Scritto da Armando Calogero • ott 2020
In addition, private autonomy is also explored in the form of regulation or co-regulation, such as private regulatory autonomy, of environmental phenomena, highlighting the tendency to overcome the monopoly of the state and local authorities in the production of legislation on the environment and entry of soft law into the system of environmental sources. Il diritto dell’ambiente è tradizionalmente analizzato nei suoi aspetti pubblicistici. Il presente contributo, invece, nel solco di una nuova tendenza interpretativa civilistica, intende indagare le ripercussioni delle politiche ambientali sul piano privatistico e, nello specifico, dell’autonomia contrattuale da una parte e dell’autonomia normativa dei privati dall’altra. Su tale premessa, lo scritto appunta l’attenzione sulla tutela dell’ambiente convogliata per il tramite dell’attività negoziale dei consociati. Si darà, dunque, atto dell’incidenza della tutela ambientale sulla causa del contratto, sui beni suscettibili di diventarne oggetto e sulla proliferazione di nuovi tipi contrattuali, cercando di soffermarsi, per quanto possibile nei canoni di ristrettezza del presente contributo, anche sui profili rimediali rispetto a condotte dei contraenti lesive del bene in esame e sui canoni di interpretazione e di integrazione di cui l’interesse ambientale richiede il rispetto. Inoltre, si approfondisce anche l’autonomia privata sotto forma di regolamentazione o co-regolamentazione, come autonomia normativa privata, dei fenomeni ambientali, evidenziando la tendenza al superamento del monopolio dello Stato e degli enti locali nella produzione normativa in materia di ambiente e l’ingresso della soft law nel sistema delle fonti in materia di ambiente.
Environmental law is traditionally analysed in a public law perspective. Differently, this paper, putting itself in the wake of a new interpretation trend in the civil law studies, aims to investigate the repercussions of environmental policies on the private sector and, more specifically, on contractual autonomyon the one hand and the regulatory autonomy of private individuals on the other. On this premise, the paper draws attention to the protection of the environment achieved through the negotiation activity of the associates. The paper puts in evidence the impact of environmental protection on the cause of the contract, on the assets likely to become its object, and on the proliferation of new contractual types, dwelling, as far as possible in the restrictions of this contribution, also on the actions aimed to remedy the conducts of the contracting parties which are detrimental to the asset in question and on the canons of interpretation and integration that have to be respected in compliance with the environmental interest.
1.
Il diritto dell’ambiente è tradizionalmente analizzato nei suoi aspetti pubblicistici: la connotazione adespota dei beni che vi rientrano è il motivo per il quale la relativa protezione è attuata per il tramite di organizzazioni internazionali, politiche statali e associazioni di categoria che hanno tra i propri fini istituzionali la tutela di tale interesse diffuso.
Da qui lo sviluppo delle tematiche ambientali dall’angolo visuale del diritto internazionale ed unionale, del diritto amministrativo e del diritto penale.
Il presente contributo, invece, nel solco di una nuova tendenza interpretativa civilistica costituente un sentiero meno battuto, intende indagare le ripercussioni delle politiche ambientali sul piano civilistico e, nello specifico, dell’autonomia contrattuale1 e nel più generale ambito dell’autonomia privata, sotto forma anche di regolamentazione o co-regolamentazione, come autonomia normativa privata, dei fenomeni ambientali, ovviamente seguendo una trattazione distinta dei due aspetti in due distinte parti.
Si evidenzierà infatti anche la tendenza al superamento del monopolio dello Stato e degli enti locali nella produzione normativa in materia di ambiente e l’ingresso della soft law nel sistema delle fonti, con annessi problemi e limiti.
La trasversalità che connota la tutela ambientale (scaturente dall’eterogeneità degli interessi che fanno capo al bene-sintesi “ambiente”) rende, infatti, doveroso perseguire siffatta tutela per il tramite di tutti i rami dell’ordinamento.
Questo è anche il monito rivolto dalla Corte costituzionale,2 in primo luogo, al legislatore il quale – in virtù del principio di gerarchia delle fonti – è obbligato a tenere in considerazione tale valore costituzionalmente protetto nella predisposizione degli atti di normazione primaria.3 Esso si rivolge agli stessi consociati alla luce del principio di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., ed in forza del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, comma 2, Cost.
Su tale premessa, lo scritto appunta l’attenzione sulla tutela dell’ambiente convogliata per il tramite dell’attività negoziale dei consociati. A tal fine, esso muove e si dipana da alcuni presupposti di fondo, a partire dalla constatazione del fatto che nel linguaggio comune, così come in ambito giuridico, il termine “ambiente” non ha finora trovato una definizione univoca, in quanto lo stesso evoca oggetti, interessi e problematiche estremamente differenziate.4 Ciò ha avuto dei riflessi sul piano ricostruttivo del concetto e sulla sua valenza “relazionale” o “sintetica”5 da attribuirgli e da cui discendono importanti conseguenze pratiche.
La progressiva affermazione della tesi prevalente che – in linea con l’accresciuto interesse del legislatore alla tematica – attribuisce al concetto di ambiente una valenza unitaria: pur nella consapevolezza dell’eterogeneità degli interessi che possono esser sussunti nella cornice di tale “bene-sintesi”, ha reso possibile il riferimento ad una definizione d’insieme in grado di esprimere i caratteri e gli obiettivi comuni che devono connotare i diversi rami ordinamentali che della tutela di tali interessi si facciano promotori.6
Parallelamente, essa ha catalizzato l’interesse sulla individuazione degli strumenti volti alla tutela dello stesso. A fronte della previsione di cui all’art. 18 della L. n. 349/1986 (e, oggi, art. 311 del T.u.a., D.Lgs. n. 152/2005) che attribuisce la legittimazione ad agire dinanzi al Giudice Ordinario, ai fini del risarcimento del danno ambientale (concretantesi, ex art. 300 del T.u.a., nella compromissione dell’equilibrio ambientale), esclusivamente allo Stato, in persona del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, ci si è posto il problema di capire se vi fossero strumenti, sul piano civilistico, per riconoscere protezione anche al privato cittadino in presenza di lesioni del bene ambiente interferenti con la propria sfera personale.7
A tal fine la giurisprudenza civile ha operato una netta distinzione tra “beni collettivi indivisibili”, rispetto ai quali è inconcepibile una situazione giuridica di vantaggio vantata dal singolo, e “beni collettivi divisibili”, suscettibili, invece, di un godimento frazionato da parte di singoli soggetti.8 Con riferimento a tale seconda categoria (nel cui novero è stato ricondotto l’ambiente) si è ravvisata una vera e propria posizione di diritto soggettivo incorporata nell’interesse diffuso: in caso di lesione il diritto è da quest’ultimo separato al fine di essere azionato in giudizio per fini risarcitori.
Parimenti, in seguito al riconoscimento del “diritto fondamentale e inviolabile all’ambiente” si è ritenuto possibile imporre agli stessi consociati doveri di solidarietà sociale che, come vedremo, vanno a pervadere la loro autonomia privata.9
Ciò posto, l’indagine analizza i profili del suo bilanciamento con il principio, di pari rango, dell’autonomia privata, il cui fondamento costituzionale può esser indirettamente rinvenuto nel riconoscimento della libertà di iniziativa economica e nella tutela della proprietà privata di cui agli artt. 41 e 42 Cost.10
In essa si darà, dunque, atto dell’incidenza della tutela ambientale sulla causa del contratto, sui beni suscettibili di diventarne oggetto e sulla proliferazione di nuovi tipi contrattuali, cercando di soffermarsi, per quanto possibile nei canoni di ristrettezza del presente contributo, anche sui profili rimediali rispetto a condotte dei contraenti lesive del bene in esame e sui canoni di interpretazione e di integrazione di cui l’interesse ambientale richiede il rispetto.
Senza alcuna pretesa di esaustività, l’analisi, partendo dalla considerazione che nell’ambito del diritto civile emergono ormai tematiche e problemi che si allontanano dalla sfera meramente patrimoniale, nel segno di una tendenza alla “depatrimonializzazione” del diritto civile, scaturente a sua volta dalla “vis espansiva” degli artt. 2 e 118 della Costituzione,11 intende offrire alcuni spunti ricostruttivi di un “diritto contrattuale dell’ambiente” al fine di comprendere come l’autonomia contrattuale dei privati possa esserne concretamente influenzata avendo costantemente come riferimento i principi costituzionali12 e quelli elaborati dall’ordinamento internazionale ed unionale13 mutuati dall’ordinamento interno (cfr. artt. 2, 3/ter, 3/quater, 3/quinquies D.Lgs. n. 152/206), quali il principio dello “sviluppo sostenibile” che promuove la “solidarietà intergenerazionale” imponendo che le esigenze delle generazioni attuali vengano soddisfatte senza compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future;14 il principio della “prevenzione” per la ottimale gestione dei pericoli e delle minacce per l’ambiente, in considerazione della irreversibilità degli effetti che taluni fattori hanno sullo stesso; il principio di “precauzione” che in presenza anche solo di un mero sospetto di lesione del bene ambiente giustifica l’adozione di misure cautelative ed inibitorie, non discriminatorie, proporzionate e rivedibili in ogni tempo anche alla luce del progresso scientifico; i principi “chi inquina paga”, di “correzione” in via prioritaria alla fonte e di “integrazione” (ex art. 11 T.f.u.e.) delle politiche che direttamente o indirettamente incidono sull’ambiente, rimarcandone il suo carattere trasversale.15
2.
Il concetto di “autonomia privata” indica, dal punto di vista etimologico (autòs-nòmos) l’attività dei privati che dettano una regola per i propri rapporti giuridici:16 essa esprime la tendenziale libertà dei singoli di gestire i propri interessi personali e patrimoniali, senza subire influenze esterne.
Lo strumento per l’esplicazione di tale libertà è il “negozio giuridico”, tradizionalmente definito in Dottrina come «manifestazione di volontà diretta alla produzione di effetti giuridici, consistenti nel costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici».17
Il concetto di “negozio giuridico”, pur sottinteso dal Legislatore del 1942, non compare nel Codice civile, che fa invece riferimento alla sua principale declinazione che è il “contratto”.
La definizione di “contratto”, di cui all’art. 1321 c.c., si arricchisce rispetto a quella di “negozio” di due elementi.
Il riferimento è alla patrimonialità del rapporto inciso ed all’accordo:18 «il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale».
In particolare, la vocazione del contratto ad operare nel campo patrimoniale (alias economico) si evince con chiarezza dalle norme che indicano le due principali funzioni dello stesso: il contratto serve per trasferire la proprietà (ex art. 922 c.c.) e per creare obbligazioni (ex artt. 1173 e 1174). La ratio posta a fondamento della necessaria patrimonialità del contratto è da individuarsi nella sua coercibilità con i mezzi della legge: alla luce dell’art. 1372 c.c.; il contratto, in quanto autoregolamento vincolante tra le parti, ha forza di legge tra le stesse, sicché i contraenti non sono liberi di revocare o violare l’impegno assunto, andando incontro, altrimenti, all’attuazione in forma specifica dell’impegno violato o al risarcimento per equivalente.
Ebbene, rispetto ai rapporti non patrimoniali, la legge non vuole o non può applicare questi meccanismi: in primo luogo, perché si ritiene che i comportamenti inerenti la sfera prettamente personale non siano assoggettabili ad un vincolo legale di irrevocabilità o alla coercibilità in forma specifica, data la centralità della persona umana che, come visto, pervade l’intero ordinamento; in secondo luogo, perché si considera la difficoltà di monetizzare, ai fini del risarcimento per equivalente, la violazione di impegni per definizione non suscettibili di valutazione economica.
Ciò posto, è d’obbligo un chiarimento: pur nella consapevolezza che l’”autonomia privata” abbracci la generale categoria degli atti negoziali (costituita dagli atti aventi ad oggetto diritti personali, dagli atti propri del diritto di famiglia, dagli atti a causa di morte e da quelli patrimoniali tra vivi), si è deciso, come anticipato, di limitare la presente trattazione all’analisi di quella particolare declinazione dell’autonomia privata che è l’”autonomia contrattuale”.
Tale scelta deriva da due ordini di valutazioni: la prima attiene al fatto che, nonostante le diverse categorie di atti negoziali presentino esigenze e profili di trattamento lato sensu comuni (requisiti della capacità di agire, forma, rilevanza dei vizi della volontà, l’illiceità degli atti) è pur vero che per ciascuna di esse tali aspetti sono disciplinati con regole molto diverse, così da rendere artificioso e vacuo qualsiasi tentativo di riduzione a sintesi; la seconda, sul piano più pratico, concerne il fatto che le interferenze ad opera della disciplina in materia ambientale si reputano possibili solo con riferimento agli atti patrimoniali tra vivi.
Dunque, per metonimia, ogni qual volta si farà riferimento alla nozione di “autonomia privata” si intende con essa la species dell’“autonomia contrattuale.
Poste tali premesse, si esplicita il concetto di autonomia contrattuale in primo luogo nella sua accezione “positiva”: seguendo la nota definizione di Emilio Betti,19 l’autonomia contrattuale è la libertà dei singoli consociati di porre in essere un autoregolamento dei propri interessi patrimoniali tra loro vincolante20 ex artt. 1322 e 1372, comma 1, c.c.
Ciò posto, si deve ulteriormente chiarire che, se fuori dal campo delle relazioni giuridico-patrimoniali non vi è contratto, al contempo all’interno di quel campo non vi è contratto se non vi è “accordo” tra e parti.
La ratio del requisito dell’accordo è da individuarsi negli effetti che il contratto produce: esso tocca la sfera giuridico patrimoniale dei soggetti coinvolti. Stabilire, dunque, che questo risultato possa realizzarsi solo con l’accordo delle parti significa proteggere la sfera giuridica del soggetto rispetto ad azioni di terzi in grado di inciderne le posizioni giuridiche in modi che l’interessato potrebbe non gradire.
Dietro il principio dell’accordo e della relatività del contratto si cela, dunque, l’accezione “in negativo” di autonomia contrattuale quale tendenziale intangibilità della propria sfera giuridica da parte dei terzi: accezione che trova il suo principale referente normativo nell’art. 1372 comma 2 c.c.21
I rapporti dei consociati, dunque, non possono – salvo eccezioni – essere incisi da fattori esterni alla propria libera scelta sulla base di strumenti privatistici, ma solo per il tramite di disposizioni pubblicistiche volte a soddisfare interessi generali cui il privato soggiace.
La volontà del legislatore di salvaguardare l’applicazione della disciplina del contratto e dunque la necessità dell’accordo è ben evincibile dalla previsione, di cui all’art. 1987 c.c., del principio di tipicità delle promesse unilaterali: «la promessa unilaterale di una prestazione non produce effetti obbligatori fuori dei casi ammessi dalla legge».
La disposizione de qua ha un chiaro intento restrittivo: essa limita l’autonomia privata, circoscrivendo a casi tassativi, la possibilità che la solitaria volontà del promittente produca obbligazioni a suo carico.22
In altri termini, come si evince anche dal raffronto con l’art. 1333 c.c.,23 di regola le promesse sono contrattuali e non unilaterali, richiedendo il consenso del promissario. Solo in casi eccezionali, tassativamente tipizzati dalla legge, le promesse possono fare a meno dell’accordo e configurarsi come unilaterali: il riferimento è alla promessa di pagamento, alla ricognizione di debito, alla promessa al pubblico ed ai titoli di credito. Si può dunque concludere che la tipicità delle promesse unilaterali risponda alla triplice esigenza di: salvaguardare il promittente dal rischio di impegnarsi senza un corrispettivo in modo avventato o irragionevole; tutelare il promissario dalle ripercussioni che in ogni caso potrebbero derivare nella propria sfera giuridica dalla volontà unilaterale del promittente; garantire l’applicazione dei rimedi contrattuali connessi al sinallagma.
Alla luce di tali considerazioni si può dunque comprendere il motivo per il quale il legislatore del 1942 abbia preferito assurgere a principale strumento di esplicazione dell’autonomia privata il contratto in luogo del negozio giuridico.
Il riferimento alle diverse accezioni di autonomia privata,24 risulterà particolarmente utile nel vagliare i profili di interferenza che possono sorgere tra la suddetta libertà di scelta ed il dovere delle parti – nella predisposizione di un autoregolamento che vada a toccare interessi ambientali – di mitigare i propri interessi egoistici in favore della salvaguardia dell’ambiente e dell’attuazione dei relativi principi.
Nei paragrafi successivi, infatti, si vedrà come l’autonomia privata (al pari di ogni altro principio costituzionale) non sia sconfinata ma, nell’ottica di quel bilanciamento di cui si è fatto più volte cenno, sconti i limiti imposti dalle norme imperative, dall'ordine pubblico e dal buon costume.
Vedremo dunque come inquadrare i doveri di tutela dell’ambiente che – come si è più volte ribadito – si pongono anche in capo ai singoli consociati alla luce del connotato della trasversalità del bene ambiente e dei principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui, rispettivamente agli artt. 2 e 118 comma 2 Cost.: il tutto al precipuo fine di individuare gli strumenti rimediali applicabili in caso di contrasto del regolamento negoziale con le istanze ambientaliste, oltre che gli altri mezzi (come l’interpretazione o l’integrazione del contratto) mediante i quali la tutela ambientale può esser perseguita.
Non mancherà, ancora, qualche riflessione in merito all’ influenza del diritto ambientale sulla nascita di nuovi beni e di nuove tipologie contrattuali.
Ciò posto, come si è accennato nel primo paragrafo, si deve dare atto dell’esistenza di un’ulteriore accezione di autonomia privata: il riferimento è all’autonomia “normativa” dei privati.
Tale concezione sottende alle speculazioni inerenti ai rapporti tra contratto e ordinamento giuridico, che hanno visto l’affermarsi di posizioni diametralmente differenti.
In particolare Hans Kelsen (1881-1973) si fece promotore dell’idea per cui il contratto (ed il negozio in generale) si collocano nell’ambito della costruzione a gradi dell’ordinamento, in quanto essi producono norme funzionalmente collegate a norme (di legge) di livello superiore che le legittimano.25
Opposta è la teoria della “pluralità degli ordinamenti giuridici” elaborata da Santi Romano (1875-1947):26 la ricostruzione di tale illustre giurista non pone, infatti, il contratto in posizione di subalternità rispetto alla legge, ma lo affianca alla stessa. In altri termini, si evidenzia come il contratto si ponga a fondamento di ordinamenti dei privati che, accanto all’ordinamento statale ed in posizione di pari dignità con questo, danno corpo alla regolamentazione giuridica complessiva.27
Tra gli autori che riprendono le tesi pluraliste romaniane, è poi da ricordare Cesarini Sforza, il quale nel “Il diritto dei privati” definisce gli ordinamenti giuridici diversi da quello statale e quello internazionale, come infrastatuali, o particolari, o minori.
Nell’ambito di tale opera l’autore si preoccupa innanzitutto di specificare che la nozione “diritto dei privati” non coincide con l’espressione “diritto privato”: infatti, mentre quest’ultima indica un complesso di volontà statuali volte a regolare rapporti giuridici tra soggetti privati, il “diritto dei privati”, invece, pur regolando rapporti tra persone private, non proviene dallo Stato, né immediatamente né mediatamente.28
Peraltro Cesarini Sforza, realisticamente, non nega «la parte preminente che lo Stato ha, di fatto, nella vita giuridica», ma evidenzia che tale preminenza «non esclude, bensì presuppone che altri ordinamenti esistano e che altre norme giuridiche funzionino come tali»: la superiorità statale consiste non nella negazione delle altre possibili fonti del diritto, ma nell’essere lo Stato quell’ente che applica la parte più grande e più importante di questo diritto». Per cui, «l’unità del diritto sotto il concetto dello Stato si riferisce unicamente al predominio che questo ha nell’applicazione delle norme, mentre la molteplicità degli ordinamenti si basa sulla spontaneità creatrice della coscienza giuridica».29
Alla luce di tali considerazioni di carattere generale sulla accezione di “autonomia privata” quale “autonomia normativa dei privati” si indagherà se, alla luce del loro carattere di tecnicità, le norme poste in essere dai privati a tutela dell’ambiente possano essere inquadrate nel novero delle fonti del diritto, al pari di una “soft law” e quali implicazioni questo avrebbe sul piano della democraticità che dovrebbe connotare gli organi di produzione normativa e, su un altro fronte, sul principio di relatività del contratto.
Individuate le differenti accezioni di “autonomia privata”, la presente trattazione verrà, come anticipato, scissa in due parti: la prima concernente l’autonomia privata contrattuale, contenutistica e tipologica (nella sua accezione positiva e negativa), e la seconda riguardante l’autonomia privata normativa.
Rispetto ad entrambe si analizzeranno gli aspetti di interferenza con il bene ambiente.
3.
L’idoneità del valore costituzionale “ambiente” a limitare l’autonomia contrattuale dei privati rende necessario, in primo luogo, vagliare il campo dei rimedi offerti ai contraenti in caso di regolamenti negoziali che ledano il bene in esame, salvo poi verificare in concreto l’applicabilità degli stessi e l’eventuale previsione di regimi ad hoc per le singole fattispecie contrattuali che verranno analizzate più avanti.
Ne consegue che il cuore della suddetta trattazione principierà da una panoramica dei rimedi che – sulla base dei principi generali che connotano il diritto civile e salva la previsione di una diversa disciplina da parte del legislatore – possono profilarsi in caso di lesione da parte del contratto del bene ambiente.
Ciò posto si può affermare con sicurezza che il connotato di diritto fondamentale ormai riconosciuto al “diritto all’ambiente” (quale diritto ad un habitat che consenta un adeguato sviluppo della persona umana) e la crescente importanza ascritta allo stesso, sia in ambito interno che sovranazionale, valgano ad includerlo tra i principi di ordine pubblico30 che in questo momento storico connotano il nostro ordinamento.
Allo stesso tempo la medesima posizione giuridica può essere inclusa tra i limiti posti alla libertà di iniziativa economica ed all’esercizio del diritto di proprietà volti a consentirne una “funzione sociale”. 31
Ancora, si vedrà come il progressivo interesse del legislatore interno ed europeo alla tutela ambientale abbia determinato il proliferare di norme imperative32 che incidono in maniera specifica e puntuale sull’autonomia contrattuale.
Di tal che si può ritenere che, di fronte a regolamenti contrattuali che incidano negativamente sul bene ambiente, l’interprete sia tenuto, in primo luogo, a controllare se esistano norme imperative conformative o proibitive33 applicabili alla fattispecie.
In tal caso, laddove non sia prevista un’integrazione cogente,34 il rimedio per le parti stesse e per i terzi che vi abbiano interesse sarà quello della nullità del contratto per contrasto con norma imperativa ex art. 1418, comma 1, c.c.35
In mancanza di una specifica norma che proibisca il contratto ex se o un certo regolamento contrattuale, permane la possibilità di sollecitare una declaratoria di nullità del contratto per contrarietà del suo oggetto (o della sua causa, ma il confine potrebbe essere labile) con l’ordine pubblico ex art. 1418, comma 2, c.c.36
Dunque, il rimedio apprestato in favore delle parti e dei terzi di fronte a contratti lesivi del bene ambiente è (salvo diverse previsioni di legge37) quello della nullità, quale istituto posto a tutela di interessi generali.38
Con riferimento alle parti, il rimedio della nullità assorbe gli altri rimedi (ad esempio la risolubilità del contratto inadempiuto).
Con riferimento ai terzi,39 il principio di relatività del contratto fa sì che l’azione volta alla declaratoria di nullità sia l’unico rimedio praticabile dagli stessi, purché dimostrino in giudizio la lesione subita a causa di quella pattuizione e dunque il proprio interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.: la ratio della legittimazione allargata dell’azione di nullità, d’altra parte, sta proprio nell’intento di moltiplicare le chances di annientamento di un contratto lesivo di interessi generali.40
Va, infine, dato atto di come la tutela ambientale possa interferire con l’autonomia contrattuale anche sul piano della interpretazione:41 posto, infatti, che il contratto nullo non è sanabile ex art. 1423 c.c., ciò non esclude il dovere dell’interprete di tentare una conservazione del contratto o una conversione del contratto ex artt. 1367 e 1424 c.c.42
Per cui, dinnanzi ad un contratto potenzialmente in grado di incidere negativamente sul bene ambiente al punto di essere tacciato di nullità, la sua interpretazione deve essere attuata «nel senso in cui possa avere qualche effetto anziché in quello secondo cui non ne avrebbe alcuno», purché tali effetti risultino comunque funzionali al programma contrattuale delle parti.
D’altra parte, si ricorda come il contratto nullo possa produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, quando – avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti – debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità.43
Rilevante appare anche il canone dell’interpretazione funzionale di cui all’art. 1369 c.c., nella parte in cui consente di attribuire alle espressioni che abbiano più sensi, quello più conforme e vicino (nel caso di specie) alla protezione dell’interesse ambientale.44
All’esito di tali considerazioni si può dunque sostenere che i privati, nel regolare l’assetto dei propri interessi egoistici, non possano incidere negativamente sull’ambiente incorrendo altrimenti, salvo integrazioni cogenti o altre previsioni di legge, nella scure della nullità del contratto.
Ciò posto, non si ritiene, tuttavia, che – al di fuori della violazione di specifiche prescrizioni di legge45 o di principi rientranti nel concetto di ordine pubblico – i privati siano tenuti positivamente a perseguire l’interesse ambientale in ogni propria contrattazione.
Il senso di questa affermazione si comprende ove si analizzi il significato che la moderna dottrina attribuisce alla locuzione contenuta nell’art. 1322, comma 2, c.c., alla stregua della quale «le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico».
Tale disposizione, nel riconoscere la libertà dei privati di porre in essere contratti atipici, offre lo spunto per affrontare la questione, più generale, se la causa sia strumento di controllo pubblico dell’autonomia privata.46
Che in una certa misura lo sia è dato che scaturisce positivamente dalle norme: si è già visto come la contrarietà della causa a norme imperative o all’ordine pubblico o al buon costume porti alla nullità del contratto. In tal caso è evidente che il giudizio di riprovazione dell’ordinamento verso l’operazione di autonomia privata ed il conseguente meccanismo di neutralizzazione dei suoi effetti passino attraverso il concetto di “causa”.
Ciò posto, il problema sta nel valutare se l’ordinamento disapprovi non solo – come è indiscutibile – i contratti socialmente dannosi, quali i contratti con causa illecita, ma anche i contratti “socialmente indifferenti”. Il riferimento è, in altri termini, ai contratti né utili, né dannosi dal punto di vista sociale: quelli che perseguono interessi puramente individuali, al limite capricciosi o stravaganti.
Si tratta allora di chiarire se, per non incorrere nella riprovazione dell’ordinamento, il contratto debba esser sempre veicolo di una positiva e specifica utilità sociale.47
La risoluzione di tale questione può risultare utile per saggiare la realizzabilità di un sia pur lodevole auspicio prospettato da una parte della dottrina.
Come si approfondirà più avanti, infatti, parte della dottrina ha utilizzato il modello dei c.d. “appalti verdi”48 per invocare, in via generale, una trasformazione del contratto da strumento di scambio e di regolamentazione di interessi egoistici a “contratto ecologico”49 inteso quale «accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali ed ecologicamente sostenibili».
Alla stregua di tale ricostruzione, il contratto muterebbe in strumento di gestione di interessi in conflitto che però dovrebbero necessariamente convergere nella protezione dell’ambiente e delle generazioni future:50 la tutela ambientale, pertanto, si atteggerebbe alla stregua di requisito di meritevolezza di ogni contratto.
In realtà si ritiene che la tesi - cui si darà ampiamente conto nei paragrafi seguenti per le sue ammirevoli finalità - non sembri tuttavia realizzabile alla luce dell’attuale assetto dell’ordinamento costituzionale e privato.
Tale affermazione si giustifica alla luce delle seguenti considerazioni. Dunque, rispetto al quesito di cui sopra (ovvero se per esser considerato meritevole di tutela il contratto debba essere veicolo di una positiva e specifica utilità sociale), le diverse teorie sulla “causa” hanno fornito risposte confliggenti.
La teoria (un tempo maggioritaria) della “causa in astratto”51 risponde positivamente e, pertanto, adotta un’“accezione dirigistica della causa”.
Per essa la causa non è approvata dall’ordinamento ove non corrisponda ad una funzione di utilità sociale: la causa dei contratti tipici ha per definizione questa caratteristica; quanto ai contratti atipici, essi soddisfano il requisito causale se risultino diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, intendendo come tali “funzioni socialmente utili”.52
Senonché a partire dal 2006 la giurisprudenza, mutuando le argomentazioni di altra parte della dottrina,53 ha, come è noto, sposato la teoria della cd. “causa in concreto” intesa come “sintesi degli interessi voluti dalle parti e che oggettivamente il contratto è in grado di soddisfare”.
Con la diffusione della teoria della “causa in concreto” una cospicua parte della dottrina (cui si aderisce) ha constatato come l’equiparazione tra causa e utilità sociale sia in realtà illiberale, corrispondente ad una concezione dirigistica dell’autonomia privata, negatrice della autonomia stessa. Alla stregua del nuovo orientamento la causa si identifica, semplicemente, nella razionalità economica delle attribuzioni, a tutela, non dell’utilità sociale, quanto del singolo, impendendo allo stesso di impoverirsi (trasferendo un diritto o assumendo un’obbligazione) senza una valida giustificazione.54
In particolare, si è scelto di aderire a quella parte della dottrina che esclude l’equiparazione tra “meritevolezza” e “utilità sociale” perché si ritiene che tale equiparazione porterebbe ad esiti sproporzionati in punto di rimedi (vale a dire la nullità di ogni contratto futile) e perché è da considerare un’esigenza di certezza degli scambi (sottesa, oltretutto, alla a-causalità che connota il diritto sovranazionale dei commerci) che impone di ridurre la discrezionalità del giudice rispetto all’atteggiarsi della autonomia contrattuale.55
Dunque, il contemperamento tra il principio di solidarietà sociale e l’autonomia privata sembra doversi attuare nel senso che i contratti socialmente dannosi vanno certamente disapprovati e repressi; che i contratti socialmente utili vanno certamente approvati e lodati, ma che fra gli uni e gli altri possano esistere contratti socialmente indifferenti (né utili, né dannosi) che non meritano di essere lodati, non meritano di essere repressi, ma certamente meritano di essere tollerati.56
In questa logica gli “interessi meritevoli di tutela” ex art. 1322 comma 2, corrispondono a tutti quegli interessi che, pur privi di positiva utilità sociale, non siano neppure socialmente dannosi e perciò illeciti.
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che l’adozione di una nozione di “contratto ecologico” sarebbe probabilmente inattuabile, in quanto escluderebbe dal riconoscimento e dalla tutela giuridica quei contratti che, pur non essendo dannosi, non perseguano istanze di tutela dell’ambiente.57
4.
L’attività amministrativa ha subìto una profonda evoluzione nel corso del tempo che ha visto la graduale predilezione del legislatore per la “dimensione paritaria” dell’agere amministrativo.58
In altri termini, si è progressivamente riconosciuto che nell’attività di cura in concreto dell’interesse pubblico (secondo le finalità ed i poteri attribuiti dalla legge ex art. 97 Cost.), la Pubblica Amministrazione possa avvalersi, oltre che degli strumenti giuridici propri del diritto pubblico (vale a dire dei provvedimenti amministrativi autoritativi ed unilaterali59), anche dei mezzi e delle forme comuni del diritto privato.
Si è, infatti, costatato come lo strumento privatistico possa rispondere meglio all’attuazione dei fondamentali principi di efficienza, efficacia ed economicità che devono improntare l’azione amministrativa e dare un apporto anche in un’ottica deflattiva del contenzioso.60
Il riconoscimento dell’autonomia negoziale della P.A., che ha trovato un avallo normativo grazie alla L. n. 15 del 2005,61 determina la facoltà di curare l’interesse pubblico instaurando rapporti di carattere privatistico con i soggetti interessati, decretando implicitamente la soggezione della P.A. alle norme civilistiche e riconoscendole capacità negoziale.
Si deve, tuttavia, evidenziare come l’autonomia privata riconosciuta alle Pubbliche Amministrazioni sia più limitata rispetto a quella dei privati: essa, infatti, soggiace non solo ai limiti negativi volti a mantenere i negozi nell’alveo della liceità, ma anche ai limiti positivi previsti dal legislatore e volti alla funzionalizzazione di quei negozi al perseguimento di interessi pubblici, alla stregua del principio di legalità sostanziale di cui all’art. 97 Cost.62
Non stupisce, allora, che limitazioni all’autonomia contrattuale volte al soddisfacimento del superiore interesse ambientale siano intervenute, prima di tutto, in ambito pubblicistico, ove quell’autonomia fosse esercitata da una Pubblica Amministrazione.63
In questa sede si tratterà di quelle specifiche tipologie di accordo o di contratto che presentano connessioni con la tutela ambientale.
In particolare, con riferimento alla categoria dell’accordo inteso quale forma di esercizio consensuale del potere pubblicistico,64 si evidenzia come il campo in cui l’uso di tale strumento ha cominciato storicamente a manifestarsi in modo significativo è quello dell’urbanistica: il riferimento è, in particolare, alle convenzioni di lottizzazione65 tra la competente autorità pubblica (per lo più il Comune) ed i privati interessati all’utilizzazione edilizia dei suoli.66
L’istituto si colloca nell’alveo della c.d. “urbanistica contrattata”,67intendendosi come tale il fenomeno per cui l’accordo sostituisce il piano come strumento di governo pubblico del territorio.68
Dunque, le convenzioni di lottizzazione si caratterizzano come accordi tra Comune e privati cittadini, attraverso i quali questi ultimi sono legittimati a partecipare all’esercizio di potestà di regola ad esclusivo appannaggio della P.A.69
L’attuale configurazione della convenzione di lottizzazione come accordo sostitutivo di provvedimento comporta la sottoposizione della stessa – per quanto non espressamente previsto dalla Legge urbanistica fondamentale – alla disciplina di cui all’art. 11 della L. 241/90: ne consegue che ad essa «si applicano, ove non diversamente previsto, i princìpi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili» e che «per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione può recedere unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato».
Dal regime complessivamente delineato dal legislatore si può immediatamente constatare quanto l’autonomia contrattuale delle parti sia, in tal caso, massicciamente influenzata dall’interesse ambientale (nella sua declinazione di corretto uso del territorio): ma si è già accennato come qui una funzionalizzazione del contratto al perseguimento di interessi pubblici sia giustificata dal fatto che l’attività amministrativa della PA non è mai libera nei fini e deve perseguire prioritariamente – anche quando usi moduli consensuali – l’interesse generale.
La persistenza dell’esercizio di un potere pubblicistico in capo alla PA giustifica allora la sottoposizione di tali accordi ad una disciplina del recesso che evoca da vicino quella della revoca degli atti amministrativi e che invece si pone in netta collisione con il principio civilistico secondo cui pacta sunt servanda.70
Un discorso in parte differente vale per i “contratti” stipulati dalla P.A. nelle vesti di privato contraente per l’affidamento di appalti e concessioni aventi ad oggetto servizi, forniture, lavori e opere.
Rispetto ad essi appare utile il riferimento all’art. 30 del nuovo codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016),71 norma relativa ai principi che devono indirizzare in quest’ambito la Pubblica Amministrazione: «Il principio di economicità può essere subordinato, nei limiti in cui è espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti nel bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute, dell'ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile, anche dal punto di vista energetico.[…] Nell'esecuzione di appalti pubblici e di concessioni, gli operatori economici rispettano gli obblighi72 in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali elencate nell'allegato X.[…] Per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile».
La norma si rivela utile per inquadrare il fenomeno della “esternalizzazione” posta in essere dalla P.A. e per introdurre il discorso dei cd. “appalti verdi”, rilevanti per le istanze di tutela ambientale che vi fanno da sfondo.73
Se, infatti, l’originaria normativa comunitaria rispondeva al solo interesse economico della tutela della concorrenza, la tutela ambientale può oggi considerarsi un dato immanente o un vincolo interno alle procedure di affidamento dei contratti pubblici.
D’altra parte, gli “appalti verdi” denotano il progressivo allontanamento dall’approccio “command and control” connotato dal perseguimento della tutela ambientale mediante tecniche repressive: per il tramite della previsione di clausole ecologiche la suddetta tutela è calata nell’ambito della cd. “responsabilità sociale d’impresa” per cui sono le stesse imprese, a monte, a dover incentivare meccanismi virtuosi, combinando gli aspetti economici con quelli ambientali.74
La domanda di prodotti, servizi e lavori "ecologici" interessa, quindi, larghe fette delle transazioni commerciali europee e comporta i seguenti vantaggi: contribuisce alla diffusione di tecnologie ambientali; fornisce un efficace indirizzo per lo sviluppo della competitività del sistema produttivo; favorisce i risparmi (grazie alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti ed alla diminuzione di rifiuti e sostanze pericolose) e dunque perviene ad una migliore gestione della spesa pubblica.75
A livello nazionale gli appalti verdi hanno avuto un forte impulso da quando è stato approvato il “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione” (D.M. 11 aprile 2008, recentemente aggiornato con il D.M. 10 aprile 2013).76
Scopo principale del piano è quello di definire - per prodotti, servizi e lavori identificati come prioritari per gli impatti ambientali e i volumi di spesa - indicazioni metodologiche per la costruzione di processi di acquisto “sostenibili”: sulla base di tali indicazioni il Ministero dell’ambiente ha provveduto con successivi decreti alla previsione di “Criteri Ambientali Minimi” (CAM).77
In Italia, l’efficacia dei CAM è stata assicurata dall’art. 18 della L. 221/201578 e, successivamente, dall’art. 34 del Codice degli appalti del 201679 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.
L’obbligo de quo ha notevoli ripercussioni sia in caso di mancato rispetto dei CAM da parte dei concorrenti, sia in caso di mancato inserimento degli stessi nel bando da parte della stazione appaltante.
Con riferimento alla prima ipotesi, una recente pronuncia del Tar Toscana80 ha annullato l’aggiudicazione di una gara per la fornitura di apparecchi di illuminazione, dal momento che la stazione appaltante – pur avendo richiamato nella lex specialis di gara i CAM illuminazione previsti dal D.M. 23 dicembre 2013 (oggi il riferimento è al D.M. 27 dicembre 2017) – non aveva constatato che l’offerta proposta dall’impresa vincitrice non rispettava le caratteristiche tecniche ivi prescritte. Se ne evince come il mancato rispetto dei CAM possa comportare pesanti conseguenze per le aziende concorrenti, le quali rischiano addirittura di perdere l’aggiudicazione.
Con riguardo, invece, all’obbligo di inserimento dei CAM nella lex specialis da parte della stazione appaltante (ai sensi dell’art. 34 del D.Lgs. n. 50/2016) il Consiglio di Stato, con sentenza del 17 aprile 2018, n. 2317, ha respinto un ricorso volto all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione fondato sull’asserito inadempimento di tale obbligo.
In particolare il Consiglio di Stato ha colto l’occasione per attuare una distinzione ed ha specificato che l’art. 34 cit. sancisce il necessario inserimento nella documentazione di gara delle sole “specifiche tecniche di base” (criteri ambientali minimi) e delle “condizioni di esecuzione/clausole contrattuali”; diversamente, le “specifiche tecniche premianti” (criteri premianti) di cui al comma 2 dell’art. 34 dovrebbero semplicemente esser “tenute in considerazione”, ma non vi sarebbe un rapporto di rigida corrispondenza tra le stesse ed i criteri di valutazione delle offerte tecniche contenuti nella lex specialis. In ogni caso, le stazioni appaltanti, sono comunque invitate ad utilizzare criteri premianti quando aggiudicano le gare d’appalto utilizzando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, fissando un bando di gara che incentivi, senza rendere rigorosamente obbligatorio, l’utilizzo e l’adattamento della disciplina di gara ai suddetti criteri di carattere premiante.
Tale pronuncia, che apparentemente ha solo una valenza amministrativistica, in realtà, riguardando la contrattualistica pubblica, seppur un aspetto peculiare che potremmo dire attinente alle trattative ed alla formazione progressiva del contratto, subordinatamente ovviamente alla partecipazione ed alla aggiudicazione della gara, ha invece una importantissima ricaduta sul piano civilistico. Infatti, come sopra detto al paragrafo precedente in ordine alla causa del contratto ed alla necessità o meno che questa si conformi al perseguimento di un interesse ambientale o meglio ecologicamente sostenibile, pare che i giudici di Palazzo Spada abbiano dato implicitamente una risposta negativa, non valorizzando le caratteristiche ambientali del contratto se non quando previste dalla legge o auto-volute dalla P.A., senza possibilità di imporle e, quindi, a maggior ragione, mutatis mutandis, senza possibilità per l’ordinamento di imporre ai privati l’orientamento del contratto a scopi ambientali, se non da loro voluto e nei limiti da essi previsti, salvo obblighi di legge.
Ancora, la diffusione degli “appalti verdi” e la funzione trainante attribuita ai soggetti pubblici ha indotto una parte della dottrina81ad approfondire – ad un livello più generale – la questione delle interconnessioni tra causa del contratto e promozione dello sviluppo sostenibile: nell’ambito di tali studi si è sostenuto che l’aspirazione allo sviluppo sostenibile e alla solidarietà intergenerazionale costituiscano ormai parametro di meritevolezza del contratto.
Tale conclusione – che è senz’altro valida per i contratti verdi nei quali il riferimento ai CAM è obbligatorio per legge – è, dunque, traslata ad un livello più generale.
In particolare – in ragione della centralità che le esigenze ambientali hanno ormai acquisito nell’ordinamento italo-europeo – tale dottrina, come accennato al precedente paragrafo, auspica una revisione della stessa nozione di “contratto” in grado di evidenziarne una funzionalizzazione “ecologica”: il c.d. “contratto ecologico” è dunque definito quale “fonte di rapporti giuridici patrimoniali e sostenibili”.
L’interesse ambientale «penetra e colora la causa del contratto», enfatizzando il profilo dell’uso responsabile delle risorse naturali a vantaggio anche delle generazioni future.
Senonché, tale condivisibile auspicio risulta nella realtà già attuato rispetto a tutte quelle fattispecie contrattuali (di cui si darà conto nei prossimi paragrafi) per le quali – anche nei rapporti tra privati – la legge pretende che la causa si “pieghi” alle esigenze di tutela ambientale.
Più difficile è rispondere al quesito se ogni contratto atipico, per esser considerato meritevole di tutela alla stregua dell’art. 1322 comma 2 c.c., debba perseguire, positivamente, aspirazioni di tutela ambientale o se rispetto a queste possa anche essere “indifferente”, pur se non dannoso.
Come si è anticipato nel paragrafo n. 2, la questione implica un attento contemperamento tra il principio costituzionale della solidarietà sociale (anche intergenerazionale), da una parte, e quello dell’autonomia privata (di indiretta derivazione costituzionale) dall’altra.
Parimenti, si è visto come, un’altra parte della dottrina, ritenga che la pretesa di indirizzare la causa di ogni contratto a specifiche utilità sociali (nelle quali rientrano anche le istanze di tutela dell’ambiente) corrisponda ad una concezione dirigistica dell’autonomia privata, negatrice della autonomia stessa.
Si paventa, dunque, il rischio dell’adozione di un’accezione eccessivamente illiberale di contratto e si ricorda il monito espresso dalla Corte costituzionale nel “Caso Ilva”:82 il riferimento è alla necessità di evitare che, nel contemperamento di beni di pari rango, un bene diventi “tiranno” rispetto all’altro.
Nell’attuazione di tale bilanciamento, dunque, è doveroso il costante riferimento ai canoni della ragionevolezza e della proporzionalità.
Alla luce di tali considerazioni, si dubita, allora, che il legislatore ordinario possa effettivamente mutare la nozione di contratto di cui all’art. 1321 c.c. senza incorrere nella prevaricazione di uno dei suddetti principi costituzionali rispetto all’altro e dunque nella incostituzionalità di una tale ipotetica previsione.
Queste osservazioni, chiaramente, non precludono, né disconoscono la rilevanza dei singoli contratti introdotti dal legislatore o diffusisi nella prassi in cui la causa si arricchisce della tutela ambientale.
5.
Come accennato in precedenza, nell’ambito dei contratti, i rimedi alla violazione della tutela ambientale o il mancato rispetto di finalità ecosostenibili non sono riconducibili nell’ambito della nullità per assenza di meritevolezza, ma, salvo alcuni casi, essi sono più frequentemente di tipo risolutorio o conformativo o anche solo risarcitorio. Tenteremo allora qui di verificare l’esattezza degli assunti dei precedenti paragrafi rispetto ad alcune ipotesi contrattuali.
Infatti, diverse sono le figure contrattuali tipiche o “socialmente tipiche” in cui nella causa del contratto vanno ad “innervarsi” finalità di tutela ambientale.
Quale primo esempio può citarsi il contratto di affiliazione commerciale (o “franchising”) di cui alla L. n. 129/2004.83
Aprire un’attività in franchising permette infatti al nuovo imprenditore di ridurre i rischi d’impresa, grazie all’esperienza ed al know-how della casa madre, e di contare su un modello di business di successo già collaudato.
Ebbene, negli ultimi anni una grande diffusione sta avendo il c.d. “green franchising”: si tratta di contratti di affiliazione commerciale il cui oggetto è legato ai settori dell’ecologia, dell’energia e del riciclo. In particolare, si definisce “franchising ecologico” quel contratto di affiliazione che si connota per aver ad oggetto la distribuzione di prodotti biologici certificati o ecosostenibili o biodegradabili.84
In tali ipotesi è evidente come la causa del contratto sia geneticamente orientata alla tutela ambientale, nel tal caso, dunque, la violazione dei suddetti standard sembra profilabile non tanto nella fase di stipula (non avrebbe alcun senso la scelta di porre in essere una tale peculiare tipologia di franchising per introdurvi previsioni contrarie alla tutela ambientale), quanto nella fase di esecuzione del contratto.
Alla luce di tali osservazioni e tenendo conto della circostanza che si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, si ritiene che il rimedio alla suddetta violazione non sarebbe in tal caso individuabile nella nullità del contratto (rimedio ai difetti del sinallagma genetico) ma si rinverrebbe alternativamente, nell’azione di esatto adempimento o nell’azione di risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., cui si aggiunge l’azione di risarcimento del danno. Si ipotizza, inoltre, che i relativi regolamenti contrattuali siano di frequente arricchiti di clausole risolutive espresse ex art. 1456 c.c., con conseguente risoluzione di diritto (e non costitutiva) all’avverarsi dei relativi presupposti.
Altra fattispecie in cui la causa può “colorarsi” di una funzione di tutela dell’ambiente è la subfornitura di cui alla L. 18 giugno 1998, n. 192: l’istituto non individua una nuova figura di contratto ma guarda più in generale al fenomeno della cooperazione tra imprese. In particolare, si fa riferimento alle ipotesi in cui siano affidati ad imprese minori, da parte di imprese più grandi, la predisposizione di talune parti di un prodotto finale o lo svolgimento di talune fasi di un processo produttivo.
Il rapporto de quo si connota per la tendenziale dipendenza del subfornitore dalle direttive impartite dall’impresa committente, direttive che possono anche riguardare l’adozione di standards di produzione ispirati a criteri di sostenibilità.85
In caso di violazione dei suddetti standards da parte del fornitore appaiono applicabili le medesime considerazioni di cui sopra: la via sembra dunque essere quella dell’esatto adempimento o della risoluzione, con risarcimento del danno. Appare, inoltre ipotizzabile, la previsione di un recesso convenzionale con termine di preavviso.
In senso lato la materia ambientale incide anche sul contratto di compravendita: problematica è infatti la questione relativa alla configurabilità di obblighi di ripristino in capo all’acquirente di un sito da altri contaminato.86 La questione qui trattata, sebbene sembri interessare solo il tema della proprietà, ha invece a parere di chi scrive una valenze nella impostazione ricostruttiva seguita in questo lavoro, posto che, in considerazione della particolare natura del bene oggetto del contratto – ossia un sito contaminato, quindi connotato da particolare attenzione ed allarme sociale – ci si è chiesti se l’autonomia contrattuale, in termini di controllo dello strumento contrattuale in chiave di solidarietà sociale, potesse spingersi fino al punto da ritenere ricompreso in esso il trasferimento degli obblighi di bonifica del sito.
All’esito di una lunga querelle giurisprudenziale, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota dirigenziale n. 1495 del 23 gennaio 2018, ha fornito indirizzi in merito agli obblighi del proprietario non responsabile della contaminazione dell’area acquistata.
È da premettere come, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, i soggetti responsabili dell’inquinamento (su cui ricadono gli obblighi di cui agli artt. 242 e ss. del codice dell’ambiente) sono da individuarsi unicamente in coloro che abbiano in tutto o in parte causato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità da accertarsi secondo la regola del “più probabile che non” (cfr., da ultimo, TAR. Lombardia-Milano, Sez. IV, 18 gennaio 2018, n. 144).
Al contrario, dovrebbe ormai considerarsi superato l’orientamento per cui l’acquirente di area contaminata subentrerebbe automaticamente nei connessi obblighi ambientali.
Dunque – in applicazione del principio per cui “chi inquina paga” e sulla base di un’attenta ricostruzione del quadro normativo delineato dagli artt. 239 e ss. del Codice dell’Ambiente – si deve ormai ritenere che l’Amministrazione non possa imporre al nuovo proprietario di un’area contaminata, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di provvedere alla bonifica di siffatta area (ex multis, cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2016, n. 4875).
Tale orientamento è stato avallato anche dalla Corte di Giustizia che lo ha ritenuto compatibile con la normativa comunitaria e nello specifico con la Direttiva n. 2004/35 sulla responsabilità ambientale (cfr. CGUE, Sez. III, 4 marzo 2015, causa C-534/13).
In tale contesto, la nota dirigenziale del Ministero sembra recepire, tuttavia, un recente filone giurisprudenziale che – attuando talune distinzioni – tende a qualificare la “messa in sicurezza del sito” come “misura di prevenzione dei danni”, escludendone la finalità sanzionatoria o ripristinatoria: ne consegue che “l’affermazione dell’obbligo del proprietario di adottare misure di prevenzione per eliminare/ridurre rischi sanitari e ambientali derivanti dalla contaminazione sarebbe conforme al regime giuridico vigente” (da ultimo, Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 108987).
Riassumendo, dunque, sembra potersi desumere che – in omaggio ai principi di precauzione e di prevenzione – sul nuovo proprietario incolpevole gravi l’obbligo di comunicare la contaminazione rilevata alle autorità competenti e di adottare le necessarie misure di prevenzione e messa in sicurezza d’emergenza; al contrario la P.A. non potrebbe imporre allo stesso l’esecuzione delle indagini preliminari sui livelli delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) o la realizzazione di interventi di caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale, avendo il proprietario incolpevole unicamente una facoltà di intervento in tal senso.
Altra questione dibattuta riguarda poi la responsabilità del proprietario per l’inquinamento causato dal soggetto a cui l’area è stata concessa in locazione. Anche in questo caso, si tratta di valutare non gli obblighi generalmente incombenti sul proprietario in quanto tale, ma la incisione dell’autonomia contrattuale da parte dell’interesse ambientale, come assunzione di obblighi nascenti dal contratto di locazione orientati alla solidarietà ambientale.
Il Consiglio di Stato ha sostenuto che i principi civilistici in base ai quali incombe sul proprietario la responsabilità per i danni che il bene locato arrechi ai terzi trovino applicazione in via sussidiaria, «dovendosi dare prevalenza al principio di rango comunitario […] in base al quale “chi inquina paga”88». Il proprietario è, allora, da considerarsi responsabile unicamente ove sussista un suo comportamento colpevole (a titolo di dolo o colpa) ed in particolare, quando, avendo acquisito consapevolezza dell’inquinamento, non abbia preteso dal conduttore responsabile le necessarie opere di bonifica. (Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756).
Il riferimento ai contratti di compravendita e di locazione offre, altresì, lo spunto per citare “l’attestato di prestazione energetica” (A.P.E.):89 si intende con tale espressione il documento che attesta la qualità, dal punto di vista energetico, di un appartamento.
Trattasi di strumento che – nell’ambito di quel principio di integrazione di matrice comunitaria cui si è accennato nell’incipit della presente trattazione – include obiettivi di tutela ambientale nell’ambito della politica energetica.90
L’Attestato di Prestazione Energetica (o anche, comunemente, "certificato energetico") è un documento che attesta la prestazione e la classe energetica di un immobile e indica gli interventi migliorativi più convenienti.91
In particolare, si prevede che gli edifici di nuova costruzione e quelli sottoposti a ristrutturazioni importanti, siano dotati di un attestato di prestazione energetica al termine dei lavori. Nel caso di nuovo edificio, l'attestato è prodotto a cura del costruttore. Al contrario, nel caso di edifici esistenti, l'attestato è prodotto a cura del proprietario dell'immobile.
In particolare, la disciplina introdotta dal D.L. n. 145/2013 dà luogo al seguente quadro normativo:
- l’obbligo di dotazione dell’APE, messa a disposizione in favore del potenziale acquirente o conduttore nel corso della trattativa e consegna92 al momento della stipula è sempre imposto in caso di trasferimento di immobili a titolo oneroso e a titolo gratuito ed in caso di nuova locazione di interi edifici o di singole unità immobiliari;
- l’obbligo di inserimento nel contratto di apposita clausola (riguardo all’assolvimento degli obblighi di informazione relativi all’APE) è, invece, previsto in caso di trasferimento di immobili a titolo oneroso, in caso di nuova locazione di interi edifici ed in caso di nuova locazione di singole unità immobiliari (con esclusione, quindi, dei trasferimenti a titolo gratuito);
- l’obbligo di allegazione dell’APE al contratto è, invece, previsto unicamente in caso di trasferimento di immobili a titolo oneroso, ed in caso di nuova locazione di interi edifici (con esclusione, quindi, dei trasferimenti a titolo gratuito e della nuova locazione di singole unità immobiliari).
All’inadempimento di tali obblighi (inderogabili) consegue la comminazione di sanzioni pecuniarie di vario importo, che sostituiscono la precedente previsione della nullità del contratto.93
Si specifica, inoltre, come, nel caso di offerta di vendita o di locazione, anche i corrispondenti annunci debbano riportare l'indice di prestazione energetica e la classe energetica corrispondente.
Ciò posto, è doveroso un approfondimento in merito ai rimedi civilistici applicabili in caso di inadempimento degli obblighi suddetti, rimedi che non sono di certo esclusi dalla previsione di un regime sanzionatorio legale.
In particolare, in caso di inadempimento degli obblighi informativi nella fase prenegoziale sembra potersi prospettare un’ipotesi di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., con conseguente diritto al risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo a non esser coinvolto in trattative inutili.
L’intervenuta conclusione del contratto, in caso di omesse o imprecise informazioni, può delineare invece una responsabilità precontrattuale da contratto valido ma svantaggioso, con applicazione analogica dell’art. 1440 c.c. (secondo la cd. teoria dei vizi incompleti) ed il risarcimento del cd. interesse positivo differenziale.
Con riferimento, invece, all’inadempimento da parte dell’alienante o del locatore dell’obbligo di consegna dell’APE, la giurisprudenza ha ritenuto che l’acquirente o il conduttore siano legittimati a chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento ex artt. 1477 c.c., 1453 c.c., 1455 c.c. (cfr. Corte di Cass. n. 12260 del 2012), fermo restando il diritto al risarcimento del danno.
Un ulteriore settore nel quale è ben evidente la stretta interconnessione tra strumenti di diritto privato e ambiente è quello bancario.94 Invero, in quanto attività privata, essa si esplica prevalentemente attraverso contratti ed allora, ai fini del presente lavoro, si indagherà qui la possibilità di limitare l’autonomia contrattuale dell’attività bancaria attraverso il condizionamento dei prodotti offerti ovvero attraverso il controllo della causa, laddove i contraenti abbiano utilizzato strumenti con finalità o valenza ambientale, prevedendo soluzioni che possano assicurare il perseguimento, affianco a quello imprenditoriale, anche di uno scopo ecosostenibile.
Molteplici, invero, sono le modalità mediante le quali gli istituti di credito possono incidere sul bene ambiente: come investitori (sostenendo in via preferenziale gli investimenti con rilevanti finalità ambientali o sviluppando nuovi prodotti finanziari che incoraggino lo sviluppo sostenibile), come valutatori (stimando rischi e opportunità ambientali nel project financing), o come potenti stakeholders.
In via generale, si può dire che l’attività delle banche abbia un indiretto impatto ambientale poiché attraverso di essa sono individuate le imprese e le attività aventi accesso al credito e le relative condizioni: chiaro è come in tali valutazioni discrezionali possa essere incluso anche il rischio ambientale. Nell’ambito di queste considerazioni generali si collocano due istituti di recente emersione: i green bond, ed i “mutui verdi”.
I green bond sono obbligazioni emesse per finanziare progetti con caratteristiche di sostenibilità ambientale: la maggior parte hanno tagli da enti istituzionali (100 mila euro), ma non mancano obbligazioni accessibili ai piccoli risparmiatori (1.000 euro).95
La diffusione di tali strumenti genera, tuttavia, nuove esigenze di controllo: da più parti si leva, infatti, l’invito a verificare che i green bond finanzino davvero progetti ecosostenibili.96
Infatti, provare a bluffare sui green bond non appare poi così difficile: non esiste, invero, uno standard globale per certificare come “verde” un’obbligazione, ma solo quattro linee guida elaborate dall’International Capital Market Association (Icma).
In particolare, i pilastri delineati dall’Icma per distinguere un’obbligazione “verde” sono: un’attenta selezione dei progetti su cui investire, una chiara identificazione della destinazione dei proventi, la massima trasparenza su tutto il processo e la pubblicazione di report periodici.
Esistono, allo stato, settori e aree geografiche dove sono stati fatti grandi passi avanti: per esempio le telecomunicazioni o il settore delle utilities europee (dove i green bond vengono utilizzati per creare impianti di produzione di energia solare o eolica).97
Su un altro fronte si collocano i “mutui verdi” o “energy efficient mortgage” 98per ristrutturazioni e acquisti di immobili: tali contratti si connotano per il fatto che il finanziamento è accompagnato da particolari incentivi perché volto ad un miglioramento dell’efficienza energetica dell’immobile di una data percentuale.
La convenienza di tale istituto sta negli incentivi, nel taglio dei consumi e nella garanzia di un immobile più confortevole oltre che di valore superiore.
Trattasi, dunque, di una peculiare tipologia di mutuo di scopo, che ne segue il relativo regime. Rispetto ad esso – e parallelamente il discorso può essere sovrapposto anche ai green bond sopra visti – la Suprema Corte, con ordinanza n. 24699 del 19-10-2017 ha evidenziato: «la nullità del contratto di mutuo di scopo, consegue all’accordo – dissimulato – delle parti volto a determinare l’utilizzo della provvista per una finalità diversa da quella prevista dal contratto – parzialmente simulato – di mutuo, finalità diversa che può, per esempio, anche corrispondere con quella di ripianare ed estinguere, pregressi debiti contratti con la stessa banca che ha concesso il mutuo. Qualora invece, si tratti di inosservanza al programma di destinazione delle somme avute a titolo di mutuo, programma nel quale consiste lo scopo pattuito tra le parti nel contratto di mutuo, non si parla di nullità ma, solo di mero inadempimento, con conseguente possibilità per l’istituto di credito di risolvere il contratto».
Quindi andrà ben distinto se l’intento delle parti era eludere la causa ambientale o ecosostenibile, al fine di ricorrere all’azione di dichiarazione di nullità, oppure se vie è stata divergenza nell’utilizzo rispetto allo scopo, al fine di ritenere applicabili rimedi risolutori e risarcitori.
Solo per completezza e per la stretta affinità esistente tra tali attività, si evidenzia poi, che un’analoga evoluzione, rispetto a quella che sta caratterizzando il settore bancario, si registra nel settore assicurativo, nell’ambito del quale le Nazioni Unite hanno predisposto specifici principi volti ad un’ “assicurazione sostenibile”: tali principi sono stati creati con l’obiettivo di indirizzare l’industria assicurativa nello svolgimento del suo importante ruolo di identificazione e mitigazione dei rischi per una società più sicura; in particolare, i principi si concentrano sulla gestione di rischi come quello climatico o di disastro ambientale nonché sulla predisposizione di strategie ad hoc per le singole imprese in base ai rischi che le relative produzioni comportino.99 È chiaro che la stessa problematica di nullità e/o risoluzione per mancanza dello scopo ecosostenibile o ambientale si ripropone anche in tale settore, con probabili identici approdi anche per i contratti assicurativi.
Andando avanti nella trattazione delle fattispecie contrattuali connotate da connessioni tra autonomia privata ed ambiente, cioè nei sensi sinora esaminati in cui l’autonomia privata viene in un certo senso limitata o condizionata per il perseguimento di scopi anche ambientali e di ecosostenibilità, bisogna evidenziare che anche l’esercizio collettivo dell’impresa è sempre più orientato all’interesse allo sviluppo sostenibile che può avere rilevanti ripercussioni sul contratto di società e sulla relativa disciplina.
In quest’ambito, un ruolo “pioneristico” può esser riconosciuto al c.d. “commercio equo e solidale”, che è qualificato dalla disciplina in materia100 come un «approccio alternativo al commercio convenzionale».
In particolare, il commercio equo e solidale implica una relazione paritaria fra tutti i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione: dai produttori ai consumatori, mirando a promuovere la solidarietà reciproca a beneficio anche delle generazioni future. In quest’ambito si inscrive, ad esempio, il fenomeno dei «gruppi di acquisto solidale» (GAS), definiti dalla Legge finanziaria del 2008 come «i soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni e distribuzione dei medesimi, senza applicazione di alcun ricarico, esclusivamente agli aderenti, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale» (cfr. art. 1, commi 266 e 267 Legge n. 244/2007).101
Nell’ambito del diritto societario poi numerosi sono i profili di interconnessione,102 ma in questa sede si è scelto di concentrare l’attenzione su due istituti: l’impresa sociale e la società benefit.
Con riguardo alla prima fattispecie, l’impresa sociale ha la sua disciplina nel D.Lgs. n. 112/2017 (recentemente modificato dal D.Lgs. n. 95/2018): ai sensi dell’art. 1 del suddetto decreto, «possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati, inclusi quelli costituiti nelle forme di cui al libro V del Codice Civile, che esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività».103
Con l'introduzione della figura giuridica dell'impresa sociale si è scisso definitivamente il concetto di “impresa” da quello di “finalità lucrativa”, riconoscendosi l'esistenza di imprese con finalità diverse dal profitto. In particolare, il connotato che vale a differenziare tale tipologia di impresa da quella tradizionale è la finalità di produrre esternalità positive per la comunità: fondamentali sono la promozione dello sviluppo locale, l'adozione di valori quali la giustizia sociale, la garanzia di democraticità dell'organizzazione e di un coinvolgimento diretto dei lavoratori nella gestione.
Le imprese de quibus, ai sensi dell’art. 18 del relativo decreto, sono destinatarie di misure fiscali e di sostegno economico. Chiaro è come, allora, si renda necessario un controllo pubblico idoneo a garantire che la qualifica di impresa sociale sia utilizzata soltanto da enti che siano realmente tali, che siano cioè costituiti ed operino nel rispetto delle norme di legge applicabili.104
Se si accertano violazioni, il soggetto esercente l’attività ispettiva diffida l’impresa sociale alla regolarizzazione entro un congruo termine (art. 15, comma 6). Se le irregolarità sono insanabili o non sono sanate nel termine indicato nella diffida, il Ministro dispone la perdita della qualifica di impresa sociale e la devoluzione del patrimonio residuo – dedotto, nelle imprese sociali societarie, il capitale effettivamente versato dai soci, eventualmente rivalutato, e i dividendi deliberati e non distribuiti – o al fondo di cui all’art. 16 o alla Fondazione Italia Sociale (art. 15, comma 8). L’impresa sociale è dunque conseguentemente cancellata dall’apposita sezione del registro delle imprese. Contro questi provvedimenti, è ammesso ricorso davanti al giudice amministrativo (art. 15, comma 9).105
Sebbene possa prospettarsi un’apparente sovrapposizione, da tale fattispecie si differenzia la c.d. società benefit.
La “Benefit Corporation italiana” istituita dalla Legge di Stabilità 2016 (cfr. art. 1 comma 376 della L. 208/2015) si rivolge a società che svolgono un'attività di impresa allo scopo di dividerne gli utili e che, contestualmente, perseguono una o più finalità di beneficio, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori, ambiente, beni ed attività culturali, sociali, enti, associazioni ed altri portatori di interesse.
La differenza sta nel fatto che l’impresa sociale è caratterizzata da un’autonoma disciplina, persegue senza scopo di lucro una specifica finalità sociale e produce benefici diretti in favore di una intera comunità o di soggetti svantaggiati; al contrario per la società benefit il legislatore non ha introdotto né deroghe al diritto societario, né tantomeno agevolazioni di alcuna natura. Si tratta, in altre parole, non di un nuovo tipo societario, ma di una società – costituita secondo i modelli tradizionali – che può proporsi sul mercato vantando (anche) questa speciale qualificazione e traendone i relativi vantaggi d’immagine.106
In chiusura di questo paragrafo esemplificativo delle fattispecie contrattuali in cui gli interessi egoistici delle parti si piegano all’interesse ambientale, occorre fare un accenno alla recente emersione di forme di “ecoturismo”, intendendendosi come tali modalità responsabili di viaggio che preservino i luoghi visitati e le specie autoctone. In accordo con questa nuova etica del turismo i “viaggiatori responsabili” minimizzano il loro impatto con l'ambiente e contribuiscono alla salvaguardia ed alla conservazione dello stesso, apportando benefici all'economia locale ed alle comunità che vi abitano.107
In tutti i casi esaminati, gruppi di acquisto equo e solidale, impresa sociale, società benefit, imprese di ecoturismo, sembra potersi configurare una specifica causa del contratto, riferito allo svolgimento in comune di una attività collettiva orientata alla sostenibilità ambientale, in cui la divergenza dallo scopo può configurarsi come nullità, laddove i contraenti hanno simulato una causa non voluta per accedere a benefici fiscali, patrimoniali o di altro tipo, oppure di semplice inadempimento tutte le volte in cui, almeno astrattamente, la struttura sia effettivamente preordinata al perseguimento dello scopo indicato ma poi nel concreto agire non si faccia conseguire l’effetto sperato o promesso.
6.
La tutela ambientale e le esigenze di solidarietà sociale hanno avuto ripercussioni sull’autonomia contrattuale anche per il tramite dell’introduzione di nuovi beni e nuovi mercati: relativamente a tale aspetto un riferimento è d’obbligo alla circolazione dei “diritti edificatori” e delle “quote di emissione”.
In via di prima approssimazione, si può definire il “diritto edificatorio” come quella situazione soggettiva che implica la possibilità di dar corso ad un’attività edilizia su uno specifico terreno entro una certa misura.108
La circolazione dei diritti edificatori viene in rilievo nell’ambito delle vicende perequative, compensative o incentivanti nella pianificazione urbanistica da parte della PA e nelle cessioni volontarie di volumetria.
In particolare, la categoria dei diritti edificatori è stata utilizzata per la prima volta nell’ambito di fenomeni perequativi sviluppatisi, sulla base della normativa regionale, a partire dagli anni Novanta.
In linea generale si intende come “perequazione” quella tecnica urbanistica tendente all’equa distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dalla trasformazione urbanistica del territorio tra tutti i proprietari interessati: in particolare la perequazione mira a far sì che per ciascun proprietario di una determinata zona oggetto di pianificazione urbanistica sia indifferente la collocazione della sua proprietà nell’una o nell’altra area del piano.
L’istituto è dunque volto a superare gli effetti intrinsecamente discriminatori della zonizzazione, la quale - determinando per scelta unilaterale della P.A. la destinazione dei suoli - avvantaggia i proprietari delle aree edificabili e pregiudica i proprietari dei suoli non edificabili o destinati ad essere espropriati.
A tal fine, si attribuisce ad aree, qualificate dal piano regolatore come non edificabili, una cubatura potenziale da realizzarsi altrove, cioè su aree qualificate come edificabili subordinatamente alla cessione della cubatura stessa.
Caratteristica saliente degli istituti perequativi è, dunque, l’attitudine a generare la circolazione di diritti edificatori che individuano la misura della trasformazione realizzabile dal titolare dello ius aedificandi.
Un altro ambito di commerciabilità dei diritti edificatori è quello della compensazione urbanistica che, nell’attuazione del piano regolatore, si pone come alternativa all’espropriazione.
In linea generale, può accadere che, in presenza di un vincolo preordinato all’esproprio, il proprietario dell’area vincolata ceda volontariamente la medesima al Comune in cambio della diponibilità di una cubatura su di un’altra area.
Vi sono poi le cd. premialità edilizie, che consistono nell’attribuzione di un diritto edificatorio aggiuntivo in caso di raggiungimento di determinati obiettivi pubblici ed in particolare di interventi di riqualificazione urbanistica e ambientale.
In tutti questi casi si assiste ad una scissione della capacità edificatoria dalla proprietà dal terreno da cui ha origine.
Quanto alla cessione volontaria di cubatura, è noto come l’edificabilità di un determinato fondo dipenda, in concreto, dai piani regolatori, i quali provvedono a fissare i cd. indici di edificabilità, vale a dire la cubatura che potranno avere le future costruzioni di una determinata area.
Può darsi che i piani regolatori prevedano la possibilità che la cubatura potenzialmente spettante su un determinato fondo edificabile sia utilizzata su un altro suolo, pur sempre con il consenso dei proprietari delle due aree e del Comune.
I proprietari possono così concludere un contratto di cessione di cubatura, la cui natura è assai discussa.
In via di prima approssimazione, la cessione di cubatura si configura come l’accordo con il quale un soggetto, proprietario di un determinato fondo, cede ad un altro soggetto la facoltà di edificare inerente al fondo di sua proprietà, affinché quest’ultimo possa servirsene per ottenere dal Comune un permesso di costruire per una volumetria maggiore di quella che gli spetterebbe sul terreno proprio.
In altri termini, la volumetria che secondo gli standard urbanistici spetta a più terreni edificabili, viene ad essere concentrata su di una sola area, in modo da realizzare sulla stessa una costruzione di maggiore cubatura, nel rispetto, tuttavia, dell’indice di volumetria complessivo di quella determinata area.
Il perfezionamento della fattispecie presuppone, dunque: in primo luogo, la localizzazione dei due fondi in una zona regolata dai medesimi strumenti urbanistici e la medesima destinazione urbanistica; e, in secondo luogo, il rilascio da parte del Comune di un permesso di costruire in favore del cessionario per una volumetria maggiore corrispondente a quella oggetto dell’accordo di cessione.
Tale istituto si colloca a metà strada tra il diritto pubblico ed il diritto privato, in quanto all’accordo tra cedente e cessionario deve far seguito il rilascio da parte del Comune di un permesso di costruire per una volumetria maggiore di quella consentita in assenza dell’accordo di cessione.
Il presupposto logico della cessione di cubatura viene rinvenuto nella indifferenza, ai fini del corretto sviluppo della densità edilizia (così come configurato negli atti pianificatori) della materiale collocazione dei fabbricati, in quanto ai fini del rispetto dell’indice di fabbricabilità fondiaria, assume esclusiva rilevanza il fatto che il rapporto tra area edificabile e volumetria realizzabile nella zona di riferimento resti nei limiti fissati dal piano, risultando del tutto neutra l’ubicazione degli edifici all’interno del comparto, fatti salvi, ovviamente, il rispetto delle distanze e di eventuali prescrizioni sulla superficie minima dei lotti.
A tal riguardo, la giurisprudenza ha ulteriormente chiarito che i fondi coinvolti nella cessione non devono essere necessariamente adiacenti, potendo anche essere significativamente vicini, purché abbiano la medesima destinazione urbanistica.
La natura giuridica dei diritti edificatori è vivamente dibattuta.109
La Suprema Corte, più volte in passato, ha affermato che la cessione di cubatura produce effetti analoghi al trasferimento di un diritto reale immobiliare: si è cioè riconosciuto che attraverso l’atto a titolo oneroso con cui un soggetto distacca la volumetria assegnata al proprio fondo per cederla a terzi, si isola una delle facoltà insite nel diritto di proprietà (facultas aedificandi) rendendola oggetto di un autonomo diritto reale che viene trasferito a terzi.
A tale teoria si è tradizionalmente obiettato che riferire l’effetto traslativo allo ius aedificandi, si porrebbe in netto contrasto con il principio di tipicità e numero chiuso dei diritti reali.
In ogni caso, i fautori di tale tesi ritengono che il diritto edificatorio non costituisca più un diritto reale atipico: infatti, l’art. 2643 comma 1 n. 2 bis c.c. (introdotto nel 2011 con il Decreto Sviluppo) riconoscerebbe ormai tale situazione giuridica, non limitandosi a disciplinare l’aspetto formale della trascrizione, ma configurando anche il profilo sostanziale della vicenda in oggetto (similmente a quanto sostenuto per il 2645-ter c.c.).
Per sfuggire agli ostacoli frapposti dal principio di tipicità dei diritti reali, ha comunque avuto seguito in giurisprudenza la tesi secondo la quale la cessione di cubatura sarebbe un atto traslativo ad effetti reali, avente ad oggetto non un diritto reale sui generis bensì la costituzione di una servitus non aedificandi a carico del fondo del cedente.
Anche tale teoria, tuttavia – pur recepita dalla prassi notarile – non è esente da critiche. La servitus non aedificandi, infatti, può giustificare unicamente un pati (vale a dire il peso imposto sul fondo servente), ma non la possibilità da parte del cessionario di poter costruire per una cubatura maggiore. Perciò questa tesi sembra ormai del tutto superata.
Per tale motivo è stata proposta in dottrina e in giurisprudenza una tesi che ha valorizzato l’aspetto pubblicistico del fenomeno, ponendo l’accento sulla incisività del ruolo svolto dalla P.A. nella vicenda (tesi pubblicistica).
Alla stregua di tale ricostruzione, la cessione di cubatura avrebbe ad oggetto il trasferimento dell’aspettativa di rilascio del permesso di costruire maggiorato (chance edificatoria) e quindi di un interesse legittimo. Si tratta di una tesi che non ha avuto in realtà molto successo perché guarda al fenomeno in un’ottica prettamente pubblicistica, obliterando del tutto i profili privatistici.
Per questo, altra parte della dottrina aveva ritenuto di inquadrare la fattispecie nell’ambito dei vincoli di destinazione, trascrivibili ai sensi nell’art. 2645-ter.
Ciò in quanto il proprietario cedente si obbliga, con l’atto di cessione, a non utilizzare l’area di sua proprietà ai fini edificatori e di conseguenza impone un vincolo di non edificazione sulla stessa. In questa ricostruzione il rilascio del permesso di costruire da parte del Comune si pone quale condicio iuris alla quale è subordinata l’efficacia del negozio concluso tra cedente e cessionario.
C’è tuttavia da sottolineare come il problema della trascrivibilità (e dunque della opponibilità) del contratto di cessione di cubatura sia stato ormai definitivamente risolto dal legislatore nel 2011, non rendendosi così più necessario il ricorso all’art. 2645-ter.
Come anticipato, infatti, il D. L. 13 maggio 2011, n. 70, ha inserito nell’art. 2643 c.c. comma 1, il numero 2 bis che prevede la trascrizione dei contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.
Attualmente appare allora dominante la tesi secondo la quale – nella premessa che l’art. 2643 comma 1 numero 2 bis c.c. non valga in realtà a tipizzare i diritti edificatori (perché non ne fornisce una disciplina) – la volumetria (o cubatura) costituirebbe non un diritto reale di godimento ma un autonomo bene immateriale avente un proprio valore economico (un cd. “bene immobile virtuale”).
Di tal che la cubatura non urterebbe con il principio del numero chiuso dei diritti reali, non costituendo essa stessa un diritto bensì un bene che può costituire oggetto di diritti reali tipici.
Su un altro fronte, l’emersione di nuovi beni giuridici connessi al valore “ambiente” si è avuta nell’ambito della “politica energetica”.
Si è già visto come, sotto la spinta degli ordinamenti sovranazionali, la lotta all’inquinamento si sia progressivamente allontanata da un approccio “command and control” per aderire ad un’impostazione “premiale”.
In tale ottica si pone la Direttiva 2003/87/CE che – prendendo spunto dal Protocollo di Kyoto del 1997 – ha istituito un sistema di scambio avente ad oggetto quote di emissioni di gas ad effetto serra nell’UE (ETS UE): nell’ambito di quel principio di integrazione cui si è fatto cenno nell’incipit della presente trattazione, tale sistema risponde alla finalità di affrontare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas a effetto serra con modalità economicamente efficienti.
Più da vicino, il sistema si fonda sul principio del cosiddetto “cap-and-trade”: in primo luogo si fissa un “cap”, ossia un limite alla quantità totale di determinati gas ad effetto serra che può essere emessa da fabbriche, centrali elettriche e altre installazioni; il limite viene ridotto nel tempo, così che le emissioni totali diminuiscano gradualmente; ciò posto il sistema consente lo scambio di quote di emissione,110 fermo restando che le emissioni totali degli impianti e degli operatori devono rispettare la soglia massima prevista a monte. Di conseguenza, non è importante chi emette e quanto emette finché il livello globale delle emissioni rimane sotto il limite massimo.
Le quote (ispirate ai cc.dd. “tradeable pollution rights”, “permessi negoziabili di inquinamento”), sono assegnate mediante un sistema di vendita all’asta (cfr. art. 19 D.Lgs. n. 30/13) o, altrimenti, a titolo gratuito (cfr. art. 20 D.Lgs. cit.) dall’autorità nazionale competente (il Comitato istituito, ai sensi dell’art. 4 d lgs. cit., presso il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) alle società che rientrano nella disciplina per la riduzione delle emissioni nocive nell’atmosfera.111
Come anticipato, tali permessi possono poi essere scambiati in mercati secondari, cioè tra le stesse imprese.
Ciò significa che se un’impresa è virtuosa (avendo investito in tecnologie innovative che la rendono in grado di produrre meno emissioni di quanto le è consentito) essa può vendere la differenza ad altre aziende (meno virtuose) che possono, in tal modo, inquinare di più, superando il limite che a loro è stato concesso (limite presidiato dalla previsione di apposite sanzioni pecuniarie), purché sia rispettata la soglia globale delle emissioni.
Per lungo tempo, la dottrina italiana si è interrogata in merito alla qualificazione giuridica da attribuire alle quote di emissioni: infatti, né il Protocollo di Kyoto, né tantomeno la Direttiva ETS, hanno fornito una definizione tecnicamente soddisfacente delle quote, perlomeno in termini giuridici.112
Una prima ricostruzione riconduce la quota di emissioni al novero degli strumenti finanziari, per la loro natura di “titoli di massa”, peraltro dematerializzati, e per la loro negoziabilità sul mercato.
Tale opzione ermeneutica è stata, tuttavia, ben presto abbandonata: si è infatti evidenziato come le quote siano emesse e negoziate non in vista della realizzazione di un investimento, ma per adempiere a precisi obblighi normativi.
L’altro fattore che ha portato a escludere l’applicabilità – fino ad oggi – della disciplina degli strumenti finanziari alle quote di emissioni è stata poi l’inclusione – operata dalla Direttiva MiFID (Direttiva dell'Unione Europea 2004/39/CE) – dei contratti derivati su quote di emissione nell’elenco degli strumenti finanziari: circostanza che ha portato ad escludere che si volessero ricondurre nel novero anche le stesse quote di emissione.
Abbandonata la tesi della natura “finanziaria”, si è allora valorizzata la natura e l’origine amministrativa delle quote: in particolare, si è proposta una qualificazione in termini di “autorizzazioni” ad emettere sostanze inquinanti (in quanto l’Autorità pubblica rimuoverebbe un ostacolo all’esercizio di un diritto preesistente) o di “concessioni” (attribuendosi con esse un diritto non esistente prima del provvedimento amministrativo).
In merito a tale ricostruzione si è, tuttavia, evidenziato come il connotato della libera trasferibilità mal si attaglierebbe con la natura di provvedimenti amministrativi.
Un altro orientamento privilegia la qualificazione delle quote come veri e propri beni immateriali: si è, infatti, sottolineato che “bene giuridico” è ciò che, oltre ad essere astrattamente idoneo allo scambio, è suscettibile di valutazione economica, “caratteristica, quest’ultima, che discende direttamente dalla ricorrenza di una scarsità relativa che interessi il bene diretto a soddisfare un bisogno umano”.113
Ciò detto, gran parte della dottrina riconosceva, comunque, che l’eventuale sottoposizione delle quote alla disciplina dei servizi di investimento avrebbe reso più trasparente ed efficiente il mercato.
Il sistema degli scambi di quote di emissioni, infatti, fino ad oggi non è andato esente da critiche: in particolare, da più parti, si è sottolineato come vi sia un’alta probabilità che i governi distribuiscano i permessi di emissione in modo non perfettamente egualitario, favorendo, in tal modo, la comparsa di monopoli; in secondo luogo, si è affermato come non sia peregrino il rischio che le imprese barino, essendo nei fatti molto difficile controllare la quantità esatta di emissioni che le stesse producono ed essendo, dunque, ben possibile che le imprese scambino tra di loro i permessi senza aver tagliato le proprie emissioni.
Il dibattito è stato definitivamente sopito dalle disposizioni della Direttiva 2014/65/UE (c.d. “Direttiva MiFID II”) e del Regolamento UE del 15 maggio 2014, n. 600 (c.d. “Regolamento MiFIR”): trattasi della normativa che regola i servizi finanziari in tutta Europa.
Nel considerando 11 della Direttiva MiFID II (entrata in vigore il 3 gennaio 2018) si legge infatti chiaramente che, alla luce delle pratiche fraudolente riscontrate nei mercati secondari di quote di emissioni, tali da compromettere il regolare funzionamento dei meccanismi di scambio previsti dalla Direttiva ETS, si rivela opportuno classificare le quote come strumenti finanziari (con applicazione, salvo determinate esenzioni, della suddetta direttiva).
L’assoggettamento alla Direttiva MiFID II comporta una vera e propria rivoluzione nel settore dell’Emission Trading: infatti, al di fuori delle esenzioni menzionate, chiunque intenda effettuare negoziazioni aventi ad oggetto quote di emissioni, o comunque prestare servizi di investimento aventi ad oggetto tali strumenti, dovrà possedere un’apposita autorizzazione da parte delle Autorità competenti oltre che rivestire determinate forme giuridiche con le conseguenti dotazioni patrimoniali.
7.
In chiusura di questo lavoro, relativo alle interferenze tra la tutela ambientale e l’autonomia privata, giova rilevare come l’esigenza di garantire uno sviluppo sostenibile non abbia, soltanto, spinto il legislatore a piegare la causa di taluni contratti tipici al soddisfacimento di tale istanza, ma abbia indotto la prassi commerciale alla formulazione di nuovi schemi contrattuali rispondenti a tale fine, così come consentito dal secondo comma dell’art. 1322 c.c.
Nell’alveo di tali nuove figure si pone il contratto, nominato, ma atipico di “rendimento energetico”.114
La nozione di “contratto di rendimento energetico o di prestazione energetica” (Energy Performance Contract - EPC) è contenuta all’art 2 del D.Lgs. 4 luglio 2014 n. 102115 che, definisce tale tipo di contratto come «l’accordo contrattuale tra il beneficiario o chi per esso esercita il potere negoziale e il fornitore di una misura di miglioramento dell'efficienza energetica, verificata e monitorata durante l'intera durata del contratto, dove gli investimenti (lavori, forniture o servizi) realizzati sono pagati in funzione del livello di miglioramento dell'efficienza energetica stabilito contrattualmente o di altri criteri di prestazione energetica concordati, quali i risparmi finanziari».
Il contratto di rendimento energetico è, dunque, quel contratto con il quale un soggetto (tipicamente una società di servizi energetici, Energy Service Company - ESCo), si obbliga – con propri mezzi finanziari o con mezzi finanziari di terzi soggetti – al compimento di una serie di interventi e di servizi volti alla riqualificazione e al miglioramento dell’efficienza energetica116 di un impianto o di un edificio di proprietà di un altro soggetto (beneficiario). Il contratto è di durata e di natura onerosa, con la particolarità che il corrispettivo per il fornitore è correlato all’entità dei risparmi energetici o al livello di miglioramento dell’efficienza energetica (preventivamente individuati in fase di analisi di fattibilità) ottenuti in esito al miglioramento dell’impianto o dell’edificio.
Il fornitore, dunque, si obbliga sostanzialmente al conseguimento del risparmio energetico da parte del sistema sottoposto all’intervento; il cliente, per parte sua, è chiamato ad osservare determinate norme di comportamento, previamente determinate, tali da non falsare la misura dell’adempimento.
Sebbene possano profilarsi delle similitudini, la fattispecie si differenzia dagli altri contratti (codicistici) connotati da un do ut facias: il riferimento è, ad esempio, all’appalto, in cui il corrispettivo è dovuto per il fatto di aver realizzato a regola d’arte un’opera o fornito un servizio, indipendentemente dal conseguimento di un risultato ulteriore (il risparmio energetico) derivante dalla realizzazione di quell’opera o di quel servizio; o alla locazione, in cui si concede in godimento un bene senza impegnarsi a raggiungere un efficientamento del consumo energetico; o al contratto “servizio energia”, in cui l’oggetto principale consiste nella manutenzione degli impianti e nella fornitura dell’energia e solo in via residuale nella riqualificazione energetica e dove il corrispettivo non è parametrato al risparmio energetico o al livello di miglioramento dell’efficienza energetica.
Nell’ordinamento italiano il contratto di EPC è un contratto nominato (ossia, espressamente previsto dal legislatore) e tuttavia atipico, poiché privo di una compiuta disciplina legislativa. Per tale motivo, il contenuto del contratto è lasciato alla libera determinazione delle parti, nel rispetto della disciplina generale civilistica.
Si tratta, in ogni caso, di un contratto articolato e complesso la cui redazione richiede un adeguato supporto tecnico di varia natura: il suo contenuto presuppone, infatti, valutazioni sia di carattere ingegneristico (diagnosi energetica, previsione degli interventi di riqualificazione edilizia ed impiantistica, individuazione delle soluzioni tecnologiche migliori), sia di carattere giuridico (individuazione corretta dei rischi e delle responsabilità del fornitore, predisposizione di garanzie, previsione di clausole risolutive espresse o di altri strumenti di tutela) sia di carattere economico (individuazione del corrispettivo in rapporto al risparmio, calcolo delle prestazioni, ecc).
Alla luce della complessità dell’operazione sarebbe dunque auspicabile l’introduzione di una disciplina ad hoc da parte del legislatore, al quale tuttavia, va riconosciuto il merito di aver configurato l’ambiente, sotto forma di miglioramento dell’efficienza energetica, come scopo di un contratto atipico formato ad hoc, quasi a voler significare la nuova tendenza dei privati in un’ottica di sussidiarietà orizzontale, di autolimitare le immissioni e lo sfruttamento delle risorse, così rafforzando le tutele legislativamente previste. Ciò nonostante, in linea con l’excursus finora fatto, è evidente che tale efficientamento, pur sicuramente auspicabile, non è allo stato richiedibile ai privati, come controllo della loro attività contrattuale, se non in forza di una legge o di una espressa volontà delle parti.
8.
Nella parte finale, costituente la seconda parte della presente trattazione, si intende indagare, come anticipato, il profilo dell’autonomia privata quale autonomia “normativa dei privati”, il cui fondamento costituzionale potrebbe esser rinvenuto negli artt. 18 e 118 Cost.
In particolare, la finalità dell’analisi è quella di evidenziare come la tecnicità che spesso connota la materia ambientale,117 unitamente all’esigenza di una regolamentazione celere, fanno sì che l’attività normativa in quest’ambito frequentemente non sia ad appannaggio delle comuni istituzioni politiche, ma sia il frutto delle scelte di chi – pur carente dei requisiti della rappresentatività e della democraticità – sia in possesso di quelle specifiche competenze scientifiche che consentono di intervenire a tutela del valore ambientale.118
Ne consegue il dilagare della c.d. “soft law” ed il rischio – profilatosi in verità anche con riferimento agli atti di regolamentazione delle Autorità amministrative indipendenti – di un oligopolio dei tecnici.
La conclusione del presente lavoro è dunque volta a saggiare quanto questo timore sia fondato e quali potrebbero essere le misure adottabili per farvi fronte.
Ebbene, in linea generale è un’osservazione ormai diffusa quella secondo cui l’avvento dell’epoca tecnologica, con la sua crescente voracità di continue acquisizioni e applicazioni scientifiche, espanda l’influenza del dominio della tecnica a discapito dello spazio della decisione politica.
In particolare, si evidenzia come la civiltà tecnologica abbia senz’altro arricchito l’umanità di nuove possibilità, ma che all’aumento della tecnica nella realtà sociale, non sia corrisposto affatto un allargamento dei soggetti “sapienti”.
Ed in effetti, non è revocabile in dubbio la circostanza che gradualmente si allarghi il divario fra i custodi dei nuovi saperi e la massa dei cittadini “non-utenti” o “utenti-non pienamente coscienti”.119
In particolare, due sarebbero i connotati peculiari della tecnica: la tendenza all’autogovernabilità e la vocazione ad essere oggetto di una disciplina che travalica i confini nazionali.120
La prima caratteristica si spiega con la considerazione che solitamente si fa riferimento ad una visione “ancestrale” di tecnica, in termini di “scienza esatta”, idonea a fornire risposte certe, discendenti da leggi scientifiche o di natura, depurate dalla soggettività delle scelte.121 Tali caratteristiche di certezza legittimerebbero la sottrazione delle norme tecniche alla necessità di un consenso comune.
In chiave critica si può, invece, sottolineare come anche la normazione tecnica debba sottostare al principio di democraticità, se non si voglia incorrere in aberrazioni che solo il confronto dialettico e l’applicazione dei principi di solidarietà sociale e di dignità possono evitare.
Quanto al secondo requisito, chiaro è come l’universalità dei risultati delle conoscenze scientifiche comporti che il diritto della tecnica si presti particolarmente ad essere oggetto di governo globale.
Se questa è la premessa di carattere generale, la presente trattazione ha evidenziato come entrambi i requisiti siano soddisfatti dal diritto ambientale.
Ed in effetti, in ragione di tali caratteristiche, il processo di formazione delle norme ambientali vede (a monte) come protagonisti principali gli ordinamenti sovranazionali e i cc.dd “enti di normazione”.
Trattasi tendenzialmente di associazioni di diritto privato riconosciute dall’ordinamento e legittimate – in forza della loro competenza tecnico-specialistica – a produrre norme che si auto-qualificano come “consensuali” (in quanto vengono approvate con il consenso delle parti che hanno partecipato ai lavori) e “volontarie”, poiché esse (in linea con il principio di relatività del contratto) non si impongono obbligatoriamente, ma rappresentano – in teoria –un mero riferimento a cui le parti interessate si vincolano spontaneamente.
I compiti principali degli organismi di normazione sono: la ricerca di soluzioni a problemi che si ripetono in diversi settori di attività; l’individuazione di standard e specifiche tecniche che sono poi diffusi mediante pubblicazione; l’esplicitazione di concetti, simbologie, metodologie di misurazione e monitoraggio; la realizzazione di studi volti a migliorare l’efficacia e l’efficienza del lavoro.
Gli organismi di normazione si dividono in: organismi sopranazionali (ad es. l’ISO - International Organization for Standardization, l’IEC - International Electrotechnical Commission e l’ITU-T - International Telecommunication Union - Telecommunication Standardization Bureau); organismi europei (ad es. il CENELEC - Comité européen de normalisation en électronique et en électrotechnique); organismi nazionali (per l’Italia l’UNI - Ente nazionale italiano di unificazione, e il CEI - Comitato Elettrotecnico Italiano)
In particolare, il CEI svolge attività normativa tecnica nel settore elettrotecnico ed elettronico, l’UNI in tutti gli altri settori.
Come anticipato, le norme tecniche prodotte da tali enti si autodefiniscono consensuali e volontarie. Senonché, nella pratica, si è visto come – ad esempio con riferimento ai CAM – la volontarietà degli standard individuati dalla soft law lasci spesso spazio all’obbligatorietà.
Inoltre è da considerare come, anche quando resti tale, la soft law abbia comunque un’efficacia giuridica notevole in quanto produce effetti persuasivi nel Legislatore che viene invitato a recepirla con un proprio atto interno122 e comunque ha funzione ermeneutica.123
Con riferimento alle norme tecniche (la cui natura e la cui globalità è condivisa dalle norme in materia di ambiente124) si pone allora l’annoso problema della carenza di democraticità dei processi decisionali e della trasparenza delle modalità di scelta degli esperti a supporto del Legislatore o dell’Amministrazione.
Il problema, in verità, da tempo investe in generale l’attività di regolamentazione delle Autorità amministrative indipendenti, connotate, appunto, da competenze specifiche e dalla sottrazione al potere di indirizzo del Governo.125
In quella sede si è tentato di sopperire al deficit di rappresentatività e democraticità mediante il ricorso ad un concetto di “legalità procedurale”: in altri termini, la soluzione è stata rinvenuta nel garantire forme di coinvolgimento a tutti i soggetti interessati nei procedimenti volti all’assunzione di decisioni rilevanti per l’assetto del mercato e per gli operatori.126
Ed in effetti questa sembra essere la soluzione avallata anche per gli enti di normazione.
A riprova, sul sito ufficiale dell’UNI (Ente Italiano di normazione)127 si legge: «L’avvio di un progetto di norma UNI ha sempre origine da coloro i quali utilizzeranno e/o beneficeranno dei suoi effetti: imprese, professionisti, commercianti, Pubblica Amministrazione, consumatori. Tutte le norme – siano esse nazionali o di origine CEN o ISO – vengono elaborate negli organi tecnici, grazie al prezioso lavoro volontario degli esperti e a due fasi di inchiesta pubblica che garantiscono la massima trasparenza e democraticità del percorso. I rappresentanti di tutte le parti interessate possono partecipare all’iter di elaborazione di una norma, intervenendo ai lavori degli organi tecnici o semplicemente inviando i propri commenti nelle fasi di inchiesta pubblica».
Sulla “bontà” delle norme prodotte dall’ente, si aggiunge: «l’appartenenza – fin dalla sua fondazione – al sistema di normazione europea CEN impone il rispetto di requisiti di processo e strutturali (monitorati con un sistema di peer assessment) in termini di: imparzialità e consenso, efficacia e rilevanza, trasparenza e apertura ai soggetti deboli, consistenza e stabilità economico/finanziaria. […] Quanto sopra si rispecchia nelle regole di funzionamento del sistema nazionale di normazione, che impongono consensualità, democraticità, trasparenza, volontarietà, rappresentanza che garantiscono l’indipendenza e che tutte le istanze vengano prese in considerazione e risolte nell’interesse della collettività».
Chiaro è come per le norme ambientali di matrice sovranazionale (che allo stato costituiscono la maggioranza), le garanzie di partecipazione vadano attuate in quella sede, con la considerazione che in ambito sovranazionale al deficit di democraticità degli enti di normazione si aggiunge il deficit di democraticità degli stessi organi istituzionali.
In ambito unionale, ad esempio, da più parti si contesta la scarsezza dei poteri attribuiti all’istituzione che più direttamente è espressione del corpo elettorale, il Parlamento europeo, a fronte del peso invece riconosciuto alle altre istituzioni i cui membri sono nominati dagli Stati, la Commissione delle Comunità europee ed il Consiglio dell’Unione europea.
Va, in ogni caso evidenziato come il ruolo del Parlamento europeo stia evolvendo nel corso degli anni attraverso una sua più incisiva partecipazione al procedimento legislativo con le procedure di cooperazione e di codecisione.
Il tempo dirà se tali garanzie di partecipazione (di soggetti che in teoria dovrebbero riuscire a comprendere il “linguaggio” degli enti di normazione) valgano davvero a scongiurare il rischio di un oligopolio dei tecnici a discapito delle istituzioni politiche.
1 In questo senso, cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 781 e ss e M. GIORGIANNI, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile 61, p. 391.
Nello stesso senso cfr. anche G. GABRIELLI, in Studi per Sacco, II, 1994, p. 483 e M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane; nonché dello stesso Autore, Contratto e ambiente. L’analisi “ecologica” del diritto contrattuale, 2016, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane; Contratto ecologico e conformazione dell’autonomia negoziale, Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, numero 1 - 2017, G. Giappichelli Editore; Contratto, ambiente e giustizia dello scambio nell’officina dell’interprete. Politica del diritto (ISSN 0032-3063), Il Mulino - Rivisteweb Fascicolo 1, giugno 2018; Contratto e uso responsabile delle risorse naturali, Estratto Rivista Rassegna di diritto civile 3/2014, Edizioni Scientifiche Italiane.
2 Cfr. Corte Cost. 26 luglio del 2002, n. 407.
3 Giova, altresì, riferire, senza pretese di esaustività, come la salvaguardia dell’ambiente faccia da sfondo alle materie dell’urbanistica e dell’edilizia nell’ambito del diritto amministrativo, agli “eco-reati” nell’alveo del diritto penale, alla valutazione delle esternalità negative con riferimento al diritto societario, alla disciplina dei prodotti difettosi nel diritto consumeristico, ai tributi ambientali in seno al diritto finanziario e così via.
4 Cfr. F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo - X edizione, 2016, Dike Giuridica, pp. 36 e ss.
5 Cfr: per una ricostruzione completa delle due teorie, R. TUCCILLO, Profili di rilevanza ambientale nella disciplina dei contratti pubblici e privati, in Nuovo Diritto Civile, n. 2/2019, pagg. 195-198.
6 Cfr. B. CARAVITA DI TORITTO, Diritto dell'ambiente, 2005, Bologna, Il Mulino e M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 16.
7 Cfr. F. FONDERICO, L’evoluzione della Legislazione ambientale in Relazione al Convegno della Fondazione Einaudi “La tutela ambientale venti anni dopo l’istituzione del Ministero dell’ambiente”, Palazzo Giustiniani, 12 febbraio 2007.
8 Cfr. Cass., Sent. 1463/1979; cfr. anche, F. CARINGELLA, Manuale di diritto amministrativo, X edizione, 2016, Dike Giuridica, pp. 39 e ss.
9 Cfr. F. COSTANTINO, Ambiente (dir. cost.) - Diritto on line (2014) in www.treccani.it.
10 Cfr. G. MORBIDELLI, Iniziativa economica privata, voce Enc. Giur. Treccani., vol. XVII e F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 793 e ss.
11 In questo senso si venda anche S. PERSIA, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile” in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente - saggi - G. Giappichelli editore, anno 2018/ n. 1, p. 1. L’autrice riprende il pensiero di M. Pennasilico.
12 Promotore di un’«analisi ecologica» del diritto civile, basata sulla «riconcettualizzazione» delle principali categorie civilistiche, è M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane. Cfr. anche M.R. MAUGERI, Il diritto civile dell’ambiente. Come si vedrà, nega invece qualsiasi esigenza di «riconcettualizzazione», S. PAGLIANTINI, Sul c.d. contratto ecologico, Saggi e Aggiornamenti. Parte seconda, NGCC 2/2016, pp. 337 e ss. Delineano i connotati di un ordinamento giuridico coerente con i principi ecologici, F. CAPRA-U. MATTEI, Ecologia del diritto. Scienza, politica, beni comuni, 2017, Aboca Edizioni, spec. p. 167; U. MATTEI-A. QUARTA, Punto di svolta. Ecologia, tecnologia e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni, Aboca Edizioni, 2018.
13 In ambito internazionale emblematica è la Dichiarazione di Rio de Janeiro sull'ambiente e lo sviluppo del 1992; nel contesto europeo il riferimento è all’art. 191 comma 2 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).
14 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 13. In termini critici cfr. G. MONTEDORO, Spunti per la “decostruzione” della nozione di sviluppo sostenibile e per una critica del diritto ambientale, in Amministrazione in cammino e G. DI PLINIO, Principi di diritto ambientale, Milano, 2008
15 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 13 e ss.
16 Cfr. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 2017, Milano, Giuffrè Editore, p. 530. Sul contratto cfr. anche M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore; G. ALPA, Il contratto in generale. I. Fonti, teorie, metodi, in Trattato Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, 2014, Milano, Giuffrè Editore; P. RESCIGNO, Contratto (in genere), In Enc. Giur. Roma, 1988, IX, 8; M. FRANZONI, Degli effetti del contratto, I, in Commentario Schlesinger-Busnelli, 2013, 2 ed., Milano, Giuffrè Editore; F. GALGANO, Degli effetti del contratto, CSB, 1993; S. PAGLIANTINI (a cura di), Le forme della nullità, 2009, Torino, Giappichelli Editore; S. NARDI, Nullità del contratto e potere-dovere del giudice, in Riv. Dir. civ. 2012, I, 155; C. CONSOLO, Nullità del contratto, suo rilievo totale o parziale e potere del giudice, in Riv. Trim. dir. proc. Civ. 2011, 7; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane; C. DONISI, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, 1972, Napoli, Jovene; S. RODOTA’, Le fonti di integrazione del contratto, 2004, Milano, Giuffrè Editore; G.B. FERRI, Il negozio giuridico 2001, Cedam.
17 A fronte delle sue caratteristiche, il negozio giuridico si distingue sia dai “fatti giuridici” (che, pur essendo rilevanti per l’ordinamento, non dipendono - né nella loro verificazione, né nella determinazione dei relativi effetti - dalla volontà di un soggetto), sia dai cd. “atti giuridici in senso stretto”, in cui la volontà del soggetto si limita alla scelta del compimento dell’atto, mentre i relativi effetti sono prefissati dall’ordinamento.
18 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, p. 23.
19 Si aderisce, così al prevalente orientamento formatosi in Dottrina in merito all’inquadramento del negozio giuridico: in particolare, secondo tale teoria cd. “precettiva” ciò che rileva nell’ambito del negozio non è un’entità inaccertabile come la volontà (come sostenuto dalla dottrina un tempo dominante e poi superata perché confliggente con le esigenze di tutela dell’affidamento e della sicurezza dei traffici giuridici), né la sua esteriorizzazione in una dichiarazione (teoria considerata dai più eccessivamente formale e poco attenta al reale intento delle parti); ciò che connota il negozio giuridico è piuttosto la sua rilevanza oggettiva e sociale di autoregolamento mediante i quali i privati disciplinano da sé i propri interessi. Alla stregua di tale ricostruzione ciò che rileva è il comportamento e l’imputabilità di esso agli autori del negozio, mentre la ricerca dell’intenzione rileva al più in punto di interpretazione. Cfr. Cfr. M. DI PIRRO, Manuale di istituzioni di diritto privato, 2015, Napoli, Editore Simone, pp. 202-203.
Con riferimento alla teoria precettiva è, inoltre, importante evidenziare come al fine di considerare quello posto in essere un accordo giuridico non è necessario un intento giuridico in senso stretto, inteso come la chiara e completa rappresentazione dei vincoli legali che derivano dall’accordo e la specifica volontà di assumerli. È sufficiente il cd. “intento empirico”: vale dire la rappresentazione del risultato pratico-economico che si vuole conseguire con l’accordo e la generica consapevolezza che quel risultato implica l’attivazione di strumenti legali (anche senza la puntuale conoscenza di tali meccanismi). Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, p. 11.
20 La vincolatività del contratto tra le parti si traduce nella resistenza del contratto al pentimento della singola parte (salve le ipotesi previste di recesso), nell’immodificabilità del regolamento contrattuale ad opera della singola parte, nell’irretrattabilità degli effetti contrattuali consumati.
21 Appare comunque doveroso esplicitare la reale portata del principio di relatività del contratto (scaturente dalla accezione negativa di autonomia privata): esso ha, infatti, una valenza meno ampia di quanto potrebbe suggerire una lettura superficiale dell’art. 1372 comma 2.
Innanzitutto occorre specificare che l’espressione «il contratto non produce effetti rispetto ai terzi» deve ritenersi riferita ai soli effetti “giuridici” e non meramente “empirici”. Invero, il principio di relatività del contratto non sta a significare che il terzo sia immune da ogni conseguenza fattuale che derivi dal contratto da altri stipulato, vantaggiosa o svantaggiosa che sia.
Ancora, il principio de quo neppure impedisce che il contratto infligga lesioni a posizioni del terzo legalmente protette: rimedi, quali l’azione revocatoria, testimoniano che tale rischio non è impedito dal principio di relatività del contratto.
Infine, il principio in parola non impedisce che il contratto crei, in favore delle parti, delle situazioni giuridiche che i terzi sono tenuti a rispettare, subendo, altrimenti, l’esercizio dei rimedi riconosciuti dall’ordinamento al contraente leso (il riferimento è alla cd. tutela aquiliana delle posizioni contrattuali).
Vi è poi un’ampia area di situazioni in cui il contratto tocca posizioni giuridiche di terzi che in ogni caso ne escono conformate (si pensi alla cessione del credito che mette il debitore ceduto in una posizione diversa da prima): la dottrina maggioritaria ritiene, tuttavia, che tali situazioni non costituiscano eccezioni al principio di relatività ma attuino il diverso principio dell’assolutezza (e dunque dell’opponibilità ai terzi) dell’effetto reale traslativo.
Ciò posto si può ritenere che il principio di autonomia negoziale, nella sua accezione negativa possa essere inteso nel senso che: il contratto non può imporre obbligazioni a terzi; il contratto non può impedire a terzi di acquisire diritti; il contratto non può sottrarre al terzo i suoi diritti; il contratto non può attribuire a terzi diritti reali ma può far nascere in suo favore diritti di credito in assenza di rifiuto.
Rispetto a quest’ultimo significato, il principio risulta inciso da ampie eccezioni: il riferimento è in particolare ai casi di acquisti a non domino e ai casi di doppia alienazione di un medesimo diritto: in tali sul principio di relatività di cui all’art. 1372 comma 2 il Legislatore ha fatto prevalere l’esigenza di tutela dell’affidamento dell’acquirente e dunque di tutela dei della sicurezza dei traffici giuridici. Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 530 e ss.
22 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 30 e ss.
23 Art. 1333 c.c.: “Contratto con obbligazioni del solo proponente”. La proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata.
Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso.
Si parla di “accordi a struttura leggera” perché fondati sul mancato rifiuto della proposta.
24 Per mera completezza giova ricordare come l’autonomia privata si esplichi (salvo eccezioni) anche nella libertà di compiere il negozio, nella libertà di agire per mezzo di sostituti, nella libertà di scelta della forma del negozio, nella libertà di inserire nel negozio elementi accidentali che oggettivizzino i motivi interni ed infine nella libertà di scelta del contraente. Cfr. M. DI PIRRO, Manuale di istituzioni di diritto privato, 2015, Napoli, Editore Simone, pp. 199-201
25 L’idea della necessaria provenienza statuale del diritto e dell’assoluta esclusività del diritto statale, culmina nella notoria tesi di Kelsen secondo la quale “lo Stato e diritto coincidono”. A tale teoria fa da corollario la pretesa della completezza e dell’interna razionalità del diritto statale. Cfr. H. KELSEN, Lineamenti di teoria generale dello Stato, Torino, 2004, p. 25.
26 Santi Romano contrappone alla teoria normativa kelseniana la cd. teoria istituzionalistica del diritto: alla stregua di tale ricostruzione, la norma giuridica - malgrado la sua importanza - non esaurisce tutto il mondo del diritto e anzi, per essere qualificata come giuridica, essa deve già scaturire dal diritto inteso come organizzazione, come ente a sé stante. Per sintetizzare, quindi, il diritto è prima di tutto “istituzione”. Conseguentemente, scaturendo il diritto dalla struttura della società, nulla vieta che di ordinamenti giuridici ne esistano una pluralità. Cfr. S. CASSESE, La prolusione romaniana sulla crisi dello Stato moderno e il suo tempo, Consiglio di Stato, Associazione Italiana dei Costituzionalisti, conclusioni alla Giornata di studio su «Lo Stato moderno e la sua crisi” a un secolo dalla prolusione pisana di Santi Romano», Roma, 30 novembre 2011.
27 Cfr. E. RIPEPE, La teoria dell'ordinamento giuridico: Santi Romano, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero - Diritto (2012), www.treccani.it. e M.F. TENUTA, Le sovranità ordinamentali. Lineamenti di una teoria a partire da Santi Romano e dalla scienza giuridica del Novecento, Roma 2013.
28 Cfr. G. MANFREDI, Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale. I rapporti tra giustizia statale e giustizia sportiva, 2007, Torino, G. Giappichelli Editore, pp. 40 e ss.
29 Cfr. W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, n. s., IV [1929], 1-2, pp. 3 e ss.
30 Cfr. S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1967 (rist. 2004); F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 806 e ss; S. PAGLIANTINI, Sul c.d. contratto ecologico, Saggi e Aggiornamenti. Parte seconda, NGCC 2/2016, pp. 337 e ss.
31 Cfr. C. SALVI, Il contenuto del diritto di proprietà, Giuffré, 1994, p. 68 e ss.; S. RODOTA’, Il terribile diritto: Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Il Mulino, 2013, p. 399; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, p. 794.
32 Cfr. R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, 2019, Itaedizioni, pp. 966 e ss: «Secondo la definizione comunemente accolta la norma imperativa è la norma inderogabile posta a tutela di un interesse pubblico (o generale)».
33 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 472 e ss.
34 Per un’efficace sintesi delle ricostruzioni dottrinali sul tema, cfr. G. D’AMICO, L’integrazione (cogente) del contratto a mezzo del diritto dispositivo, in D’Amico, Pagliantini, Nullità per abuso ed integrazione del contratto, Torino, 2013. Sul tema dell’integrazione del contratto cfr. anche S. RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1967 (rist. 1970), pp. 32 e ss; A. CATAUDELLA, Sul contenuto del contratto, Milano 1974, rist; FRANZONI, Degli effetti del contratto, II, Integrazione del contratto suoi effetti reali e obbligatori, in Il codice civile. Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1999, pp. 3 e ss; C. SCOGNAMIGLIO, L’integrazione, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, I contratti in generale, a cura di E. Gabrielli, II, Torino, 2006.
Quale ipotesi di integrazione cogente si può citare l’art. 12, quarto comma, della L. n. 979 del 1982 (Disposizioni per la difesa del mare), così come modificato dall’art. 1 della L. n. 221 del 2015, che - relativamente ai contratti di trasporto marittimo aventi ad oggetto prodotti suscettibili di inquinare le acque - prevede che «il proprietario del carico si munisce di idonea polizza assicurativa a copertura integrale dei rischi anche potenziali, rilasciandone copia al comandante della nave che è tenuto ad esibirla tra i documenti di bordo necessari in occasione dei controlli disposti dall’autorità marittima».
Si vedano, inoltre, più avanti le considerazioni relative all’inclusione nei contratti di compravendita e di locazione di clausole relative all’attestato di prestazione energetica (APE).
35 Sul rimedio della nullità, cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, p. 701; S. PAGLIANTINI (a cura di), Le forme della nullità, 2009, Torino, Giappichelli Editore; S. NARDI, Nullità del contratto e potere-dovere del giudice, in Riv. Dir. civ. 2012, I, 155; C. CONSOLO, Nullità del contratto, suo rilievo totale o parziale e potere del giudice, in Riv. Trim. dir. proc. Civ. 2011, 7; F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane.
Cfr. TAR. Lecce, (Puglia) sez. III, 15.11 2016, n. 1737: «Alla previsione normativa di cui all’art. 12 comma 6 del D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, secondo cui "l'autorizzazione (alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili) non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle regioni e delle province", va senz'altro attribuita natura e portata di norma imperativa. La qual cosa comporta la nullità - ai sensi dell'art. 1418 1° co. c.c. - di ogni previsione negoziale volta a sancire un beneficio pecuniario in favore dell'amministrazione, quale corrispettivo derivante dalla mera localizzazione sul territorio della stessa di un impianto di produzione di energia elettrica alimentata da fonti rinnovabili" (TAR. Puglia, Lecce, I, 7 giugno 2013, n. 1361): radicalmente nulle, pertanto, sono siffatte clausole contenute nelle convenzioni (eventualmente) stipulate dai produttori di energia rinnovabile con i Comuni, trattandosi di prestazioni patrimoniali "prive di causa", posto che, appunto, la realizzazione di tali impianti è libera attività di impresa (arg. ex Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, sentenza 2 febbraio 2016, n. 23).
36 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 47 e ss.
Cfr. Cass. Civ. sez. II, 8.09.2013, n. 21398: «Il contratto di permuta di cosa presente (la proprietà, o la comproprietà, di un terreno) contro cosa futura (la proprietà di alcuni edifici da costruire sul terreno medesimo), quando, come nella specie, ha come causa l'utilizzazione a fini edificatori di un terreno costiero, compreso nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia, per la quale la legge di tutela delle zone di particolare interesse ambientale (Legge 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312) vieta tale utilizzazione, è nullo, ai sensi degli artt. 1343 e 1418, secondo comma, cod. civ., perché ha una causa illecita, determinando una inaccettabile compressione dell'interesse, pubblico ed essenziale, assicurato dalle norme imperative in materia urbanistico-ambientale. L'illiceità giuridica della causa è data propriamente dal fatto che la determinazione di chi compie quel negozio è rivolta, nel suo contenuto intrinseco, a un risultato pratico oggettivamente contrario alle norme contemplate dal legislatore statale, le quali definiscono posizioni e tutelano interessi generali fondamentali non disponibili dai privati».
37 Si rileva, ad esempio che il mancato rispetto degli obblighi relativi alla consegna dell’attestato di prestazione energetica nelle compravendite e nelle locazioni di immobili non comporti la nullità del contratto ma l’irrogazione di specifiche sanzioni pecuniarie e l’applicabilità dei generali rimedi (risarcimento del danno o risoluzione) previsti per il caso di violazione della libertà contrattuale e del riscontro di difetti del sinallagma funzionale. Il tema sarà trattato più avanti.
38 Cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore, p. 629.
39 Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, p. 953.
Con specifico riferimento al tema ambientale cfr. S. PERSIA, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile” in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente - saggi - G. Giappichelli editore, anno 2018/n. 1, p. 11: «Il ripensamento in chiave ecologica del diritto contrattuale e la rilevanza “erga omnes” dei beni comuni consentono di superare uno dei tradizionali dogmi sui quali si fonda la tradizione civilistica negoziale: vale a dire il principio di relatività, secondo cui il contratto produce effetti soltanto tra le parti, espresso, come è noto, dall’art. 1372 del codice civile».
40 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 788 e ss.
41 Sul tema dell’interpretazione del contratto, cfr. G. OPPO, Profili dell’interpretazione oggettiva del contratto, Il Mulino, 1943; P. PERLINGIERI, Appunti di teoria dell’interpretazione, Camerino, 1970; L. BIGLIAZZI GERI, L’interpretazione del contratto, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991 (rist. 2013); N. IRTI, Testo e contesto: una lettura dell’art. 1362, Cedam, 1996; V. CALDERAI, Interpretazione dei contratti e argomentazione giuridica, Milano, 2008; P. CERQUETTI, Le regole dell’interpretazione tra forma e contenuto del contratto, Perugia 2008; M. PENNASILICO, Contratto e interpretazione: lineamenti di ermeneutica contrattuale, Torino, 2015.
42 Cfr. G. DE NOVA, Conversione (conversione del negozio nullo), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; B. DE GIOVANNI, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964; V. FRANCESCHELLI, Conversione del negozio nullo, in Digesto Civ., Torino, 1989; G. GIAIMO, Conversione del contratto nullo, in Comm. Schlesinger, Milano, 2012.
43 Cfr. L. BIGLIAZZI GERI, Conversione del contratto in Enciclopedia del diritto, X, p. 532 e G. DE NOVA, Conversione del negozio nullo, in Enc. Giur. Treccani, IX. Cfr. anche C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore, p. 634 e G. GANDOLFI, Conversione del contratto, in Rivista diritto civile 96, II, p. 429.
44 L’interpretazione funzionale è quella diretta a ricercare il significato del contratto in coerenza con la causa in concreto di esso. Cfr. C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore p. 433.
45 Come quelle relative ai cd. criteri ambientali minimi negli appalti verdi. Cfr. C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore, p 33.
46 Per una ricostruzione delle diverse teorie sull causa cfr. R. SCOGNAMIGLIO, voce Negozio giuridico (I), in Enc. Giur. Treccani, Roma 1990. Cfr. anche F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1971, p. 172: «l’autonomia privata è ammessa dall’ordinamento in vista e in dipendenza dello scopo che essa persegue». Cfr. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore, p. 458.
47 Si riprende il pensiero di V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 345-346. Per un’ampia disamina sul tema si veda anche (nella stessa ottica di Roppo) R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, Ita Edizioni, 2019, pagg. 913 e ss.
48 Si intendono come tali quelle procedure di affidamento di appalti pubblici, i cui bandi di indizione - sulla base di previsioni di legge - stabiliscano tra i requisiti dell’offerta il rispetto di determinati standard in materia ambientale.
49 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane p. 166: «Una nuova stagione del contratto sembra aprirsi, una stagione “verde”: l’analisi “ecologica” del diritto contrattuale consente di cogliere che la nozione stessa di contratto (art. 1321 c.c.) è insufficiente, se non integrata dai principi di solidarietà e di sostenibilità nell’uso responsabile delle risorse naturali; sì che il contratto oggi è fonte non semplicemente di rapporti giuridici patrimoniali, ma di rapporti giuridici patrimoniali sostenibili».
Dello stesso Autore cfr, Contratto ecologico e conformazione dell’autonomia negoziale, Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, numero 1 - 2017: «Considero «contratto ecologico» l’espressione sintomatica di un autentico «mutamento di paradigma» in materia contrattuale, tale da mettere in discussione, sotto la spinta del modello globale dello «sviluppo sostenibile, l’adeguatezza della nozione stessa di contratto, come formulata dal codice del 1942, e da imporre una conformazione “ecologica” dell’autonomia negoziale».
Dello stesso autore si veda anche Contratto, ambiente e giustizia dello scambio nell’officina dell’interprete, Politica del diritto (ISSN 0032-3063), Il Mulino - Rivisteweb Fascicolo 1, giugno 2018, pp. 27 e ss: «Il paradigma del contratto ecologico potrebbe atteggiarsi come contratto a protezione di terzi indeterminati. Qualificazione, questa, fondata sul principio di solidarietà costituzionale, che ha permesso di superare i confini della relatività del contratto e di giustificare la tutela dei terzi sui quali il contratto incide soltanto in via riflessa».
In tal senso cfr. anche A. NERVI, Beni comuni, ambiente e funzione del contratto, in Rass. dir. civ., 2014, p. 51; S. PERSIA, Proprietà e contratto nel paradigma del diritto civile “sostenibile” in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente - saggi - G. Giappichelli editore, anno 2018/n. 1, p. 15; cfr. P. PERLINGIERI, La sussidiarietà nel diritto privato, in Rass. dir. civ., 2016, p. 687; Persona, ambiente e sviluppo, pp. 324 e ss.: «se la sussidiarietà, e dunque l’iniziativa negoziale, è prevista per disciplinare interessi generali, il contratto non è più configurabile come esclusivo strumento per regolare interessi individuali ed egoistici delle parti».
50 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), ibidem
51 Alla stregua di tale teoria, il cui promotore può essere individuato in E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1952, la causa è identificata nella funzione economico - sociale del contratto.
Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 813 e ss; P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Quinta Ed., p. 374; F. GALGANO, Il diritto privato fra Codice e Costituzione, Bologna 1983, p. 171.
52 Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 821 e ss. Cfr. A. GUARNERI, Rivista di diritto civile 94, I, p. 799.
53 Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 814 e ss. Cfr. G.B. FERRI, Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni 86, I, p. 127.
54 Cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 2015, XVII edizione, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane, pp. 822 e ss. Nel senso di causa quale mera razionalità economica dell’attribuzione, cfr. R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto civile, 2019, Itaedizioni, pp. 898 e ss Nello stesso senso di causa quale strumento volto ad assicurare la razionalità del contratto cfr. anche G. B. FERRI, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Univ. Roma-Fac. giur-Studi dir. civile, Giuffrè, pp. 371 e ss.; E. NAVARRETTA, Le ragioni della causa ed il problema dei rimedi. L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti in Tradizione civilistica e complessità del sistema. Valutazioni storiche e prospettive della parte generale del contratto, a cura di F. Macario, M. N. Miletti, Giuffrè, 2006, p. 211; V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, pp. 345-346; P. FRANCESCHETTI, Causa del contratto AltalexPedia, voce agg. al 07/03/2016: Nell’ambito di una visione dirigistica della causa si pone, invece, C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2000, II ed., Milano, Giuffrè Editore, p 459.
55 Cfr. E. NAVARRETTA, Le ragioni della causa ed il problema dei rimedi. L’evoluzione storica e le prospettive nel diritto europeo dei contratti in Tradizione civilistica e complessità del sistema. Valutazioni storiche e prospettive della parte generale del contratto, a cura di F. Macario, M. N. Miletti, Giuffrè, Anno edizione: 2006, p. 205.
56 Cfr. V. ROPPO, Il Contratto, 2011, Milano, Giuffrè Editore, p. 402.
57 In termini critici rispetto alla prospettabilità di una sostituzione della definizione di contratto di cui all’art. 1321 c.c. con quella di “contratto ecologico” si pone anche S. PAGLIANTINI, Sul c.d. contratto ecologico, Saggi e Aggiornamenti. Parte seconda, NGCC 2/2016, pp. 337 e ss. L’Autore evidenzia come la nozione di “contratto ecologico” si fondi sul presupposto che il combinato disposto di cui agli artt. 2 e 9 Cost. sia immediatamente precettivo, secondo la teoria della applicabilità diretta (unmittelbare Drittwirkung) delle norme costituzionali nei rapporti interprivati. L’Autore, tuttavia, evidenzia come per poter fondare un’ipotesi di nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c., la norma imperativa violata debba essere una norma avente ad oggetto la struttura o l’oggetto del contratto e debba essere determinata. Ne consegue che il contratto che non abbia ad oggetto rapporti giuridici patrimoniali sostenibili e che dunque non rispetti i canoni del “contratto ecologico” non potrebbe definirsi nullo alla stregua di una applicazione diretta delle suddette norme costituzionali, in quanto norme non aventi ad oggetto il contratto e non dettagliate.
L’autore aggiunge: «Epperò la sensazione che il binomio ambiente - solidarietà, quando restituisce l’immagine di una metamorfosi del contratto ormai trasfigurato in una fattispecie costitutiva di rapporti patrimoniali eco - sostenibili, voglia essere una (lodevole) provocazione argomentativa più che l’avvio di una riconcettualizzazione categoriale, rimane. Per una ragione, tutt’altro che di contorno, che si proverà qui ad illustrare. […] In particolare, fare del diritto all’ambiente salubre un diritto assoluto e fondamentale della persona, annidandolo per conseguenza nell’art. 2 Cost. non risolve giacché, essendo una situazione soggettiva comunque provvista di un limite, il suo inverarsi risulterà affidato alla tecnica del bilanciamento con diritti contrapposti. […] Contratto ecologico, questo il succo del discorso, è un’espressione raffinata ma predicata di un valore soltanto descrittivo. In quest’ottica, contratto ecologico sembra essere soltanto un altro nomen col quale ci si rappresenta appellativamente il fenomeno di una contrattazione in tutto od in parte soggetta ad uno statuto conformativo inderogabile (id est la norma imperativa). Ergo, contratto ecologico come un lemma che si presta ad un esercizio di dépouissiérage delle categorie tradizionali. Ma non, almeno per il momento, ad altro».
58 Cfr. F. CARINGELLA, Compendio Maior di diritto amministrativo, 2018/2019, Roma, Dike Giuridica Editrice; M. CLARICH, Manuale di diritto amministrativo, 2015, II ed., Edizioni Scientifiche Pandora Campus; A. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Vol. II, 1989, XV ed., Napoli, Jovene; V. CERULLI IRELLI, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. Amm., 2003; E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 2007, Milano, Giuffrè Editore.
59 Sul tema della determinazione autoritativa quale essenza del provvedimento amministrativo cfr. M.S. GIANNINI, (voce) Atto amministrativo, in Enc. Dir., IV, 1959.
60 Cfr. P. PERICU, L’Attività consensuale della Pubblica Amministrazione, in MAZZAROLLI – PERICU – ROVERSI MONACO - SCOCA, Bologna 2003.
61 Come è noto, la L. n. 15 del 2005 ha aggiunto all’art. 1 della L. n. 241 del 1990 (sul procedimento amministrativo) il comma 1-bis alla stregua del quale «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente».
62 R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale superiore di diritto amministrativo 2017/2018, Nel Diritto Editore, pp. 925 e ss.
63 Cfr: R. TUCCILLO, Profili di rilevanza ambientale nella disciplina dei contratti pubblici e privati, in Nuovo Diritto Civile, n. 2/2019, pagg. 209-214 e 218.
64 Sul dibattito dottrinale in merito alla natura degli accordi di cui all’art. 11 della L. 241/90 cfr. R. GAROFOLI - G. FERRARI, Manuale superiore di diritto amministrativo 2017/2018, Nel Diritto Editore, pp. 976 e ss. In merito alla esplicita qualificazione degli stessi come accordi pubblicistici cfr. R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, III edizione, 2017, Milano, Giuffrè Editore, pp. 463 e ss.
65 Le convenzioni di lottizzazione hanno natura di accordi sostitutivi di provvedimento e, come tali, non possono essere modificate senza il coinvolgimento di tutti i loro originari firmatari. Cfr. Cons. di Stato, Sez. IV, 27 giugno 2008, n. 3255.
66Altro istituto ricondotto - dopo la riforma di cui alla L. n. 221/2015 - alla tipologia degli accordi sostitutivi di provvedimento è quello della cd. “transazione ambientale”: la riforma ha infatti modificato le caratteristiche dell’istituto introdotto originariamente dal D.L. n. 208 del 2008 ed ha inserito nel corpo del Codice dell’Ambiente l’art. 306 bis. Cfr. U. SALANITRO, Dal “contratto” all’ “accordo”: la riforma della “transazione” ambientale. Giustizia civile n. 2/2017.
67 Cfr.: «R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, III edizione, 2017, Milano, Giuffrè Editore, p. 1091: «Uno dei limiti della disciplina urbanistica mediante pianificazione unilaterale dell’ente pubblico consiste in un carattere di eccessiva rigidità […] che spesso preclude interventi di piano completi, tempestivi ed adeguati ad una realtà territoriale in perenne e rapida trasformazione. Per tali ragioni è sorta l’esigenza di individuare forme di gestione del territorio alternative alla pianificazione urbanistica e basate sul contributo diretto dei privati (c.d. urbanistica negoziata)».
68 Prima di procedere all’analisi della convenzione di lottizzazione, appare opportuna una breve panoramica generale sulla funzione pianificatoria e di governo del territorio affidata alla Pubblica Amministrazione (funzione costituente il perno dell’”urbanistica”): evidenti sono, infatti, le interconnessioni con la tutela ambientale.
Dunque, è la Pubblica Amministrazione a stabilire - per il tramite dei cd. “strumenti urbanistici” - quali aree debbano essere destinate all’edilizia privata, quali a quella pubblica, quali terreni debbano conservare la propria destinazione agricola e così via (tale contenuto hanno le cc.dd. attività di zonizzazione e localizzazione).
Tale funzione pianificatoria è volta a contemperare l’interesse egoistico del privato allo sfruttamento edificatorio o agricolo del proprio terreno con l’interesse ad un’ordinata e corretta modificazione degli assetti territoriali ed ambientali (Cfr. R. GALLI, Nuovo Corso di Diritto Amministrativo, 2016, Tomo II, Wolters Kluwer Cedam, pp. 1017 e ss.).
Prima di procedere all’analisi della convenzione, appare opportuna una panoramica generale sulla funzione pianificatoria e di governo del territorio affidata alla Pubblica Amministrazione (funzione costituente il perno dell’”urbanistica”): evidenti sono, infatti, le interconnessioni con la tutela ambientale.
Dunque, è la Pubblica Amministrazione a stabilire - per il tramite dei cd. “strumenti urbanistici” - quali aree debbano essere destinate all’edilizia privata, quali a quella pubblica, quali terreni debbano conservare la propria destinazione agricola e così via (tale contenuto hanno le cc.dd. attività di zonizzazione e localizzazione).
Tale funzione pianificatoria è volta a contemperare l’interesse egoistico del privato allo sfruttamento edificatorio o agricolo del proprio terreno con l’interesse ad un’ordinata e corretta modificazione degli assetti territoriali ed ambientali (Cfr. P. URBANI, Voce, Urbanistica in Enciclopedia Treccani on line, 2019).
Tale attività discrezionale della Pubblica Amministrazione, come le altre, è esercitata entro i binari prefissati dal legislatore: degne di nota sono le Leggi nn. 1497/1939 e 1150/1942, disciplinanti gli strumenti programmatici a disposizione della P.A. per definire l’assetto, l’uso e la gestione del territorio.
In particolare, il modello pianificatorio allo stato vigente presenta una struttura verticale, cd. “a cascata”: alla stregua dello stesso il Comune è chiamato ad effettuare valutazioni discrezionali sul possibile uso del territorio nel rispetto delle prescrizioni impartite dal legislatore statale e da quello regionale, secondo il rispettivo riparto di competenze (Cfr. art. 117 comma 3 Cost.; Cfr.: R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, III edizione, 2017, Milano, Giuffrè Editore, p. 1090).
Per tali motivi, anche gli strumenti urbanistici risultano articolati secondo un ordine gerarchico, all’interno del quale si distinguono piani di portata generale - programmatica e piani attuativi: per effetto del rapporto gerarchico che li avvince, il piano di portata più ampia vincola quello di portata minore, volto, appunto, ad attuare gli indirizzi generali di cui alla programmazione di primo livello.
I piani attuativi possono essere sostituiti, in alternativa, dai “piani” e dalle “convenzioni di lottizzazione”, che si connotano, invece, come atti ad iniziativa privata, costituenti, appunto, l’archetipo degli accordi sostitutivi di provvedimento ex art. 11 L. 241/90 (Cfr. G. SCIMEMI - G. LAVITOLA - P. NERVI, (voce) Urbanistica in Enciclopedia Italiana - V Appendice, 1995. Cfr. anche M. BESSONE, Natura giuridica dei Piani di lottizzazione, in Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, a cura di M. Costantino, Giuffrè, Milano, 1978, pp. 240-241).
69 Le convenzioni di lottizzazione sono disciplinate dall’art. 28 della L. 1150/1942 e s.m.i.: come anticipato in nota l’introduzione di tali accordi costituisce il tentativo da parte del legislatore di arginare la tendenza dei Comuni alla mancata adozione dei piani di secondo livello, inerzia riconducibile, soprattutto, alle difficoltà di stanziamento in bilancio delle somme occorrenti per gli interventi di cd. “urbanizzazione” (Cfr. art. 4 commi 1 e 2 della L. n. 847/1964, per le definizioni di opere di urbanizzazione primaria e secondaria).
Le convenzioni di lottizzazione presentano, appunto, il vantaggio per i Comuni di accollare ai privati l’intero carico economico relativo alle opere di urbanizzazione primaria ed una quota di quello relativo alle opere di urbanizzazione secondaria, evitando altresì agli stessi i costi di regola connessi all’espletamento delle procedure espropriative.
Il procedimento preordinato alla relativa adozione si presenta alquanto complesso: il presupposto di fondo è comunque costituito dall’intervenuta approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione e, dall’altra parte, dalla non intervenuta approvazione del piano particolareggiato di esecuzione (trattandosi appunto di strumento alternativo).
I proprietari che intendono “lottizzare” sono tenuti, in primo luogo, a presentare una proposta corredata da un progetto (Cfr. R. GALLI, Nuovo Corso di Diritto Amministrativo, 2016, Tomo II, Wolters Kluwer Cedam, pp. 1032 e ss. Cfr. anche A. VERDEROSA Urbanistica. Il Piano di Lottizzazione, la Convenzione di Lottizzazione ed il lotto intercluso o residuale in Lexambiente, Rivista giuridica a cura di L. Ramacci, 2014).
In particolare, il progetto deve contenere la specifica individuazione degli edifici da costruire, delle zone da destinare a verde ovvero alla realizzazione di opere di interesse collettivo.
La proposta deve, inoltre, prevedere: la cessione a titolo gratuito, in favore dell’ente pubblico, delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e, entro determinati limiti, delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria; l'assunzione, da parte dei proprietari, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota di quelli relativi alle opere di urbanizzazione secondaria o alle opere necessarie per l'allaccio della zona ai servizi pubblici; i termini entro i quali vanno ultimate le predette opere, che non devono eccedere i dieci anni; congrue garanzie finanziarie per l'adempimento degli obblighi che derivano dalla convenzione.
Alla proposta, segue l’approvazione del progetto e dello schema di convenzione da parte del Consiglio comunale con apposita delibera. La procedura si conclude con la stipula della convenzione per atto notarile, la trascrizione della stessa nei registri immobiliari a cura dei proprietari ed il rilascio dell’autorizzazione comunale alla lottizzazione. Sul tema più generale e su quelli più specifici, si rinvia a P. URBANI, Urbanistica consensuale, Torino, 2000.
70 Cfr: Cons. Stato, Ad. Plen., Sent. n. 14 del 20 giugno 2014.
71 Così come da ultimo modificato dal D.L. n. 32/2019 (Decreto Sblocca Cantieri) convertito, con modificazioni, con L. n. 55/2019. Cfr. G. GRECO, L’adeguamento dell’ordinamento italiano alle direttive comunitarie in materia di appalti di lavori pubblici, in AA. VV., Gli appalti di lavori pubblici nel diritto amministrativo comunitario e italiano, Milano, 1990; V. POLI, Principi generali e regime giuridico dei contratti stipulati dalle Pubbliche Amministrazioni, in www. giustiziaamministrativa.it.; G. ALPA, Divagazioni sull’attività negoziale della p.a. nella nuova disciplina del procedimento amministrativo, in I contratti. 2006, 2, 177; R. GAROFOLI- G. FERRARI, Codice degli appalti publici, Roma, VI ed., 2013.
72 Obblighi veri e propri che hanno sia una valenza pubblicistica, perché la loro violazione può dar luogo alla revoca dell’appalto quale perdita delle qualità previste dal bando, sia una valenza privatistica, come inadempimento degli obblighi trasfusi e previsti nel contratto che diviene la fonte del rapporto tra le parti.
73 Con l’espressione “appalto verde” (“Green Public Procurement” o “GPP” o “Acquisti sostenibili della Pubblica Amministrazione) si intende la pratica della Pubblica Amministrazione consistente nell’integrare i principi ambientali nei processi di acquisto: il soggetto pubblico inserisce tra i criteri di aggiudicazione dei contratti di appalto clausole ecologiche che mirano ad indirizzare la scelta del contraente privato in funzione di interessi ambientali. Tale pratica consente di ricercare e scegliere prodotti, servizi o soluzioni che abbiano il minore impatto possibile sull’ambiente.
74 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 174 e ss. Nello stesso senso si può leggere, in un altro ambito, la disposizione di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 153/2004 (Attuazione della legge 7 marzo 2003, n. 38, in materia di pesca marittima) secondo cui «la razionalizzazione del sistema pesca è ispirata, altresì, ai principi di sviluppo sostenibile e di pesca responsabile al fine di coniugare le attività economiche di settore con la tutela degli eco-sistemi».
Tra i principi sottesi a tale innovativa “politica”, appaiono evidenti quelli dello sviluppo sostenibile, di correzione e di integrazione. Ciò posto, va specificato come l’integrazione degli aspetti ambientali nei processi di acquisto della P.A. si basi su una visione d’insieme di tutto il ciclo di vita del prodotto (o del servizio): tale visione pone la necessità di valutare l’impatto ambientale non solo delle fasi di progettazione e produzione, ma anche di quelle relative all’uso e allo smaltimento.
75 La pratica degli appalti verdi coinvolge la Pubblica Amministrazione in tutte le sue articolazioni e rappresenta un valido strumento di politica ambientale e industriale le cui potenzialità sono rilevanti: si consideri, infatti, che la quota di beni e servizi acquistati annualmente dalla P.A. rappresenta a livello europeo all’incirca il 16,3% del PIL (corrispondenti a 1.500 miliardi di Euro). Cfr. Area Appalti Verdi in www.federsanita.it.
76 Il “Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi della pubblica amministrazione" (PAN GPP). Il Piano prevede l'adozione di misure volte all'integrazione delle esigenze di sostenibilità ambientale nelle procedure di acquisto di beni e servizi delle amministrazioni competenti. Cfr. www.minambiente.it. Si vedano, inoltre, il Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della pubblica amministrazione (ovvero Piano nazionale d’azione sul green public procurement - Pan Gpp) e il Rapporto di studio preliminare al Piano d'azione (MATTM, 2006) - Acquisti verdi per la Pubblica Amministrazione: stato dell’arte, evoluzione normativa e indicazioni metodologiche, entrambi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio - direzione generale salvaguardia ambientale. Cfr. https://www.minambiente.it.
77I CAM consistono appunto in “indicazioni tecniche” collegate alle diverse fasi delle procedure di gara (oggetto dell’appalto, specifiche tecniche, criteri premianti della modalità di aggiudicazione all’offerta economicamente più vantaggiosa, condizioni di esecuzione dell’appalto) che, se recepite dalle stazioni appaltanti nel capitolato d’oneri o nel bando di gara, sono utili a classificare come “sostenibile” l’acquisto o l’affidamento.
Ad oggi sono stati adottati criteri ambientali minimi per numerose categorie di prodotti e servizi: servizi di pulizia e prodotti per l’igiene, cartucce di toner e a getto di inchiostro, servizio di gestione dei rifiuti urbani, carta, arredi per uffici, apparecchiature elettriche ed elettroniche per ufficio, prodotti tessili, illuminazione pubblica stradale, servizi di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari, serramenti esterni, servizi energetici per gli edifici, acquisizione di veicoli per il trasporto su strada.
Il Ministero dell’Ambiente sta inoltre concludendo la definizione di CAM per altre categorie di beni e servizi: da ultimo si veda il D.M. 11 ottobre 2017 recante “Criteri ambientali minimi per l’affidamento di servizi di progettazione e lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici pubblici”
78 Introdotto a livello sovranazionale, dal “Libro Verde sulla politica integrata dei prodotti” risalente al 1996, l’appalto verde è approdato nel panorama legislativo italiano per il tramite della Direttiva 2004/18/CE, ma solo con la Legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali” (c.d. “collegato ambientale” alla Legge di stabilità 2016) lo stesso ha assunto per la PA carattere obbligatorio. Il relativo articolo 18 (“Applicazione di criteri ambientali minimi negli appalti pubblici per le forniture e negli affidamenti di servizi”) è stato abrogato dall’art. 217 del D.Lgs. n. 50 del 2016. Cfr. G.A. LO PRETE, Appalti pubblici verdi: norme e prospettive, in Appalti pubblici.
79 Così come modificato dal D.Lgs. 56/2017.
80 TAR Toscana, Sez. I, Sent. 14 maggio 2018 n. 645.
81 Tra gli autori che più scrupolosamente si sono occupati della questione si ricorda M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane e Contratto e ambiente. L’analisi “ecologica” del diritto contrattuale, 2016, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane.
82 Corte Costituzionale, Sentenza 9 maggio 2013, n. 85, Pres. Gallo, Rel. Silvestri.
83 L’art. 1 della suddetta Legge n. 129/2004 definisce il contratto in parola come l’accordo in forza del quale «una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi».
84 Cfr. www.lavoroefranchising.com. e cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane.
Nel settore dell’energia si rinvengono poi i contratti di franchising volti alla distribuzione di pannelli fotovoltaici, o alla diffusione dell’uso della mobilità elettrica in ogni sua forma o, ancora, implicanti da parte dell’impresa affiliante la messa a disposizione di know-how in termini di riduzione delle emissioni inquinanti. Da citare è, infine, il “franchising rifiuti e riciclo” avente ad oggetto l’attuazione di servizi nel settore della raccolta rifiuti e del loro riciclaggio. Per maggiori approfondimenti si rinvia al sito www.lavoroefranchising.com.
85 Cfr. A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, 2017, Milano, Giuffrè Editore, p. 791.
86 Cfr. www.tuttoambiente.it, Sito contaminato: cosa può essere richiesto al proprietario o gestore non responsabile
87 Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2017, n. 1089.
88 Il cardine di tale principio consiste nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione ecologica, così come affermato dalla Corte di Giustizia nell’ordinanza 9 marzo 2010 nelle cause riunite C-478/08 e C. 479/08 (<<conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento>>). (Nello stesso senso anche la sentenza della Corte di Giustizia 24 giugno 2008, causa C. 188/07, Comune di Mesquer).
89 Che sostituisce l’ACE (attestato di certificazione energetica).
90 La relativa disciplina, di derivazione comunitaria, si rinviene, nell’art. 6 del D.Lgs. n. 192/2005, come modificato dal D. L. n. 63/2013 e dal D.L. n. 145/2013, nella L. n. 9 del 2014 nonché nelle Linee guida nazionali, approvate con D.M. 26 giugno 2015. Cfr. www.guidafisco.it, APE, attestato di prestazione energetica: esempio modello e costo.
91 Attraverso l’APE il cittadino viene a conoscenza di caratteristiche - quali il fabbisogno energetico dell’edificio o dell’unità edilizia, la qualità energetica del fabbricato, le emissioni di anidride carbonica e l’impiego di fonti rinnovabili di energia - che incidono sui costi di gestione e sull’impatto ambientale dell’immobile: in tal modo egli è guidato verso una scelta consapevole nel caso di acquisto, locazione o di recupero di un immobile. La disciplina vigente stabilisce che l’attestato di prestazione energetica sia predisposto e rilasciato in caso di costruzione, trasferimento o locazione di edifici o di singole unità immobiliari.
92 Si noti come si rende necessaria la suddetta consegna entro il momento della conclusione del contratto (non essendo sufficiente l’assunzione dell’obbligo contrattuale di consegna successiva).
93 Dunque, a seguito della L. n. 9/14, in assenza di una previsione di nullità, il notaio, se richiesto, non può rifiutarsi di ricevere l’atto (ove, ovviamente, la legge regionale non preveda la nullità), se le parti non consegnano l’attestato da allegare, pur avendo l’obbligo di informare le parti delle conseguenze civilistiche e delle sanzioni amministrative per il caso di mancata allegazione.
94 Cfr. G. MASTRODONATO, Gli strumenti privatistici nella tutela amministrativa dell'ambiente, Riv. giur. ambiente, 2010, 05, 07.
95 Sulla prospettabilità anche di fondi verdi cfr. G. PETRUCCIANI, Vuoi investire sull’ambiente? Con i bond e i fondi «verdi» guadagni tra il 2 e il 12%, 21 ottobre 2019 in www.corriere.it.
96 A suffragare tale invito è uno studio di Insight, la più grande società di asset management del gruppo BNY Mellon.
97Cfr. E. MARRO, «Green bond», ecco perché le obbligazioni verdi non fanno sempre bene all’ambiente, in www.ilsole24ore.com.
98 Cfr. www.ilsole24ore.com, Se il mutuo è green la banca ti aiuta.
99 Cfr. www.assinews.it: AON sottoscrive i Principi delle Nazioni Unite per l’Assicurazione Sostenibile.
100 Cfr. art. 1 della “Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale.
101 Cfr. M. PENNASILICO, Contratto ecologico e conformazione dell’autonomia negoziale, Rivista Quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, numero 1 - 2017, G. Giappichelli Editore, pp. 20 e ss. I criteri che guidano la scelta dei fornitori in genere sono: qualità del prodotto, dignità del lavoro, rispetto dell'ambiente. In genere i gruppi pongono anche grande attenzione ai prodotti locali, agli alimenti da agricoltura biologica od equivalenti e agli imballaggi a rendere.
102 Menzione merita anche il frequente ricorso da parte delle società che operano nel settore della sostenibilità ambientale e, in particolare, delle energie rinnovabili ai cd. “contratti di rete” di cui al D. L. 10 febbraio 2009, n. 5 e s.m.i.
103 In particolare, ai sensi dell’art. 2 del decreto, si considerano di interesse generale - se svolte in conformità alle norme particolari che ne disciplinano l'esercizio - (tra le altre) le attività d'impresa aventi ad oggetto «e) interventi e servizi finalizzati alla salvaguardia e al miglioramento delle condizioni dell'ambiente e all'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi» nonché « f) interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni».
104 Il legislatore si è occupato della questione nell’art. 15 del D.Lgs. 112/2017, attraverso il recepimento di soluzioni in vigore nel settore delle società cooperative. La titolarità della funzione di controllo è del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che concretamente la esercita mediante l’Ispettorato nazionale del lavoro (art. 15, comma 2). Il Ministero, tuttavia, può in alternativa decidere di avvalersi di enti associativi tra imprese sociali, cui aderiscano almeno mille imprese sociali iscritte nel registro delle imprese di almeno cinque regioni o province autonome, nonché delle associazioni di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 220/2002, cioè le c.d. “centrali cooperative”, che già per legge esercitano (e continueranno ad esercitare, alla luce di quanto previsto dall’art. 15, comma 5, D.Lgs. n. 112/2017) il controllo sulle cooperative sociali (art. 15, comma 3). Cfr. A. FICI, La nuova disciplina dell’impresa sociale. Una prima lettura sistematica in www.rivistaimpresasociale.it.
105 Cfr. www.lavoro.gov.it. Cfr. anche A. FICI, La nuova disciplina dell’impresa sociale. Una prima lettura sistematica in www.rivistaimpresasociale.it.
106 Cfr. www.ipsoa.it.: «La società benefit, per assumere la veste attribuitagli dal legislatore, deve semplicemente unire all’attività profit la finalità sociale inserendo nel proprio statuto le clausole relative agli scopi di beneficio comune da perseguire. Le imprese sociali, invece, hanno uno statuto regolamentato in modo tassativo dalla legge e devono essere in grado di collocare sul mercato beni o servizi in modo remunerativo al fine di garantire il buon andamento economico della gestione».
107 Le strutture all'insegna del turismo ecosostenibile scelgono, ad esempio, di utilizzare lampadine a basso consumo per perseguire una politica di risparmio energetico; invitano i clienti ad un utilizzo consapevole dell'acqua per evitare sprechi; si adoperano nella raccolta differenziata dei rifiuti e propongono soluzioni alternative ai mezzi di trasporto privato per le visite di piacere. In termini più approfonditi cfr. P. CASSOLA, Turismo Sostenibile e aree naturali protette. Concetti, strumenti e azioni, 2005, Edizioni ETS.
108 Cfr. R. GALLI, Nuovo corso di diritto civile, 2017, Wolters Kluwer Cedam, p. 324 e ss. e R. CHIEPPA - R. GIOVAGNOLI, Manuale di diritto amministrativo, III edizione, 2017, Milano, Giuffrè Editore, pp. 1031 e ss.
109 Cassazione Civile sez. trib., 15 ottobre 2019, n. 26016 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione della natura giuridica dei c.d. diritti edificatori.
110 La quota di emissioni conferisce all’impresa il diritto di emettere un certo quantitativo di gas a effetto serra (biossido di carbonio o CO2).
111 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 167 e ss.
112 Cfr. www.dirittobancario.it
113 Cfr. L. GUASTALLA, Il trasferimento delle quote di emissione di gas serra, in Nuova giur. Civ. comm. 2005, II, p. 288.
114 Cfr. M. PENNASILICO (a cura di), Manuale di diritto civile dell’ambiente, 2014, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 242. e P. PISELLI - S. MAZZANTINI - A. STIRPE, Il contratto di rendimento energetico (Energy Performance Contract), 2010, in www.treccani.it; M. MAUGERI, Il contratto di rendimento energetico e i suoi <elementi minimi>, in Benessere e regole dei rapporti civili. Lo sviluppo oltre la crisi, Atti del IX Conv. Naz. Sisdic, in ricordo di G. Gabrielli, Napoli, 2015, p. 275 e segg.
115 Il decreto riprende la definizione di cui alla direttiva 32/06/CE.
116 In ingegneria il termine efficienza energetica indica la capacità di un sistema fisico di ottenere un dato risultato utilizzando meno energia rispetto ad altri sistemi detti a minor efficienza, aumentandone generalmente il rendimento e consentendo, dunque, un risparmio energetico ed una riduzione dei costi di esercizio. Cfr. www.efficienzaenergetica.enea.it.
117 Nel corso della trattazione si sono incontrati concetti come le quote di emissioni, il rendimento energetico, le misure di bonifica, il ciclo di vita dei prodotti, i rifiuti etc, rispetto ai quali è immancabile un riferimento al sapere scientifico.
118 Cfr. N. IRTI - E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Bari, 2001.
119 Cfr. A. IANNUZZI, Caratterizzazioni della normazione tecnica nell’ordinamento italiano. Il campo di analisi e di verifica della materia ambientale.
120 Cfr. M. MANETTI, Poteri neutrali e Costituzione, 1994, Cedam.
121 Sennonché, nella realtà dei fatti tale convinzione è spesso smentita: la normazione tecnica è spesso avvolta da una spessa cortina di ambiguità che addensa di oscurità persino i profili concettuali e definitori, costringendo spesso il giurista ad agire nella confusione terminologica.
122 Si pensi ai green papers e ai white papers.
123 Cfr. M. CERIONI, Prime riflessioni sulle fonti dell’autonomia privata.
124 Cfr. G. MONTEDORO, Spunti per la “decostruzione” della nozione di sviluppo sostenibile e per una critica del diritto ambientale, in Amministrazione in cammino: «il crescere della regolazione tecnica, nell’epoca del dispiegarsi delle forze dei mercati, confina il diritto ambientale al ruolo ingrato di vincolo esterno».
125 Nella materia che qui ci occupa si ricorda l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente: tale Autorità determina le tariffe e vigila sulla Cassa per i servizi energetici e ambientali e si pone a garanzia della trasparenza delle condizioni di servizio, dell’eguaglianza nell'accesso alle reti energetiche, della vigilanza nei confronti dei fornitori dei servizi, valutando reclami, istanze e segnalazioni presentate dagli utenti o dai consumatori.
126 Cfr. M. CLARICH, Garanzia del contraddittorio nel procedimento innanzi alle Autorità amministrative indipendenti, intervento al convegno Le Autorità amministrative indipendenti, in www.giustizia-amministrativa.it.
127 Cfr. www.uni.com
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