grado di preservare le individualità delle singole banche e di attivare meccanismi reciproci di solidarietà.8

In sostanza, gli interventi realizzati si sono incentrati essenzialmente sul livello dimensionale degli enti appartenenti alla categoria, orientandosi, in primo luogo, al consolidamento del sistema creditizio in linea con le disposizioni prudenziali europee (CRD IV). L’adozione degli standard imposti dalla regolazione europea ha reso necessaria, infatti, una ridefinizione delle strategie imprenditoriali delle banche in esame al fine di realizzare livelli di efficienza operativa più elevati rispetto al passato, fondati sulla riduzione dei rischi e sul rafforzamento della trasparenza informativa.9

Il quadro teorico di riferimento degli enti preposti a svolgere attività bancaria in forma cooperativa in Italia, delineato dal T.U.B., va integrato con le disposizioni del Regolamento 2003/1435/CE,10 secondo il quale è possibile costituire una Società Cooperativa Europea per l’esercizio del credito (v. art. 8, co. 2, del Reg. 2003/1435/CE e 69 dello “statuto europeo”),11 purché le persone fisiche socie siano residenti in almeno due Stati membri. Per quanto non disposto direttamente dal citato Regolamento, la circ. 30 giugno 2006, n. 9203, del Ministero dello sviluppo economico individua il T.U.B. quale fonte applicabile in materia, per cui una Società Cooperativa Europea ad oggetto bancario, ove intenda stabilire la sede in Italia, deve necessariamente adottare la forma di banca popolare o di b.c.c..12


2. Ambito regolamentare delle banche cooperative e tipologia di vigilanza. Individuazione delle banche a mutualità prevalente sulla base delle norme generali e del testo unico bancario

La disciplina del T.U.B., come si accennava, individua a livello sistemico le banche che scelgono il modulo organizzativo mutualistico evidenziandone la duplice distinzione tipologica e sancendo l’inapplicabilità dei controlli governativi previsti dal Codice civile.13

Sul piano ermeneutico, come tradizionalmente accade, anche le norme speciali relative alle banche cooperative sono concepite in termini di prevalenza rispetto al diritto comune della mutualità. In tal senso, l’art. 2520 C.C. prevede che le disposizioni del codice civile relative alle imprese cooperative si applichino a quelle regolate da leggi speciali solo in quanto compatibili.14 A questa norma è collegato altresì l’art. 2545-quaterdescies C.C., che assoggetta le società cooperative “alle autorizzazioni, alla vigilanza, e agli altri controlli sulla gestione previsti da leggi speciali”.

Tale contesto logico trova il suo fulcro nell’art. 28, co. 2, T.U.B., secondo il quale alle banche cooperative non si applicano i controlli sulle società cooperative attribuiti all’autorità governativa; in tal modo, le sottrae al complesso dispositivo in tema di forme e procedimenti di controllo sulle società non lucrative di diritto comune, anche al fine di evitare contrasti nell’azione di vigilanza e subordinare la mutualità alla tutela della stabilità e della sana e prudente gestione delle banche.15

La supervisione bancaria – i cui principi fondanti sono indicati per tutte le banche all’art. 5 T.U.B. – si trova a interagire con la vigilanza mutualistica attraverso il filtro esegetico rappresentato proprio dal citato art. 28 T.U.B.. Difatti, il D.Lgs. n. 220/2002 (in materia di vigilanza sugli enti cooperativi) sottopone le b.c.c. a un sistema di controllo misto che prevede una ripartizione di compiti tra la Banca d’Italia (ex art. 47 Cost.) e il Ministero dello sviluppo economico (i cui poteri trovano fondamento nell’art. 45 Cost.), al quale è affidata precipuamente l’attività di accertamento dei requisiti mutualistici.

La disciplina secondaria (D.M. 22 dicembre 2005) obbliga sia il Ministero dello sviluppo economico che le associazioni di categoria a segnalare, senza indugio, aspetti di rilievo per le competenze della Banca d’Italia, la quale, invece, non è obbligata a fornire informazioni, ancorché venga a conoscenza di violazioni di regole mutualistiche.16 Esito che è solo attenuato nei suoi effetti dalla circostanza che la Banca d’Italia è tenuta a motivare, in contradditorio con l’altra autorità, le eventuali scelte pregiudizievoli per la mutualità.

La vigilanza cooperativa ministeriale si svolge mediante la revisione cooperativa, affidata a revisori incaricati dalle associazioni di rappresentanza, e volta ad accertare la natura mutualistica dell’ente, verificandone la legittimazione a beneficiare delle agevolazioni fiscali, previdenziali e di altra natura.

Le b.c.c. devono necessariamente iscriversi all’Albo nazionale degli enti cooperativi nella sezione delle cooperative “a mutualità prevalente” (ex art. 223-terdecies Disp. att. C.C.), dichiarando di appartenere a questa categoria. Difatti, l’art. 28, co. 2-bis, T.U.B., dispone che sono considerate “a mutualità prevalente” le b.c.c. che rispettano i requisiti previsti dall’art. 2514 C.C., il che consente di godere dei vantaggi fiscali specificamente previsti per tale tipologia di cooperative.17 Nell’ipotesi in cui una b.c.c. perda di fatto questa connotazione, spetta al Ministero dello sviluppo economico provvedere al suo declassamento nella sezione delle cooperative a mutualità non prevalente.18

Le banche popolari, invece, sono vigilate integralmente dalla Banca d’Italia, dal momento che il D.Lgs. n. 220/2002 nulla dispone al riguardo. Esse non hanno accesso ai benefici fiscali, ossia sono cooperative “a mutualità non prevalente”. Alle banche popolari, d’altra parte, non si applicano le disposizioni delle leggi speciali sulla cooperazione e, in particolare, quelle che sono alla base dei vantaggi fiscali (tra le altre, ad esempio, la Legge “Basevi”, D.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577; v. art. 29 T.U.B.).19

Purtuttavia, residua un àmbito, sia pure molto circoscritto, nel quale si esplica una funzione di controllo, quantomeno formale, da parte della vigilanza cooperativa e cioè con riguardo all’accertamento dei presupposti dell’iscrizione all’Albo delle società cooperative e della cancellazione dallo stesso, ai sensi dell’art. 223-terdecies Disp. att. C.C.. Ciò in quanto, anche per le banche popolari, l’iscrizione all’Albo ha la funzione di ricomprenderle nel novero degli enti cooperativi, rendendo a tal fine preliminare e necessaria la loro rilevazione anagrafica. L’albo si compone, come si accennava, di una sezione delle cooperative a mutualità prevalente ed una per quelle a mutualità non prevalente, sicché ai sensi dell’art. 150-bis T.U.B. le banche popolari sono obbligate a iscriversi nella seconda sezione.20

La natura di cooperative a mutualità prevalente delle sole b.c.c. è dichiarata dall’art. 28, co. 2-bis, T.U.B., come si è detto, in funzione del rispetto dei requisiti di mutualità statutari (art. 2514, co. 1, C.C.) e di operatività (art. 35 T.U.B.). Resta ferma l’eventualità del venir meno di tale connotazione al verificarsi delle condizioni previste dagli artt. 2545-octies C.C. e 150 T.U.B..

In definitiva, i tratti della disciplina qui esaminati confermano, nel contesto della realtà associativa, il crescente divario tra forma e scopi perseguiti, con la conseguenza che la funzione mutualistica conserva la sua originaria valenza unicamente nei confronti di quelle cooperative il cui fondamento causale si identifichi con lo scopo mutualistico.21


3. Il recesso dalle banche cooperative

Le norme generali relative alla posizione giuridica degli azionisti di società di capitali (artt. 2437 e 2532 C.C.) sono ritenute applicabili alle cooperative, fermo restando il principio secondo cui il diritto di recesso può essere esercitato esclusivamente nei casi previsti dalla legge e dallo statuto.

Ebbene, il comma 2-ter dell’art. 28 T.U.B. attesta la centralità del tema del recesso nell’assetto disciplinare delle banche a struttura cooperativa. La norma si occupa, infatti, del diritto al rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale22 al socio recedente, attribuendo alla Banca d’Italia la facoltà di limitare tale diritto, anche in deroga a norme di legge, quando ciò sia necessario per assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza (rectius nei “fondi propri”)23 di qualità primaria della banca. Per tale via, si incide significativamente sul diritto al rimborso dei soci, finendo così per depotenziare il tradizionale ruolo attribuito al diritto di recesso in funzione di tutela delle minoranze azionarie.24 In sostanza, la verifica della legittimità del contenuto precettivo dell’art. 28, co. 2-ter, T.U.B. deve avvenire mediante l’individuazione dell’equilibrio fra l’interesse del socio a disinvestire le proprie risorse e quello della banca a preservare il capitale di qualità primaria.25

Su queste basi, la Banca d’Italia ha emanato le disposizioni secondarie,26 prevedendo che le banche cooperative introducano, all’interno degli statuti, una clausola che attribuisca, anche in deroga alle disposizioni del codice civile e ad altre norme di legge, all’organo con funzione di supervisione strategica – su proposta dell’organo di gestione, sentito quello di controllo – la facoltà di limitare o rinviare, in tutto o in parte e senza limiti di tempo, il rimborso delle azioni e degli altri strumenti di capitale del socio uscente per recesso (anche in caso di trasformazione), esclusione o morte.

L’attribuzione all’organo di vigilanza di uno specifico potere di intervento consente di condizionare il recesso a valutazioni da svolgersi sulla base di un criterio guida (fissato dalla legge) conforme alle esigenze di stabilità sistemica. Le regole sull’adeguatezza patrimoniale, infatti, impongono alle banche determinati requisiti di capitale, al fine di fronteggiare efficacemente i rischi operativi.27 La decisione della banca sul punto, pertanto, non presenta margini apprezzabili di discrezionalità, in quanto si fonda sull’esigenza di preservare il patrimonio, anche al fine di garantire la solvibilità dell’ente. Dal che sembra potersi ricavare che la decisione dell’organo gestorio debba essere sempre congruamente motivata, esplicitando gli indici patrimoniali e di bilancio che giustifichino l’adozione di tale misura, anche al fine di consentire alla Banca d’Italia una compiuta valutazione in punto di legittimità della deliberazione.

Per altro verso, dal tenore delle disposizioni di vigilanza si desume che oggetto della limitazione non è il diritto di recesso nei suoi elementi legittimanti, quanto gli effetti economici, ossia il rimborso della partecipazione di un singolo socio recedente. La disciplina prudenziale, pertanto, risulta funzionalizzata a regolare esclusivamente l’esigenza di evitare un flusso in uscita di fondi propri, nelle evenienze in cui ciò risulti potenzialmente pericoloso per la stabilità della banca.28 Infine, può ritenersi che la locuzione «in tutto o in parte», prevista dalla norma, vada riferita sia alla limitazione che al rinvio del rimborso.29


3.1. La matrice di derivazione europea della disciplina italiana

L’impatto applicativo delle previsioni in commento, anche in termini di discrezionalità concessa all’autorità di vigilanza, ha suscitato critiche da parte della giurisprudenza, in particolare per quanto riguarda la vincolatività e la conformità al dettato legislativo delle disposizioni della Banca d’Italia, nonché con riferimento all’ammissibilità delle modifiche statutarie che consentano agli amministratori di vietare, indefinitamente, il rimborso delle azioni. Circostanza, questa, che ha reso necessario operare alcuni chiarimenti ermeneutici circa il fondamento del potere regolamentare concesso dalla norma.

Sul punto è stato ricordato, infatti, che le disposizioni europee – e, segnatamente, gli artt. 28, 29, par. 2, 77 e 78 del Regolamento UE n. 575/2013 (“CRR”), nonché gli artt. 10 e 11 del Regolamento delegato n. 241/2014 – subordinano l’inclusione delle azioni nel CET1 delle banche cooperative al rispetto di precisi requisiti. In particolare, qualora l’ordinamento interno non consenta di rifiutare il rimborso delle azioni (come avviene nel diritto societario italiano), la normativa nazionale deve contemplare la facoltà della banca di “limitare il rimborso” prevedendo sia il diritto di rinviarlo sia di ridurre l’importo rimborsabile, anche per un arco temporale non definito.30 Ne consegue che il legislatore nazionale non risulta libero di operare scelte di segno diverso in ordine alle modalità ablative delineate dall’ordinamento europeo, dovendo assicurare alla banca cooperativa la possibilità di adottare i provvedimenti all’uopo necessari affinché le azioni possano continuare ad essere incluse nel capitale di qualità primaria.31

L’idoneità della norma a derogare la disciplina societaria, sarebbe quindi da imputarsi alle richiamate disposizioni europee, in virtù del generale principio di primazia del diritto dell’Unione.32

Quanto precede consente, quindi, di ritenere che le norme in materia di rimborso dei fondi propri delle banche contenute nel CRR e nel Regolamento delegato abbiano diretta applicabilità negli ordinamenti degli Stati membri, rendendo vincolato l’intervento attuativo delle norme di vigilanza nazionali.

Su queste basi, la Corte costituzionale (sent. 15 maggio 2018, n. 99), come è noto, ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato (ord. 2 dicembre 2016, n. 5383), confermando che la disciplina in commento costituisce corretta attuazione della normativa europea. Tuttavia, la vicenda è stata poi rimessa dal Consiglio di Stato (a seguito della presentazione di ulteriori quesiti pregiudiziali nel giudizio di merito) alla Corte di giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E..33 Quest’ultima viene, dunque, chiamata a intervenire per porre un punto, almeno in via giurisprudenziale, al dibattito sulla esatta interpretazione della fonte sovranazionale, e porre termine così a una fase alquanto “controversa” dell’applicazione della disposizione del T.U.B. (art. 28), al fine (si auspica) di delineare indirizzi applicativi coerenti e condivisi.34


4. Alcune osservazioni conclusive

La cornice regolamentare della cooperazione di credito nell’ordinamento italiano trova espressione in una norma del T.U.B. – l’art. 28 – la quale presenta però diversi profili di distonia rispetto alle originarie finalità che hanno indotto il legislatore a concepire le due tipologie di banche cooperative in discorso. Sulle perplessità che parte della dottrina esprime sulle banche popolari, in termini di permanenza nella categoria delle banche mutualistiche, ci si è soffermati in precedenza. Quanto all’assetto complessivo, scaturito dalle citate riforme, va ricordato che la teoria economica non è riuscita a dimostrare la migliore performance delle banche s.p.a. rispetto a quelle cooperative, laddove diversi studi hanno confermato, all’opposto, che queste ultime spesso hanno retto meglio gli effetti della crisi finanziaria del 2008, continuando, in particolare, ad assicurare flussi di credito alle economie locali. E nonostante queste evidenze, il legislatore ha posto in essere interventi chiaramente pregiudizievoli dell’autonomia privata e della biodiversità del sistema bancario, riducendo fortemente le prospettive di sviluppo e il peso specifico della cooperazione nel mercato creditizio. Occorrerebbe, pertanto, interrogarsi a fondo sull’opportunità di proseguire sulla strada tracciata dalle riforme di settore – indirizzate nettamente nel senso di una radicale semplificazione soggettiva delle forme richieste per lo svolgimento dell’attività creditizia35 – ovvero se non sia necessario piuttosto “cambiare direzione” al fine di preservare i modelli operativi mutualistici, specie in considerazione del ruolo essenziale che le banche cooperative, soprattutto quelle a mutualità prevalente, svolgono per i territori di riferimento e, di riflesso, per l’intera economia di Paesi (come l’Italia) fondati su un tessuto imprenditoriale di piccole e medie imprese.

1 Cfr. R. Costi, L’ordinamento bancario, Bologna, 2012, p. 410; F. Salerno, Il governo delle banche cooperative, Milano, 2013, p. 32.

2 La cui forma giuridica trova riconoscimento tipologico nel r.d.l. 21 ottobre 1923, n. 2413, che vieta alle società di credito non costituite come cooperative «di conservare e di assumere nella loro denominazione la qualifica di “popolare”», v. Trib. Verona, 3 luglio 1995.

3 Così, G. D’Amico, Commento sub art. 28, in F. Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Padova, 2001, pp. 228 e s..

4 Scelta che ha trovato conferma nell’art. 40 del D.Lgs. n. 481/1992 e, subito dopo, nell’art. 28, co. 1. Sul punto, v. R. Costi, La cooperazione di credito nel quadro della riforma cooperativistica, primi appunti, in G. Bucci - A. Cerrai (a cura di), La riforma della legislazione sulle cooperative, Giuffré, Milano, 1979, pp. 341 e ss.; M. Tola, La trasformazione “obbligatoria” delle banche popolari al vaglio di costituzionalità (nota a T.A.R. Lazio, III sez., 7.6.2016, n. 10717), in Le nuove leggi civili commentate, 2016, 7, p. 1580.

5 Cfr. P. Marchetti, Osservazioni sulla riforma della disciplina delle azioni di banche popolari, in Contratto e impresa, 1993, pp. 81 e ss.; F. Capriglione, Le banche cooperative e il nuovo diritto societario. Problematiche e prospettive, in Banca, borsa, titoli di credito, 2005, I, pp. 134 e ss.

6 Così, L. Tuccari, L’ideale e il vero nelle funzioni delle banche popolari, in Giornale degli economisti, 1913, p. 422; G. Ferri, Banca popolare, in Enc. dir., Giuffré, Milano, 1959, V, 13, secondo il quale le banche popolari della cooperativa conservano la forma ma non riproducono la sostanza.

7 Cfr. P. De Vecchis, Commento sub art. 5 l.b., in F. Capriglione - V. Mezzacapo (a cura di), Codice commentato della banca, Giuffré Editore, Milano, 1990, t. I, p. 102.

8 Cfr. F. Capriglione, Commento sub art. 28, in F. Capriglione (diretto da), Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, 2018, cit., t. I, pp. 303 e ss.; E. Pagani, Commento sub art. 28, in R. Costi - F. Vella (a cura di), Commentario breve al testo unico bancario, Milano, 2019, p. 140.

9 Così, F. Capriglione, Nuova finanza e sistema italiano, Milano, 2016, pp. 103 e ss.; F. Capriglione, Commento sub art. 28, cit., p. 303.

10 Sul quale v. A. Fici - D. Galletti (a cura di), La società cooperativa europea. Quali prospettive per la cooperazione italiana?, Università di Trento, 2006; A. Fici, The European Cooperative Society Regulation, in D. Cracogna - A. Fici - H. Henrÿ (a cura di), International Handbook of Cooperative Law, Berlin-Heidelberg, 2013, pp. 115 e ss..

11 Cfr. D. Albamonte, Lo statuto della società cooperativa europea, in F. Capriglione (a cura di), La nuova disciplina della società europea, Padova, 2008, 307 s.; V. Santoro, Commento sub art. 33, in Porzio et al. (a cura di), Testo unico bancario, Milano, 2010, p. 327; P. Marano, La Società Cooperativa Europea e le politiche comunitarie per reti e gruppi di imprese, in Rivista della cooperazione, 2006, 16; V. Santoro - G. Romano, L’ultimo atto di riforma delle banche popolari (d.l. 24 gennaio 2015 n. 3, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2015, n. 33), in Le nuove leggi civili commentate, 2016, I, p. 259.

12 In argomento, v. R. Genco, Le operazioni straordinarie e il trasferimento di sede della Società Cooperativa Europea, in Rivista della cooperazione, 2005, pp. 104 e ss.; V. Santoro - G. Romano, op. cit., p. 260.

13 Introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003, su cui v., tra gli altri, E. De Lillo, Commento sub artt. 28-37 T.U.B., in G. Alpa - P. Zatti (a cura di), Le leggi complementari, Padova, 2009, pp. 703 e ss..

14 Cfr. E. Pagani, Commento sub art. 28, cit., p. 140.

15 Cfr. G. D’Amico, Commento sub art. 28, cit., pp. 675 e s.; F. Capriglione, Commento sub art. 28, cit., pp. 299 e s..

16 Cfr. V. Santoro, Commento sub art. 28, in M. Porzio e al., Testo unico bancario, Commentario, Giuffré Editore, Milano, 2010, pp. 268 e s..

17 Cfr. E. Pagani, Commento sub art. 28, cit., p. 142.

18 Cfr. V. Santoro, Commento sub art. 28, cit., pp. 271 e s..

19 Cfr. N. Ciocca, Riforme delle banche cooperative: riassetti organizzativi e possibili riequilibri di potere, in Banca, borsa, tit. cred., 2018, I, pp. 22 e s..

20 Cfr. V. Santoro, Commento sub art. 28, cit., pp. 273 e ss..

21 Cfr. F. Capriglione, Commento sub art. 28, cit., pp. 301 e ss..

22 Cfr. A. Urbani, Brevi considerazioni in tema di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio nella riforma della disciplina delle banche popolari, in Ricerche giuridiche, 2015, 4, 1, p. 29.

23 Cfr. A. Urbani, op. cit., p. 26; A. Sacco Ginevri, Il recesso del socio nelle banche cooperative (commento a Trib. Napoli, ord. 24.3.2016), in La Nuova giurisprudenza civile commentata, 2016, p. 1504.

24 Cfr. F. Di Ciommo, Il diritto di recesso nella riforma delle banche popolari, in Foro italiano, 2015, pp. 10 e s..

25 Cfr. A. Sacco Ginevri, op. cit., pp. 1502 e s..

26 Con il 9° Aggiornamento del 9 giugno 2015 alle “Disposizioni di vigilanza per le banche” contenute nella Circ. 17 dicembre 2013, n. 285.

27 Cfr. F. Capriglione, Commento sub art. 28, cit., pp. 308 e s..

28 Cfr. M. Sagliocca, Il quinquennio della tormentata riforma delle banche popolari, in Rivista del Notariato, 2019, pp. 1054 e s..

29 Cfr. M. Sagliocca, op. cit., pp. 1056 e s.; G. Romano, Recesso e limiti al rimborso delle azioni nelle banche (in specie cooperative) tra diritto societario, regole europee di capital maintenance e “principio” del bail-in, in Rivista delle società, 2017, p. 14.

30 Secondo la Corte cost. l’enunciato precettivo sopra ricordato si presenta inequivoco e ciò impedisce il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267, comma 3, del T.F.U.E..

31 E. De Chiara, Rinvio e limitazione del rimborso in caso di recesso e poteri normativi della Banca d’Italia (nota a Corte cost., 15 maggio 2018, n. 99), in Le Società, 2018, 7, pp. 831 e s.; Romano, op. cit., p. 20.

32 Cfr. E. De Chiara, op. cit., p. 834; M. Lamandini, La riforma delle banche popolari al vaglio della Corte costituzionale, in Le Società, 2017, p. 161, il quale ricorda che le norme del diritto europeo, si presumono valide fino a che non siano dichiarate invalide dalla Corte di giustizia, rimanendo fino a quel momento pienamente efficaci. Tale potere non spetterebbe invece alle corti nazionali, per cui se la disciplina nazionale si limita meramente ad attuare la disciplina europea nel rispetto del principio del minimo mezzo, il primato del diritto europeo impedirebbe al diritto interno di prevalere sulla disciplina europea e non consentirebbe ad un giudice interno di disapplicarla fino a quando la Corte di giustizia non l’abbia dichiarata illegittima. Cfr. Corte giust., 6 ottobre 2015, in causa C-362/14, Schrems, par. 61; Corte giust., 13 febbraio 1979, in causa C-101/78, Granaria, parr. 4-5; Corte giust., 28 aprile 2015, in causa C-456/13, T&L Sugars, parr. 45-48.

33 V. artt. 28 e 29 Regol. 575/2013/UE del 26 giugno 2013; le condizioni dell’autorizzazione al rimborso sono specificate all’art. 10 del Regol. delegato 241/2014/UE del 7 gennaio 2014. Sul punto v. N. Ciocca, Riforme delle banche cooperative, cit., pp. 29 e s.; E. Pagani, Commento sub art. 28, cit., p. 143.

34 Cfr. M. Sagliocca, op. cit., p. 1059.

35 Cfr. E. De Chiara, Rinvio e limitazione, cit., p. 840.