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Riflessioni in tema di stabile organizzazione digitale

Scritto da Santa De Marco • gen 2021

Sintesi

Traendo spunto dalle proposte formulate sulla tassazione dell’economia digitale, da parte dell’Ocse, della Commissione Ue e del legislatore italiano che con la L. n. 205/2017 (Legge di bilancio 2018), è intervenuto a ridisciplinare i criteri volti a definire la stabile organizzazione di cui all’art. 162 T.u.i.r. introducendo la lett. f-bis, co. 2, dell’art. 162 T.u.i.r., con il presente contributo tentiamo di analizzare la nuova ridefinizione di stabile organizzazione evidenziando le criticità legate al collegamento a-territoriale della stabile organizzazione digitale. Certamente, l’iniziativa unilaterale intrapresa nel nostro Paese ha rappresentato una maggiore ouverture sui criteri impositivi della stabile organizzazione, ma non sufficiente.

Abstract

Drawing inspiration from the proposals made on the taxation of the digital economy, by the OECD, the EU Commission and the Italian legislator who, with Law no. 205/2017 (Budget Law 2018), intervened to re-regulate the criteria aimed at defining the permanent establishment referred to in art. 162 T.u.i.r. introducing lett. f-bis, paragraph 2 of art. 162 T.u.i.r., with this contribution we try to analyze the new redefinition of a permanent establishment highlighting the critical issues related to the a-territorial connection of the digital permanent establishment. Certainly, the unilateral initiative undertaken in our country represented a greater overture on the tax criteria of the permanent establishment, but it remains far from sufficient.

Contenuto

1. Profili introduttivi

L’intangibilità e la delocalizzazione che caratterizzano la digital economy involgono notevoli problematiche applicative e impositive correlate comportando, inevitabilmente, un ripensamento dei tradizionali modelli impositivi ormai obsoleti per i nuovi contesti digitali.1

Notiamo come la digital economy, sotto alcuni aspetti, ha comportato inevitabilmente la necessità di rivedere i tradizionali modelli impositivi e, come già sostenuto in dottrina, “a livello mondiale, europeo e nazionale, la fiscalità della rete è stata sino ad oggi caratterizzata dallo status quo approach, ma i tempi sembrano ormai maturi per riprendere taluni spunti del revolutionary approach”.2

L’immaterialità (o per meglio dire l’intangibilità) dei prodotti digitali erogati, se da un lato ha favorito lo sviluppo economico di alcuni Paesi, oltrepassando le barriere geografiche, dall’altro ha comportato non poche problematiche questioni, anche in merito alla corretta individuazione della ricchezza prodotta nello Stato della fonte.

Al fine di delimitare la pretesa impositiva fra i diversi Stati, è necessario individuare un criterio di localizzazione che consenta di circoscrivere la potestà fiscale tra lo Stato di residenza e lo Stato della fonte produttiva di reddito. Quest’ultimo può vantare la pretesa impositiva se il reddito prodotto all’interno dello Stato da parte di una società non residente, raggiunge un certo grado di intensità, ed è misurato in relazione al concetto di stabile organizzazione.

La stabile organizzazione permette di realizzare il diretto collegamento del reddito prodotto da un’impresa non residente con il territorio dello Stato in cui è stato prodotto. Tradizionalmente la stabile organizzazione postula l’esistenza di una struttura fisica, sia essa materiale e/o personale, riconducibile al soggetto non residente.

Ebbene, nella digital economy le imprese possono svolgere la propria attività economica senza ricorrere necessariamente a una struttura fisica o ad una sede fissa d’affari, operando in confini geografici c.d. “virtuali”. Ciò si traduce in un proliferarsi di tecniche elusive o evasive date dalla difficoltà oggettiva da parte del Fisco di intercettare la localizzazione del reddito3 e, quindi, i soggetti cui applicare l’attuazione del tributo. In altri termini, le imprese digitali sfuggono ai criteri tradizionali poiché per loro intrinseca natura sono nelle condizioni di operare senza alcuna presenza fisica.

In realtà, la necessità di intervenire sulla corretta qualificazione e localizzazione del reddito nella digital economy, è stata già ravvisata dall’Ocse che con diversi documenti4 ha approfondito e rimodulato le articolate problematiche fiscali connesse al commercio elettronico.

Orbene, gli organismi internazionali e la Commissione europea con le proposte di Direttiva (2018) 147 e 148 final, introducono la nozione di “presenza digitale significativa” come presupposto d’imposta del reddito prodotto in uno specifico Stato.

Sulla scorta di ciò, il legislatore italiano ha recepito le proposte degli organismi internazionali e comunitari, infatti, con la L. n. 205/2017 (Legge di bilancio 2018), è intervenuto a ridisciplinare i criteri volti a definire la stabile organizzazione di cui all’art. 162 T.u.i.r., slegando l’individuazione della stabile organizzazione a una sede fissa d’affari e, quindi ancorandola anche ad una consistenza non più materiale nel territorio dello Stato, ha introdotto la lettera f-bis, co. 2, dell’art. 162 T.u.i.r., e attribuito importanza alla “significativa e continuativa presenza economica” nel territorio dello Stato. Il legislatore, con diversi interventi normativi,5 ha introdotto, inoltre, la web tax recentemente rinominata digital tax sui ricavi relativi ad alcuni servizi digitali.6 È opportuno, preliminarmente chiarire che, la stabile organizzazione digitale scaturisce dal commercio elettronico diretto, invece, la c.d. digital tax è determinata per imposizione sui ricavi derivanti dalla prestazione di particolari servizi digitali.

Tuttavia, la nuova ridefinizione di stabile organizzazione nel commercio elettronico genera alcune perplessità che esamineremo nel presente contributo.


2. La nuova concezione di stabile organizzazione "virtuale"

L’introduzione della tassazione su base personale (worldwide taxation) ha manifestato conflitti impositivi tra lo Stato di residenza e lo Stato della fonte, per cui la stabile organizzazione è quello strumento in grado di eliminare la doppia imposizione volta a prevenire i conflitti tra Stati in ordine alla sovranità tributaria.

Senza entrare nel merito della questione, riteniamo di dover evidenziare che l’attività della stabile organizzazione deve potersi misurare economicamente in modo autonomo, pur non essendo un soggetto passivo, ai sensi dell’art. 73 T.u.i.r., ma centro d’imputazio­ne di situazioni giuridiche riferibili all’impresa non residente.

Sotto questo profilo, il centro di imputazione soggettivo, definito stabile organizzazione e la casa madre, cui pur sempre appartiene sotto il profilo civilistico, assumono autonoma rilevanza ai fini impositivi. In buona sostanza, la stabile organizzazione realizza un “polo di attrazione” dei redditi realizzati dal soggetto non residente in Italia, attrazione7 e assorbimento, nel novero dei redditi d’impresa, di alcune categorie reddituali realizzate sul territorio nazionale, indipendentemente se siano state prodotte direttamente dalla casa madre estera.8

La stabile organizzazione è riconducibile all’art. 5 del modello Ocse e all’art. 162 T.u.i.r., prevedendo che essa sia una “sede fissa d’affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato”, quando il reddito sia riferibile ad un soggetto non residente e possa considerarsi prodotto in Italia ed ivi essere sottoposto a tassazione.

La presenza di una stabile organizzazione attribuisce senz’altro allo Stato la facoltà di esercitare la pretesa impositiva nei riguardi dei soci non residenti,9 presupponendo una sede fissa d’affari e, quindi, una presenza fisica, ovvero una stabile organizzazione materiale che attiene allo spazio circoscritto in cui si trovano immobili, attrezzature e installazioni utilizzati non in modo esclusivo per lo svolgimento dell’attività d’impresa, ad esempio, una sede di direzione, una succursale, un ufficio, un laboratorio e così via.

Oltre la stabile organizzazione materiale, che ha rappresentato il criterio generale, l’art. 5 del Modello OCSE, in linea con quanto disposto nell’art. 162 T.u.i.r., prevede anche la stabile organizzazione personale, che può essere espletata anche in assenza di beni o di una struttura, purché sussista la presenza di una persona che stipuli contratti come se fossero conclusi dall’impresa estera.10

In altri termini, per la sussistenza della stabile organizzazione personale condizione necessaria è la sussistenza del requisito soggettivo e oggettivo, il primo, ricorre quando si tratta di una persona diversa da un agente con uno status indipendente il quale dovrà espletare la propria attività nel corso ordinario dei propri affari; il secondo presupposto, implica l’esercizio abituale per conto di un’impresa, con il potere di concludere contratti in nome e per conto della società estera.

Il legislatore per non dar luogo a dubbi interpretativi al co. 4 dell’art. 162 T.u.i.r., redige una negative list11 individuando tutte quelle ipotesi in cui non si configura una stabile organizzazione. In seguito, con la Legge di bilancio 2018 e con l’introduzione del comma 4-bis, il legislatore identifica le negative list a condizione che le fattispecie elencate dal co. 4 dell’art. 162 T.u.i.r. assumano carattere preparatorio o ausiliario.

Nella realtà, così come riconosce il Commentario OCSE, è alquanto difficoltoso individuare le attività che hanno carattere preparatorio o ausiliario da quelle che non lo hanno, pertanto, di rilevante importanza è valutare se le attività della sede fissa d’affari rappresentino una parte sostanziale dell’attività dell’impresa considerata unitariamente.

Il business digitale, però, ha comportato necessariamente una rivisitazione dei tradizionali modelli impositivi legati alla fisicità, per cui si è reso necessario trovare dei nuovi criteri volti a captare la ricchezza immateriale e a-locale; in particolare, questo fenomeno è rinvenibile nell’e-commerce.12

Tralasciando di esaminare le notevoli problematiche che involgono la stabile organizzazione, in questa sede, intendiamo focalizzare la nostra attenzione sulle innovazioni della stabile organizzazione nell’era della digital economy.

Senz’altro l’Unione europea e l’OCSE si sono mostrati sensibili alle numerose problematiche che l’economia digitale pone e la difficoltà più importante si è riscontrata nell’individuare un nuovo criterio di collegamento con il territorio del mercato. Le imprese digitali, infatti, svolgono la propria attività senza una presenza fisica e, come già evidenziato nell’Action 7 Plan Beps, non si tratta di eludere lo status di stabile organizzazione, quanto di non averne proprio necessità.

Si è avvertita, pertanto, l’esigenza di individuare un collegamento dell’impresa con il territorio, sulla scorta di indicatori economici, connessi alla presenza digitale, da cui scaturisce la stabile organizzazione digitale; tutto ciò implica, però, il delicato processo di far confluire l’imposizione nello Stato in cui è creato il valore.13

L’Ocse nel Final Report dell’Action 1 del Progetto BEPS, introduceva la proposta di individuare un nuovo criterio di collegamento territoriale fondato sulla Significant economic presence, sulla scorta di indici14 già identificati nel documento Ocse.

La stabile organizzazione virtuale deve essere intesa15 prendendo in considerazione tre elementi tipici delle imprese operanti nel web, quali: “scale without mass”, ovvero l’immaterialità che agevola lo sviluppo della presenza economica in un’altra giurisdizione, comportando sovente difficoltà nell’individuazione del soggetto passivo d’imposta; gli asset intangibili e le proprietà intellettuali che, per propria intrinseca natura possono essere allocati ovunque, permettendo di ottenere indebiti vantaggi fiscali; il valore dei dati e la partecipazione degli utenti nella creazione del valore.16 E, come suggerito in dottrina,17 «è proprio il diverso modo di creazione di ricchezza, fondato sul valore dei dati e della partecipazione dell’utenza, che consente di attribuire rilevanza al mercato di destinazione dei servizi digitali nella generazione di profitti e quindi di legittimare “l’impronta digitale” di un’impresa in una giurisdizione, attingendo a tali indicatori di attività economica». Nonostante gli sforzi profusi, l’obiettivo centrale dell’Action 1 non sembra ancora realizzato sebbene, l’Ocse abbia avviato un processo che doveva giungere entro l’anno la fine del 2020, a regole comuni per una digital tax globale.18

Orbene, in attesa di una regolamentazione internazionale condivisa, a livello comunitario, la Commissione ha pubblicato due proposte Dir. Com (2018) 147 e 148 final, non ancora attuate; la prima, è volta a valorizzare ed integrare il concetto di stabile organizzazione virtuale fondato sulla presenza digitale significativa, collegando i redditi prodotti dall’impresa sulla scorta di alcuni indici di attività economica;19 in altri termini, nell’individuare la nozione di servizi digitali e di interfaccia digitale (strumento con cui i servizi sono forniti) chiarisce che la stabile organizzazione digitale ricorre, alla presenza dei predetti indici, quando durante il periodo d’imposta, l’attività esercitata si concretizza interamente o in parte nella fornitura di servizi digitali tramite interfaccia. Inoltre, è importante individuare l’attribuzione degli utili alla stabile organizzazione digitale,20 prendendo in considerazione il modo in cui si è creato il valore nelle attività digitali.

Più che alle persone l’attenzione è posta alle attività svolte dall’impresa mediante un’interfaccia digitale in base ai dati degli utenti, che secondo la Commissione sono riconducibili alle c.d. “cinque attività chiave” sviluppo, potenziamento, mantenimento, protezione e sfruttamento – che l’Ocse nel documento Alignin transfer princing outcomes with value creation ‒ ritiene determinanti per la remunerazione degli intangible asset.21

Con la seconda proposta di Direttiva 148 (2018), invece, si istituisce un imposta sui servizi digitali con aliquota del 3% sui ricavi di specifiche tipologie di servizi digitali ed il presupposto d’imposta è identificabile nella partecipazione dell’utente alla creazione del valore.

Tutto ciò ha inevitabilmente comportato una rivisitazione critica dei criteri impositivi anche da parte dei singoli Stati, pertanto, in Italia il legislatore è intervenuto con la Legge di bilancio 2018 (L. n. 205/2017) operando su due direzioni: la ridefinizione di S.O. al mutato contesto e riproponendo la digital tax.22 In tema di stabile organizzazione lo spartiacque tra vecchia e nuova formulazione è rappresentato dalla Legge di bilancio 2018 (L. n. 205/2017). Il legislatore, infatti, ha effettuato un restyling all’art. 162 T.u.i.r., ricalcando pressappoco le indicazioni formulate nel rapporto finale dell’Ocse nell’ambito del public discussion draft della “Action Plan 1: Address the tax challenges of the digital economy”.

Evidenziamo come il legislatore nel comma 2 dell’art. 162 T.u.i.r., introduce la lett f-bis, infatti, nella positive list è individuata una nuova modalità di identificazione della S.O. “virtuale” legata a “una significativa e continuativa presenza economica nel Territorio dello Stato costruita in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.

Questa disposizione dovrebbe essere finalizzata ad intercettare le multinazionali del web, che operano senza struttura materiale, di conseguenza l’inserimento della lettera in oggetto ha comportato l’abrogazione del comma 5 dell’art. 162 T.u.i.r.23 Il legislatore, infatti, ha dovuto adeguare la disciplina ai mutamenti connessi alla digital economy introducendo un nuovo criterio di collegamento a-territoriale della stabile organizzazione, fondato non più sulla presenza física, bensì su quella economica. Nella realtà dei fatti, tuttavia, il legislatore non ha fornito chiarimenti normativi in relazione ai fatti-indice al ricorrere dei quali si presuppone l’esistenza di una “significativa e continuativa presenza economica”.24 Si evince, però, che la mancanza di tassatività della norma, sembra prefissare una norma “impositiva in bianco”, volta a prestare il fianco ai labili confini, agli incerti profili di applicabilità e “probabilmente foriera di elevate conflittualità in sede giurisdizionale”.25

Ed ancora, non si comprende perchè il legislatore abbia voluto inserire questa particolare fattispecie priva del requisito della materialità (sede fissa d’affari) all’interno delle positive list, ovvero all’interno di quella lista che identifica le stabili organizzazioni materiali.

Inoltre, lo schema di Direttiva sembra che abbia contemplato una nuova fattispecie di stabile organizzazione digitale priva dell’intento antielusivo; invece, in ambito domestico con il dato letterale della norma di cui al co. 2 dell’art 162 T.u.i.r., “in modo tale da non far risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso”, sembra indicare un’interpretazione della norma in chiave antielusiva; allora a questo punto non sarebbe stato opportuno collocare la norma in oggetto come disposizione di chiusura dell’art. 162 T.u.i.r.?


3. La stabile organizzazione nel web

L’esponenziale sviluppo del commercio elettronico, e i confini territoriali sempre più labili, hanno fornito lo spunto per un vivace dibattito scientifico26 e giurisprudenziale circa l’identificabilità della stabile organizzazione nel sito web e nel server e la possibilità di applicare i principi elaborati dall’Ocse anche alle transazioni espletate mediante e-commerce.

Successivamente alla conferenza di Turku e Ottawa, nel 2000, l’OCSE – con il documento”, “Clarification on the Application of the Permanent Establishment Definition in E-Commerce: Changes to the Commentary on Article 5” ‒ ha modificato la definizione della S.O. nell’e-commerce di cui all’art. 5 del commentario.27

Preliminarmente occorre chiarire che nel commercio elettronico diretto affinché i clienti possano accedere al sito web devono connettersi mediante il server. Il content provider, invece, è il soggetto al quale è attribuita la disponibilità del sito web.

In relazione alla configurabilità del sito web su server, di proprietà o in uso, la dottrina internazionale28 e nazionale,29 con orientamento concorde ritiene che la pagina web non soddisfacendo il requisito della fissità non può costituire S.O.

Nel caso specifico, il principio di fissità deve intendersi non come ancoraggio al suolo, ma come legame di natura economico/funzionale. Questa interpretazione, peraltro, ha trovato conferma nel par. 4, lett. e), art. 5 del Modello e nelle modifiche apportate al Commentario, nei paragrafi 42.2 e 42.3, secondo il quale il sito web generando informazioni svolge una funzione che non costituisce stabile organizzazione.

Il server, invece, a differenza del sito web può configurare stabile organizzazione nell’ipotesi in cui è nella totale disponibilità del soggetto che svolge attività d’impresa. Ma vi è di più, il server, affinché sia riconducibile alla S.O. può operare in automatico mediante la semplice presenza di macchinari o richiede la presenza del soggetto (personale umano)?

Sull’argomento sussistono due differenti interpretazioni: la prima ritiene30 che si possa attribuire rilevanza al server come S.O, anche nell’ipotesi di vendita mediante macchinari, la seconda, invece, sostiene31 che al fine della configurabilità della S.O. al server è necessario ricondurlo all’espletamento di un’attività d’impresa che svolga un ciclo commerciale completo, infatti, dovendo svolgere mediante una sede fissa d’affari un ciclo commerciale non può essere preparatoria o ausiliaria. A tal proposito la Commissione europea, con la comunicazione interpretativa n. 97/C-209/4, ha chiarito che nell’ipotesi di fornitura tramite e-commerce, l’installazione e la manutenzione non configurano S.O, tranne che non sia collegato ad una succursale o agenzia.32

Tra l’altro, il legislatore con il D.Lgs. n. 344/2003, nell’introdurre in ambito domestico la stabile organizzazione, ha previsto all’art. 162, co. 5, T.u.i.r., “che non costituisce di per sé stabile organizzazione la disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi”.

Orbene, elementi immateriali, come ad esempio, il sito web, sebbene, indispensabile per lo svolgimento dell’e-commerce in linea generale non è considerato idoneo a integrare l’istituto in oggetto, anche se occorre precisare che, sotto il profilo soggettivo (il content provider) può conferire la disponibilità del sito in base a due differenti modalità: la prima, il content provider utilizza direttamente sul territorio estero un server di cui ha la piena disponibilità, allora in tal caso, si attribuisce la S.O. in relazione alla disponibilità del sito.

Nella seconda ipotesi, invece, il C.P. stipula un accordo con cui un ISP, il quale mette a disposizione il proprio server, in questo caso il sito web seppur indispensabile per lo svolgimento dell’e-commerce non è idoneo a configurare la S.O.

In definitiva, nell’ipotesi del sito web memorizzato sul server altrui, bisogna precisare che, tale fattispecie di per sé non è idonea a costituire una stabile organizzazione dell’impresa nei Paesi diversi da quello di residenza della stessa, in cui il sito è visualizzato.

Queste affermazioni hanno trovato riscontro nelle indicazioni fornite dal Commentario all’art. 5 del Modello Ocse, secondo il quale “un’attrezzatura informatica in un determinato luogo può costituire una stabile organizzazione solo se soddisfa la condizione di essere fissa”. Si deduce come il Commentario Ocse abbia avallato un’impostazione fisicistica e in questo contesto, elemento che può integrare la sede fissa d’affari è il server. Non è la semplice disponibilità del server che assurge l’idoneità alla stabile organizzazione, ma è necessario che lo stesso abbia il carattere della stabilità sia sotto il profilo spaziale, sia temporale.

Il predetto requisito sussiste quando il server è posto in un determinato luogo e per un periodo tale da attribuire il carattere della fissità. In definitiva, la disponibilità di un server è tale da rappresentare una stabile organizzazione, nell’ipotesi in cui sia utilizzato dall’impresa non residente per l’esecuzione di una o più fasi essenziali – e non preparatorie o ausiliarie33 – delle funzioni tipiche svolte esclusivamente in rete.

Ovvero, è necessario che il server sia totalmente nella disponibilità del soggetto che svolge l’attività d’impresa e come evidenziato in dottrina, “a tal proposito è necessario fare riferimento al principio di prevalenza della sostanza sulla forma e di conseguenza sottolineare l’irrilevanza del titolo giuridico dal quale discende tale disponibilità”.34

Poniamo l’ipotesi in cui l’impresa eserciti la propria attività mediante il sito web e abbia la piena disponibilità del server su cui è utilizzato il sito, il luogo in cui si trova il server potrebbe rappresentare la stabile organizzazione dell’impresa, purché ci sia il profilo della stabilità sia spaziale, sia temporale.

Sul punto, l’Agenzia delle entrate, con la Risoluzione del 28 maggio 2007, n. 119, ha chiarito che “se un soggetto non residente svolge la propria attività commerciale attraverso un server di suo utilizzo esclusivo, installato per un tempo indefinito in Italia, siamo di fronte a una stabile organizzazione, i cui proventi sono assoggettati a tassazione nel territorio dello Stato”.

Anche la giurisprudenza35 sembrava accogliere tale impostazione, peraltro, un filone ormai consolidato in materia di collegamento tra stabile organizzazione ed e-commerce, sostiene che il server sia idoneo ad identificare una stabile organizzazione quando sia combinato con altri elementi, ed in particolare, quando il server sia supportato dalla presenza di personale dipendente.

Al contrario non vi è stabile organizzazione in Italia se si svolgono attività preparatorie e ausiliarie, così si è espressa la Commissione tributaria provinciale di Padova con la sentenza del 2 gennaio 2018, n. 19; nello specifico, a una società italiana, che commercializza pacchetti turistici, svolgendo in concreto un’attività preparatoria e ausiliaria, non si può contestare di essere una stabile organizzazione di una società estera che vende software a operatori turistici.

Si sarebbe configurata la stabile organizzazione solo nel caso in cui si dimostrava che la società italiana svolgeva l’attività principale raccogliendo gli ordini e vendendo direttamente i vari software, orientamento, peraltro, confermato nella Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 4/E del 2017.

Come detto precedentemente, il legislatore, con la Legge di bilanco 2018, ha abrogato il comma 5 dell’articolo 162, secondo cui non rappresentava S.O. la “disponibilità a qualsiasi titolo di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati e informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi. Con ciò si è tentato di superare l’inconsistenza delle strutture materiali, tipiche delle aziende che operano nel web, poiché, l’interpretazione restrittiva della stabile organizzazione, a lungo utilizzata, ha senz’altro prestato il fianco alle multinazionali del web (ad esempio Google, Apple, Amazon, Facebook) che pur svolgendo attività che realizzano profitti in Italia, in concreto, hanno cercato di sottrarre l’imposizione alla nostra giurisdizione; Elemento di rilevante novità è stato l'inserimento tra le positive list di una nuova fattispecie data da “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso”.36 Da ciò ne deriva che sia superato il criterio della fissità della S.O, per attribuire rilevanza al luogo e alle modalità di allocazione del reddito,37 soluzione che inoltre dovrebbe garantire un’equa ripartizione tra gli Stati e seguire la creazione del valore che caratterizza la digital economy.

Un ruolo significativo è stato senz’altro dato dalla Corte di Giustizia europea che, con diverse pronunce, ha fornito lo spunto per rivedere alcuni aspetti connessi al collegamento dell’imposizione fiscale nella digital economy, ribaltando i tradizionali modelli impositivi e fornendo degli alternativi criteri impositivi ed interpretativi orientati verso una territorialità digitale.

Di particolare interesse sono le conclusioni rese dall’Avvocato generale Kokott, nella causa Google Ireland Limited (C-482/18) presentate alla Corte il 12 settembre 2019.

Nel caso specifico, l’Ungheria in udienza fondava la pretesa impositiva sul presupposto che, la pubblicità su internet in lingua ungherese è rivolta agli utenti che si trovano per la maggior parte sul territorio ungherese, pertanto, Google non registrandosi nel territorio ungherese non aveva assolto all’imposta sulla pubblicità e, quindi, in virtù del servizio reso alla popolazione ungherese, genera redditi non tassati in Ungheria.

Così come sollevato dall’A.G., in via del tutto generale, l’uso della lingua costituisce un elemento fondamentale dell’identità di una nazione, con un forte nesso di collegamento con il territorio.

In definitiva, le conclusioni fornite dall’A.G. sono particolarmente creative perché, facendo leva sulle libertà fondamentali, induce a rivedere il concetto di genuine link ai fini della territorialità dell’imposizione, giacché, costituisce il “presupposto e il limite del potere di uno Stato membro di sottoporre una fattispecie imponibile alle proprie regole fiscali”. Tra l’altro, l’A.G. nell’individuare il nexus del genuine link con il proprio territorio, in presenza di un’attività che eroga prestazione di servizi dematerializzati, non sembra mensionare il concetto di stabile organizzazione.38

Ci si chiede se il c.d. genuine link39 possa rappresentare il liason con il territorio e quanto può valere per l’inglese, considerata lingua universale?

Emerge che si tratta di un limite piuttosto indefinibile e non può considerarsi universale, pertanto, nella disciplina tributaria, non appare chiarito il limite (confine) esistente del genuine link, tra fattispecie e Paese che esecita il potere impositivo.

Il criterio di collegamento, nel caso della digital economy deve dare risalto ai criteri oggettivi (es. ammontare delle vendite dirette in un determinato mercato, numero di utenti registrati presenti in un determinato periodo, ecc.), requisiti peraltro già individuati ai fini dell’identificazione di una “presenza digitale significativa”.

Certamente, la presenza digitale significativa collegata alla presenza di utenti in un determinato mercato, valorizza una potenziale creazione di valore, determinante al fine della localizzazione del reddito.

L’uso della lingua locale, per diffondere un messaggio commerciale dematerializzato, non può rappresentare l’indice economico dell’attività svolta.40 È, infatti, necessario che il collegamento debba avere “una inequivoca valenza economica, dal momento che è proprio a partire da quel legame che l’ordinamento locale è legittimato a prelevare le imposte su una parte del reddito di quella”.41

E proprio sull’argomento, la Corte suprema federale degli Stati Uniti d’America con la sentenza South Dakota v Wayfair42 ‒ superando gli orientamenti consolidati nel corso del tempo in materia di commercio elettronico43 – consente l’applicazione della sales tax anche a soggetti non presenti fisicamente nel territorio dello Stato, purché in possesso di una presenza digitale, che emerge dal numero di transazioni poste in essere o dal volume d’affari complessivo.

Questo nuovo criterio di collegamento della Suprema corte federale, sembra oltrepassare i confini statunitensi per orientare la traiettoria verso le norme e le proposte varate in Italia e in Europa, allineandosi al criterio proposto dall’Ocse.

Seppur in contesti diversi il criterio della presenza digitale significativa è stato acquisito e positivizzato in diversi Paesi europei e non, anche se occorre precisare che attualmente non sussiste una disciplina che regolamenta la fiscalità della digital economy in modo organico a livello internazionale.44

Senz’altro, il recente intervento del legislatore è stato significativo, poiché ha integrato e ridefinito la stabile organizzazione al mutato contesto socio-economico.

Ciò però non è sufficiente, in quanto non dovrebbe essere semplicemente la presenza economica – di una “continuativa” in termini temporali e “significativa” sotto il profilo del fatturato – ad attribuire il connotato di una stabile organizzazione, essa dovrebbe insorgere in tutti i casi in cui sussiste un’interazione significativa con il tessuto economico di ciascun Paese, dato ad esempio dall’utilizzo ricorrente di strumenti informatici ubicati nel territorio dello Stato; limitando quei fenomeni di pianificazione fiscale volti a dirottare la localizzazione del reddito in Paesi a fiscalità privilegiata.45


4. Considerazioni conclusive

Tirando le fila di quanto argomentato emerge che, sebbene il legislatore nazionale con il predetto provvedimento normativo abbia ridefinito il concetto di stabile organizzazione nella digital economy ed introdotto la digital tax, in concreto, siamo ancora distanti da una soluzione efficace e coerente con le peculiarità che connotano la web economy.

Sicuramente, l’iniziativa unilaterale intrapresa nel nostro Paese ha rappresentato una maggiore ouverture sui criteri impositivi della stabile organizzazione, ma non sufficiente.

In realtà, nell’ambito della digital economy, il legislatore dal 2020, con la digital tax, ha previsto la tassazione su alcune transazioni digitali, ma il problema sta alla radice, vale a dire quello concernente l’individuazione della stabile organizzazione virtuale.

Come detto in precedenza, si dovrebbe attribuire rilevanza non solo alla continuativa presenza economica in termini temporali, e significatività delle transazioni riguardo al fatturato; ma bisognerebbe prendere in considerazione la “presenza digitale significativa”, così come si evince nella proposta di Direttiva (2018) 147, formulata dalla Commissione europea.

Il report dell’Ocse (par. 214) ad esempio ha ipotizzato la sussistenza di una permanenza digitale significativa sul numero di contratti on line stipulati con clienti residenti in un Paese diverso rispetto a quello in cui ha sede l’impresa; alla quantità di beni e servizi consumati dai clienti residenti in quel territorio; alle modalità di pagamento per l’acquisto di beni e servizi digitali.

Ciò consentirebbe, inoltre, di porre i riflettori sul “luogo di creazione del valore… il che lascerebbe legittimamente ritenere che una quota della filiera del valore sia senz’altro prodotta nel luogo in cui avviene il consumo”.46

La mobilità e l’intangibilità delle operazioni, frequentemente, portano a fenomeni di tax planning; la rete consente di localizzare l’attività economica ovunque senza porre limiti operativi, con tutto ciò che determina in termini di operazioni elusive e, quindi, di mancato gettito. Tra l’altro, il contrasto alle pratiche elusive digitali,47 non può essere ricondotto nell’alveo della clausola generale antiabuso di cui all’art. 10-bis L. 212/2000,48 poiché inadeguata ad intercettare la ricchezza prodotta dalle articolate architetture societarie poste in essere dai giganti del web.49

Come ci è noto, ad esempio, il cross-border e-commerce implica notevoli questioni di natura fiscale,50 al punto che alcuni operatori, per aggirare il Fisco, possono erogare beni o servizi mediante l’ausilio di siti web ospitati su server off-shore o server localizzati nelle Free Trade Zone ma, comunque le modalità di pagamento si esplicano mediante carte di credito, paypal o Alipay, o altro mezzo di pagamento elettronico.

In conclusione, in un mercato senza confini territoriali occorre necessariamente un ripensamento dei criteri impositivi che siano frutto di una collaborazione internazionale tra Paesi, che oltre ad essere equi e parametrati all’effettiva capacità contributiva, siano volti a evitare, da un lato, fenomeni di doppia imposizione e dall’altro, limitare i possibili arbitraggi fiscali, dannosi per l’economia e la fiscalità.

E proprio in quest’ultimo periodo l’Ocse, in occasione della “Tax and Fiscal Policy in Response to the Coronavirus Crisis”, mette in evidenza come in questa particolare situazione di crisi sanitaria e non, occorre rispondere alle sfide connesse all’incremento della digitalizzazione (smart working, didattica digitale e così via), tentando di trovare un accordo internazionale sulla tassazione delle web company.

Vista l’inadeguatezza delle norme attuali, auspichiamo che il legislatore possa intervenire in modo più incisivo sull’individuazione degli efficaci e corretti strumenti fiscali in grado di arginare il fenomeno del disappearing taxpayer.

1 Cfr. A. Uricchio, Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta “bit tax”. Prospettive di riforma della fiscalità di interne, in Il Diritto Tributario dell’Informazione e dell’Informatica, nn. 4-5/2005, p. 753.

2 Si veda L. Del Federico, Introduzione al dibattito sulla tassazione della Digital Economy, Le nuove forme di tassazione della digital economy a cura di L. Del Federico - C. Ricci, nella collana degli Studi dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Tributario, Aracne, Roma, 2018, p. 23.

3 Cfr. V. Uckmar, Introduzione, in Corso di diritto tributario internazionale coordinato da V. Uckmar, II ed., Padova, 2002, p. 17.

4 Nel tentativo di adattare i principi esistenti all’evolversi del commercio elettronico, l’Ocse con la conferenza di Turku nel 1997, esamina aspetti del tutto nuovi come ad esempio i siti web e il server come elementi cui, eventualmente, ancorare l’esistenza di una S.O., successivamente, è seguita la conferenza di Ottawa nel 1998, pervenendo alle conclusioni che i principi generali alla base del Modello sono adeguati ad essere applicati al nuovo contesto dell’e-commerce (tra cui anche la S.O.). Nel 2000 con la pubblicazione del documento “Clarification on the Application of the Permanent Establishement definition in E-commerce: Changes to the Commentary on article 5” ha introdotto diversi paragrafi al commentario (dal 122 al 131), individuando le ipotesi in cui è individuabile una stabile organizzazione. Con il progetto Beps, segnatamente nel public discussion draftAction Plan 1: Address the Tax Challenges of the Digital Economy”, segnatamente, il documento dell’OCSE del 16 settembre 2014 par. 7.5. afferma che “there is therefore a need to clarify the application of existing rules to some new business models”, pubblicato in www.oecd.org/ctp/tax-challenges-digital-economy. Recentemente il G20 di Riyadh ha espresso ampio consenso alla proposta del Pillar One, elaborato dall’Ocse, il quale ha come finalità quello di attribuire la potestà impositiva tra i differenti Stati su base mondiale, ma la politica degli Stati Uniti sembra rallentare il processo di regolamentazione della digital economy.

5 Un primo provvedimento relativo alla web tax è riconducibile alla L. n. 147/2013 (Legge di stabilità 2014), successivamente abrogata con il D.L. n. 16/2014. Con la L. n. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018) è stata introdotta la web tax, che doveva originariamente entrare in vigore il 1° gennaio 2019, ma rimasta inattuata per mancanza del decreto attuativo; la L. n. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019) non ancora risolutiva e, infine, con l’art. 1, co. 678, L. n. 160/2019 (legge di Bilancio 2020) la web tax rinominata digital tax è operativa a partire dal 1° gennaio 2020.

6 A partire dal 1° gennaio 2020, la digital tax si applica, su alcuni servizi digitali con un’aliquota del tre per cento e si impone alle prestazioni di servizio espletate mediante canali elettronici, rese alle imprese residenti nel territorio dello Stato e delle stabili organizzazioni di soggetti non residenti. L’aliquota del 3% si applica alle imprese che hanno realizzato un volume di ricavi annuo, ovunque realizzati, superiore a 750 milioni di euro e i cui ricavi derivanti da prestazioni di servizi digitali non siano inferiori a 5,5 milioni di euro.

7 Sul punto si veda sentenza della Corte di Cassazione del 22 luglio 2011, n. 16106 e sentenza della Commissione Tributaria Regionale delle Marche del 24 giugno 2011, n. 44.

8 Segnatamente, sono soggetti alla forza di attrazione “le plusvalenze e le minusvalenze dei beni destinati (o comunque relativi) alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato, gli utili distribuiti da società ed enti di cui alle lettere a) e b) del co. 1 dell’art. 73 e le plusvalenze di cui all’art. 23, co. 1, lett. f)”.

9 Ci sia consentito ricordare che, tradizionalmente il legislatore in relazione alle imposte sui redditi ha stabilito (art. 3, co. 1, D.P.R, n. 917/86) che si tassasse il contribuente in relazione alla residenza, oppure, in base al luogo della produzione del reddito, pertanto, concorrono alle spese pubbliche sia i residenti che non, ma questi ultimi si avvalgono della S.O.

10 Cfr. L. Tosi - R. Baggio, Lineamenti di Diritto Tributario Internazionale, Milano, 2018, p. 44, logicamente non rappresenta una stabile organizzazione dell’impresa non residente “il solo fatto che essa eserciti nel territorio dello Stato la propria attività per mezzo di un mediatore, di un commissario generale, o di ogni altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività”.

11 Segnatamente l’art 162, co. 4, prevede che non configurano stabile organizzazione: “a) l'uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all'impresa; b) la disponibilità di beni o merci appartenenti all'impresa immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna; c) la disponibilità di beni o merci appartenenti all'impresa immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un'altra impresa; d) la disponibilità di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini di acquistare beni o merci o di raccogliere informazioni per l'impresa; e) la disponibilità di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini dello svolgimento, per l'impresa, di ogni altra attività; f) la disponibilità di una sede fissa di affari utilizzata ai soli fini dell'esercizio combinato delle attività menzionate nelle lettere da a) ad e)”.

12 Ricordiamo brevemente come il commercio elettronico possa essere distinto in: commercio elettronico diretto, inteso come insieme di operazioni aventi come oggetto prodotti digitali, ossia caratterizzati da beni immateriali che sono trasferiti interamente per via telematica; commercio elettronico indiretto quando, invece, alla conclusione della transazione attraverso internet, segue la consegna fisica del bene oggetto della stessa, utilizzando le vie tradizionali, “vendite per corrispondenza” (o vendite a domicilio).

13 Cfr. F. GALGANO - S. CASSESE - G. TREMONTI, Nazioni senza ricchezza e ricchezza senza nazione, Bologna, p. 1993.

14 Il criterio di collegamento tra giurisdizione tributaria e digital company è fondato sul concetto di presenza economica significativa, che prende in considerazione come indici, da una parte i ricavi, dall’altra il numero di utenti di servizi digitali presenti nei Paesi in cui l’attività è svolta. I predetti indici rappresentano “l’impronta digitale” di un’impresa in una giurisdizione.

15 Secondo quanto pubblicato (marzo 2018) dal report della Task Force on the Digital Economy dell’Ocse, la digital presence da sola non è sufficiente, pertanto, è necessario identificare anche dei nuovi criteri di attribuzione dei profitti alla digital economy.

16 Si assiste, infatti, ad un’inversione in cui gli utenti oltre che destinatari, diventano protegonisti del processo di creazione del valore consentendo, infatti, alle aziende del web di massimizzare i profitti…

17 Così, A. URICCHIO - W. SPINAPOLICE, La corsa ad ostacoli della web taxation, in Rass. Trib., n. 3/2018, p. 462.

18 In ambito nazionale, non si può prescindere dall’osservare che l’istituzione di questo moderno tributo (digital tax) affonda le sue radici nelle problematiche già osservate durante gli anni novanta, ovvero nella necessità di rivedere i tradizionali modelli impositivi ormai obsoleti e non in grado di garantire sufficientemente il concorso alle spese pubbliche. Con la finalità di tutelare la pretesa impositiva, la digital tax “non è altro che uno studio di come il concetto espresso dall’art. 53, co. 1, Cost., sia stato ridisegnato (ed esteso) per andare ad incidere una capacità contributiva che sarebbe andata perduta” (M. GREGGI, La web tax e le sue radici costituzionali, in Quaderni Costituzionali, n. 1/2018, p. 212). In concreto, l’acquisto in una vetrina virtuale determina l’impoverimento di una nazione perché si sposta in un altro Paese, parte del reddito nazionale, pertanto come attentamente evidenziato in dottrina (A. Giovannini, Quale capacità contributiva?, in Dir. Prat. Trib., n. 3/2020, p. 844), “la giustificazione del tributo qui s’identifica con le sue finalità (extra- tributarie): proteggere la ricchezza di uno Stato sovrano, il nostro... Ecco che lo spazio torna ad essere ripartito tra istituzioni sovrane: dal brodo gelatinoso e informe ad elemento della sovranita`, anche fiscale”.

19 Gli indici dell’attività economica indicati nella proposta di Direttiva 147 si configurano quando in un determinato Stato, una piattaforma digitale in un anno realizza ricavi per oltre 7 milioni di euro, o abbia oltre 100.000 utilizzatori, o stipuli oltre 3.000 contratti in transazioni B2B. In questo caso si configura la stabile organizzazione virtuale.

20 Cfr. Y. BRAUNER - P. PISTONE, Comments on the Attribution of Profits to the Digital Permanent Establishment, in Bulletin for international taxation, 2018.

21 Cfr. A. PERRONE, Il percorso (incerto) della c.d. web tax italiana tra modelli internazionali ed eurounitari di tassazione della digital economy, in Riv. Dir. Trib. (supplemento online), 30 agosto 2019.

22 Per l’evoluzione normativa si veda nota n. 5. Dal 1° gennaio 2020, il legislatore con l’art. 1, co. 678, L. n. 160/2019 (Legge di Bilancio 2020) ripristina la web tax denominata digital tax, sebbene con una “sunset clause”, che attribuisce carattere provvisorio fino all’attuazione di nuove disposizioni di carattere internazionale sulla tassazione della digital economy. La nuova imposta, differentemente dall’imposta sui redditi e dall’Iva, è un prelievo sui servizi, rimodulata in stretta aderenza alla proposta di direttiva Com. (2018) 148 final, essa è applicata alle imprese con significativa presenza economica – che prestano servizi effettuati mediante mezzi elettronici – e resi nei confronti delle stabili organizzazioni di soggetti non residenti e di imprese residenti nel territorio dello Stato. Notiamo come il presupposto d’imposta non sia più legato alla fisicità (sede fissa d’affari), infatti, il legislatore ha introdotto la digital tax sui ricavi di alcuni servizi digitali da pagare nel Paese in cui i servizi sono usufruiti, avente natura d’imposta sul luogo di destinazione. Anche se, occorre evidenziare che, a livello internazionale, non sembra esserci un criterio condiviso, ovvero, alcuni Paesi, quale gli Stati Uniti, tassano nello Stato di origine, vale a dire dove si trova il negozio virtuale; altri, invece, come ad esempio l’Italia, La Spagna, la Francia e così via, prediligono tassare nel luogo in cui si consuma. Senz’altro, il criterio impositivo fondato sulla tassazione del valore digitale, sembra del tutto nuovo e, certamente, la “presenza digitale significativa” è inevitabilmente collegata con la presenza di utenti in un determinato mercato, valorizzando una potenziale creazione del valore, determinante ai fini della localizzazione del reddito, che prescinde dai tradizionali indicatori economici. Anche se il legislatore nazionale, con la digital tax, a differenza della proposta europea non sembra valorizzare sufficientemente il ruolo svolto dagli utenti nella creazione del valore, incentrandosi prevalentemente sulla tassazione dei ricavi. Il legislatore comunitario, nell’aver individuato la tassabilità dei ricavi, introduce un nuovo parametro impositivo dato dalla convergenza della “tassazione del valore- utente”, che nelle realtà digitali potrebbe tradursi in atipiche prestazioni di servizi, come ad esempio la condivisione o il conferimento dei dati personali. Si tratta senz’altro di elementi che, autonomamente non sono produttivi di ricchezza, ma se inseriti in un contesto imprenditoriale lo possono diventare; il dato, infatti, diventa fondamentale nella catena del valore delle imprese digitali. Ciò risiede nel voler intercettare l’emersione della nuova ricchezza della digital economy non identificabile secondo schemi tradizionale e, probabilmente, “anche da una sostanziale diffidenza nei confronti dell’imposta personale” (C. MARAZZO, La tassazione del commercio elettronico dopo la sentenza Wayfair: verso una territorialità digitale, in Riv. Dir. Trib., n. 4/2018, p. 163) contrapponendo, infatti, un modello “fondato sull’imposizione reale sul beneficiario e sulla fonte” (Cosi G. FRANSONI, La web tax: miti, retorica e realtà, in Riv. Dir. Trib. supplemento online, 5 aprile 2018).

23 Secondo il quale non si configurava stabile organizzazione nel caso di disponibilità a qualsiasi titolo di “elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi”. In sostituzione è stata introdotta la norma “anti-frammentazione”, ripresa dal progetto Beps e sorta con finalità anti elusiva, volta ad evitare che alcune attività si suddividano in frammenti e siano individualmente ritenute come ausiliarie o preparatorie, con la finalità di conseguire vantaggi fiscali, per cui la ratio dell’anti-fragmentation rule è quella di effettuare una valutazione delle diverse attività svolte nel territorio nazionale da uno stesso soggetto o da più soggetti tra loro strettamente correlati.

24 Nell’Action 1 del progetto Beps, l’Ocse ha suggerito alcuni indicatori fondati sul reddito, su alcuni fattori digitali ed elementi parametrati sull’utenza (entità dei dati raccolti).

25 Si veda M. GREGGI, La web tax e le sue radici costituzionali, op. cit., p. 212.

26 In merito alle problematiche fiscali dell’e-commerce si vedano, tra tutti, L. Del Federico, Internet, contratti informatici e commercio elettronico nel sistema tributario: problemi e linee evolutive, in Diritto dell’informatica, a cura di G. Finocchiaro - F. Delfini, Milano, 2014; AA.VV., La Digital Economy nel sistema tributario italiano ed europeo, a cura di L. Del Federico - C. Ricci, Padova, 2015, pp. 1014 e ss.; L. Del Federico, La via Italiana alla tassazione del Web: un intervento poco meditato ma dalle condivisibili finalità, in Riv. Trim. Dir. Trib., n. 4/2014, p. 913; C. Sacchetto - F. Montalcini, Diritto Tributario Telematico, Torino, 2015; A. Uricchio, Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta Bit Tax. Prospettive di riforma della fiscalità di internet, in Dir. Inf., 2005, p. 753; Id., Le frontiere dell’imposizione tra evoluzione tecnologica e nuovi assetti istituzionali, Bari, 2010; G. Melis, Commercio elettronico nel diritto tributario, in Digesto, disc. priv., sez. comm., 2008; M.V. Serrano’, Beni e Cose” nella fattispecie dell’e-commerce, in Boll. Trib., 2008, pp. 606 e ss.; Ficari, Il regime fiscale delle transazioni telematiche, Rass. trib., 2003, p. 870; P. ADONNINO, Internet (diritto tributario), in Enc. Treccani, (agg.2002), S. Sammartino, Commercio elettronico internazionale ed Iva: la qualificazione delle operazioni alla luce della normativa italiana, in La fiscalità del commercio via internet: attualità e prospettive, a cura di Rinaldi, Torino, 2001, p. 159.

27 Nel 2005 l’Ocse con la pubblicazione di un nuovo documento conferisce rilevanza giuridica al luogo in cui si trova il consumatore giacché inevitabilmente coinvolto nella produzione di questo reddito. Per maggiori approfondimenti si veda G. MELIS, Commercio elettronico nel diritto tributario, ad vocem, in Digesto, Sez. comm., Giuffrè, Torino, 2008, pp. 63-85. Con il progetto Beps, segnatamente nel public discussion draft, l’Action 1 rubricata: Address the Tax Challenges of the Digital Economy, esamina le problematiche connesse alla digital economy senza però effettuare modifiche del Modello, del Commentario o dello Strumento Multilaterale. A tal proposito si veda C. Garbarino, L’impatto del progetto Beps sul concetto di stabile organizzazione, in. Dir. Prat Trib., n. 2/2019, p. 611;

28 Si vedano R. Doernberg - L. Hinnekens, Electronic commerce andinternational taxation, Kluwer Law International, Cambridge, 1999, p. 136; Owens, The tax man cometh to cyberspace, in Tax Notes International, giugno 1997, p. 1833; Horner - Owens, Tax and the web: new technology, oldproblems, in Bullettin of International Fiscal Documentation, 50, 1996, p. 518; Becker, Taxation of electronic business in a globalizing world - Ten demands for an adaptation, in Intertax, 1998, p. 411.

29 Cfr. C. GARBARINO, L’impatto del progetto Beps sul concetto di stabile organizzazione, op. cit., p. 587; L. TOSI - R. BAGGIO, Lineamenti di Diritto Tributario Internazionale, Milano, 2018, p. 44; E. DELLA VALLE, La web tax italiana e la proposta di Direttiva sull’imposta sui servizi digitali: morte di un nascituro appena concepito?, in Il fisco, 2018, p. 1507; G. Corasaniti, Profili fiscali del commercio elettronici, in Dir. Prat. Trib., n. 4/2003, p. 609; F. TESAURO - N. CANESSA, Economia digitale. Aspetti civilistici e fiscali, Milano, 2002; G. Sacerdoti - G. Marino, Il commercio elettronico profili giuridici e fiscali internazionali, Milano, 2001; P. ANGELUCCI, Problematiche fiscali legate alle imposte dirette, in Il commercio elettronico. Profili giuridici e fiscali internazionali, (a cura di) G. SACERDOTI - G. MARINO, Milano, 2001, p. 172.

30 Cfr. Bourtorault, International Tax Issues in Cyberspace: taxation of crossborder electronic commerce in France, in Intertax, 1997, p. 120; con diverso orientamento, Abrams - Doernberg, How electronic commerce works, in Tax Notes International, 1997, p. 1584 e Hardesty, Software agents, in Tax Planning International, 1999, 15.

31 Si veda C. GALLI, Brevi note in materia di commercio elettronico e stabile organizzazione, in Riv. Dir. Trib., n. 4/2000, p. 130.

32 Cfr. C. GARBARINO, Stabile organizzazione (nel diritto tributario), ad vocem, in Dig. V, Comm., Sez. dir. trib. intern., Torino, 2009.

33 Così come disposto nel 4° comma dell’art. 5 del Modello (Commentario, par. 127-130).

34 Così, G. CORASANITI, op. ult. cit., p. 617.

35 Tra tutte si vedano Corte di Cassazione, sezione V, con la sentenza n. 5649 del 20.03.2015 ha affermato che “In materia di imposte dirette, la mera introduzione di un sistema informatico avanzato non è, di per sé, un elemento sufficiente a configurare una stabile organizzazione in Italia di un’impresa estera. Per dar vita ad una stabile organizzazione, occorre che il personale a disposizione, potendo fare affidamento sul predetto strumento di elaborazione e fornitura di dati, sia in grado di svolgere una più ampia attività di commercializzazione sul territorio nazionale”. Corte di Cassazione sentenza del 18 maggio 2018, n 12237, la quale afferma come affinché la sede di una direzione di un ente straniero, sia considerata stabile organizzazione, è necessario che essa sia autonomamente in grado di produrre beni o prestare servizi e sufficientemente strutturata di personale e dotazioni tecniche sufficienti.

36 Il legislatore con la Legge di bilancio 2018 ha introdotto la lettera f-bis, del comma 2, dell'articolo 162 T.u.i.r.

37 Cfr. Y. BRAUNER - P. PISTONE, Some comments on the attribution of profits to the digital permanent establishement, in Bulletin for International Taxation, n. 4/2018.

38 Cfr. S. DORIGO, Il superamento dei criteri di collegamento “tradizionali” nell’epoca dell’economia digitale: le conclusioni dell’AG Kokott nella causa Google e la problematica localizzazione del reddito d’impresa, in Riv. Dir. Trib. (supplemento online) 6 dicembre 2019, il quale evidenzia che «pare difficile prescindere, in questo, dalle regole “quasi consuetudinarie” del diritto tributario internazionale che evocano sì il genuine link, ma lo declinano, per quanto riguarda il reddito d’impresa, con riferimento alla nozione di stabile organizzazione».

39 In merito al rapporto tra genuine link e potestà impositiva, si vedano tra tutti, G. MAISTO, Brevi riflessioni sulla evoluzione del concetto di “genuine link” ai fini della territorialità dell’imposizione tributaria tra diritto internazionale generale e diritto dell’Unione Europea, in Riv. Dir. Trib., n. 10/2013, p. 889; R. CORDEIRO GUERRA, I limiti alla potestà impositiva ultraterritoriale, in Riv. Trim. Dir. Trib., n. 1/2012, p. 31; S. DORIGO, I mutevoli caratteri della norma di diritto tributario internazionale nel tempo della sovranità fiscale globale, in Riv. Trim. Dir. Trib., n. 2/2019, p. 381.

40 Si veda G.D’ANGELO, La territorialità del tributo nell’era di Internet, in Ianus, n. 11/2014, p. 30, il quale con riferimento al genuine link, afferma che “L’appartenenza ad una comunità statuale è, peraltro, un paramento che, se da un lato legittima costituzionalmente e storicamente l’imposizione fiscale, è suscettibile anche di esser assunto a criterio di commisurazione del concorso alle pubbliche spese manifestandosi essa in termini graduali e non di alternativa secca tra appartenenza e non appartenenza”.

41 Cosi S. DORIGO, ult. op. cit.

42 Udienza del 17 aprile 2018, pubblicata il 21 giugno 2018, 585-2018.

43 Tra tutte, si vedano le decisioni Bellas Hess del 1967 e Quill del 1992.

44 Cfr. C. MARAZZO, La Tassazione del commercio elettronico dopo la sentenza Wayfair: verso una territorialità digitale?, in Riv. Dir. Trib., n. 4/2018, p. 148, nota 5, riporta tra gli esempi più importanti “lo Stato di Israele che attraverso la circolare dell’Amministrazione tributaria n. 4/2016 dell’11, dell’11 aprile 2016, adottò una nuova interpretazione della Stabile organizzazione basata sulla presenza digitale nel territorio dello Stato; un altro esempio simile è dato dall’India la quale con la Legge di bilancio 2018 ha introdotto questo concetto nel proprio diritto tributario”.

45 Si veda G. Bizioli, Il divieto di discriminazione fiscale, in Principi di diritto tributario europeo internazionale, a cura di C. SACCHETTO, Torino, 2011, p. 158, il quale osserva che “il par. 1 dell’art. 24… richiede che i cittadini di uno Stato contraente si trovino «in the same circumstances, in particular with respect to residence». Più precisamente, un residente di uno Stato contraente non può essere considerato «nelle stesse condizioni» di un soggetto non residente e, quindi, la sola comparazione ammessa è quella fra residenti, di differente nazionalità, o non residenti, di differente nazionalità, con riferimento all’ordinamento tributario di un medesimo Stato contraente”.

46 Si veda A. PERRONE, Nuovi criteri di collegamento e ridefinizione del concetto di stabile organizzazione nella Digital Economy, in Le nuove forme di tassazione della digital economy a cura di L. DEL FEDERICO - C. RICCI, in Collana degli Studi dell’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Tributario, Roma, 2018, pp. 63-85.

47 Tra l’altro il pacchetto antielusione europeo, ATAD (Anti Tax Avoidance Directive) emanato dalla Commissione europea con la finalità di inserire all’interno dei Paesi Comunitari misure volte al contrasto di pratiche elusive non affronta le problematiche connesse alle attività svolte dalle imprese che operano della digital economy.

48 Cfr. A. PURPURA, Contrasto alle condotte abusive nelle economie digitali in chiave italiana ed europea, in Corr. Trib., n. 4/2020, p. 333.

49 Si veda LANG - PISTONE - SCHUCH - STRARINGER, Introduction to European Tax Law: Direct taxation, Linde, 2018, pp. 251 e ss.

50 Per maggiori approfondimenti si veda, tra gli altri, Rendhal,Cross-Border Consumption Taxation of Digital Supplies”, IBFD Amsterdam, 2009.