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Relazione sui Progetti di legge recanti: “Delega al Governo per la riforma fiscale” (C. 75 Marattin e C. 1038 Governo)

Scritto da Giuseppe Melis • mag 2023

Sintesi

La presente relazione è stata elaborata in occasione del ciclo di audizioni tenutesi dinanzi alla 6ª Commissione (Finanze) della Camera dei deputati in relazione ai progetti di legge recanti delega al Governo per la riforma fiscale. Esso si concentra sui profili generali della riforma, in particolare: sulla certezza del diritto e la tutela dell’affidamento, sulle garanzie procedimentali, sulla riforma del sistema sanzionatorio e sul contrasto all’evasione e, infine, sul contenzioso tributario.

Abstract

ABSTRACT. This report was prepared as a contribution to the round of hearings held before the 6th Commission (Finance) of the Chamber of Deputies with respect to the draft version of the law delegating the Government for the tax reform. It focuses on the general aspects of the reform and, in particular, on legal certainty and protection of legitimate expectations, procedural guarantees, reform of the penalty system and fight against tax evasion, and, finally, tax litigation.

Contenuto

1. Sul rapporto tra i Progetti di legge C. 75 e C. 1038

La questione preliminare che si pone riguarda il rapporto tra i due Progetti di legge recanti «Delega al Governo per la riforma fiscale», rispettivamente il C. 75 Marattin, che riproduce integralmente il Disegno di legge delega per la riforma del sistema fiscale, presentato dal Governo all’epoca in carica nella scorsa legislatura e modificato dalla Camera dei deputati, da un lato; e il Disegno di legge C. 1038 Governo, contenente delega al Governo per la riforma fiscale e deliberato dal Consiglio dei Ministri del 16 marzo 2023, dall’altro.

La differenza tra i due testi è già a prima vista quantitativa, perché la nuova delega è dal punto di vista dimensionale quasi quattro volte tanto la delega precedente, e ciò per un duplice motivo: perché, per un verso, essa si occupa di diversi argomenti in più e, per altro verso, tratta gli argomenti “comuni” alle due deleghe con un livello di dettaglio molto maggiore.

Occorre peraltro dare atto dell’importanza che l’insieme di idee maturate all’esito dell’imponente ciclo di audizioni svolto nella precedente legislatura dalle Commissioni parlamentari competenti presiedute dall’On.le Marattin e dal Sen. D’Alfonso ha rivestito per la nuova delega.

Manca, rispetto alla precedente delega, la revisione generalizzata del catasto, ma ritengo personalmente corretta la scelta di abbandonare l’ipotesi della “doppia rendita” – vale a dire una rendita effettiva, ma momentaneamente “sterilizzata” ai fini fiscali da affiancare alla rendita catastale attuale – poiché, in mancanza di una norma di salvaguardia sul gettito complessivo dei tributi c.d. “immobiliari”, avrebbe posto le basi, al momento del venir meno della “sterilizzazione”, per un incremento di tassazione di quasi tutte le unità immobiliari italiane, rappresentando oggi le ipotesi in cui la rendita effettiva supera quella catastale la normalità dei casi, essendo le prime mediamente il doppio delle seconde. Salvo ipotizzare lo svolgimento di un lavoro sostanzialmente inutile, un domani che un qualsiasi governo avesse fatto venire meno la disposta “sterilizzazione”, tutti avrebbero pagato proporzionalmente in modo più equo, ma, al tempo stesso, tutti avrebbero pagato di più.(1)


2. Sulle caratteristiche "strutturali" della nuova delega

La nuova delega è a mio avviso una delega assai robusta che attraversa “a 360 gradi” il nostro sistema tributario, intercettandone le principali inefficienze e proponendo soluzioni molto equilibrate che, da un lato, tutelano gli interessi dell’Erario ma, che, dall’altro, tengono in dovuto conto anche gli interessi dei contribuenti, che non sono sudditi.

È una delega globale, perché tocca sostanzialmente l’intero sistema; moderna, perché lo allinea agli orientamenti internazionali ed europei; giusta, perché persegue un corretto equilibrio tra gli interessi erariali e quelli del contribuente.

Il suo obiettivo è di rendere il nostro sistema maggiormente competitivo aumentandone l’appeal verso gli investimenti dall’estero e mantenendo qui le imprese che attualmente già vi operano.

Il tessuto economico delle PMI – ma direi l’intero tessuto imprenditoriale – può infatti beneficiare della delega soprattutto, perché, oltre al restyling dei singoli tributi, essa si occupa anche dei grandi temi, consistenti nel restituire certezza al diritto tributario, nell’aumentare il livello di tutela dell’affidamento dei contribuenti, nel potenziare le garanzie del contribuente nella fase dell’accertamento e della riscossione, nel restituire proporzionalità al sistema sanzionatorio, nell’intervenire su taluni aspetti fondamentali del processo tributario non adeguatamente affrontati dalla L. n. 130 del 2022 di riforma dell’ordinamento e del processo tributari.

Mi occuperò dunque nel mio intervento essenzialmente di questi temi generali di fondo, fermo restando, come anticipato, che numerosissimi interventi sono previsti anche sul fronte dei singoli tributi, dall’Irpef – toccando tutte le categorie reddituali: redditi fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di impresa, redditi diversi – all’Ires, dall’IVA ai tributi indiretti minori, dalle accise sino alla fiscalità dei giochi; e via proseguendo.

Tutto ciò costituirà una grande occasione per una revisione generale delle relative discipline e per rimuovere le principali problematiche interpretative, “asimmetrie” e lacune tuttora presenti nei rispettivi tessuti normativi.


3. Sulla certezza del diritto e la tutela dell'affidamento

Il D.D.L. di Riforma fiscale prevede tra i principi e criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla Legge 27 luglio 2000, n. 212, quale legge generale tributaria, quello di «valorizzare il principio del legittimo affidamento del contribuente e il principio di certezza del diritto».

Tale obiettivo trova conforto, come meglio si vedrà oltre, nella disposizione che prevede tra i principi e criteri direttivi generali quello di «garantire l’adeguamento del diritto tributario nazionale ai principi dell’ordinamento tributario e agli standard di protezione dei diritti stabiliti dal Diritto dell’Unione europea, tenendo anche conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in materia tributaria», posto che proprio da tale giurisprudenza provengono impulsi significativi per un incisivo intervento volto alla tutela del principio della certezza del diritto e dell’affidamento.

L’esigenza di maggiore certezza trapela anche da numerose ulteriori disposizioni specifiche contenute nella delega, tra cui, in via meramente esemplificativa, quelle volte:

  • a far chiarezza sul regime impositivo di determinate fattispecie: si pensi, ad es., alle plusvalenze conseguite su opere d’arte, oggetto di indebita estensione interpretativa giurisprudenziale tra i redditi diversi da cui pur ontologicamente dovrebbero essere escluse (non esiste, infatti, la categoria giuridica tributaria dello speculatore “occasionale” elaborata dalla giurisprudenza);

  • a “riallineare” la normativa di interi settori impositivi: ad es., l’IVA, i cui presupposti vanno ridefiniti «al fine di renderli più aderenti alla normativa europea» e così superare l’incertezza che spesso si registra in sede giurisprudenziale;

  • a ripristinare la certezza sui termini di accertamento: ad es., la relativa decorrenza per i componenti ad efficacia pluriennale e per le perdite, che addirittura obbligavano a conservare la documentazione contabile per decenni. Le due ipotesi previste andrebbero tuttavia integrate con riferimento alle eccedenze di imposta IVA chieste a rimborso: la circostanza che anche in questo caso i termini di accertamento decorrano dalla loro esposizione in dichiarazione emerge già adesso dall’art. 57, co. 3, D.P.R. n. 633/1972, poiché nel caso in cui l’eccedenza sia chiesta a rimborso i “termini di decadenza” di cui all’art. 57, co. 1, D.P.R. n. 633/1972 vengono “differiti” in presenza di un ritardo superiore a 15 giorni da parte del contribuente nella consegna della documentazione richiesta dall’Ufficio. Sennonché le Sezioni Unite (Cass., n. 21765 e 21766 del 2021) hanno fornito una lettura restrittiva di tale disposizione, limitandola all’IVA sulle operazioni attive e lasciando invece la componente passiva (l’IVA detratta) di tale eccedenza priva di un termine di accertamento, così legittimando l’Amministrazione finanziaria a contestare sine die le richieste di rimborso IVA e a richiedere documentazione probatoria del diritto a detrazione persino relativamente a periodi di imposta per i quali è decorso il termine di conservazione delle scritture contabili. Questa situazione, che peraltro suscita dubbi di legittimità costituzionale alla luce della recente giurisprudenza (Corte cost., n. 200 del 2021) e che comunque comporta un ingiustificato pregiudizio per le ipotesi di rimborso dell’eccedenza rispetto a quelle in cui l’eccedenza venga riportata in avanti per essere utilizzata successivamente ovvero compensata, sta dispiegando effetti fortemente negativi sulla circolazione dei crediti IVA soprattutto nelle procedure concorsuali, peraltro preconizzati dalla stessa ordinanza della Cassazione n. 15525 del 2020 di remissione alle SS.UU., con grave pregiudizio per il ceto creditorio. Si rende, pertanto, necessario intervenire per chiarire che si tratta di fattispecie pacificamente riconducibili all’attività di accertamento e dunque da esperire nei termini ordinari a tal fine previsti.

  • a predisporre testi unici e a prevedere una disciplina unitaria per tutti i tributi relativamente a soggetti passivi, obbligazione tributaria (dichiarazione, accertamento, riscossione), sanzioni e processo.

Come noto, la tutela dell’affidamento – anche e soprattutto degli operatori economici che investono – costituisce secondo la Corte costituzionale «una condizione essenziale della vita associata e rappresenta una «ricaduta e declinazione “soggettiva”» della certezza del diritto,(2) la quale, a propria volta, integra un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto»,(3) connaturato tanto all’ordinamento nazionale, quanto al sistema giuridico sovranazionale.(4) Il valore della certezza dei rapporti giuridici è di certo suscettibile di limitazioni dovendosi «sottoporre al normale bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali».(5) Tali limitazioni devono però essere giustificate dall’esigenza di tutelare altri principi, diritti e beni di rilievo costituzionale. La compromissione del bene della certezza, pur quando funzionale alla tutela di altri beni di analogo pregio, non può compiersi «senza una equilibrata valutazione comparativa degli interessi in gioco e deve comunque rispettare i principi di proporzionalità e ragionevolezza».(6)

Con particolare riferimento alla certezza del diritto e alla tutela dell’affidamento, si tratta di intervenire sull’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, al fine:

  • di tenere conto dell’evoluzione giurisprudenziale maturata sul suo primo comma: infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, nonostante nel caso di “affidamento” nell’attività interpretativa dell’Amministrazione finanziaria resa al di fuori della procedura di interpello, l’art. 10, comma 2, Legge n. 212/2000 prevede la non applicabilità solo di sanzioni ed interessi – disposizione che la giurisprudenza aveva ritenuto inizialmente non preclusiva della possibilità di incidere sullo stesso tributo, salvo poi affermare successivamente l’efficacia esimente del principio dell’affidamento in ordine ai soli profili sanzionatori, risarcitori ed accessori,(7) e ciò pur non mancando casi in cui la stessa Amministrazione ha ritenuto di escludere la debenza del tributo(8) –. Stante tale interpretazione, deve comunque assegnarsi portata espansiva al principio di collaborazione e buona fede di cui all’art. 10, comma 1, dello Statuto,(9) dovendosene correlare l’applicazione alle caratteristiche proprie della specifica fattispecie. Più esattamente, secondo la giurisprudenza, la situazione di affidamento tutelabile è caratterizzata: a) da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, ricavabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee ad indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono. In tali ipotesi, anche la debenza del tributo è destinata a venir meno. (10) Si tratta pertanto di una evoluzione giurisprudenziale di cui l’art. 10 dello Statuto deve adesso “cristallizzare”.

  • di recepire la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in tema di affidamento “rafforzato” sui tributi di fonte unionale, avendo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE da tempo affermato l’efficacia esimente dell’affidamento anche in relazione ai tributi,(11) con l’unica eccezione della mera “prassi illegittima”.(12) Sicché neanche il tributo è dovuto ove sussistano i requisiti essenziali della tutela del legittimo affidamento, consistenti nel fatto che «gli atti dell’Autorità amministrativa abbiano ingenerato fondate aspettative in capo ad un operatore economico prudente ed accorto» e nella «legittimità di tali aspettative», nel senso che esse provengano «dall’Autorità nazionale competente a rispondere alle domande poste dai cittadini in ordine a problemi giuridici in materia di fiscalità».

Il comma 2 dell’art. 10, laddove prevede la sola non applicazione di sanzioni ed interessi, è dunque contrario al diritto unionale e deve essere integrato.

di intervenire in modo più incisivo sulle obiettive condizioni di incertezza, recependo l’elaborazione giurisprudenziale – che, come noto, in proposito, ha enucleato un elenco di “fatti indice”,(13) ancorché non esaustivo, del fenomeno della c.d. incertezza normativa oggettiva, di cui, tuttavia, non sempre i giudici tengono debitamente conto – e prevedendone l’applicazione anche d’ufficio in ogni grado di giudizio, circostanza sin qui negata dalla giurisprudenza di legittimità.


4. Sulle garanzie procedimentali

Notevoli sono le innovazioni sul fronte delle garanzie procedimentali.


4.1. Il diritto al contraddittorio e il diritto di accesso agli atti

L’innovazione più dirompente è quella contenuta all’art. 17, comma 1, lett. b), laddove viene previsto di «applicare in via generalizzata il principio del contraddittorio, a pena di nullità, fuori dai casi dei controlli automatizzati e delle ulteriori forme di accertamento di carattere sostanzialmente automatizzato e prevedere una disposizione generale sul diritto del contribuente a partecipare al procedimento tributario, secondo le seguenti caratteristiche: 1) disciplina omogenea indipendentemente dalle modalità con cui si svolge il controllo; 2) termine congruo a favore del contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento; 3) obbligo da parte dell’ente impositore di motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente; 4) estensione del livello di maggior tutela previsto dall’articolo 12, comma 7, della citata legge n. 212 del 2000». A ciò si aggiunge l’art. 4, comma 1, lett. e), che dispone di «prevedere una generale applicazione del principio del contraddittorio a pena di nullità», ma fondamentale in chiave ricostruttiva è anche la precedente lett. d), relativa alla necessità di «prevedere una disciplina generale del diritto di accesso agli atti del procedimento tributario».

Il D.d.L. chiarisce, dunque, bene la struttura “portante” dell’intervento, senza demandare a fonti secondarie le specificazioni più importanti.

Innanzitutto, si tratterà di una norma statutaria, come tale applicabile anche agli enti locali e, pur se sprovvista di forza costituzionale, dotata di quella particolare forza di “interpretazione adeguatrice” che alle disposizioni dello Statuto la giurisprudenza ha inteso assegnare.(14)

In secondo luogo, verrà superata la distinzione tra accertamenti previo accesso e accertamenti “a tavolino”, sicché il contraddittorio dovrà essere garantito quali che siano le modalità di controllo adottate. Verrà anche meno ogni riferimento alla parzialità o meno dell’avviso di accertamento e, con esso, ogni defatigante discussione sul se quel tipo di accertamento avrebbe potuto o meno riversarsi in un avviso di accertamento parziale. Occorrerà naturalmente escludere le ipotesi di controlli automatizzati ed essenzialmente automatizzati, tali da rendere superfluo (o ad intensità attenuata) il contraddittorio.

In terzo luogo, verrà garantita l’effettività del contraddittorio, con la previsione di un termine congruo a favore del contribuente per replicare alle conclusioni cui l’Amministrazione è giunta al termine dell’attività istruttoria e l’obbligo dell’Amministrazione di pronunciarsi espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente, così che l’atto conclusivo rappresenti il frutto di un profondo convincimento maturato dall’Amministrazione finanziaria sulla legittimità (e sostenibilità) della propria pretesa.

In quarto luogo, verrà meno la “prova di resistenza”, il cui significato, assolutamente vago, costituisce fonte di ulteriore contenzioso che la relativa soppressione è finalizzata ad eliminare. Accogliendo la posizione al riguardo assunta dalla giurisprudenza di legittimità già sopra richiamata, verrà così “generalizzato” il maggior livello di tutela attualmente previsto dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, fermo restando che dovranno naturalmente a tal fine essere mantenute quelle “ragioni di urgenza” tali da poter legittimare l’emissione anticipata dell’atto impositivo ove le superiori esigenze della riscossione lo giustifichino. L’occasione dovrà essere peraltro propizia per prevedere che l’Amministrazione finanziaria sia tenuta, sin dall’emissione dell’avviso di accertamento, a motivare sulla ricorrenza di tali ragioni, senza obbligare il contribuente ad improbabili impugnazioni “al buio”.

In quinto luogo, verrà generalizzata la sanzione di nullità, considerata come visto dalla stessa giurisprudenza di legittimità quale presidio essenziale (e naturale) della disposizione sull’obbligo di contraddittorio.

Infine, qualche parola va spesa sulla previsione relativa al diritto all’accesso, perché intimamente collegata alla disposizione sul contraddittorio.

Come noto, infatti, l’art. 22, della L. n. 241/1990, stabilisce il principio dell’accessibilità degli atti amministrativi, ma tale regola va coordinata con il comma 1, lett. b), dell’art. 24, L. 241/1990 che, nella versione risultante a seguito della L. n. 15/2005, esclude il diritto d’accesso «nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano» e con il comma 7 del mede­simo articolo, ai sensi del quale deve essere comunque garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi quando la conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi.

Secondo una parte della dottrina, tale diritto può essere esercitato successivamente al­l’emissione dell’atto impositivo al fine di evitare che il contribuente indebolisca la posizione dell’Amministrazione finanziaria, nascondendo elementi fondamentali per la ricostruzione della sua posizione fiscale. Secondo altra tesi, invece, tale diritto deve essere riconosciuto al contribuente senza attendere l’emissione dell’atto impositivo non già, però, ai sensi della L. 241/1990, bensì ai sensi dell’art. 7, L. 212/2000, secondo cui il contribuente deve avere contezza degli atti e dei documenti, di suo interesse, formati dall’Amministrazione finanziaria e richiamati in altri atti, che gli siano stati notificati, al fine di verificarne la legittimità.

La questione è stata risolta dal Consiglio di Stato(15) nel senso di riconoscere al contribuente, a partire dalla L. n. 241/1990, un interesse giuridicamente rilevante ad accedere agli atti relativi al procedimento tributario, salvo però consentirgli l’esercizio di tale diritto solo una volta emesso l’atto impositivo.

Si tratta, tuttavia, di una soluzione non corretta, poiché collide, per i tributi armonizzati, con il diritto UE: come ha infatti rilevato la Corte di Giustizia UE,(16) poiché il contribuente ha diritto a manifestare il proprio punto di vista prima dell’adozione di una decisione negativa nei suoi confronti, è evidente che per fare ciò egli deve essere messo in condizione di conoscere, a richiesta, gli elementi sui quali detta decisione si fonda, ivi compresi quelli relativi a procedimenti connessi.(17) La Corte riconosce la possibilità che vengano in rilievo obiettivi di interesse generale (ad es., la tutela della riservatezza o del segreto professionale) idonei a giustificare delle restrizioni, ma è chiaro che una preclusione di carattere generale al diritto di accesso prima dell’emissione dell’atto impositivo, come elaborata dalla nostra giurisprudenza, si rivela del tutto incompatibile con la necessità di formulare le osservazioni prima della sua emanazione, minando alla radice l’effettività del diritto al contraddittorio.

La CGUE riconosce, peraltro, il diritto di accesso anche a soggetti diversi dal contribuente accertato – si pensi ad un soggetto il cui accertamento si basi, a sua volta, su verifiche effettuate in capo ad un altro soggetto, il cui contenuto, il primo, sia pertanto interessato a conoscere, ben potendo emergere anche elementi a suo discarico – e tale conclusione sembra potersi estendere anche ai tributi non armonizzati, posto che l’art. 7, co. 1, L. n. 212/2000, stabilendo l’obbligo di allegare al provvedimento gli atti cui lo stesso rinvia, testimonia una scelta del legislatore in favore di una piena disclosure di tutti i dati che fondano un accertamento.

Alla tutela in fase istruttoria, si aggiunge quella nella successiva sede giurisdizionale, dal momento che la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE(18) nega la legittimità dell’utilizzo di prove ottenute nell’ambito di procedimenti amministrativi connessi e di constatazioni effettuate nelle decisioni amministrative adottate nei confronti di altri soggetti passivi, ove il giudice non abbia potuto valutare che la relativa acquisizione sia avvenuta nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Anche la disposizione del D.d.L. relativa al diritto di accesso, nel momento in cui obbliga l’Amministrazione alla discovery di tutti i dati raccolti, si rivela, dunque, pienamente funzionale al corretto dispiegarsi del contraddittorio procedimentale.

In conclusione, siamo in presenza di una disposizione di delega di portata storica che, se come tutti auspichiamo, giungerà a destinazione con questa conformazione, segnerà un passo decisivo per la piena realizzazione del c.d. “giusto procedimento tributario”, dando altresì concretezza, con singolare coincidenza temporale, proprio all'intervento da poco auspicato dalla Consulta con sent. n. 46 del 2023 sia di un «tempestivo intervento normativo che colmi la lacuna evidenziata», sia di un intervento «che porti a più coerenti e definite soluzioni le descritte tendenze emerse nella disciplina dei procedimenti partecipativi del contribuente».


4.2. Il diritto all’autotutela

Il D.d.L. di Riforma fiscale prevede tra i principi e criteri direttivi specifici per la revisione dello Statuto dei diritti del contribuente di cui alla Legge 27 luglio 2000, n. 212, quale legge generale tributaria, quello di «potenziare l’esercizio del potere di autotutela estendendone l’applicazione agli errori manifesti nonostante la definitività dell’atto, prevedendo l’impugnabilità del diniego ovvero del silenzio nei medesimi casi» (art. 4, comma 1, lett. g).

A ciò si aggiunge quanto previsto nel successivo art. 17, co. 1, lett. a), che in tema di “procedimenti del contenzioso” detta l’ulteriore criterio consistente nel «coordinare con la nuova disciplina di cui all’articolo 4, comma 1, lettera g), altri istituti a finalità deflativa operanti nella fase antecedenti la costituzione in giudizio di cui all’articolo 23 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ai fini del massimo contenimento dei tempi di conclusione della controversia tributaria».

Si tratta, come noto, di un tema già ampiamente approfondito dalla Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria nominata nel 2021, che indicava una prima direttrice di azione in quella di prevenire il contenzioso in due modi: per un verso, rafforzando il contraddittorio all’interno del procedimento tributario e, per altro verso e qui specificamente di interesse, eliminando alcuni ostacoli all’esercizio della potestà di autotutela.

La Commissione, muovendo dalla possibilità di una previsione legislativa ad hoc di autotutela obbligatoria affermata dalla stessa Consulta con la sent. n. 181/2017, ne rinveniva la necessità non solo in funzione di un ripristino di un rapporto di correttezza tra Fisco e contribuente, ma anche in funzione deflativa, posto che il contribuente è altrimenti costretto ad impugnare l’atto proprio perché consapevole che, decorsi 60 giorni, lo stesso diverrà definitivo senza alcuna garanzia di un suo successivo annullamento anche nel caso di manifesta infondatezza.

Si prevedeva, in particolare, l’introduzione di una nuova disposizione (l’art. 10-ter) all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente, cui si aggiungeva la previsione, all’interno dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 di una nuova fattispecie di atto impugnabile consistente nel «rifiuto espresso o tacito all’istanza di autotutela di atti definitivi nei casi previsti dall’art. 10-ter della legge 27 luglio 2000, n. 212», nonché, all’interno dell’art. 21, D.Lgs. n. 546/1992, di un termine per l’impugnazione del rifiuto tacito di autotutela che rimanda a quello previsto dal precedente comma 2 nel caso di rifiuto tacito della restituzione di tributi.

Per quanto attiene al contenuto del nuovo art. 10-ter, si attribuiva rilevanza alle sole ipotesi di “evidente illegittimità dell’atto”, considerando tali quelle di cui all’art. 2, D.m. n. 37/1997, che venivano pertanto “legificate”, ma in ogni caso ritenute non esaustive delle possibili ipotesi di “evidente illegittimità”. In questi casi, l’obbligo di autotutela sussisteva anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, con il limite dei (soli) motivi sui quali fosse intervenuta una sentenza passata in giudicato, nonché del decorso di due anni dalla intervenuta definitività.

La tutela giurisdizionale – importante non già per la previsione testuale, poiché già riconosciuta dalla giurisprudenza, ma soprattutto per la chiara previsione dell’impugnabilità anche del rifiuto tacito – era in ogni caso accordata per i soli atti divenuti definitivi, sussistendo altrimenti un autonomo giudizio già incardinato contro l’atto avente il proprio esito e lo stesso si sarebbe esteso al merito della pretesa trattandosi di attività vincolata priva di spazi di discrezionalità.

Alla luce dell’attuale contesto giurisprudenziale – che vede l’autotutela ridotta all’esercizio di un potere meramente discrezionale, di fatto “azzerando” qualsivoglia tutela del contribuente dinanzi ad un suo diniego o al silenzio e persino richiedendo di rappresentare delle non meglio precisate “ragioni di interesse generale” – quella della Commissione era, in conclusione, una proposta assolutamente condivisibile e assai ben articolata che, a distanza di un quarto di secolo, non faceva che recepire quanto in realtà già sostenuto dall’Amministrazione finanziaria con la Circolare n. 198 del 1998, mai davvero applicata.

Stando così le cose, non v’è dubbio che la delega si ponga nella scia della proposta della Commissione interministeriale, escludendo la preclusione da definitività ed attribuendo rilevanza anche al silenzio, sicché lo stesso modello attuativo da essa elaborato potrà costituire un validissimo punto di partenza per il legislatore delegato.

Si tratta tuttavia di comprendere se il riferimento ivi contenuto agli “errori manifesti” sia idoneo a coprire tutte le ipotesi di cui al D.m. 37/1997 – come previsto dalla Commissione – o solo alcune di esse.

Se dubbi non possono sussistere in ordine alle ipotesi di cui alle lettere a (errore di persona), b (errore logico o di calcolo), e (mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti), f (mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza e h (errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione) – che danno luogo per loro natura ad errori manifesti – qualche riflessione maggiore suscitano, invece, le ipotesi di cui alle lettere c (errore sul presupposto dell’imposta), d (doppia imposizione) e g (sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati).

Nelle ipotesi di cui alle lettere c) e g), viene infatti in rilievo lo stesso presupposto del tributo o dell’agevolazione, sicché dovrebbe trattarsi di casi in cui tale presupposto non sussiste in modo manifesto e non si tratti, al contrario, di questioni sulle quali possano sussistere dubbi sulla qualificazione del fatto o sull’interpretazione di norme, come tipicamente accade. Diversamente dalle ipotesi sopra richiamate, non si tratta di ipotesi di erroneità “in sé” manifesta, quanto invece di ipotesi che, a certe condizioni, possono esserlo, dovendosi così precisare che la nuova disciplina potrà riguardare solo quelle ipotesi in cui il presupposto del tributo (o dell’agevolazione) evidentemente non sussiste (o sussiste). Così anche per la doppia imposizione, che è termine assolutamente generico, dovendosi chiarire se questa doppia imposizione si riferisca allo stesso tributo in capo allo stesso soggetto o possa eventualmente coinvolgere le vicende impositive in capo ad altri soggetti che possano comportare una duplicazione del tributo in capo al soggetto richiedente (ad es., le vicende dei coobbligati solidali o dipendenti, gli eventuali versamenti o le mancate detrazioni in capo alle controparti nell’imposta sul valore aggiunto, ecc.).

La questione finale che si pone è poi se questo notevole ampliamento dell’istituto dell’autotutela possa ridimensionare quello del reclamo-mediazione.

Va detto che le prime voci circolate circa la volontà di procedere alla relativa soppressione – poi attenuate con la versione definitivamente approvata – erano state accolte con grande favore dalla dottrina in considerazione dell’assenza di una reale terzietà e degli esiti percepiti come assolutamente deludenti.

L’istituto ha tuttavia anche i suoi sostenitori e i dati sulla differenza tra liti sottoposte a reclamo-mediazione e liti instaurate parrebbero confortare tale ipotesi.

È anche vero, tuttavia, che l’esperienza pratica insegna che i reclami assai raramente vengono accolti e, se lo sono, ciò avviene proprio in conseguenza degli “errori manifesti” che spingono a proporre il reclamo nel termine di impugnazione di sessanta giorni che la riforma dell’autotutela non renderebbe più indispensabile. Più raramente, invece, accade che il diniego dell’Ufficio sia assistito da una tale forza argomentativa da scoraggiare l’instaurazione del giudizio.

Il tema dovrà dunque essere necessariamente approfondito, per comprendere la composizione degli attuali esiti dei reclami e in particolare se si tratti di ipotesi di accoglimento totale o parziale (e in tal caso quali ne sono le motivazioni, se di tipo “manifesto” o meno) oppure di casi di rigetto in cui il contribuente abbia desistito dal proseguire in giudizio usufruendo della riduzione delle sanzioni, onde poter correttamente valutare se l’introducenda disciplina dell’autotutela comportante il venir meno della definitività da mancata impugnazione e l’impugnazione del rifiuto tacito, possa ridimensionare lo stesso istituto del reclamo, che finirebbe altrimenti per costituire una sostanziale (ed inutile) duplicazione di tutela.


4.3. La disciplina generale delle invalidità

Di notevole rilevanza sistematica è la previsione di una disciplina generale delle invalidità, sulla scia di quanto avvenuto nel 2005 nel diritto amministrativo attraverso la previsione dei noti artt. 21-septies e 21-octies, L. n. 241 del 1990, dal momento che la disciplina tributaria al riguardo è invece assolutamente frammentaria ed oggetto di elaborazioni giurisprudenziali di segno non sempre univoco e talvolta anche scarsamente condivisibile.

Il tema che si pone è di compulsare l’amministrazione finanziaria verso un “giusto procedimento”, di cui la stessa amministrazione è protagonista, elevando a causa di invalidità tutte quelle violazioni procedimentali e provvedimentali che frustano la piena cognizione e l’effettiva partecipazione del contribuente al procedimento.

Si tratta allora di distinguere quelle ipotesi di nullità “insanabile” – si pensi all’incompetenza territoriale, alla notificazione degli atti nei confronti di soggetti inesistenti (il trust, il defunto, la società incorporata, ecc.) o quei casi di “non atti” poiché affetti da gravi vizi motivazionali – dalle ipotesi di nullità-annullabilità – si pensi al diritto al contraddittorio, ai vizi di sottoscrizione, ai vizi contenutistici dell’avviso di accertamento, ai vizi di motivazione, ai vizi di notificazione meno gravi. A tale ultimo riguardo, deve essere anche bandita la prassi di produrre i documenti all’ultimo momento nell’ultimo grado di merito, perché se eccepisco i vizi della notifica, questa deve essere prodotta immediatamente, non avendo senso far proseguire giudizi inutili; sicché anche il termine per le controdeduzioni deve essere finalmente reso perentorio, anche per la parità delle armi proprio del giusto processo. Così come deve terminare la prassi di “saltare” la decisione sui vizi formali con il pretesto che essi siano stati implicitamente rigettati: la mancata pronunzia deve comportare il recesso del giudizio al grado in cui la pronunzia è stata omessa, così come deve trattarsi di un vizio espressamente denunziabile ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4.

L’occasione è propizia anche per intervenire sui vizi dell’attività istruttoria (accessi non autorizzati, permanenza dei verificatori oltre i termini stabiliti, ecc.) ad oggi rimessi ancora all’alternativa tra invalidità derivata ed inutilizzabilità, definitivamente recependo la tesi secondo cui le prove acquisite in violazione dei diritti partecipativi e delle garanzie costituzionali sono inutilizzabili.


4.4. La tax compliance e il rafforzamento del regime dell’adempimento collaborativo

Significativi sono anche gli interventi di rafforzamento del regime del c.d. “adempimento collaborativo”, vuoi quanto alle modalità di funzionamento, vuoi quanto al regime premiale, anche sul fronte sanzionatorio amministrativo e penale (art. 15, lett. f).

Per dare un giudizio sul rafforzamento di queste misure premiali – che si anticipa, è del tutto positivo – occorre brevemente ricostruire il contesto di riferimento.

Il legislatore tributario italiano dell’ultimo ventennio ha progressivamente abbandonato la risalente visione inquisitoria del rapporto Fisco-contribuente a favore di una progressiva partecipazione di quest’ultimo al procedimento e, più in generale, di un rapporto complessivamente improntato al principio di collaborazione e buona fede, sanciti dall’art. 10, co. 1 dello Statuto dei diritti del contribuente; principi che costituiscono esplicitazione, a loro volta, dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Il principio di collaborazione e buona fede si è riflesso sullo schema tradizionale del rapporto tra contribuenti e Fisco, che vede tipicamente l’Amministrazione Finanziaria vigilare ex post sul corretto assolvimento degli obblighi tributari posti a carico dei contribuenti, – relazione definita dalla dottrina internazionale come “adempimento di base” (c.d. “basic relationship”) – rivelatosi tuttavia in concreto scarsamente efficace ai fini della promozione del­l’adempimento spontaneo degli obblighi tributari (c.d. “tax compliance”), proprio in quanto privo di adeguati strumenti normativi per favorire il dialogo tra Amministrazione Finanziaria e contribuenti.

Il passaggio dal sistema inquisitorio al sistema partecipato e il principio di collaborazione e buona fede non sono tuttavia da soli sufficienti a spiegare il fondamento di quegli istituti preposti alla tax compliance e al dialogo, i quali costituiscono in buona parte il frutto della profonda riflessione svolta nell’ambito della Legge delega n. 23/2014 e dei relativi decreti attuativi, oltreché della Legge di stabilità per il 2015 (n. 190/2014), per riformare l’ordinamento tributario italiano nella direzione di una maggiore attrattività per gli investimenti economici, incrementandone il livello di certezza e di stabilità e tutelando adeguatamente l’affidamento del contribuente.

Nell’ottica di favorire l’adempimento spontaneo (“tax compliance”) e il dialogo, riducendo la conflittualità tra le parti, diversi sono stati gli istituti oggetto di recenti ed incisivi interventi normativi, talvolta rivolti nei confronti della generalità dei contribuenti, altre volte indirizzati ad una cerchia ristretta di essi.

Un primo gruppo è costituito da quegli istituti finalizzati a consentire la resipiscenza del contribuente, anche a seguito dell’attivazione di un controllo che abbia evidenziato potenziali criticità, e così da un lato agevolare la compliance ex post e dall’altro indirizzare le forze – necessariamente limitate – di cui l’Amministrazione finanziaria dispone, verso situazioni a maggiore rischio (“comunicazioni preventive”, previste dall’art. 1, co. 634 e ss., L. 190/2014, cui si lega, pur non certamente esaurendosi in esse, l’amplia­mento dei termini e delle modalità per fruire del ravvedimento operoso e nella stessa direzione si è mossa la revisione del sistema sanzionatorio penale per tenere (anche) conto della resipiscenza del reo e del pagamento del debito tributario prima dell’avvio del dibattimento, ora sul piano delle cause di non punibilità ora su quello dell’applicazione di attenuanti ad effetto speciale).

Un secondo gruppo riguarda quegli istituti, di varia natura, finalizzati a consentire al singolo contribuente di acquisire una certezza anticipata sulla correttezza dei propri comportamenti fiscali, con effetti vantaggiosi, variamente declinati, per chi abbia deciso di avvalersene (disciplina degli interpelli; accordi preventivi per le imprese ad attività internazionale).

Un terzo gruppo riguarda, infine, quegli istituti che si sostanziano in forme di “monitoraggio”, sia pure di natura eterogenea, talvolta generalizzato, altre volte “su misura”, anch’esse accompagnate da effetti “premiali” (dichiarazione “precompilata”, “indici sintetici di affidabilità”, regime di adempimento cooperativo).

Dal sistema così tracciato, emergono tre linee di indirizzo, tra loro variamente intrecciate:

i) la prima, consistente nella possibilità riconosciuta al contribuente di essere quanto più possibile compliant ex ante, “affidandosi” alla stessa Amministrazione finanziaria (interpello, interpello nuovi investimenti, accordi preventivi); sicché ove dovessero emergere in un momento successivo profili di non compliance, questi non sarebbero di regola riconducibili alla volontà di essere non compliant;

ii) la seconda, consistente nell’incentivare ex post l’emersione più o meno spontanea dell’imposta dovuta, così che l’Agenzia delle Entrate possa indirizzare o concentrare la vera e propria attività di accertamento nei confronti di quei soli soggetti che non intendano collaborare o ravvedersi (comunicazioni preventive);

iii) la terza, consistente nel dare vita a rapporti più “strutturati”, vuoi nella forma della proposta di dichiarazioni “precompilate” derivanti dai dati stabilmente acquisiti dall’Amministrazione finanziaria, vuoi nella forma della misurazione periodica del livello di “affidabilità” del contribuente, vuoi infine nella forma più evoluta dell’adempimento collaborativo.

In tutte e tre le ipotesi il rapporto tra il Fisco e i contribuenti che collaborano in modo leale nell’ambito del procedimento di accertamento vuole basarsi, sempre di più, su una relazione di tipo “orizzontale”, mentre i controlli sugli altri soggetti, caratterizzati da una maggiore “incisività”, restano improntati al tradizionale rapporto di tipo “verticale”.

Ciascuna di queste linee di indirizzo è peraltro caratterizzata da effetti “premiali”, in particolare:

a) negli interpelli “ordinari”, la risposta vincola l’Amministrazione, ma è ammesso il revirement sia pure «con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante»;

b) nell’interpello “nuovi investimenti”, la risposta vincola l’Amministrazione e non è ammesso il revirement sinché permangano le condizioni di fatto e di diritto sulla cui base essa è stata resa;

c) negli accordi preventivi, l’accordo vincola l’Amministrazione e non è ammesso il revirement sinché permangano le condizioni di fatto e di diritto sulla cui base esso è stato raggiunto;

d) nell’emersione spontanea (ma anche nell’emersione a seguito di attività istruttorie) vi sono effetti di riduzione, anche sensibili, delle sanzioni amministrative (ravvedimento operoso) e di non punibilità o di attenuanti ad effetti speciali sul piano penale;

e) nelle dichiarazioni precompilate vi sono effetti preclusivi sui controlli formali;

f) negli indicatori sintetici di affidabilità vi sono, a seconda del punteggio ottenuto, effetti premiali sui termini di decadenza dal potere di accertamento, sui rimborsi, ecc.;

g) nell’adempimento collaborativo, si hanno i seguenti vantaggi: i) il controllo anticipato da “comune valutazione”; ii) il divieto di revirement per il parere dell’Agenzia reso, nelle varie forme previste, all’esito di tale “comune valutazione” anche nella forma dell’accordo di adempimento collaborativo, salvo modifica degli elementi in fatto e in diritto; iii) l’abbreviazione dei termini dell’interpello che, in punto di effetti, segue comunque le regole generali ivi compresa la possibilità di essere revocato «con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell’istante», salvi gli effetti “rafforzati” nel caso di risposta tardiva; iv) la disciplina sanzionatoria di favore prevista per i rischi comunicati “in modo tempestivo ed esauriente” all’Agenzia prima della presentazione della dichiarazione, laddove l’Amministrazione non condivida la posizione dell’impresa, riducendosi in tal caso le sanzioni alla metà, non potendo essere applicate in misura superiore al minimo edittale ed essendo la loro riscossione sospesa sino alla definitività dell’accertamento.

L’efficacia vincolante per l’Amministrazione finanziaria di una risposta “su misura” trova solide giustificazioni “di sistema” e costituisce, anzi, un elemento centrale dei moderni sistemi di ruling, cui non vale opporre il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, poiché non di rinuncia al credito si tratta, bensì di un tributo preteso illegittimamente in violazione del principio dell’affidamento, che «ha diretto fondamento costituzionale e carattere generale ed immanente anche nell’ordinamento tributario» (19) e riguarda non solo l’attività del legislatore ma anche dell’Amministrazione finanziaria.

Lo stesso può affermarsi per quanto riguarda il divieto di revirement per l’Amministrazione finanziaria sin quando permangano le condizioni di fatto e di diritto, previsto nell’interpello nuovi investimenti, negli accordi preventivi e nella cooperative compliance. Nel caso degli interpelli nuovi investimenti la ratio dell’efficacia “rafforzata” dinanzi a possibili revirement risiede nel voler offrire ad una impresa che effettua investimenti di particolare rilevanza nel nostro Paese un “pacchetto-certezza”; nel caso degli accordi preventivi il divieto di revirement si giustifica dalla particolarità della fattispecie e dalla forte connotazione partecipativa dell’istituto, che consente peraltro all’Amministrazione finanziaria di monitorare e controllare operazioni a particolare rischio di elusività, con ciò soddisfacendo rilevanti interessi erariali.

Per quanto riguarda, infine, l’adempimento collaborativo, qui la tutela dell’affidamento raggiunge il suo “apice” proprio in virtù dell’interlocuzione costante e preventiva, inquadrandosi tale istituto nella promozione di «forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti» che l’istituto di propone (art. 3, D.Lgs. n. 128/2015).

Ben si giustifica pertanto che un tale divieto di revirement, pur non espressamente previsto dalla legge, ma indubbiamente derivante da principi di rango costituzionale, costituisca oggetto di una doverosa “presa d’atto” dell’Amministrazione finanziaria nell’ambito del provvedimento direttoriale che lo ha testualmente previsto.

Il contesto entro il quale si collocano gli interventi descritti è, dunque, quello della collaborazione fisco-contribuente, della tax compliance, della riduzione del rischio “fiscale” di impresa, della maggiore certezza dell’ordinamento, degli effetti sulla competitività e sulla crescita del sistema-Paese, rilevando a tale ultimo proposito la fase attuativa del tributo non meno di quella relativa alla sua dimensione quantitativa.

Alla repressione si aggiunge la prevenzione, il cui presupposto è dato da una minore complessità del sistema(20) e che consente all’Amministrazione finanziaria di esercitare l’attività amministrativa di imposizione secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità, quali declinazioni dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione.(21)

Inoltre, questi meccanismi incrementano le conoscenze dell’Amministrazione finanziaria, contribuendo così per definizione a soddisfare l’obiettivo stesso dell’attività conoscitiva e di controllo e così quell’interesse pubblico e fiscale alla realizzazione della pretesa tributaria direttamente collegato all’art. 53 Cost.

In altri termini, più spontaneamente il contribuente aumenta il livello conoscitivo dell’Amministrazione finanziaria “aprendosi” ad essa, più è efficace l’azione di controllo e meglio è perseguito quello stesso interesse di cui l’Amministrazione è portatrice.

Ma al tempo stesso, diminuiscono i costi per l’Amministrazione finanziaria per acquisire tale conoscenza, perché spontanea, consentendo di meglio indirizzare le risorse (limitate) di cui dispone l’Amministrazione alle ipotesi più critiche.

Inoltre, l’apertura delle imprese – soprattutto se si tratta delle grandi imprese proiettate nei mercati internazionali e pertanto, per loro natura e struttura, potenzialmente idonee ad essere partecipi di complesse operazioni di pianificazione fiscale internazionale – all’Amministrazione finanziaria, nel rispetto dei canoni di trasparenza e correttezza, giustifica ulteriormente un regime giuridico di vantaggio in un contesto internazionale che vede sempre più un forte richiamo alla necessità che le imprese multinazionali rispettino la c.d. corporate social responsibility e dunque partecipino al progresso economico dello Stato in cui operano,(22) non essendo la massimizzazione del profitto – e la connessa minimizzazione del carico impositivo – l’unico obiettivo di riferimento dell’agire imprenditoriale.(23)

Sotto questo profilo, il sistema così delineato non presenta alcuna criticità in termini costituzionali e, anzi, ben se ne giustifica un ulteriore potenziamento, vuoi mediante un ulteriore intervento sul profilo sanzionatorio, vuoi con misure premiali ulteriori tra cui un significativo allentamento dei vincoli alle compensazioni che il rapporto di fiducia instaurato certamente giustifica,(24) coinvolgendo sempre più imprese per costruire un ordinamento di massimo favore, in termini di affidamento e certezza, per le imprese sane del nostro Paese.

Le numerose misure, contenute nella legge delega, volte a rafforzare ulteriormente l’istituto dell’adempimento collaborativo e del relativo regime premiale dell’adempimento collaborativo, nonché più in generale finalizzato a dare rilevanza all’istituzione di sistemi di rilevazione del rischio fiscale, si armonizzano pertanto pienamente nel sistema appena delineato rappresentandone un ulteriore e coerente sviluppo.

5. Sulla riforma del sistema sanzionatorio e sul contrasto all'evasione

5.1. Eccessiva severità del sistema sanzionatorio

I documenti OCSE evidenziano spesso l’eccessiva severità del nostro sistema sanzionatorio, idonea a scoraggiare potenziali investitori (se non addirittura indurre quelli esistenti a localizzarsi altrove).

Si tratta di un tema che era stato affrontato “di petto” dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 158/2015, ma, nonostante l’evidente sforzo del legislatore di rendere il sistema sanzionatorio più “proporzionale” – pensiamo alle valutazioni, all’abuso del diritto, agli errori sulla competenza, e via dicendo – la giurisprudenza ha messo a dura prova la tenuta del nuovo sistema, ora continuando a confondere l’abuso del diritto con la simulazione,(25) ora svuotando di fatto la nuova norma in tema di confisca (art. 12-bis), leggendola nel senso di ammettere pacificamente il sequestro e di continuare a consentire la stessa confisca, sia pur “condizionata”,(26) con i problemi in punto di adempimento che ne conseguono per il debitore che intenda procedere in tal senso e così accedere ai benefici sul piano sanzionatorio penale.

Si tratta adesso di riprendere il filo dove era stato interrotto e di affrontare di petto i principali problemi che ancora sussistono.


5.2. Proporzionalità

Il primo di questi problemi da affrontare è la misura assolutamente spropositata e sproporzionata delle sanzioni amministrative tributarie, di gran lunga eccedenti quelle vigenti in altri Paesi e per nulla conformi al principio di proporzionalità delle sanzioni più volte affermato dalla Corte di giustizia UE e dalla Corte EDU.(27) Si tratta di una questione rilevata persino dalla Corte costituzionale nella recentissima sentenza n. 46 del 2023, con la quale essa ha reso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7 del D.Lgs. n. 472 del 1997 – disposizione che prevede i criteri di commisurazione della sanzione amministrativa tributaria – ispirata all’esigenza di evitare l’applicazione di sanzioni sproporzionate rispetto al comportamento tenuto dal contribuente.

In particolare, è stato ridefinito, ex art. 3 Cost., il perimetro di applicazione del comma 4 della richiamata disposizione, considerando tra le «circostanze» – non più necessariamente “eccezionali” – che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione gli stessi fattori indicati nel comma 1 dell’articolo, ossia, in particolare, la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.

In tale occasione (sent. n. 47 del 2023), la Consulta ha peraltro rilevato che «Tale valorizzazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 472 del 1997 alla luce dell’art. 3 Cost. trova solide basi nell’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte, che in più occasioni ha precisato, da un lato, che «il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito» è «applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» (ex plurimis, sentenza n. 112 del 2019) e, dall’altro, che anche per le sanzioni amministrative si prospetta «l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato», in particolare dando rilievo «al disvalore concreto di fatti pure ricompresi nella sfera applicativa della norma» (sentenza n. 185 del 2021). Ciò in quanto «il principio di proporzionalità postula l’adeguatezza della sanzione al caso concreto e tale adeguatezza non può essere raggiunta se non attraverso la concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018)».

Sanzioni tributarie che costituiscono oggi veri e propri multipli del tributo sono del tutto sproporzionate e provocano solo un effetto: quello di costringere il contribuente ad aderire ad istituti deflativi, perché il rischio di perdere in giudizio subendo definitivamente una sanzione spropositata non di rado idonea a mettere a repentaglio la stessa esistenza della impresa.

Occorrerà di conseguenza intervenire sulle singole fattispecie, soprattutto quelle che non provocano alcun danno per l’erario. Tra queste il caso dell’IVA erroneamente addebitata in fattura ed assolta dal cedente prestatore, in cui la giurisprudenza, erroneamente, esclude la detraibilità dell’IVA non dovuta se l’operazione non è soggetta ad imposta ed irroga le sanzioni proporzionali; o il caso dell’utilizzo delle fatture inesistenti, in cui si pretendono assurde verifiche in capo al cessionario o committente; alla omessa regolarizzazione delle fatture, in cui sussiste una giurisprudenza oscillante sui casi in cui colui che la riceve non è tenuto a regolarizzarla; alle violazioni del principio di competenza; alla distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti, che la giurisprudenza penale incredibilmente si ostina a negare, equiparando situazioni di frode a situazioni di mera interpretazione.(28)


5.3. Ne bis in idem

Altra questione è il problema ancora irrisolto del ne bis in idem.

Poiché punto fermo nella giurisprudenza della Corte EDU è la necessaria compresenza di tutti i material factors indicati nella sentenza A e B c. Norvegia, e la necessità di questo esame “a tutto campo” pare confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale, non può di certo esprimersi un giudizio positivo sull’approccio sin qui adottato dalla giurisprudenza della Suprema Corte nella misura in cui esso mostra un’evidente ritrosia a svolgere il test della “connessione” sino in fondo. Peraltro, l’esito derivante dallo scrutinio di tali fattori è tutt’altro che scontato come apparirebbe dalla lettura di quelle pronunzie che si sono maggiormente addentrate nel test.

Se è pur vero che una certa “circolabilità” del materiale probatorio è possibile, manca radicalmente la “comunicabilità” sul piano valutativo, essendo pacifica la necessità che i rispettivi giudici procedano ad un assessment del tutto autonomo rispetto a quello compiuto nell’altro procedimento, essendo ciò imposto dalle peculiarità proprie dei rispettivi giudizi.

Lo stesso dicasi sul fronte della complementarietà di scopo tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, non potendo a queste ultime essere attribuita alcuna funzione “compensatoria” dell’attività di accertamento, condividendo esse quindi uno scopo del tutto omogeneo a quello delle sanzioni penali.

Nulla quaestio, al contrario, per il criterio della prevedibilità e della proporzionalità che, effettivamente e secondo comunque una valutazione caso per caso, potrebbero dirsi rispettati.

Quanto al profilo temporale, esso è legato alle specificità del caso concreto, ma certamente non può farsi coincidere con il mero avvio dei procedimenti, obliterandone lo sviluppo e la conclusione.

In sintesi, a fronte della rimodulazione da parte della Corte EDU dell’importanza del criterio della proporzionalità e alla luce della necessaria compresenza di tutti i material factors, si rende necessario un profondo ripensamento dei termini con cui la giurisprudenza della Corte EDU è stata recepita, sino ad ora, nel nostro ordinamento.

Le criticità sopra rappresentate, peraltro, sono destinate ad acuirsi a fronte dell’avvenuta introduzione di diversi reati tributari tra i c.d. “reati presupposti” della responsabilità degli enti ex D.Lgs. n. 231/2001.

Ed infatti se, fino ad oggi, un possibile conflitto fra il principio del ne bis in idem e la responsabilità amministrativa degli enti era sempre stato categoricamente escluso dalla giurisprudenza di legittimità(29) facendo perno sulla richiamata differenza soggettiva fra il destinatario della sanzione penale ed il destinatario della sanzione amministrativa, per effetto della citata riforma il problema non parrebbe più così facilmente risolvibile posto che, allo stato attuale, si avrebbe l’applicazione in capo all’ente tanto della sanzione penale ex D.Lgs. n. 231/2001, quanto di quella amministrativa ex art. 7, D.L. n. 269/2003, la cui natura sostanzialmente penale è indiscutibile.(30)




5.4. Procedimento/processo penale e tributario

Altra questione di fondamentale importanza è quella del coordinamento tra procedimento-processo penale e tributario.

Da un punto di vista di “politica del diritto” l’attuale soluzione normativa sulle cause di non punibilità e sulle attenuanti ad effetto speciale configura, a mio giudizio, un valido “punto di equilibrio” tra le esigenze, da un lato, di non neutralizzare il carattere intimidatorio della sanzione penale e, dall’altro, di incentivare il contribuente ad eliminare le conseguenze del reato mediante il pagamento del tributo, degli interessi e delle connesse sanzioni.

Il legislatore del D.Lgs. n. 158/2015 ha “dosato” con equilibrio la sanzione penale a seconda del disvalore del reato e fornito una risposta coerente con le premesse poste della legge delega, con le particolari esigenze dei reati di versamento e con la nuova filosofia della “tax compliance”.

Del resto, che il disegno di irrigidimento della disciplina del legislatore del 2011, del quale il legislatore della Riforma comunque conferma alcuni aspetti fondamentali (prescrizione, ecc.), fosse davvero idoneo a contrastare i comportamenti penalmente rilevanti dei contribuenti poteva legittimamente dubitarsi solo tenendo presente l’attuale situazione del carico di reati tributari gravanti sui tribunali italiani.(31)

Vi sono, tuttavia, diverse questioni tecniche ancora da risolvere, tra cui ne ricordiamo qualcuna.

Innanzitutto, la circostanza che presupposto della disciplina sia il pagamento di determinate somme rende problematica, se non impossibile, l’applicazione a quelle fattispecie – quali l’art. 8 (emissione di fatture false) e l’art. 10 (distruzione delle scritture contabili), D.Lgs. n. 74/2000 – in cui non sorge alcun debito di imposta.

In secondo luogo, vi sono i problemi esaminati relativi al doppio procedimento sanzionatorio e alla possibile violazione del principio del de bis in idem di cui si è fatto cenno supra.

In terzo luogo, occorre precisare meglio in ordine all’estensione della causa preclusiva della “formale conoscenza” di attività di indagine amministrativa o penale, tenuto conto dei rilevanti effetti che ne possono discendere sul piano sanzionatorio penale.

In quarto luogo, sarebbe opportuno prevedere la possibilità di richiedere l’archiviazione ove il PM abbia notizia dell’avvenuta estinzione del debito nella fase delle indagini, e pertanto estendere l’art. 411 c.p.p. alla causa di non punibilità “tributaria”, come già fatto per la specifica ipotesi di cui all’art. 131-bis c.p. (“Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”).

In quinto luogo, il termine di tre mesi (prorogabili fino a sei) fissato dall’art. 13, co. 3 ai fini dell’estinzione del debito residuo, pur comprensibile, appare comunque “distonico” rispetto alla realtà processuale penale.

In sesto luogo, si continua ad attribuire al patteggiamento una funzione di politica criminale, finalizzata allo stimolo di comportamenti virtuosi (il pagamento del tributo evaso), che “inquina” la ratio sottesa allo sconto sanzionatorio di cui all’art. 444 c.p.p., che è quella di compensare la rinuncia proveniente dall’imputato al diritto di difesa ed al contraddittorio dibattimentale, con contestuale accettazione della condanna, in vista della deflazione procedimentale.

In settimo luogo, la nuova norma sul sequestro e la confisca non si sta rivelando idonea a risolvere il problema derivante dall’eventuale sequestro preventivo finalizzato alla confisca, che può avere l’effetto di privare il contribuente della disponibilità finanziaria necessaria ad estinguere tributo, sanzioni ed interessi e, quindi, ad accedere ai benefici premiali.

Infine, resta sullo sfondo il problema più generale del rapporto tra procedimenti e processi tributario e penale, e dunque del contribuente, che, venuta meno l’ultima chance della resipiscenza, si trovi a dover valutare, nella successiva fase degli istituti deflattivi, se l’adesione non peggiori il quadro probatorio a suo carico in sede penale e, in particolare, se questa non aumenti la verosimiglianza di fondatezza dei rilievi che gli sono stati mossi, sia in sede amministrativa – determinando l’inoltro della denuncia della notizia di reato (32) – sia in sede penale (ove la denuncia già sia stata inoltrata), provocando almeno un effetto “suggestivo” e, certamente, rendendo più complesso per il contribuente prospettare una “versione” diversa da quella oggetto di adesione, salvo che si tratti, ad esempio, di reati commessi da terzi ausiliari del contribuente. A ciò si aggiungono i possibili effetti di “trascinamento” sulle annualità successive, nel caso in cui la contestazione per l’annualità oggetto di adesione sia suscettibile di essere contestata anche in relazione ad esse.

Tale valutazione dovrà essere ponderata con gli sconti sul tributo, sugli interessi (dovuti su una minore somma), sulle sanzioni amministrative e sulle sanzioni penali, fermo restando, per queste ultime, che l’autonomia del giudice penale nel qualificare il fatto non assicura un risultato certo.(33)

Deve dunque necessariamente valorizzarsi quell’indirizzo interpretativo secondo cui il giudice, per discostarsi dalle conclusioni raggiunte in sede amministrativa, deve disporre di elementi ulteriori sulla cui rilevanza deve motivare.

In conclusione, l’impianto teorico istituito dal D.Lgs. n. 158/2015 è certamente condivisibile, ma qualche ulteriore intervento migliorativo è ancora necessario.


5.5. Prevenzione e riduzione dell’evasione

Per quanto attiene, infine, alla prevenzione e alla riduzione dell’evasione, esse sono espressamente contenute tra i principi generali della delega, prevedendosi la piena utilizzazione dei dati dell’anagrafe, il potenziamento dell’analisi di rischio, il pieno utilizzo dei dati emergenti dalla fatturazione elettronica, la cooperazione tra amministrazioni nazionali ed internazionali e via dicendo. Allo stesso modo, è stato previsto un significativo potenziamento dell’attività di riscossione coattiva.

A fronte di ciò – e questo è quel che distingue la nuova delega – sono tuttavia previste proprio quelle significative garanzie dei contribuenti di cui abbiamo trattato.

L’approccio sanzionatorio rimane infatti sostanzialmente invariato, tranne ribadire la necessità di ricondurre a ragionevolezza le abnormi sanzioni attualmente previste e prevedere un coordinamento tra sistema sanzionatorio amministrativo e penale di cui la delega precedente non si occupava, ma che il principio del ne bis in idem elaborato dalle corti di giustizia internazionali adesso ci impone.

Non è infatti possibile che un contribuente possa oggi essere destinatario di sanzioni amministrative, di sanzioni penali, di sanzioni derivanti dalla Legge 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti, di sanzioni accessorie e, in generale, di sequestri e confische, persino quella per sproporzione.

Quando fare impresa diventa troppo rischioso i contribuenti che possono scappano e dall’estero non viene nessuno. È questo l’approccio culturale che va modificato.


6. Sul contenzioso tributario

Qualche brevissima osservazione conclusiva sul contenzioso tributario.

Sappiamo che la L. n. 130 del 2022 ha impresso una svolta epocale alla giurisdizione tributaria, rendendola una magistratura professionale cui si accede per concorso, ma che ancora molti sono i problemi sul tappeto, soprattutto di carattere ordinamentale.

La delega non si occupa, tuttavia, dei profili ordinamentali, ma intende mettere mano ad alcune specifiche questioni processuali per aumentare ulteriormente l’efficienza del processo.

A tal fine, si è previsto:

  • taluni interventi di semplificazione processuale, anche per eliminare le ultime “incrostazioni” cartacee del processo telematico tributario;

  • la possibilità che anche una sola parte processuale possa discutere da remoto senza dipendere dal consenso dell’altra parte processuale, come irragionevolmente previsto dalla L. n. 130 del 2022;

  • l’accelerazione della decisione mediante comunicazione del dispositivo in udienza;

  • l’accelerazione della fase cautelare anche nei gradi di giudizio successivi al primo grado, dal momento che la Legge n. 130 del 2022 aveva limitato la fissazione dell’udienza entro i 30 giorni per la fase cautelare al solo grado di merito, mentre analoghe esigenze cautelari sussistono sia nel caso in cui si tratti di appellare una sentenza sfavorevole, sia nel caso in cui si sia ricorso per cassazione dinanzi ad una sentenza sfavorevole di secondo grado. La tutela cautelare è essenziale, perché i poteri del Fisco nella fase della riscossione sono molto forti e rischiano di compromettere la situazione finanziaria ed economica dei contribuenti ove non ottengano in tempi brevi un provvedimento che sospenda gli effetti dei provvedimenti impugnati;

  • una messa a fuoco dell’impugnazione degli atti della riscossione, ad oggi oggetto di diverse remissioni alle Sezioni Unite che ancora non hanno bene chiarito i confini della giurisdizione nelle varie ipotesi.

Sarebbe peraltro opportuno prevedere anche un ampliamento delle ipotesi di diretta impugnazione del ruolo nonché della cartella che si assume invalidamente notificata, di cui all’art. 3-bis, D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, ad ulteriori ipotesi di grave pregiudizio per il contribuente che non derivino necessariamente da rapporti con la pubblica amministrazione, anche alla luce delle recenti ordinanze di remissione della questione di legittimità costituzionale da parte delle corti di merito ordinarie e tributarie.

1 Per approfondimenti, sia consentito rinviare a G. MELIS, Sulla riforma del catasto, in Rassegna tributaria, 2022, p. 32-43.

2 C. cost., sentenza n. 108/2019.

3 C. cost., sentenze nn. 16/2017, 203/2016 e 416/1999. Sulla centralità della “tax certainty in achieving economic growth”, anche in relazione ai tax rulings, v. K. SAVVAIDOU, V. ATHANASAKI, Contemporary challenges of tax certainty in the ever-evolving tax environment: digital tax, GGRs and tax rulings within the frame of fiscal state aid, in Riv. dir. trib. int., 2021, p. 93.

4 C. cost., sentenze nn. 267 e 154/2017.

5 C. cost., sentt. nn. 16/2017, n. 203/2016, n. 264/2012.

6 C. cost., sentt. nn. 216 e 56 del 2015, n. 108 e 203 del 2016.

7 Cass. n. 8197/2015.

8 Circolare Agenzia delle entrate, n. 36/E/2013 e n. 19/E/2007.

9 Cass. n. 370/2019; n. 12372/2021; n. 17588/2021.

10 Cass. n. 12372/2021.

11 CGE 14 settembre 2006, causa C-181/04, Elmeka; CGE 9 luglio 2015, causa C-183/14, Salomie e Oltan; CGE 9 luglio 2015, causa C-144/14, Cabinet Medical Veterinar.

12 CGE 11 aprile 2018, causa C-532/16; confonde il valore delle circolari ufficiali con la mera prassi illegittima, Cass. n. 17588/2021.

13 Per tutte, Cass. n. 15452/2018.

14 Di tale valore è emblematica la storica sentenza n. 17576/2002 della Corte di cassazione, con cui essa ha affermato la “superiorità assiologica dei principi espressi o desumibili dallo Statuto e, quindi, la loro funzione di orientamento ermeneutico, vincolante per l’interprete; in altri termini, il dubbio interpretativo o applicativo sul significato e sulla portata di qualsiasi disposizione tributaria, che attenga ad ambiti materiali disciplinati dalla L. n. 212/2000, deve essere risolto dall’interprete nel senso più conforme ai principi statutari”.

15 Consiglio St., n. 5144/2008; n. 53/2010; n. 461/2014; n. 5588/2014.

16 Corte di giustizia UE, 9 novembre 2017, C-198/16, Ispas.

17 Corte di giustizia UE, 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore.

18 Corte di giustizia UE, 16 ottobre 2019, C-189/18, cit.

19 Cass., 17010/2012.

20 L. STRIANESE, La tax compliance nell’attività conoscitiva dell’amministrazione finanziaria, Roma, 2014.

21 D. CONTE, Dal controllo fiscale sul dichiarato al confronto preventivo sull’imponibile, cit., p. 50.

22 Sul punto, sia consentito rinviare a G. MELIS, Evasione ed elusione fiscale internazionale e finanziamento dei diritti sociali: recenti trends e prospettive, in Rass. trib., 2014, p. 1283 ss., ove si evidenzia, tra l’altro, che l’art. 2(1) dell’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights non coinvolge solo gli Stati ma anche il settore privato e le società in particolare, atteso l’impatto che le loro azioni possono avere sul godimento dei diritti economici, sociali e culturali. Il ‘UN Committee on Economic, Social and Cultural Rights (CESCR) ha individuato varie ipotesi relative al ruolo delle corporations e/o del settore privato in generale, di dimensione sia nazionale che sovranazionale, quale il lavoro dei minori, le condizioni di lavoro insalubri, gli effetti della produzione sul diritto alla salute o i comportamenti corruttivi. In questo senso, pertanto, nulla vieta di estendere questa line of reasoning anche a quei comportamenti evasivi ed elusivi riferibili ai soggetti privati e al ruolo che gli Stati, sotto la cui giurisdizione ricadono, hanno nel prevenire siffatti comportamenti.

Si tratta di un profilo del più generale tema della Corporate Social Responsibility (CSR), affrontato a livello sia delle Nazioni Unite (cfr. gli UN Guiding Principles on Business and Human Rights), sia dell’OECD (cfr. le Guidelines for Multinational Enterprises). In quest’ultimo documento viene peraltro dedicato un intero capitolo all’importanza dell’adempimento degli obblighi tributari da parte delle multinazionali, rilevandosi in particolare, al par. 1 del Chapter XI-Taxation, che «It is important that enterprises contribute to the public finances of host countries by making timely payment of their tax liabilities. In particular, enterprises should comply with both the letter and spirit of the tax laws and regulations of the countries in which they operate. Complying with the spirit of the law means discerning and following the intention of the legislature. It does not require an enterprise to make payment in excess of the amount legally required pursuant to such an interpretation. Tax compliance includes such measures as providing to the relevant authorities timely information that is relevant or required by law for purposes of the correct determination oftaxes to be assessed in connection with their operations and conforming transfer pricing practices to the arm’s length principle».

23 Vedi S. GIANONCELLI, S.M. RONCO, La gestione del rischio fiscale, cit., p. 361-362.

24 Sul punto, P. SEVERINO, Fiscalità e competitività ai tempi del PNRR, cit., p. 470, la quale rileva «l’urgenza di un intervento normativo che, coordinando la disciplina inerente alla cooperative compliance con quella di cui al D.lgs. n. 231/2001, assicuri agli enti ammessi al regime di adempimento collaborativo di andare esenti dalle sanzioni di cui all’art. 25-quinquiesdecies, d.Lgs. n. 231/2001, attribuendo rilevanza anche nel “processo 231” alla valutazione di idoneità ed efficacia del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale effettuata dall’Agenzia delle Entrate in sede di esame dell’istanza di ammissione dell’ente al regime di cooperative compliance», ed esprime apprezzamento per la proposta prevista dal cosiddetto “Piano Colao” in tema di cooperative compliance riguardante «la non applicabilità delle sanzioni amministrative e penali per le società che i) siano in regime di cooperative compliance» e finanche per le società che «implementino un modello di presidio del rischio fiscale o iii) segnalino e documentino adeguatamente operazioni caratterizzate da un rischio fiscale».

25 Cass., Sez. III pen., n. 41755/2016. Sul punto, S.P. DI GIACOMO, “L’eterno ritorno dell’uguale: la Suprema Corte torna a confondere abuso del diritto e simulazione”, in Dir. prat. trib., 2017, II, pag. 1127 ss.

26 Cass., Sez. III pen., n. 5728/2016.

27 Sul punto, CGUE, 16 luglio 2015, C-255/14, Chmielewski; CGUE, 26 marzo 2015, C-499/13, Macikowski.

28 Per un elenco delle ipotesi critiche, si v. L. LODOLI, B. SANTACROCE, Sanzioni tributarie che cambiano pelle, in Il Sole 24 Ore, 19 marzo 2023, p. 14.

29 Fra le molte si v.: Cass., pen., 28 settembre 2018, n. 42897; Cass., pen., 28 maggio 2018, n. 23839.

30 Sul punto, la dottrina penalistica mostra posizioni non sempre uniformi: si v. A.F. Tripodi, L’ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, ir. pen. contemporaneo, 2020, pag. 118 ss.; M. Bellacosa, I reati tributari e i reati di contrabbando, in Aa.Vv. (a cura di G. Lattanzi e P. Severino), Responsabilità da reato degli enti, Vol. I. Diritto sostanziale, Torino, 2020, pag. 622 ss.; D. Piva, Reati tributari e responsabilità dell’ente: una riforma nel (ancorché non di) sistema, in Sistema penale, 2020, https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1600112871_piva-2020a-reati-tributari-responsabilita-enti-riforma.pdf; R. Bartole, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affètta da sistematica irragionevolezza, in Sistema penale, 2020, https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1584481795_bartoli-2020b-reati-tributari-responsabilita-enti-231-decreto-fiscale.pdf

31 Ed in effetti la dottrina ha constatato quale unica conseguenza del D.L. n. 138/2011 “l’incremento delle segnalazioni di reato e del numero dei procedimenti penali, con conseguente intasamento delle Procure della Repubblica e proporzionale incremento dei casi di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, senza alcun reale effetto in termini di deterrenza”: così E. Mastrogiacovo, Commento agli artt. 13 e 13-bis, D.Lgs. 74/2000, cit., pag. 302.

32 Vedi A. Marcheselli, Adesioni ai verbali, rischi e vantaggi penali per il contribuente, in Corr. trib., 2008, pag. 3520 ss., il quale evidenzia, con riferimento all’adesione ai processi verbali di constatazione, la mancanza di una norma, invece presente per gli studi di settore (art. 10, co. 6, L. 146/1998), che escluda l’obbligo di denuncia (ferma restandone la facoltà).

33 Oltre che con la possibilità di ottenere lo svincolo di quanto sia stato eventualmente sequestrato in eccesso in via preventiva finalizzato alla confisca “per equivalente” ex art. 322-ter c.p. Basta pensare agli accertamenti basati su presunzioni fiscali che, pur non sufficienti di per sé per giungere ad una condanna penale (Cass., sez. III pen., 6 marzo 2014, n. 10811), possono fondare secondo la giurisprudenza l’applicazione di una misura cautelare reale, richiedendo questa la semplice prospettazione del fumus del reato, intesa come mera probabilità di effettiva consumazione dell’illecito secondo la prospettazione della pubblica accusa, sulla base dell’indicazione di dati fattuali che si configurino coerenti con l’ipotesi criminosa (Cass., sez. III pen., 6 maggio 2014, n. 18715). Sulla rilevanza assunta dall’accertamento con adesione ai fini della riduzione della somma sottoposta a vincolo nel caso di sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore, in considerazione del principio di corrispondenza tra l’entità del profitto e il “quantum” del sequestro “per equivalente”, vedi Cass., sez. III pen., 23 novembre 2012, n. 45847; sulla rilevanza, ai medesimi fini, del pagamento rateale, vedi Cass., sez. III pen., n. 1738/2015.