Scritto da Stefano D'Albenzio • mag 2024
Il proliferare di nuove professioni, in ragione dell’incessante sviluppo tecnologico, pone la necessità di intercettare inedite espressioni di capacità contributiva e, tra queste, la tassazione dei redditi ritratti dalle attività svolte in modo professionale dall’ampia categoria dei creatori di contenuti digitali. Le prestazioni dagli stessi rese, infatti, pur se connotate, di sovente, da elementi che coincidono con le fattispecie derivanti da contratti di sponsorizzazione, non escludono l’insorgenza di talune difficoltà sia identificative che applicative sul versante applicativo tributario.
Da qui, si prova a considerare, sia pur succintamente e procedendo con una lettura evolutiva, il precetto fondamentale della capacità contributiva al fine di verificare l’opportunità o meno d’introdurre un tributo espressamente rivolto ai lavoratori del contesto e per rendere, eventualmente, il sistema più adeguato a intercettarne i redditi tutte le volte in cui implementino e gestiscano i loro contenuti pubblicati sul web, rivolti a imprese o privati, per valorizzare a fini commerciali attraverso l’immagine diffusa online, anche la propria.
The proliferation of new professions, due to the incessant technological development, poses the need to intercept unprecedented expressions of taxable capacity and, among these, the taxation of income portrayed by the activities carried out professionally by the broad category of digital content creators. The services rendered by them, in fact, although characterized, oftentimes, by elements that coincide with the cases arising from sponsorship contracts, do not exclude the occurrence of certain difficulties both identifying and applying on the tax application side. Hence, we try to consider, albeit succinctly and proceeding with an evolutionary reading, the fundamental precept of the ability to pay in order to verify the advisability or otherwise of introducing a tax expressly aimed at context workers and to make, if necessary, the system more adequate to intercept their income whenever they implement and manage their content published on the web, aimed at businesses or individuals, to enhance for commercial purposes through the image disseminated online, including their own.
1. Introduzione: la ricerca di nuove forme di determinazione degli imponibili nel processo evolutivo dell’economia, del business e della società
Lo scenario economico, a seguito dell’avvento della digitalizzazione e, più recentemente, in ragione degli effetti della crisi determinata dalla pandemia prima e dal conflitto russo-ucraino poi, ha espresso repentine e profonde mutazioni e rinforzato l’emergere di nuove forme di business da cui sono conseguite non poche difficoltà quanto all’elaborazione di sistemi di tassazione declinati in ordinamenti certi e stabili nel tempo,1 oltre che atti a intercettare in un senso sempre efficace e giusto le inedite manifestazioni di capacità contributiva determinatesi.
Sicché, mentre l’economia, gli affari e la società hanno accelerato i propri itinerari, il legislatore tributario non sempre ha fatto altrettanto e con riferimento alle imprese, talune hanno potuto trarre profitti e ritrarre vantaggi indebiti proprio in ragione di lacune normative ricorrendo a pratiche di profit shifting e, più in generale, di pianificazione fiscale aggressiva.2
Invero, guardando al contesto globale, ben prima delle ultime “emergenze”, si erano registrate determinate mutazioni in ragione dell’incessante diffusione delle opportunità offerte dai processi di digitalizzazione, indirizzati a potenziare le performance delle realtà produttive con susseguenti emersioni di forme di ricchezza rapportate, essenzialmente, a elementi intangibili.
Da qui, la progressiva diminuzione delle organizzazioni brick and mortar non identificabili più nei territori di appartenenza mancando le strutture fisiche riferibili.
In effetti, le web companies con i loro modelli commerciali online hanno posto seri ripensamenti rispetto ad alcuni istituti tradizionali e, in specie, rispetto a quello della stabile organizzazione relativamente alle giurisdizioni esterne alle “mura” domestiche.3
La trasformazione dei processi produttivi ha perciò richiesto, ancor prima dei servizi e/o prodotti offerti sui mercati, d’individuare espressioni emergenti di ricchezza da sottoporre a tassazione e, dunque, d’identificare i nuovi contribuenti nella prospettiva di allocare in modo più adeguato le produzioni di gettito tra i diversi Stati coinvolti.4
Pertanto, l’anzidetta permanent establishment5 o, ancora, il transfer pricing, ormai inadeguati a rispondere alle “esigenze” variate del Fisco, hanno fatto sì che, rispetto alla prima e a livello internazionale, si giungesse alla revisione dell’art. 5 del Modello OCSE e del commentario relativo al fine di recepire le conclusioni del Rapporto sull’Azione 7 dei BEPS relativo al contrasto dell’elusione e alla successiva approvazione della Convenzione multilaterale.
Invece, sul piano interno, l’evoluzione ultra-europea ed unionale, ha comportato l’introduzione della stabile organizzazione digitale o virtuale, ossia svincolata dalla “fisicità” delle imprese che operano sul web e la cui definizione è rinvenibile nella lett. f-bis) del comma 2 dell’art. 162 t.u.i.r.6 In particolare, nell’espressione si enuclea l’ipotesi delle realtà produttive che mostrino “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato”, sebbene “costruite” senza che emerga in esso una loro “consistenza fisica”.
Relativamente poi alle attività a contrasto di pratiche abusive, più proposte e direttive sovranazionali se ne sono occupate sul presupposto di adeguare con sollecitudine le discipline tributarie nazionali ai nuovi metodi di produzione di ricchezza e all’effettiva loro localizzazione.7
Dunque, alcune imprese si sono reinventate adattando al mutato contesto i processi produttivi o, meglio, le produzioni di valore; altre, ancora, li hanno del tutto trasformati con superamento del concetto di ricchezza quale matematica differenza tra ricavi e costi.8
Sono emerse, per di più, talune attività lavorative inedite e, tra queste, quella svolta dal digital content creator, le cui prestazioni si caratterizzano, tra l’altro, per il rapporto peculiare che instaura con i visitatori delle sue pagine social, quali clienti potenziali.
In particolare, i “seguaci”, se numerosi, ne determinano la “presenza digitale” e questa può anche essere significativa,9 dimodoché i contenuti che il creator pubblica, condivide e rende fruibili per monetizzarli finiscono con il condizionare i processi d’acquisto di determinati prodotti e/o servizi verso una destinazione precisa e che attiene al target di riferimento.
Può accadere, peraltro, che un internet celebrity influenzi le scelte di acquisto degli utenti online sfruttando l’immagine che diffonde da remoto per scopi commerciali sulla base di contratti di sponsorizzazione remunerati, per l’appunto, in rapporto alla consistenza numerica dei propri followers.
Ai fini di queste note ci si chiede, pertanto e in primis, come ciò possa trovare adeguata collocazione nella prospettiva dell’art. 53 Cost., nel senso di poter pervenire, eventualmente, a un’interpretazione più “elastica” del precetto rispetto a quella intesa classicamente e che, notoriamente, rappresenta il canone fondamentale del nostro ordinamento tributario sovraintendendo alla ripartizione del carico impositivo tra i consociati.
Successivamente, ci si interroga se occorra o meno ipotizzare un intervento del legislatore indirizzato a introdurre un regime fiscale appositamente dedicato ai redditi conseguiti dai creators digitali.
Più ampiamente e da subito, si osserva come l’ecosistema necessiti di specifiche regolamentazioni e ciò anche per ciò che concerne un’identificazione più esatta delle attività professionali in questione con riguardo al codice Ateco applicabile, dal momento che quelli attualmente previsti appaiono sin troppo generici.
Si pensi, ad esempio, alle prestazioni rese da bloggers o youtubers, oppure rivolte a promuovere prodotti, condurre campagne di marketing, offrire servizi pubblicitari mirati ad attrarre clientela o per fidelizzare quella già acquisita, lanciare film e ulteriori prodotti audiovisivi.10
2. La capacità contributiva declinata riguardo alla produzione di ricchezza a opera del digital content creator
Il comma 1 dell’art. 53 Cost. esplicita la volontà del Costituente di richiamare “tutti” al concorso alle spese pubbliche in base alla capacità contributiva di ciascuno.
Si tratta di un dovere e, al contempo, di un presidio, affinché i fatti economici che l’esprimono si commisurino, relativamente al carico tributario, all’effettiva condizione economica di ogni consociato, senza che su tale commisurazione incidano ricchezze prodotte da altri.11
Sebbene il precetto sia stato largamente interpretato nel tempo e non senza contrasti dalla dottrina, la sua applicazione con riferimento ai nuovi modelli economici e di business continua a determinare visioni non sempre coincidenti.
Al proposito, difatti, alcuni Autori ritengono che il metodo tradizionale debba essere ampliato per poter individuare le manifestazioni rinnovate di capacità contributiva sì da consentire un’attuazione maggiormente adeguata della norma costituzionale alle espressioni di ricchezza digitale o, comunque, digitalmente ottenute, coniugando il rispetto del canone con l’effettività e la concretezza delle economie moderne.12
In sostanza, questa visione richiede che sia necessario modificare sul piano sostanziale il precetto per adattarlo agli scenari del presente e, dunque, che la capacità contributiva non dovrebbe essere intesa solo come ability to pay. Vi sarebbe, perciò, uno spazio per definirla quale mero criterio di riparto che autorizza a scegliere il soggetto passivo d’imposta in relazione a fatti e atti da lui realizzati che non necessariamente dimostrano una forza economica a contenuto patrimoniale, bensì attribuiscono solo vantaggi economicamente e socialmente rilevanti.13
Un orientamento consolidato della Consulta sulla capacità di che trattasi, tuttavia, resta fermo sul fatto che la stessa vada desunta concretamente dal presupposto economico a cui ragguagliare l’ammontare del prelievo.14
È pur vero, comunque, che il Giudice delle leggi ha sviluppato un’ulteriore interpretazione, strettamente collegata al principio di uguaglianza. Le espressioni di capacità contributiva, difatti, sono rinvenibili pure nelle fattispecie idonee a esprimere forza economica o potenzialità economica «sganciate dal concreto garantire i mezzi per farvi fronte».15
Sulla scorta di queste considerazioni minime e ritornando al tema d’indagine, la ricchezza prodotta dal digital creator potrebbe essere direttamente correlata al quantitativo di seguaci/clienti che lo stesso annovera sul proprio profilo online16 o, meglio, gli elementi discriminanti potrebbero essere rappresentati da tale quantitativo numerico. D’altronde, ai followers sono pubblicizzati prodotti e/o servizi mediante l’engagement rate e, quindi, ciò che rileva è proprio l’attitudine nel coinvolgere consumatori creando con gli stessi “interazioni”. Dunque, quanto più elevato risulta il numero di followers vantati, tanto più il creatore digitale può incrementare la possibilità di orientare le scelte di acquisto o, comunque, mostrare la sua attitudine a “far tendenza”.17
Ritornando solo per un attimo al delicato tema della capacità contributiva – come anticipato – autorevole dottrina propende per una sua interpretazione più estensiva18 e, quindi, maggiormente inclusiva: l’obbligo tributario sorgerebbe (anche) a fronte di manifestazioni di ricchezza non necessariamente coincidenti con quelle tradizionali. L’attitudine alla contribuzione, pertanto, sarebbe da identificare anche in «fatti, circostanze e situazioni non immediatamente trasponibili in termini di ricchezza disponibile».19
Contestualizzando il tutto rispetto ai contribuenti in commento, il numero di seguaci vantati di per sé non costituisce un contenuto propriamente patrimoniale, bensì rappresenta il fattore principale rispetto al quale un’impresa che intenda lanciare i propri prodotti/servizi può avvalersene versandogli corrispettivi rapportati all’ “influenza” conseguita nella sua community.
Del resto, tali soggetti, proprio in rapporto al numero dei seguaci vantati, ricoprono una posizione, più o meno, dominante nel mercato di riferimento suscettibile d’imposizione fiscale.
Ma la schiera di followers può fungere da autonomo presupposto per introdurre un nuovo tributo?20 Oppure la manifestazione di ricchezza espressa dal creatore digitale è già intercettata correttamente nel nostro ordinamento tributario?
In sostanza, accorre procedere, eventualmente, a qualche rivisitazione delle norme preesistenti o, piuttosto, il legislatore deve predisporre un tributo ad hoc?
3.
La professione del digital creator sconta la carenza di un inquadramento normativo e ciò richiede di considerare gli elementi principali che la contraddistinguono.
A titolo d’esempio, si possono tener presenti le attività dallo stesso esercitate attraverso l’utilizzo di canali social, quali TikTok, Snapchat, Instagram, YouTube, Twitch. Infatti, ricorrendo alle piattaforme digitali, questo soggetto pubblica “contenuti” accessibili a una platea di utenti, talvolta estremamente vasta, sulle sue pagine virtuali (accounts),21 ritraendo – come premesso – compensi che, usualmente, vengono commisurati all’engagement (o interaction) rate.
Nella maggior parte dei casi, comunque, le “entrate” conseguite sono determinate dalla conclusione di contratti di pubblicità e, in particolare, espressi in forma di sponsorship laddove gli sponsee associano all’attività diffusa sul web, immagini, nomi o segni distintivi degli sponsors in tal modo ampliando le vendite dei prodotti e/o servizi da questi ultimi offerti. In ogni caso, appare necessario sottolineare come sussista una sostanziale differenza che tipizza la professione del digital creator – e, in particolar modo, dell’influencer – rispetto a quella di un personaggio famoso che, parimenti, può stipulare contratti di sponsorizzazione.
Mentre, infatti, una sponsorizzazione tradizionale si caratterizza per lo sfruttamento dell’immagine, latamente intesa, in ragione della notorietà acquisita da una celebrity che già esercita un’altra attività lavorativa (si pensi, ad esempio, a uno sportivo, un cantante o un attore) e, quindi, è proprio questa che gli permette di raggiungere una platea, più o meno ampia, di utenti/clienti, commercializzandola e traendo i conseguenti vantaggi economici,22 i corrispettivi ottenuti dall’influencer ottengono solo dallo sfruttamento della propria immagine/presenza digitale e, dunque, manca sostanzialmente la fattispecie prodromica.
La notorietà, in effetti, ne rappresenta sic et simpliciter l’area dei suoi affari, il proprio core business.
3.1. (Segue) L’interpretazione dell’amministrazione finanziaria
Già da una prima lettura di quanto sinteticamente esposto, emergono criticità sul versante tributario rispetto alla stipula di contratti di sponsorizzazione.
L’Agenzia delle entrate in merito si è espressa più volte,23 pur se non approfondendo nello specifico la professione in disamina e soffermandosi, piuttosto, sullo sfruttamento economico dell’immagine a opera di artisti e sportivi.
In particolare, la prassi ha confermato che tale commercializzazione presenta un obiettivo promozionale e che va configurata come un elemento immateriale riferibile all’attività esercitata. Per di più, i corrispettivi ritratti dalla cessione di che trattasi configurano redditi di lavoro autonomo, sempreché l’attività sia esercitata per professione abituale.24
Ben si sa che l’allocazione corretta di una fonte di reddito in una delle categorie di cui all’art. 6, comma 1, del t.u.i.r, avviene prendendo in considerazione anche la “strumentalità” di una qualunque attività ulteriore rispetto a quella svolta in via principale da un contribuente.
Per cui, non solo lo sfruttamento economico dell’immagine va considerato ma ogni altro elemento, materiale o meno, che riporta a un determinato soggetto passivo.
Orbene, rispetto a un influencer una delle due componenti segnalate decade, ossia il requisito dell’attività esercitata in via principale e non è presente; dunque e come detto, la fattispecie prodromica non sussiste. Egli, in sostanza, incentra il fulcro dell’attività eseguita su una costante sponsorizzazione di sé stesso attraverso i canali virtuali e ciò rende poco agevole intercettare i connotati tipici “dell’arte e della professione”.
In ogni caso, l’amministrazione finanziaria ha chiarito sul punto che, ricorrendo la fattispecie, il regime fiscale applicabile deve considerare la tipologia di rapporto instaurato dal soggetto passivo con la piattaforma di riferimento e, riportando il ragionamento al digital creator, si possono prospettare più categorie di reddito a seconda che il corrispettivo ritratto consegua da prestazioni di lavoro autonomo (o assimilate a queste), lavoro subordinato, d’impresa oppure rientranti nell’ampia categoria dei redditi diversi.
4.
L’Agenzia delle entrate ha specificato che se l’attività in questione è esercitata per professione abituale, ancorché non esclusiva, il reddito prodotto rientra nella categoria reddituale ex art. 53, comma 1, t.u.i.r., e dunque, tra l’altro, sorgerà in capo al creatore di contenuti digitali l’obbligo di aprire partita IVA.
Inoltre, laddove si configuri l’ipotesi di un’attività generatrice di reddito di lavoro autonomo, il contribuente – in presenza di determinate condizioni – può invocare il regime forfettario di determinazione del reddito, introdotto sin dal 2014, a favore degli esercenti attività d'impresa, arti e professioni in forma individuale.25
Nello specifico, il vantaggio nell’adottare il regime alternativo è dato dalla determinazione del reddito imponibile mediante l’applicazione all’ammontare dei compensi percepiti di un coefficiente di redditività variabile in riferimento all’attività svolta e, poi, un’aliquota fissa del 15 per cento sull’imponibile così determinato.
Ulteriormente, a favore di coloro che iniziano una nuova attività è consentito, per cinque periodi d’imposta, di applicare un’aliquota ridotta (5 per cento), purché siano rispettati i requisiti di cui al comma 65 dell’art. 1 cit.
E ancora, se un committente corrisponde a un creator del digitale un corrispettivo riferito allo sfruttamento economico dell’immagine e si tratta di un reddito che non consegue dall’esercizio di imprese commerciali (art. 53, co. 2, lett. b, t.u.i.r.), lo stesso va equiparato a un reddito di lavoro autonomo e, laddove, risulti “slegato” dall’attività principale esercitata, il contribuente beneficia di una deduzione forfettaria del 25 per cento.26
Per di più, interviene l’applicazione della ritenuta d’acconto al 20 per cento sulla parte imponibile (compenso meno deduzione forfettaria) e sul contribuente non sussiste l’obbligo dell’apertura della partita IVA.27
Nell’ipotesi, infine, che il soggetto percepisca compensi da lavoro autonomo per attività non slegate del tutto da quella per cui percepisce altri redditi legati allo sfruttamento dell’immagine, i redditi prodotti sono attratti nella prima categoria, sempreché la stessa sia esercitata abitualmente conseguendo a ciò ogni relativo obbligo formale e sostanziale.
4.1. (Segue) Quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente
Un digital creator può svolgere le sue prestazioni anche sulla base di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa e il reddito in tal modo prodotto va ascritto nei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente come l’art. 50, comma 1, lett. c-bis), t.u.i.r. dispone.
A ogni modo, si configurano redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente i compensi percepiti seguendo lo “schema” del rapporto di lavoro subordinato; si pensi all’ipotesi in cui un creatore digitale sia stato contrattualizzato da una società che ne curi gli “interessi”.
Il dettato normativo contenuto nel Capo IV del t.u. prevede, invero, che i redditi, nonostante siano percepiti per attività svolte in assenza di un vincolo di subordinazione nei confronti di un determinato soggetto, debbano essere comunque assimilati a quelli di lavoro dipendente.28
Considerando poi il livello internazionale, occorre tener presente che numerose complicanze sono emerse per inquadrare la tassazione applicabile alle attività accessorie alla prestazione principale, tant’è che il Modello di Convenzione dell’OCSE contro le doppie imposizioni e, in particolar modo, il suo paragrafo 15 – ove si definiscono i criteri ordinari per l’imposizione del lavoro subordinato – non contiene linee guida rivolte a identificare in modo adeguato l’aspetto.29
È possibile affermare, perciò, che l’elemento decisivo deve essere rappresentato dal fatto che il reddito rinviene «la propria causale, diretta o indiretta, prima o remota, nel rapporto di lavoro dipendente, sicché il compenso stesso non sarebbe stato corrisposto nell’assenza di tale rapporto, a nulla rilevando per contro […] né la particolare natura del compenso medesimo, né la circostanza che il soggetto erogante sia lo stesso datore di lavoro ovvero un terzo, né l’esistenza o meno di un rapporto di sinallagmaticità tra la prestazione lavorativa e il compenso percepito».30
Infine, appare d’interesse evidenziare per le considerazioni che si stanno svolgendo come il tema dello sfruttamento dell’immagine latu sensu sia stato interessato da un’assidua evoluzione giurisprudenziale.
In particolare, una recentissima decisione di una Corte di giustizia tributaria di secondo grado31 riferita a un noto calciatore e avente a oggetto un diniego di rimborso d‘imposte per aver lo stesso esercitato l’opzione per il regime sostitutivo dei redditi prodotti all’estero (art. 24-bis del t.u.i.r.), ha statuito che la commercializzazione di che trattasi determina la sostanziale “destrutturazione”, nonché la “compresenza”, dei tradizionali momenti del pati e del facere. Difatti, prima dell’avvento dei social, un testimonial era tenuto alla prestazione del facere in un determinato luogo e in un determinato momento concordato con lo sponsor, mentre lo sfruttamento dell’immagine avveniva in una fase successiva attraverso l’idealizzazione e la diffusione di campagne di marketing strutturate e, talvolta, differenziate territorialmente.
Diversamente, l’avvento dei social network ha fatto sì che l’attività del facere si possa realizzare “immediatamente” su pagine online e siti web che permettono di condividere e visualizzare i messaggi pubblicitari ovunque e in tempo reale.
In siffatto contesto, dunque, il pati legato allo sfruttamento economico del diritto d’immagine risulta “polverizzato” non potendosi, anche volendo, analizzare e distinguere il messaggio promozionale con riferimento «a un definito territorio di sfruttamento» sussistendo, piuttosto, «un mondo virtuale totale».
4.2. (Segue) Quali redditi d’impresa
Un digital creator professionista nell’espletare l’attività lavorativa, oltre a utilizzare i canali web e social, può avvalersi di apposite “attrezzature” e “strutture” (fotocamere, pc, software, spazi fisici, etc.), nonché di collaboratori.
Conseguentemente, il profitto realizzato può ai fini fiscali rientrare nella categoria dei redditi d’impresa. In particolare, il riferimento normativo è dato dal comma 1 dell’art. 55 t.u.i.r., che indica le attività riconducibili all’art. 2195 c.c., le quali configurano – per presunzione assoluta – reddito d’impresa, anche se non risultano organizzate in forma d’impresa32 ma purché esercitate per professione abituale.
Quanto al comma 2 della medesima previsione, ivi è disposto: «I redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 c.c. costituiscono comunque redditi d’impresa».
Pertanto, i redditi del creator potrebbero rientrare in questo dettato normativo, sebbene occorra procedere con cautela e compiere valutazioni in merito alla presenza o meno di forme organizzative di tipo imprenditoriale che potrebbero configurare, piuttosto, redditi di lavoro autonomo.33
Nelle professioni intellettuali, infatti, la presenza di un’organizzazione, pur complessa, non vale necessariamente a qualificare l’attività come “impresa” in quanto l’organizzazione è pur sempre “servente” e, pertanto, non “caratterizzante”.
Ciò vale a dire che l’apporto intellettuale del soggetto prevale indipendentemente dalla forma organizzativa adottata.
La prestazione professionale del contribuente in commento, perciò, solo raramente può essere inquadrata come “attività svolta in forma d’impresa” prevalendo, invece, l’intuitus personae.
Nondimeno, l’organizzazione in forma d’impresa non concerne solo un profilo quantitativo e, quindi, la particolare complessità dei beni coinvolti, ma anche un profilo qualitativo.
Da qui, a fronte di un’organizzazione di mezzi, ciò che assume rilievo è l’opera esercitata dalla persona fisica, dato che la sola organizzazione di mezzi, pur se apprezzabile quantitativamente, non soddisfa la particolare connotazione, fiscalmente significativa, della “forma d’impresa”. Tant’è che pure il lavoratore autonomo dispone di un’organizzazione di beni strumentali per l’esercizio della propria attività e può avvalersi del lavoro altrui. Quantunque, indipendentemente dalla dimensione quantitativa, tale organizzazione non configura eterorganizzazione.
In ultima analisi, l’organizzazione assume un ruolo strumentale rispetto all’opera personale del soggetto agente34 ed è finalizzata a migliorarne le prestazioni.35
4.3. (Segue) Quali redditi diversi
Considerando l’art. 67 t.u.i.r, il suo comma 1 identifica – come noto – la categoria dei redditi diversi in quelli che non costituiscono redditi di capitale, non conseguono dall’esercizio di arti e professioni oppure che sono carenti di una “relazione” con la qualità di lavoratore dipendente.
Dal contenuto della norma, perciò, i redditi ottenuti dal digital creator confluirebbero nella categoria reddituale, genericamente individuata all’art. 6, comma 1, lett. f), t.u.i.r.
Più specificamente, questi redditi, differentemente da quelli da lavoro autonomo, si configurerebbero ogni qualvolta l’attività del soggetto venga svolta in maniera saltuaria, sporadica e, di conseguenza, non richieda l’apertura di partita IVA.
Occorre, ulteriormente, però che l’attività sia effettuata senza l’ausilio di collaboratori, oltre che svolta in piena autonomia rispetto all’attività del committente.
L’applicazione dell’art. 67 t.u.i.r., tuttavia, se assicura – da un lato –l’assoggettamento a tassazione dei redditi così conseguiti – dall’altro – non garantisce un loro adeguato prelievo ai fini IRPEF, intervenendo regole differenti per determinare quest’imposta rispetto a quelle indicate per il lavoro autonomo.
5.
Nell’esordio di queste note ci si è posti l’interrogativo sulla possibilità (o la necessità) che il legislatore preveda un tributo ad hoc per tassare più opportunamente i redditi prodotti dai digital creators.
Il fondamento della considerazione si fonda sull’assunto prima indicato, ossia sul fatto che nell’ordinamento tributario, a seguito dell’evoluzione del sistema economico, già sono state introdotte nuove forme d’imposizione idonee a intercettare nuove manifestazioni di ricchezza.36
È evidente, però e preliminarmente, che occorrerebbe individuare la categoria reddituale di riferimento per costruire un ipotetico tributo sui redditi conseguiti dai creatori di contenuti digitali.
Si potrebbe, perciò, pensare a prelievo fiscale una tantum da applicare, ad esempio, oltrepassata una data soglia di reddito e ciò troverebbe giustificazione nella peculiare natura della manifestazione di ricchezza a cui lo stesso si riferisce.
Ciononostante, sorgerebbero problematiche evidenti in merito alla sua legittimità costituzionale e, quindi, sarebbe necessario, innanzitutto, definirne il presupposto prendendo quale fulcro del ragionamento proprio l’innovativa capacità contributiva del soggetto passivo da rapportare al numero di coloro che seguono i suoi “canali”.
Ponderando il ragionamento a fattispecie configuranti la produzione di redditi d’impresa, potrebbe considerarsi la rilevanza del capitale immateriale rappresentata, per l’appunto, dagli utenti/clienti, sino a configurare un tributo “proprio” più stabile e duraturo nel tempo.
Continuando a riflettere sull’ipotesi, non si può prescindere dalle argomentazioni a contrario. In particolare, rispetto alla possibilità di “convivenza” del nuovo tributo supposto con ciò che costituisce il presupposto dell’IRAP,37 ossia l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi, e costituito dal valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata.38
6.
Alla luce delle riflessioni compiute, appare evidente come il legislatore si trovi e si troverà di fronte a scenari sempre più complessi per individuare un sistema di tassazione effettivamente adeguato alle molteplici espressioni della digital economy.
L’emersione e la diffusione di nuove forme di produzione di ricchezza, in effetti, ha reso evidente l’inadeguatezza del sistema impositivo del presente nell’adattarsi alla realtà, non mostrandosi particolarmente allineato alla capacità contributiva dei grandi possessori di ricchezza e, corrispondentemente, penalizzando le categorie “minori”, con evidente frustrazione del principio ex art. 53, co. 1, Cost.
Le ICT, in ogni caso, rappresentano un fondamentale strumento di supporto, in termini operativi, per l’individuazione di fenomeni di elusione o evasione fiscale39 e, al proposito, è d’interesse la circolare operativa n. 1/2024 della Guardia di Finanza in linea con la “DAC7” recepita dal legislatore italiano nel D.Lgs. n. 32/2023.
Il documento, infatti, si conforma alle metodologie di controllo eseguite a livello europeo – attività ispettive e indagini di polizia – sulle piattaforme online nei confronti di imprese e persone fisiche che se ne avvalgano quali canali d’intermediazione per vendere beni e/o servizi (marketplace).
L’Agenzia delle entrate e la Guardia di Finanza hanno adottato, inoltre, un memorandum applicativo “congiunto” in cui hanno definito un piano d’azione per intensificare il contrasto all’evasione fiscale proprio nel settore dei creatori di contenuti digitali.
In definitiva, occorre che il nostro sistema fiscale si adatti al mutato contesto non solo per “far cassa” ma per rispondere a esigenze rinnovate di giustizia ed equità sociale; in tale prospettiva, si auspica l’avviamento di un processo di revisione del sistema che eviti possibili occultamenti delle nuove fonti di reddito e, quindi, di materia imponibile, come già hanno fatto altri Stati.40
Cosicché, si auspica l’introduzione di un tributo specificamente rivolto ai creatori di contenuti digitali, espressivo della loro capacità contributiva e incentrato sul quantitativo di followers vantato. In sostanza, bisognerebbe introdurre una forma di tassazione autonoma. Nondimeno, occorrerà che questa non risulti penalizzare eccessivamente la creator economy finendo con il rallentare l’ulteriore sviluppo e, naturalmente, occorrerà che sia armonizzata a livello internazionale per evitare strategie di abuso del diritto e di concorrenza fiscale aggressiva rivolte ad attrarre i redditi del contribuente digitale.
1 Cfr. L. Carpentieri, Nuovi presupposti d’imposta e nuovi criteri di determinazione degli imponibili: riflessioni de iure condito e de iure contendo, in Riv. dir. trib., 11 gennaio 2024.
2 In argomento, tra gli altri, P. Pistone, La pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale, in F. Amatucci - R. C. Guerra (a cura di), L’evasione e l’elusione fiscale in ambito nazionale e internazionale, Roma, 2017, pp. 275 e ss.
3 Tra gli Autori che, nel tempo, hanno approfondito la tematica, cfr., in particolare, P. Adonnino, La pianificazione fiscale internazionale, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 2002, pp. 67 e ss.; S. Dorigo, Residenza fiscale delle società e libertà di stabilimento nell’Unione europea, Padova, 2012, pp. 288 e ss.; S. Cipollina, I redditi “nomadi” delle società multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2014, 1, pp. 21 e ss.
4 In tema A. Fedele, Nuova ricchezza ed elementi essenziali di capacità contributiva nella dimensione postmoderna, in Riv. dir. trib., 1/2023, pp. 1 e ss.
5 Sul suo rinnovato concetto si rimanda a S. Cipollina, Terzo millennio, post globalizzazione e stabile organizzazione: quale tassazione per i GAFA, in V. Mastroiacovo - G. Melis (a cura di), Il diritto costituzionale tributario nella prospettiva del terzo millennio, Torino, 2022, pp. 185 e ss.
6 Per i necessari approfondimenti, cfr. S. Fiorentino, Stabile organizzazione virtuale “versus” presenza digitale significativa, in Dir. proc. trib., 2019, 2, pp. 129 e ss. Sul punto anche L. Del Federico, Introduzione al dibattito sulla tassazione della Digital Economy. Le nuove forme di tassazione della digital economy, in Id. - C. Ricci, Roma, 2018, pp. 23 e ss. Per la visione dottrinale prima dell’intervento di modifica della norma, si rinvia ad A.F. Uricchio, Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta “bit tax”. Prospettive di riforma della fiscalità di internet, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, 2008, 2, pp. 498 e ss.
7 In merito, per rendere esempi, si consideri il “progetto BEPS” del 2013 o la Proposta di Direttiva COM(2016) 683 final, volta all’identificazione di una base imponibile consolidata e comune per l’imposta sulle società (CCCTB). Inoltre, si tenga presente la Direttiva 2016/1164/UE (ATAD 1), modificata dalla 2017/952/UE (ATAD 2), nonché le Proposte di Direttive COM (2018) 147 final (Comprehensive Solution) e COM(2018) 148 final (Targeted solution). In dottrina C. Buccico, La Convenzione multilaterale BEPS: i principali impatti sui Trattati bilaterali, in Innovazione e diritto, 2018, 2, pp. 17 e ss. Al riguardo anche S. De Marco, Riflessioni in tema di stabile organizzazione digitale, in Innovazione e Diritto, 2021, 1, pp. 45 e ss.
8 In tema G. Corasaniti, La creazione di valore secondo i princìpi internazionali, in C. Buccico - S. Ducceschi - S. Tramontano (a cura di), L’evoluzione della fiscalità internazionale: le venti “primavere” di Napoli, Milano, 2020, pp. 81 e ss.
9 Per considerazioni puntuali sul concetto, cfr. S. Fiorentino, Stabile organizzazione virtuale “versus” presenza digitale significativa, cit., pp. 135 e ss.
10 Infatti, i codici Ateco previsti al momento sono il 73-11-01 e il 73-11-02.
11 Ex pluribus, Corte cost., nn. 179/1976; 400/1987; 219/1989. In dottrina cfr., in particolare, F. Moschetti, Il principio di capacità contributiva, espressione di un sistema di valori che informa il rapporto tra singolo e comunità, in L. Perrone - C. Berliri (a cura di), Diritto tributario e Corte costituzionale, Napoli, 2006, pp. 45 e ss.; G. Falsitta, Natura e funzione dell’imposta, con speciale riguardo al fondamento della sua “indisponibilità”, in S. La Rosa (a cura di), Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008, pp. 68 e ss.
12 In questo senso R. Succio, Digital Economy, Digital Enterprise e imposizione tributaria: alcune considerazioni sistematiche, in Dir. prat. trib., 2020, 6, pp. 2374 e ss.
13 F. Gallo, Ability to pay and equality principle, 2014, p. 2, visionabile in www.salviniesoci.it.
14 Cfr. E. De Mita, (voce) Capacità contributiva, in Dig. disc. priv., Sez. comm., II, Torino, 1987, p. 457. Quanto all’ulteriore finalità, di cui al comma 2 dell’art. 53 Cost., ossia a “criterio di riparto” che si ricollega agli ulteriori princìpi di giustizia distributiva ed equità del tributo, si veda. F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, cit., pp. 81 e ss.; id., Il tributo quale indispensabile strumento di politiche (re)distributive, in Rass. trib, 2/2021, p. 289; A. Giovannini, Legalità ed equità: per un nuovo sistema impositivo, in Dir. prat. trib., 2017, 6, p. 2340.
15 Per una lettura garantista della capacità contributiva si veda F. Moschetti, “Interesse fiscale” e “ragioni del Fisco” nel prisma della capacità contributiva, in Id. - M. Beghin - R. Schiavolin - L. Tosi - G. Zizzo (a cura di), Atti della giornata di studi in onore di Gaspare Falsitta, Milano, 2012, pp. 157 e ss. Per una visione diversa, cfr. F. Gallo, Le ragioni del Fisco. Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, cit., pp. 79 e ss.
16 Con riguardo all’attività svolta dagli influencers, cfr. S. Scarascia Mugnozza, Prime riflessioni sulla tassazione degli influencers, in Riv. dir. trib. int., 2021, 2, p. 132.
17 L’Association of National Advertising Managers ha provveduto a suddividere le categorie degli influencers in base al numero dei loro followers. Al proposito, esse sono state differenziate in celebrities (influencers con 500.000 seguaci e oltre), mega-influencers (da 100.000 a 500.000), macro-influencers (da 10.000 a 25.000) e nano-influencers (da 10.000 a 1.000). Considerando, poi, il grado di “influenza” che tali soggetti sono in grado di esercitare, un’ulteriore diversificazione è stata compiuta tra social broadcaster, mass-influencer e potential influencer, a seconda delle competenze specifiche/settoriali, del bacino di utenti in grado di raggiungere e dell’ascendenza potenziale nelle rispettive communities. Per questi riferimenti si consulti www.ana.net.
18 In questo senso e rispetto ai tributi ambientali, cfr. P. Selicato, La tassazione ambientale tra la ricerca di nuovi indici di ricchezza e la coerenza dei sistemi fiscali, in Riv. dir. trib. internaz., 2004, 2-3, pp. 257 e ss.; A.F. Uricchio, Emergenze ambientali e imposizione, in Aa.Vv, La dimensione promozionale del Fisco, Bari, 2015, pp. 281 e ss.; V. Ficari (a cura di), I nuovi elementi di capacità contributiva. L’ambiente, Roma, 2018, passim.
19 Così M. Basilavecchia, La tutela ambientale: profili tributari, in Riv. trim. dir. trib., 2019, 4, p. 753.
20 Si è posta la questione rispetto agli influencers S. Scarascia Mugnozza in Prime riflessioni sulla tassazione degli influencers, cit., p. 133.
21 Al proposito, nel documento parlamentare del 2 marzo 2022 denominato Indagine conoscitiva sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali a p. 8 è specificato: «[…] l’attività di influencer si caratterizza per la presenza di un rapporto trilaterale, ove sono presenti il soggetto creatore dei contenuti, la piattaforma ospitante e gli utilizzatori della stessa […], nel caso degli influencer questa trilateralità è particolarmente accentuata e diventa, in un certo senso, parte dello stesso rapporto economico, in quanto il rapporto con gli altri utenti e la capacità di influenzarne le decisioni relative ad acquisti di beni e servizi sono parte essenziale dell’attività».
22 Tali contratti si caratterizzano per una struttura “atipica” in virtù dell’autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c.; più precisamente, gli stessi si presentano “socialmente tipici” se trattasi di accordi di personality merchandising. Dunque, qualora un personaggio noto rinunci alla presenza virtuale, pur sempre continua a svolgere l’attività professionale principale. In tal caso, infatti, la notorietà rappresenta la “conseguenza” di quest’ultima, totalmente svincolata da una presenza sui social. Al riguardo A. Magliaro - S. Censi, Dall’immagine alla notorietà: la tassazione delle nuove forme di ricchezza nell’epoca dei social, in Il fisco, 2021, 20, p. 1923; L. Letizia, Il nuovo regime fiscale per gli impatriati dello sport professionistico, in Dir. proc. trib., 2019, 3, pp. 295 e ss. Per gli ulteriori sviluppi in merito e sempre relativi al settore sportivo, nuovamente L. Letizia, Annotazioni critiche sul recente intervento di modifica del regime fiscale attrattivo a favore degli impatriati del professionismo sportivo, in Giur. imp., 2022, 3, pp. 1 e ss.
23 Risoluzione n. 255/E/2009, nonché risposte a interpello nn. 139 e 700/2021.
24 Agenzia delle entrate, risposta a interpello n. 139, cit.
25 L’imposta sostitutiva è stata introdotta dall’art. 1, commi 54-89, della “Legge di Stabilità 2015” (L. n. 190/2014) che, a seguito della novella apportata dal comma 54, dalla “Legge di bilancio 2023” (L. n. 197/2022), ha riformulato i requisiti di accesso, attualmente meno stringenti in termini di fatturato. Infatti, la soglia-limite di ricavi e compensi per la permanenza nel regime agevolato è passata da 65 mila a 85 mila euro, con ulteriore gap fino a 100 mila euro. Superato quest’ultimo, vi è poi la fuoriuscita dal regime con applicazione dell’IVA, delle ritenute d’acconto e di ogni ulteriore regola ai fini IRPEF.
26 Se, però, tali compensi vengono percepiti da soggetti con un’età inferiore ai 35 anni, la deduzione forfettaria spetta nella misura del 40 per cento (art. 54, comma 8, t.u.i.r.).
27 La fattispecie opera nel caso di cessione a soggetti italiani che agiscano in qualità di sostituti d’imposta.
28 L’art. 50, comma 1, lett. c-bis), t.u.i.r., assimila ai redditi di lavoro dipendente anche le somme e i valori in genere percepiti, a qualunque titolo, nel periodo d’imposta «anche sotto forma di erogazioni liberali […] in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo […]». Dalla lettura della norma si ricava che anche qualora dovesse configurarsi un’ipotesi di “retribuzione” tramite fringe benefit, ai sensi dell’art. 2099, comma 3, c.c., questi sarebbero assimilati a fini della tassazione ai redditi di lavoro dipendente.
29 Per approfondimenti in merito, cfr. L. Letizia, La tassazione delle attività sportive dilettantistiche, Torino, 2023, pp. 228 e ss.
30 Cfr. S. Pansieri, I redditi di lavoro dipendente, in G. Falsitta (a cura di), Manuale di diritto tributario. Parte speciale, Milano, 2008, p. 16.
31 Corte di Giustizia tributaria del Piemonte, sent. n. 219 del 02/2023.
Sulla questione si è espressa varie volte la Sez. trib. della Cassazione. In particolare, nell’ord. 4 dicembre 2019, n. 31643, il giudice di legittimità ha statuito che le attività di cui all’art. 2195 c.c. «sono qualificate come espressioni dell’esercizio di impresa commerciale, indipendentemente dal fatto che siano organizzate in forma di impresa. L’esercizio delle attività di cui all’art. 2195 c.c. determina sempre la sussistenza di una impresa commerciale, ai fini del t.u.i.r., indipendentemente dall’assetto organizzativo scelto per l’esercizio dell’attività; ciò, quindi, deroga alla previsione civilistica di cui agli artt. 2082 e 2195 c.c., per il quale le attività di cui all’art. 2195 c.c. integrano i presupposti dell’impresa commerciale solo se sono organizzate». Si veda anche e, tra le altre, Cass., ord. 8 marzo 2023, n. 6874.
33 In argomento M. Beghin, Il reddito d’impresa. Situazioni soggettive, regole generali e speciali, procedimento di determinazione, operazioni straordinarie, Pisa, 2021, pp. 145 e ss.; O. Nocerino, Il principio di inerenza nel reddito d’impresa. Dalla teoria generale al diritto positivo, Milano, 2022, pp. 57 e ss.
34 Sul carattere della “personalità” dell’impresa, per tutti, G. Oppo, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1976, I, pp. 591 e ss.
35 In questo senso O. Nocerino, Il principio di inerenza nel reddito d’impresa, cit., p. 64.
36 Tra queste, a titolo meramente esemplificativo, si richiama l’imposta sugli extra-profitti (windfall tax), generalmente identificabile come “an extra tax that a government charges a company when it makes a large, unexpected profit, especially if they have been helped by economic conditions”. Ancora, si richiama il contributo straordinario sugli extra-profitti delle imprese energetiche introdotto dall’art. 37 del D.L. n. 21/2022 e l’imposta straordinaria sugli extra-profitti delle banche che operano sul territorio nazionale di cui alla L. n. 136/2023. Per i dovuti approfondimenti, cfr. F. Uricchio, Il costo dei diritti tra controllo del debito, strumenti di finanza straordinaria e windfall taxes, in Riv. dir. din. sc. fin., I, 2018, pp. 3 e ss.; R. Iaia, Prime riflessioni sistemiche in ordine al contributo straordinario sul c.d. “caro bollette”, in Riv. tel. dir. trib., 1, 2022, pp. 9 e ss.; A. Purpura, L’imposizione sugli extraprofitti: verso una (pericolosa) “normalizzazione” di forme non più eccezionali d’imposizione straordinaria, in Novità Fiscali, 2023, pp. 628-631; A. Fedele, Intervento sulla rilevanza dei dati nella determinazione degli imponibili nell’era digitale, in Riv. dir. trib., 2023, pp. 5 e ss.; L. Carpentieri, Nuovi presupposti d’imposta e nuovi criteri di determinazione delle basi imponibili: riflessioni de iure condito e de iure condendo, cit., pp. 7 e ss.
37 Si tenga presente l’art. 8 della L.D. n. 111/2023 che ha disposto la revisione dell’imposta per pervenirne a un graduale suo superamento e, al contempo, per istituire una sovrimposta determinata seguendo le regole dell’IRES.
38 Art. 4, D.Lgs. n. 446/1997. Sull’IRAP, senza alcuna pretesa di esaustività, si rinvia a C. Buccico, L’Irap nel sistema tributario italiano, Napoli, 2000, passim; R. Schiavolin, L’imposta regionale sulle attività produttive. Profili sistematici, Milano, 2007, passim. Più di recente L. Letizia, Lineamenti dell’ordinamento delle Regioni. Ragioni e limiti del federalismo fiscale, Torino, 2020, pp. 81 e ss.
39 Relativamente all’ausilio delle tecnologie digitali nella fase di attuazione dei tributi, cfr. F. Paparella, L’ausilio delle tecnologie digitali nell’applicazione dei tributi, in L. Del Federico - Id. (a cura di), Diritto tributario digitale, Pisa, 2023, pp. 155 e ss.
40 Per approfondimenti sullo scenario europeo e internazionale per l’introduzione di tributi collegati al mondo del digitale, cfr. M. Piasente, Reazioni internazionali e nazionali in tema di web e digital tax, in L. Carpentieri (a cura di), Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, pp. 25 e ss.; S. De Marco, Profili evolutivi della fiscalità nella digital economy, Napoli, 2022, pp. 91 e ss.; S. Ariatti - P.L. Cardella, Tributi minori e regimi speciali, in L. Del Federico - F. Paparella (a cura di), cit., pp. 133 e ss.
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