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Saggio su “Interessi (in primis quello creditorio), conflitti e controlli nelle soluzioni negoziali delle crisi nel nuovo codice dopo il Decreto-legge n. 118/2021”

Scritto da Armando Calogero • nov 2021

Sintesi

Il lavoro analizza gli interessi, i conflitti ed i controlli nelle soluzioni negoziali delle crisi di cui al Nuovo Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza, la cui entrata in vigore è stata nuovamente differita, che ha unificato la disciplina commercialistica riservata alle imprese di cui alla Legge Fallimentare con quella civilistica riguardante le imprese sotto soglia ed il consumatore di cui alla L. n. 3/2012. L’analisi muove dalla considerazione che il recentissimo intervento di ulteriore differimento attuato con il D.L. n. 118/2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 147/2021 (pubbl. 23.10.2021), si è accompagnato a modifiche delle due dismettende indicate legislazioni, anticipando così gran parte delle disposizioni del Nuovo Codice e ponendosi come diritto intertemporale di traghettamento degli operatori fino alla sua entrata in vigore. Si è posta in luce l’emersione di un quadro più spiccatamente orientato alle soluzioni negoziali delle crisi, riguardanti sia le imprese che i consumatori, accompagnato dal tentativo di anticipazione di emersione della crisi e dalla salvaguardia della continuità aziendale. In tale contesto, si è cercato di ricostruire il fenomeno della falcidia dei crediti, che è in antitesi con l’art. 2740 c.c., in chiave di affievolimento del diritto soggettivo dei creditori, che si trasmuta per effetto della crisi in un interesse legittimo di diritto privato al conseguimento del massimo possibile, connesso alla procedimentalizzazione delle relative procedure para-negoziali.

Abstract

The paper analyses the interests, conflicts, and controls in the negotiated solutions to the crises established by the New Code of Business Crisis and Insolvency, whose entry into force has been deferred again. The most important New Code innovation is the unification of the accounting regulations applied to companies regulated by the Bankruptcy Law with the civil law applied to the so called “subthreshold companies” and to the consumers according with Law no. 3/2012. The analysis starts from the consideration that the recent further deferral established by the D.L. no. 118/2021, converted with amendments in Law no. 147/2021 (publ. 23.10.2021), was accompanied by amendments to the two previous legislations able to anticipate most of the provisions of the New Code and to act as an intertemporal law aimed to lead the operators towards the New Code entry into force. The emergence of a preference for negotiated solutions of the crises, concerning both businesses and consumers, is highlighted, accompanied by an attempt to anticipate the crisis arising and to safeguard business continuity. In this context, the phenomenon of the reduction of credits, which is in contrast with art. 2740 of the Civil Code, is considered as a means to weaken the subjective right of creditors. This right is transformed by the crisis into a legitimate interest of private law in achieving the maximum possible amount of credits, connected to the proceduralization of the para-negotiation procedures specifically devoted to defend such interest.

Contenuto

1. Interessi generali nelle crisi: l'evoluzione storica nel senso della privatizzazione, della continuazione dell'attività aziendale, della solidarietà e della sussidiarietà

L’insolvenza ed il più attenuato fenomeno della crisi - diversamente dalla situazione di inadempimento rispetto ad un unico rapporto - rappresentano avvenimenti complessi e poliformi che investono connessi e variegati interessi1, e ciò sia quando riguardano i privati sia, ed a maggior ragione, quando riguardano imprese ed attività professionali.

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, emanato con D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, in attuazione della delega di cui alla L. 19 ottobre 2017 n. 155 (d’ora in poi per brevità solo Codice), raccorda in un unico testo legislativo tutte le diverse ipotesi di insolvenza e di crisi, superando il dualismo della dismettenda Legge Fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), già più volte rimaneggiata, e dalla L. n. 3 del 2012 in materia di Sovraindebitamento, alle cui norme apporta significative modifiche, cercando anche di stabilire principi comuni ed una procedura similare2.

Il percorso di tale riforma è stato ed è tutt’ora particolarmente lungo e tribolato, non solo per i tentativi che l’hanno preceduto che poi sono naufragati, ma anche per la sua predisposizione ad opera di una Commissione nominata nel 2015 e poi riconfermata nel 2017, all’indomani dell’approvazione della legge delega, che ha preso il nome del suo Presidente, Renato Rordorf, che ha saputo coniugare le opposte esigenze, oltre che le evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali in materia, nonché le spinte riformiste ed armonizzatrici del legislatore unionale. Fu stabilita un’entrata in vigore differita, tuttavia poco dopo e ben prima della sua entrata in vigore, sorse l’esigenza di modificare alcune norme, anche per adeguarlo al nuovo quadro legislativo europeo in corso di definizione. Fu così che il Parlamento ha dato una nuova delega al Governo, con L. 8 marzo 2019 n. 20 per modificare il Codice in argomento, cosa che è avvenuta con D.Lgs. 26 ottobre 2020 n. 147, che ha anche tentato di recepire, seppur solo in parte, la Direttiva 2019/1023 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20.06.2019 in materia di ristrutturazione preventiva, esdebitazione ed insolvenza, anche per aumentare l’efficacia delle procedure, e che ha modificato la Direttiva UE 2017/1132 in materia.

Senonché, sempre prima dell’entrata in vigore del Codice, lo stesso legislatore, onde consentire l’utilizzo degli strumenti codicistici riguardanti il sovraindebitamento, ha, con D.L. 137/2020, convertito dalla L. 176/2020, apportato significative modifiche alla L. 3/2012 sul sovraindebitamento, attualmente ancora in vigore, adeguandola quasi completamente al testo riformato ed anticipando così di fatto l’entrata in vigore delle corrispondenti norme in materia; normativa innovata, poi da riassorbire nel Codice all’atto della sua entrata in vigore, oltre a quelle non anticipate e quindi nuove di cui si darà conto nel prosieguo.

Inoltre, come anticipato in nota, il recentissimo D.L. 118/2021, convertito con modificazioni dalla L. 147/2021 del 21.10.2021 (pubbl. in GURI 23.10.2021 n. 254 in vigore dal giorno successivo), nel differire ancora l’entrata in vigore del Codice e per dettare norme di raccordo intertemporale tra la vecchia e la nuova disciplina in arrivo, ha apportato sia nuove norme (in primis sulla procedura di Composizione Negoziale e sul Concordato Semplificato) sia alcune modifiche alla L.F. A seguito di ciò alcuni primi commentatori hanno iniziato a dubitare della effettiva entrata in vigore del Codice, vedendo tale intervento riformatore come un abbandono dell’ambizioso progetto codicistico in corso, invece a parere di chi scrive può proprio al contrario notarsi come il legislatore abbia definitivamente imboccato la via del Codice, preferendo di fatto anticpare varie norme e strumenti previsti dal CCII (anzi ricalcando in qualche maniera proprio quelle rinviate o comunque ispirandosi alla medesima ratio), sia adeguando il testo delle norme della L.F. alle corrispondenti norme del Codice, sia dettando norme intertemporali, non a caso scritte solo nel detto Decreto Legge e senza innestarle né nella vecchia L.F. né nel nuovo CCII (salvo poi inserirle in corsa sotto forma di modifiche al Codice stesso), quindi destinate a durare limitatamente nel tempo, cioè fino al 31.12.2022, come si ricava implicitamente dall’impianto del Decreto Legge stesso; norme che sono di chiara ispirazione ed impostazione codicistica, quanto alle finalità ed al nuovo assetto di interessi in divenire, che sono parzialmente diverse per l’esigenza di traghettare l’operatore verso il Codice, all’atto della sua completa entrata in vigore, tra l’altro in questo momento di crisi sanitaria ed economica dalla pandemia da Covid 19 ancora in atto e, si spera, in via di superamento nei prossimi mesi.

Orbene, con il nuovo Codice - e come detto anche con le nuove norme del D.L. 118/2021 – si delinea un quadro in cui per la prima volta vengono disciplinati unitariamente ed in forma organica sia fenomeni concorsuali di matrice commercialistica, che fenomeni di diritto comune involgenti lo squilibrio tra le obbligazioni assunte e i flussi d’entrata: il risultato di tale approccio organico è la previsione di un unico modello processuale per l'accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, sia esso persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale. Quindi possiamo dire che la gestazione di tale Codice, accompagnata dalla latenza della sua entrata in vigore e delle modifiche medio termine intervenute, è assimilabile solo a quella per la nascita del Codice Civile del 1942 che, non a caso, ha effettuato la stessa unificazione del diritto privato, riunendo in un solo testo normativo quello dei privati con quello di commercio, prima separati.

* * *

Focalizzando l’attenzione primariamente sulla crisi d’impresa, gli interessi implicati nella stessa, che sono a base dei vari interventi normativi susseguitisi, possono riassumersi in due macro-categorie: l’interesse dei creditori e la salvaguardia dei valori aziendali3.

Il legislatore ha nel tempo modulato tali posizioni in maniera differente, rispecchiando le convinzioni e le priorità della classe politica al potere4.

Tale evoluzione è ben visibile ove si confrontino la disciplina del R.D. n. 267/1942 con il Codice della crisi e dell’insolvenza.

L’impianto originario del Regio Decreto n. 267/1942 è ben compendiato nella definizione dei grandi giuristi dell’epoca: «il fallimento è l’organizzazione procedurale della difesa collettiva dei creditori di fronte all’insolvenza del mercante, il cui patrimonio deve essere liquidato ed erogato a favore dei creditori»5.

Tre sono i caratteri salienti che si evincono dalla suddetta qualificazione del fallimento, estendibili in realtà anche ai rimedi alternativi del concordato preventivo e dell’amministrazione controllata: la natura pubblicistica delle procedure, che venivano condotte sotto la vigile egida del giudice6; la primaria attenzione alla tutela del ceto creditorio, attuata con la predilezione di soluzioni liquidatorie; l’espulsione dal mondo produttivo dell’impresa ritenuta non più in grado di operare sul mercato7.

Il fine del fallimento era l’attuazione della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. in un clima di parità di trattamento8.

All’opposto, al legislatore del 1942, restava sconosciuto il “valore-impresa”: il riferimento che la l.f. faceva all’impresa riguardava, piuttosto, il compendio dei beni materiali di cui l’imprenditore era proprietario, in linea con la centralità del concetto di proprietà nell’ordinamento del tempo.

Tali connotati hanno la loro ratio nel contesto storico in cui la L. Fallimentare ha origine: il Regio Decreto n. 267/1942 venne introdotto in pieno regime fascista, un regime che mirava all’autarchia del proprio Paese, ad una produttività che fosse sufficiente in ogni campo a soddisfare i bisogni della popolazione, un regime che dava per scontata la sussistenza di imprese grandi e solide. In un siffatto contesto, la crisi non poteva che essere concepita come un evento straordinario, come un’onta di cui si macchiava l’imprenditore-criminale9.

La suddetta impostazione entrò in crisi sul finire degli anni Settanta del secolo scorso allorché mutarono le condizioni economiche e sociali del Paese e cominciarono a sentirsi i limiti dell’impostazione liquidatoria della Legge del 1942.

È in questo periodo che si verifica un primigenio “cambio di rotta” che si esplica in una duplice direzione: il riferimento è, innanzitutto, all’introduzione di una disciplina specifica per regolare la crisi dei grandi complessi produttivi del Paese; in secondo luogo, il riferimento è al diffondersi di un «uso alternativo delle procedure concorsuali» per le imprese che non beneficiavano del regime di cui sopra 10.

Quanto al primo punto, la L. 3 aprile 1979, n. 95 (cd. “Legge Prodi”)11 - introduttiva dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese - riconobbe, finalmente, l’esigenza di tutelare altri soggetti oltre ai creditori: in primis i lavoratori dipendenti ed in secundis l’imprenditore stesso, lo Stato, la stabilità del mercato e più in generale l’economia.

Per la prima volta, dunque, si ammise che, nell’ambito della gestione dell’insolvenza dell’impresa, l’interesse pubblico è spesso nel segno della continuazione della stessa e non della sua eliminazione dal mercato.

Con riguardo alla seconda tendenza - per le piccole e medie che restavano “ancorate” alla Legge Fallimentare - si tentò di attuare una funzionalizzazione delle procedure concorsuali alla conservazione dell’impresa, con l’attribuzione di poteri di controllo ai creditori onde evitare che il risanamento fosse pagato dal ceto creditorio.

Ben presto, tuttavia, molti dubbi emersero circa l’effettiva capacità delle vigenti procedure concorsuali di contemperare i diritti dei creditori con le esigenze di prosecuzione dell’attività d’impresa.

La critica alla disciplina del fallimento e del concordato preventivo - ritenuti non più attuali rispetto al quadro politico ed economico di riferimento - si tradusse nella invocazione di una limitazione dei poteri di intervento dell’autorità giudiziaria12 e di uno spazio maggiore all’autonomia negoziale nella gestione della crisi d’impresa, incluso il ricorso agli accordi stragiudiziali13.

Queste riflessioni dottrinali e giurisprudenziali costituiscono il sostrato in cui si sviluppa la prima grande riforma della Legge Fallimentare del biennio 2005-200714 che ha come principio cardine quello di lasciare alla negoziazione delle parti la gestione delle scelte di merito, senza interferenze da parte del giudice.

Giova, tuttavia, evidenziare come, nelle intenzioni del legislatore del tempo, l’interesse dei creditori al massimo realizzo dei crediti rappresentasse ancora il principale obiettivo di tutte le procedure concorsuali: la conservazione dei valori aziendali viene introdotta come finalità strumentale a procurare ai creditori una più consistente garanzia patrimoniale attraverso il risanamento e il trasferimento a terzi delle strutture aziendali15.

Tali principi sono stati coerentemente applicati nella disciplina del fallimento, dove l’esaltazione del ruolo dell’autonomia privata si è tradotta nel conferimento di nuove prerogative al comitato dei creditori, costituente prima un organo meramente consultivo16.

Con riferimento, invece, al concordato preventivo, l’applicazione dei principi di cui sopra non è stata del tutto coerente.

Relativamente a tale istituto, la riforma del 2005-2007 è stata protesa a ridurre drasticamente i poteri di controllo dell’autorità giudiziaria sul merito della proposta ed a garantire un certo margine di autonomia negoziale al debitore, unico soggetto legittimato al deposito di una proposta il cui contenuto è ormai quasi del tutto svincolato da indicazioni cogenti circa le modalità di soddisfacimento dei creditori (quanto meno, dei creditori chirografari).

Proprio partendo da questo dato, autorevole dottrina ha sottolineato come, nel novellare la disciplina del concordato, il legislatore non abbia, in realtà perseguito prioritariamente l’interesse della soddisfazione dei creditori, ma piuttosto l’interesse dell’imprenditore-debitore, cui sarebbero riconosciuti ampi vantaggi a fronte dei perduranti svantaggi subiti dai creditori17.

Sul punto si fa riferimento alla possibilità per il debitore di soddisfare i creditori chirografari con modalità alternative al pagamento; al blocco delle azioni esecutive collegato al solo deposito della domanda (pur se condizionato alla successiva ammissione); all’efficacia del concordato omologato che si estende, indistintamente, a tutti i creditori anteriori all’ammissione; all’effetto liberatorio dalle obbligazioni residue rimaste insoddisfatte a seguito dell’adempimento del concordato.

Parallelamente, il deposito del ricorso ed il successivo decreto di ammissione del concordato continuano a produrre in capo ai creditori gli stessi svantaggi che deriverebbero loro dalla procedura fallimentare.

Il riferimento, ex multis, è alla perdita della facoltà di proporre azioni esecutive individuali e concorsuali; alla sospensione del decorso degli interessi; alla esclusione della rivalutazione monetaria; nonché sul piano pratico, all’incertezza sulle garanzie offerte circa l’effettiva corretta formazione del consenso e all’evidente difficoltà per i creditori di far valere le proprie ragioni nell’ambito della procedura. Relativamente a tale ultimo punto, si evidenzia, infatti, come nell’ambito del procedimento di concordato, a differenza di quanto accade nel fallimento, le prerogative dei creditori non sono veicolate da un soggetto che tuteli i loro interessi collettivamente considerati18.

Tali osservazioni sono nel tempo sfociate nella presa d’atto che il legislatore, con le riforme attuate nel biennio 2005/2007, avesse, in realtà, delineato una disciplina fortemente squilibrata e incoerente con le premesse di fondo.

Tale presa d’atto ha portato alla ricerca di un nuovo equilibrio tra autonomia privata ed eteronomia, tra interessi del debitore, dei creditori e dei terzi: da qui l’intervento frequente del legislatore negli anni successivi con correzioni di varia incisività e con obiettivi altalenanti.

Pur senza elencare analiticamente le numerose modifiche apportate alla Legge Fallimentare, si può osservare come le due principali miniriforme, quella del 2012 e quella del 2015, rispondano a esigenze diametralmente opposte.

Il D.L. n. 83/2012 (convertito con modificazioni dalla L. n. 134/2012) ha, dal canto suo, continuato ad ampliare i margini dell’autonomia negoziale onde consentire al debitore di regolare liberamente la propria crisi e/o insolvenza in funzione conservativa dei valori aziendali.

Risponde a tale ratio, ex multis, il riconoscimento al debitore della facoltà di depositare la domanda di concordato riservandosi di depositare la proposta, il piano e la documentazione in un secondo tempo: la previsione è rilevante nella parte in cui consente al debitore di beneficiare anticipatamente (dalla data di iscrizione nel registro delle imprese della domanda) dei vantaggi legati alla procedura, quali gli effetti protettivi sul suo patrimonio (ex art. 168 l.f.) o la possibilità di sciogliersi o sospendere i rapporti contrattuali in corso.

Parimenti significativa è, poi, l’introduzione di un meccanismo di approvazione del concordato fondato sul silenzio assenso dei creditori o l’introduzione del concordato con continuità aziendale ex art. 186 Bis l.f.

Anche questa volta, tuttavia, si era ben lontani dal raggiungere un equilibrio.

Ben presto, infatti, istanze di cambiamento giunsero dal mondo bancario a causa dell’ingente crescita dei crediti maturati verso imprese insolventi.

D’altra parte, nei fatti, la direzione intrapresa non era risultata funzionale né alla migliore realizzazione dei crediti, né alla salvaguardia dei valori aziendali.

Il D.L. n. 83/2015 (convertito con la L. n. 132/2015) ha quindi tentato di bilanciare il rapporto creditore/debitore questa volta in favore del primo: in quest’ottica va letta la fissazione di una soglia minima (20%) per il soddisfacimento dei creditori chirografari nel concordato liquidatorio e l’abolizione del meccanismo del silenzio assenso.

Questo altalenante percorso legislativo ha dimostrato la difficoltà di trovare un’adeguata soluzione che soddisfacesse tutti i diversi e, spesso, contrastanti interessi in gioco in caso di dissesto dell’impresa19.

Tale difficoltà ha portato nel tempo a mutare l’angolo prospettico dalla gestione della crisi aziendale alla prevenzione della stessa: anche su impulso del legislatore unionale, la soluzione al problema è stata, dunque, individuata nella predisposizione di adeguati strumenti giuridici volti alla prevenzione della crisi.

In realtà, si deve dare atto di come, tradizionalmente, si sia riscontrata una certa ritrosia a concepire strumenti giuridici in grado di intervenire nelle determinazioni dell’impresa quando questa desse segnali di crisi, senza ancora essere in uno stato irreversibile di insolvenza: si è già anticipato come la Legge Fallimentare del 1942 si disinteressasse all’impresa meramente in crisi, disciplinando la composizione (non della crisi ma) del più grave stato di insolvenza in sede processuale20.

Tale atteggiamento è da imputarsi alla concezione dell’impresa quale valore sostanzialmente privatistico, espressione della libertà dell’imprenditore e al timore che l’impresa, “attenzionata” dall’allerta potesse repentinamente cadere in stato di fallimento21.

Il merito del Codice sta, primariamente, nell’aver tentato di superare tali preconcetti con l’introduzione delle procedure di allerta, come punto di equilibrio prima dell’insolvenza, e di composizione assistita della crisi di natura non giudiziale.

La novella è il frutto della presa d’atto - operata da analisti e pratici avendo riguardo all’iter sopra esposto - che solo la precoce individuazione e la repentina reazione ai sintomi della crisi possa portare al risanamento e alla continuità dell’impresa, evitando la dispersione di valore spesso insita nelle procedure meramente liquidatorie22.

A ciò si è affiancata la constatazione che un tale approccio sia anche quello più congeniale al soddisfacimento dei creditori.

Il Codice apporta significative novità anche alla disciplina della gestione della crisi d’impresa, attuando un nuovo contemperamento di interessi di cui si terrà conto nei paragrafi seguenti.

Il legislatore della riforma sembra aver preso atto di alcune delle criticità che hanno tradizionalmente connotato le procedure concorsuali: la privatizzazione della crisi, tanto osannata in passato, non ha sempre fatto l’interesse dei creditori; la prededuzione ha spesso prosciugato tutte le risorse ricavate dalla procedura; l’applicazione dello stesso regime a creditori differenti ha comportato pesanti iniquità per taluni di essi e così via. Anche la reazione a tali disfunzioni sarà esaminata nelle prossime pagine.

In questo paragrafo di apertura, ci si limita ad evidenziare come il legislatore della riforma, nella predisposizione della disciplina sulla gestione della crisi d’impresa, abbia inteso il fenomeno della “crisi” d’impresa quale evento fisiologico e non straordinario, diversamente dall’impianto originario della Legge Fallimentare.

Della connotazione in termini di “normalità” dell’evento crisi è testimone l’abbandono del termine “fallimento”, sostituito dall’espressione “liquidazione giudiziale”: in tal modo il legislatore italiano si è conformato a quella tendenza, già sedimentata in altri ordinamenti di common law, volta ad evitare l’uso di un termine cui è ormai connaturata un’aura di negatività e di discredito (anche a livello personale)23.

Quella stessa “normalità” della crisi è alla base della riconosciuta priorità alla trattazione delle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un'idonea soluzione alternativa.

L’art. 2, comma 1, lett. g), della Legge Delega del 2017 - nell’ambito dei “Principi”- ordina al Governo di riformare la materia, dando «priorità di trattazione, fatti salvi i casi di abuso, alle proposte che comportino il superamento della crisi assicurando la continuità aziendale, anche tramite un diverso imprenditore, purché funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori e purché la valutazione di convenienza sia illustrata nel piano, riservando la liquidazione giudiziale ai casi nei quali non sia proposta un’idonea soluzione alternativa».

Ben si comprende, allora, come il faro di tutto debba essere sempre e comunque l’interesse al soddisfacimento dei creditori: la continuità è privilegiata nella parte in cui si sostanzi nella migliore modalità di soddisfazione dei creditori; l’interesse alla continuità può, nel caso concreto, coincidere con quello dell’imprenditore, ma ciò non costituisce un punto centrale, tant’è che la norma fa riferimento alla continuazione anche tramite un altro imprenditore.

La prima disposizione del Capo III del Codice, dedicato al concordato preventivo (art. 84) è una “norma-manifesto” stabilendo che con «il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale (concordato in continuità aziendale) o la liquidazione del patrimonio (concordato liquidatorio).

La norma è utile a chiarire un concetto chiave: l’obiettivo della riforma non è la salvaguardia della continuità aziendale tout court, ma la salvaguardia della continuità come strumento per la migliore soddisfazione dei creditori.

Ne consegue che il risanamento dell’impresa in crisi e/o il mantenimento dei posti di lavoro possano essere perseguiti se ed in quanto compatibili, ma mai contro l’interesse dei creditori stessi.

* * *

Ciò posto, si può passare all’altro versante interessato dalla novella: quello relativo alla crisi del debitore non esercente attività d’impresa o comunque non fallibile (c.d. “debitore civile”).

In merito, si ribadisce come il Codice in commento abbia inglobato e semplificato la disciplina della crisi da sovraindebitamento originariamente contenuta - secondo un regime di doppio binario - nella L. n. 3/2012 (c.d. “Legge salva suicidi”)24.

Si trattava di un corpo normativo volto a “porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento (sino a quel momento) non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali25: una procedura, dunque, rivolta ai debitori comuni, ai consumatori e ai professionisti (oltre che alle imprese cd. sotto soglia, cioè prive dei requisiti di fallibilità previsti dall’art. 1 della L.F.).

Prima dell’intervento legislativo del 2012, nei confronti del debitore civile insolvente erano esperibili le sole procedure esecutive previste dal codice di procedura civile.

Tale diverso trattamento aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 3: ma la questione è stata ritenuta infondata dalla Corte Costituzionale26, la quale aveva sostenuto la ragionevolezza della discrepanza nel trattamento, a fronte del diverso impatto che l’insolvenza dell’imprenditore commerciale provoca sulla collettività rispetto a quella di chi imprenditore non è27.

Le difficoltà economiche e finanziarie degli ultimi anni avevano, però, evidenziato la manifesta incongruità di un tale assetto: in effetti il frequente ricorso al credito non era più appannaggio esclusivo dell’imprenditore28 e non corrispondeva più al vero che l’insolvenza del debitore comune non creasse turbative29.

Parallelamente dal legislatore comunitario e da quello di altri Paesi30 proveniva lo stimolo «a liberare dalla morsa delle procedure esecutive individuali anche il debitore civile»31, sulla base della elementare considerazione per cui l’insistente azione esecutiva individuale si traduce spesso in un’inutile persecuzione nei confronti di chi è incapace definitivamente di adempiere le obbligazioni assunte.

Si consideri, inoltre, come la differenza di trattamento era acuita dalla previsione per l’imprenditore fallibile, e non per gli altri debitori, di strumenti conservativi e liquidazioni anche esdebitative32.

Ma, come, sottolinea autorevole dottrina, «probabilmente è stato proprio il dibattito circa il possibile sbocco (costituito dall’esdebitazione) di un procedimento per il sovraindebitamento che frenava una risposta al tema»33.

In altri termini, era in gioco la barriera dell’art. 2740 c.c.34, per molti ancora insuperabile con riferimento al debitore civile (per cui l’esdebitazione avrebbe potuto spingere verso un consumo irresponsabile) ma, da tempo, non più per l’imprenditore commerciale35.

Sussisteva, comunque, un’opinione diversa, di quanti vedevano nella possibilità dell’esdebitazione per tutti i debitori una soluzione apprezzabile, oltre che socialmente e umanamente, anche su quello economico, consentendo al soggetto che ne beneficia di risollevarsi: « Appariva quasi come uno sterile accanimento del legislatore la mancanza di una disciplina ad hoc capace di sistemare la crisi - magari secondo diversi modelli - arrivando, in presenza di condizioni anche severe, a una liberazione del debitore civile dai debiti residui, al fine di ripartire da zero (di qui l’espressione fresh start utilizzata in tali ipotesi) e di riacquistare un ruolo attivo nell’economia, senza restare schiacciati dal carico dell’indebitamento preesistente»36.

Più dettagliatamente, una parte di questa dottrina - favorevole alla concessione dell’esdebitazione anche al debitore civile - metteva in correlazione tre fenomeni: il libero accesso al credito, l’esdebitazione ed il sovraindebitamento, necessitanti di essere diversamente disciplinati per sopperire allo stato di crisi del tempo.

In particolare, taluni Autori (anche stranieri) evidenziavano il positivo impatto che la previsione dell’esdebitazione avrebbe avuto: probabilmente un tale beneficio avrebbe indotto il debitore civile a ricorrere tempestivamente ad una procedura di sistemazione dei propri debiti e a collaborare onestamente e assiduamente per la migliore esecuzione possibile dell’accordo. D’altra parte quella stessa previsione, avrebbe - in una fase preliminare - indotto i creditori ad una più accorta concessione del credito, non potendosi sottacere che l’assenza della esdebitazione favorisce spesso una disinvolta concessione di credito e, di conseguenza, un consumo che può diventare sfrenato con conseguente sovraindebitamento37.

A fronte di tale situazione, il legislatore era intervenuto su due fronti: su quello della prevenzione e su quello dei rimedi.

Quanto al primo ambito, con il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 - disciplinante i contratti di credito ai consumatori38 - si era riconosciuta rilevanza centrale all’informazione precontrattuale (ai fini di una responsabile assunzione dell’obbligazione da parte del consumatore) e alla verifica del merito creditizio39.

Sul piano dei rimedi, il legislatore era invece intervenuto - scegliendo di non intaccare l’impianto della Legge Fallimentare - con una legge apposita, la L. n. 3 del 2012, rubricata “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, entrata in vigore - ma con scarsa fortuna - il 29 febbraio 2012 e poco dopo modificata con la L. n. 221/2012 di conversione del D.L. n. 179/201240.

Il risultato fu un sistema articolato di procedure per la composizione della crisi da sovraindebitamento, con la previsione, per il soggetto debitore, della facoltà di concludere con i propri creditori un accordo teso a comporre la crisi: un sistema costituito da uno strumento concordatario (l’accordo41), destinato a tutti i soggetti non fallibili, da un piano42, riservato al consumatore e gestito esclusivamente dal giudice senza ingerenza dei creditori, da una procedura di liquidazione43 alla quale poteva conseguire l’esdebitazione44.

Presupposto oggettivo di applicabilità della disciplina era il sovraindebitamento (da intendersi come il perdurante squilibrio45 tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile che determini una difficoltà “importante” - attualmente e prospetticamente - ad adempiere o una definitiva incapacità ad adempiere regolarmente46), quello soggettivo era lo status di debitore47 non soggetto a “procedure concorsuali diverse da quelle regolate dal presente capo (id est ogni soggetto diverso dall’imprenditore fallibile).48

Per accedere ai benefici della legge in parola occorre, inoltre, superare positivamente il giudizio di meritevolezza49 (rimesso al Giudice) ed il giudizio di convenienza economica (rimesso, a seconda dei casi, ai creditori oppure all’Organismo di Composizione assistita della Crisi e al Giudice)50: il senso delle disposizioni era quello di evitare disinvolte assunzioni di debiti nella fiducia di poter beneficiare di un procedimento esdebitativo e di predisporre una garanzia di adempimento dell’impegno assunto con la proposta51.

Focalizzando l’attenzione sulla procedura di liquidazione del patrimonio (di cui agli artt. 14 ter - 14 duodecies), essa era proiettata – in presenza di determinate condizioni – a condurre il debitore verso il “tranquillo porto” della esdebitazione52.

La procedura di liquidazione rappresentava innanzi tutto un percorso per risolvere la crisi, autonomo e alternativo rispetto a quello costituito dall’accordo o dal piano del consumatore: il debitore che – alla luce delle condizioni presenti e di quelle prospettiche del proprio patrimonio, nonché dell’assenza di soggetti terzi finanziatori – non fosse in grado di formulare una proposta di accordo (e, se consumatore, un piano), poteva direttamente ricorrere alla liquidazione di tutto il patrimonio.

In secondo luogo, questa procedura poteva costituire lo sbocco all’insuccesso dell’accordo o del piano del consumatore.

La procedura di liquidazione costituiva, come accennato, il “lasciapassare” per l’esdebitazione, fulcro dei procedimenti per il sovraindebitamento.

La liberazione dai debiti concorsuali residui non soddisfatti integralmente - a domanda del debitore persona fisica presentata entro l’anno dalla chiusura della liquidazione53 - non era, tuttavia, né immediata, né definitiva, né “scontata” dal momento che la sua concessione, con decreto da parte del giudice in contraddittorio con i creditori - era soggetta ad una serie di condizioni fissate nell’art. 14 terdecies54.

Era evidente, in merito, la perdurante diffidenza del legislatore nei confronti di chi si trovasse in stato di sovraindebitamento: permaneva il dubbio che sotto la situazione di impotenza patrimoniale si celasse non un soggetto sfortunato bensì un truffaldino.

Veniva allora valutata discrezionalmente dal giudice la condotta del debitore: sia rispetto all’introduzione e conduzione della procedura, sia rispetto alla gestione pregressa del patrimonio e dell’indebitamento, sia rispetto al “durante”.

In altri termini, ad esser valutata era non solo l’onestà ma anche l’operosità55: per accedere al beneficio, il debitore doveva prodigarsi e quindi assumere iniziative utili per incrementare la sua liquidità onde assicurare maggiore soddisfazione dei creditori che - secondo il disposto dell’art. 14 terdecies - dovevano essere soddisfatti almeno in parte56.

In particolare, il debitore doveva aver collaborato con l’Organismo di composizione assistita della crisi e con il giudice, fornendo tutta la documentazione idonea a ricostruire le masse attive e passive e le movimentazioni del patrimonio nei cinque anni anteriori all’apertura della procedura di liquidazione (onde poter valutare se fossero stati compiuti atti distrattivi e pregiudizievoli per i creditori) e doveva aver tentato in ogni modo di condurre un’attività lavorativa.

Inoltre, a voler accentuare il profilo eccezionale e beneficiario dell’esdebitazione, l’art. 14 terdecies statuiva che l’esdebitazione fosse esclusa quando il sovraindebitamento del debitore fosse imputabile ad un ricorso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali; nonché quando il debitore, nei cinque anni precedenti l'apertura della liquidazione o nel corso della stessa, avesse posto in essere atti in frode ai creditori, pagamenti o altri atti dispositivi del proprio patrimonio, ovvero simulazioni di titoli di prelazione, allo scopo di favorire alcuni creditori a danno di altri57.

Autorevole Dottrina segnalò prontamente l’eccessiva rigidità della normativa sull’esdebitazione, evidenziando come, alla luce di tali presupposti, essa avrebbe trovato scarsa applicazione: più in generale si sottolineò la lontananza dalla più liberale concezione americana che vedeva il discharge come un passaggio necessario per assicurare il fresh start, e dunque la possibilità di ricominciare daccapo, senza condizionamenti dovuti al passato58.

Fornito un breve quadro della originaria legge sul Sovraindebitamento, è da verificare se il legislatore nel Codice in commento abbia cambiato prospettiva in un’ottica più permissiva.

Tralasciando ai paragrafi successivi la trattazione di alcune modifiche apportate alla disciplina del fenomeno del sovraindebitamento dalla novella del 2019 (che, come anticipato, ha superato il regime di doppio binario, predisponendo un Codice unico per le situazioni di crisi di ogni debitore, con principi comuni), sembra, in questa sede, potersi dare una risposta positiva con riferimento all’istituto della esdebitazione, vero fulcro portante della disciplina della crisi del debitore civile.

Tra le innovazioni apprestate all’istituto59, è prevista, infatti, per la prima volta una procedura attraverso la quale, diversamente dal passato, è possibile cancellare i debiti senza il pagamento dei creditori: la c.d. esdebitazione senza utilità o a zero incassi di cui all’art. 283 CCII, ai sensi del quale «Il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all'esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l'obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengano utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al dieci per cento. Non sono considerate utilità, ai sensi del periodo precedente, i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati».

Con tale meccanismo viene, dunque, superato il vincolo previsto per le imprese (di cui all’art. 142 l.f.), che prevedeva come condizione necessaria la soddisfazione almeno parziale dei debiti concorsuali e sembra davvero essere assicurato il fresh start sotteso all’istituto.

Si darà conto nei paragrafi seguenti delle peculiarità e delle eventuali criticità dell’istituto in parola.

* * *

Come sopra si è fatto cenno, su questo impianto codicistico il legislatore è intervenuto differendone ulteriormente l’entrata in vigore, ma poi di fatto ha anticipato gran parte delle innovazioni e dei principi del Codice, modificando in tal senso sia la L. 3/2012 con l’intervento riformatore del 2020 sia la L.F. con l’ultimo intervento riformatore del 2021. Inoltre, è stato previsto il differimento ancora più lontano nel tempo, di oltre un anno, dell’intero Titolo II inerente l’ “allerta” e la “composizione assistita”, ma poi si è introdotto con il medesimo D.L. 118/2021 lo strumento, che molti chiamano istituto ma che tale non è, della “Composizione Negoziata”, che ricalca e richiama la procedura codicistica proprio di composizione assistita svolta con l’ausilio di un “esperto indipendente”, invece dell’Organismo codicistico (OCRI), mentre poi per le imprese sotto soglia continua ad applicarsi l’Organismo (OCC) previsto dal Codice e dalla L. 3/2012, finalizzato a favorire le trattative e pervenire a soluzioni negoziali che poi, mediante la modifica della L.F., appaiono similari a quelle codicistiche rinviate. Sembra quindi che il legislatore abbia voluto adottare tale tecnica di transizione normativa per non spaventare le imprese e gli operatori dalla introduzione diretta di un Nuovo Codice, che così continuano apparentemente ad utilizzare gli strumenti separati della L.F. e della L. 3/2012, oltre che delle innovazioni del D.L. 118/2021, pur di fatto mutate nelle corrispondenti previsioni del Codice. L’unica vera novità allora consiste nell’aver bloccato il meccanismo di “allerta”, demandato agli enti istituzionali a ciò preposti, che avrebbero aggravato la deleteria situazione economica delle imprese, già debilitate dalla crisi pandemica ancora in atto, salvo poi prevedere mutatis mutandis con il detto Decreto Legge che l’Organo di Controllo Societario è tenuto a fare la segnalazione laddove rilevi la sussistenza dei requisiti per accedere a tale tentativo di composizione.

Ovviamente, poi, come sopra detto, il legislatore si è premurato con tale disciplina transitoria di prevedere dei meccanismi ad hoc, quali la rinegoziazione dei contratti divenuti squilibrati per effetto della pandemia da Covid 19, in linea con gli altri interventi di legislazione emergenziale in tema di obblighi di rinegoziazione (in particolare per i canoni di locazione), demandando poi al giudice anche il potere di rideterminare le obbligazioni (cosa veramente innovativa da un punto di vista legislativo ma non giurisprudenziale dove qualcuno già ammetteva tale possibilità sulla base della buona fede con applicazione estensiva del potere di riduzione ad equità), nonché prevedendo un “Concordato Semplificato Liquidatorio” a cui accedere solo dopo aver inutilmente esperito il tentativo di composizione negoziata ed aver verificato con l’esperto l’impossibilità di risanamento, che poi di fatto si traduce in una sorta di fallimento attenuato, mascherato da concordato (tanto è vero che il giudice può prescindere dal voto dei creditori laddove ritenga l’ipotesi migliore dell’alternativa fallimentare).

Interventi che a parere di chi scrive – e salvo smentite nel corso di questo anno – dovrebbero considerarsi specifici e non saranno presumibilmente inseriti nel Codice in pianta stabile e strutturale, soprattutto il concordato semplificato liquidatorio, pena sconfessare l’impianto stesso del Codice che poggia sul pilastro fondamentale della continuità, pur indiretta, e non della liquidazione. Invece per l’obbligo di rinegoziazione e sul potere del giudice di rideterminare le obbligazioni, non si può escludere un suo possibile inserimento strutturale, ovviamente all’esito della sperimentazione sul campo dello strumento in parola e della sua applicazione concreta.

Per tali ragioni, nel prosieguo, pur tenendo conto delle innovazioni, e pur nei limiti della presente trattazione avente ad oggetto solo l’inquadramento degli interessi, dei conflitti e dei controlli, si farà per lo più riferimento al CCII.


1.1. Interessi dei creditori e tutela del credito: espropriazione del creditore o rimodulazione della garanzia patrimoniale?

A questo punto, bisogna verificare se e come il Codice in commento abbia inciso sull’interesse dei creditori, che poi è ancora quello primario inerente le crisi.

Per ciò che attiene il versante del mondo delle imprese, sicuro impatto hanno le norme che regolano la procedura di allerta (oggi parzialmente rinviata come detto al precedente paragrafo), il risanamento e la continuazione dell’attività aziendale.

Chiunque, operatore pratico del diritto o economico, sia a conoscenza del funzionamento delle procedure concorsuali sa bene quanto possa essere lungo e spesso sconveniente, se non addirittura vano, il tentativo di recuperare un proprio credito nell’ambito del fallimento o anche di altre procedure concorsuali, soprattutto a contenuto liquidatorio, anche per una serie di spese che spesso ne diminuiscono notevolmente o assorbono completamente l’attivo, quando c’è.

Ebbene, sotto questo profilo, grande slancio rafforzativo dell’interesse del creditore proviene dal tentativo del legislatore, per la prima volta, di anticipare l’emersione della crisi, prima che possa sfociare o che sfoci nella vera e propria insolvenza, foriera di tanti problemi, anche se, per alcuni operatori spregiudicati, possibile fonte anche di opportunità di business. Ci si riferisce in particolare agli artt. 375 e 377 CCII in materia di assetti organizzativi, orientati anche alla valutazione della idoneità dei mezzi ed al rilevamento della crisi in funzione della salvaguardia della continuità aziendale, ed al complesso delle norme inerenti le procedure di allerta di cui agli artt. da 12 a 15 CCII, cioè di tutte quelle procedure che consentono, con segnalazione da parte degli organi societari o di operatori qualificati, di rilevare e far emergere la crisi, in funzione anticipatoria per la sperimentazione di tentativi di risanamento o ristrutturazione tempestivi. Come sopra detto, la detta finalità codicistica è stata confermata dal legislatore intertemporale che con il D.L. 118/2021, pur avendo rinviato le norme sull’allerta, ha poi previsto al suo art. 15 che l’organo di controllo societario (senza distinguere tra imprese sopra soglia o sotto soglia) segnala all’organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per accedere alla composizione negoziata della crisi, con una scelta temporanea di non sottoporre l’imprenditore a pressanti controlli esterni degli enti fiscali e contributivi preposti ma di autoresponsabilizzare l’organo di controllo ritenuto evidentemente più capace, a differenza dell’organo amministrativo, di effettuare una valutazione oggettiva sulla sussistenza della crisi e della possibilità di far fronte alle proprie obbligazioni, anche per la caratterizzazione professionale della figura in commento e per le responsabilità cui al contrario potrebbe andare incontro.

Infatti, a seguito di ciò, può aprirsi, con l’ausilio dell’OCRI (ma oggi con l’ausilio dell’esperto indipendente di cui all’art. 2 e seg. D.L. 118/2021), o dell’OCC per le imprese minori, una procedura di composizione assistita della crisi (oggi nel diritto intertemporale una composizione negoziata della crisi), completamente demandata agli accordi privati tra le parti, solo sollecitati o favoriti dall’Organismo o dall’esperto, con esaltazione dell’aspetto negoziale della risoluzione della crisi. In tale ambito, nessun dubbio ci può essere sul fatto che il creditore non possa subire alcun pregiudizio, nel senso che non venga compressa la sua autonomia privata, essendo egli artefice del proprio destino, salvo a voler ritenere la crisi come elemento accidentale negativo comunque verificatosi, che può rilevare sotto altri profili come eccessiva onerosità o impossibilità sopravenuta della prestazione60. Di tal ché, le sue autonome scelte di rinegoziazione degli obblighi, di differimento di scadenze o di diminuzione di importi, deriverà da una libera scelta del creditore, per quanto possa essere libera in seguito al mutato stato di cose rispetto alla deteriorata situazione economico-patrimoniale del debitore61.

Ma a ben vedere, il Codice all’art. 19 (come pure in parte, salvo quanto appresso si dirà, gli art. 5 e 11 D.L. 118/2021) non pare dettare in proposito alcuna disciplina innovativa rispetto ai medesimi risultati conseguibili in via privata attraverso l’uso di consulenti aziendali o legali, se non per il fatto che prevede la partecipazione in tal caso necessaria dell’Organismo o dell’esperto. Unica nota veramente innovativa sembra essere la previsione di cui al successivo art. 20 (replicata nell’art. 6 D.L. 118/2021), che prevede la possibilità per il debitore di chiedere ed ottenere già in tale fase misure protettive, ma di questo aspetto ci occuperemo nella parte relativa al debitore ed in quella relativa ai conflitti, di cui infra in questo lavoro. Ma ciò che rileva a mio avviso, oltre alla salvaguardia dell’interesse creditorio attuata mediante l’anticipazione del tentativo di risanamento, è il fatto che rimanga immutato il potere del creditore di gestire il proprio credito in chiave esclusivamente privatistica62, salvo solo il rafforzamento della sua posizione, e quindi una maggior tutela dello stesso, attraverso la previsione al comma 4 dell’art 19 del Codice (come pure all’art. 11, co. 1, lett. c, D.L. 118/2021) di estensione a tali accordi degli effetti previsti per i piani attestati di risanamento, primo tra tutti la sottrazione dalla revocatoria in caso di successiva degenerazione della situazione, in sede ordinaria o per apertura della procedura di liquidazione (cfr: art. 166 CCII, come già previsto dall’art. 67 l.f. solo però con riferimento a questi ultimi non essendo contemplati gli altri), salvo ovviamente il caso di dolo o colpa grave, oppure anche l’esenzione di essi dalla responsabilità penale per i reati di bancarotta (cfr: art. 324 CCII).

Del resto l’assimilazione dei due istituti, accordi in sede di composizione della crisi e piani attestati di risanamento nell’ambito della regolazione della crisi o dell’insolvenza, è presto detta ed appariva scontata, differendo in sostanza essi solo nella circostanza che nel primo caso vi è l’assistenza dell’Organismo o dell’esperto e nel secondo vi è la presenza di un professionista indipendente che ne attesti la veridicità e la fattibilità, ma in entrambi i casi si tratta di strumenti privatistici, o eminentemente privatistici, non soggetti ad alcuna omologazione o valutazione eteronoma rispetto all’assetto degli interessi voluto dal debitore e dal creditore63. Ovviamente entrambi gli strumenti devono essere orientati al risanamento dell’impresa ed al riequilibrio della situazione economico finanziaria, quindi quale causa concreta64 del relativo accordo eventualmente sindacabile, potendo a parere di chi scrive configurare quel requisito di dolo o colpa grave che la norma prevede quale grimaldello per l’eventuale revocatoria, altrimenti esclusa.

Quanto al piano attestato di risanamento, in discorso, ex art. 56 CCII (o ex art. 67, co. 3, lett. d, l.f. o ex art. 11, lett. a, D.L. 118/2021), pur nella differente formulazione rispetto al passato, ed anche rispetto alla stessa norma originaria del Codice oggetto di riscrittura, non si ravvisano particolari novità di disciplina. Innanzitutto perché la norma non regola compiutamente la tipologia di piani di risanamento, potendo essere costituiti dalle più varie tipologie e configurarsi sia come atti unilaterali del debitore sia concretizzarsi in un accordo tra le parti, come espressamente previsto dalla norma codicistica65. Si tratta in sostanza sempre di uno strumento stragiudiziale rimesso alla libera determinazione delle parti, come sopra detto quanto ai mezzi ed alle variazioni ma non quanto ai fini. Anche in tal caso, allora, non si rileva alcun sacrificio imposto al creditore che possa incidere sul suo interesse, essendo rimessa la questione all’autonomia privata del creditore, influenzata ma non coercitivamente condizionata dalla situazione di crisi. La differenza, oltre agli aspetti propriamente procedurali, starebbe nel fatto che questi, e non i precedenti accordi di cui all’art. 19 del Codice, possono riguardare non solo l’imprenditore in crisi ma anche quello insolvente. La invocata libertà delle parti e la tutela del creditore starebbe anche nella circostanza che nel Codice, a differenza di quanto previsto per gli accordi di ristrutturazione e dei concordati, di cui infra, non essendovi un controllo giudiziale attraverso la omologazione, non è previsto come per questi che in caso di non approvazione o di revoca della omologazione vi sia l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale (cfr: art. 48, comma 7, e art. 53, comma 5, CCII). Cosa che parrebbe far ritenere che nel Codice in commento vi sia in fondo una preferenza del legislatore per tali strumenti privatistici, a differenza di quelli soggetti ad omologazione o più propriamente giudiziali, sempre in funzione di anticipazione della emersione e risoluzione della crisi ed in fondo in tutela ed in rafforzamento dell’interesse del creditore.

Come accennato, invece, l’accordo di ristrutturazione dei debiti (di cui all’art. 57 del Codice ed all’art. 182 Bis l.f.), inerente l’imprenditore in stato di crisi o di insolvenza (diverso dall’imprenditore minore), rientra nelle procedure concorsuali, seppur negoziali ma soggette ad omologazione, quindi stragiudiziali (come indicato nella rubrica della Sez. II che si apre con l’art. 57 CCII) in ordine al procedimento di formazione, ma in realtà giudiziali come controllo, omologazione, effetti e rimedi.

Anche qui gli interventi legislativi hanno solo inciso sugli aspetti procedimentali, ma resta immutata la tipologia e la finalità di tali accordi, rimessi alla libera determinazione delle parti, in chiave sempre di valorizzazione dell’autonomia privata, per ricercare una soluzione ragionevole al superamento della situazione di difficoltà, come in precedenza già previsto similarmente dall’art. 182 Bis l.f.66 Infatti, tale accordo può intervenire anche solo con una parte dei creditori, che rappresentino almeno il 60%, lasciando immutati gli obblighi e le garanzie per i non aderenti o per i non coinvolti, eventualità pure possibile, pur senza perdere il connotato di procedura concorsuale67 e senza lesione della par condicio creditorum.

In proposito però forse si è persa una occasione. Infatti, per non scoraggiare l’uso di tali tipologie di accordi, forse sarebbe stato il caso di sottrarli dalla omologazione, oppure anche solo di non prevedere l’apertura della liquidazione in caso di loro rigetto o revoca, trattandosi di strumenti negoziali liberamente stabiliti tra il debitore ed i soli creditori consenzienti, al pari di quanto stabilito all’articolo immediatamente precedente per i piani attestati di risanamento, essendoci anche qui la presenza del professionista indipendente che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano, magari anche limitando l’accesso alle sole misure protettive e non a quelle cautelari. Tale scelta sarebbe stata anche più coerente con la collocazione sistematica dell’istituto nell’ambito degli strumenti negoziali stragiudiziali.

In ogni caso, anche rispetto a tale strumento, non si ravvisa alcuna compressione dell’interesse creditorio essendo il tutto demandato alla libera determinazione delle parti, a ben vedere, sia nella sua forma semplice sia nella sua forma di accordo agevolato (con percentuale abbassata al 50%), proprio perché è previsto che i creditori non aderenti o non coinvolti non subiscano alcun pregiudizio. Ed allora la scelta legislativa, semplicemente nel solco del passato, appare ancora meno comprensibile.

Il discorso rimane immutato anche laddove in tali accordi sia proposta la transazione di tributi e contributi di cui all’art. 63 CCII (similare allo strumento di cui all’art. 182 Ter l.f.), oggetto di rimaneggiamento, perché anche qui, anche se è richiesta una relazione rafforzata sulla convenienza del piano ed una specifica valutazione giudiziaria, in tale medesima forma semplice di accordo, l’assenza dell’adesione dell’Amministrazione Finanziaria o dell’Inps non consente alcun automatismo o effetto di falcidia, dovendo considerare ugualmente il creditore istituzionale come non aderente e quindi da non pregiudicare.

* * *

Discorso diverso va fatto invece per i medesimi accordi di ristrutturazione nella nuova forma dichiarata ad efficacia estesa di cui all’art. 61 CCII (ed all’art. 182 Septies l.f. come sostituito dal D.L. 118/2021), che prevede appunto l’efficacia di tali accordi, nel caso di continuazione dell’attività aziendale, anche nei confronti dei creditori non aderenti (mentre non ci possono essere creditori non coinvolti), ma la percentuale degli aderenti richiesta è più alta (75%) e i non aderenti non devono subire dall’accordo pregiudizi della loro posizione rispetto all’alternativa liquidatoria. Vi è poi una particolare tipologia di questi accordi ad efficacia estesa, di cui al comma 5 del medesimo articolo, che riguarda le banche e gli intermediari finanziari (che forse potrebbero essere definiti “ad efficacia estesa e rafforzata”) che, fermi restando i diritti degli altri creditori, come già similarmente regolato dall’art. 182 Septies, co. 4, l.f., prevede l’estensione automatica delle pattuizioni a tali creditori professionali, al ricorrere di determinati requisiti, anche in caso di accordo liquidatorio senza continuità. La medesima ratio, e per tale ragione se ne parla congiuntamente in questo punto, hanno le convenzioni di moratoria di cui al precedente art. 62 (già similarmente previste precedentemente sempre dall’art. 182 Septies l.f. vecchia formulazione, ma prima solo per banche ed intermediari finanziari ed oggi parificata con la modifica dell’art. 182 Octies l.f. ad opera del D.L. 118/2021), applicabili però in tal caso anche all’imprenditore minore, che prevedono la possibilità di fare accordi con dilazione delle scadenze dei crediti, con sospensioni e rinunce agli atti esecutivi, che sono efficaci, a certe condizioni, anche per i creditori non aderenti68.

Qui è chiaro che la prospettiva muta leggermente, come anche espressamente riconosciuto dal legislatore codicistico che ha sentito l’esigenza di specificare che tali accordi e convenzioni sono in deroga agli artt. 1372 e 1411 Cod. Civ. Ma in ogni caso non può dirsi onestamente che l’interesse creditorio venga in realtà sacrificato dalle scelte legislative. Innanzitutto la percentuale molto alta richiesta per l’efficacia estesa garantisce una quasi totalità di consensi, considerando l’intera massa dei creditori come una collettività portatrice di interessi comuni, cosa ancora più rafforzata con la loro suddivisione in classi omogenee. A ciò potrebbe obiettarsi che il creditore particolare dissenziente dovrebbe conservare l’intangibilità della propria autonomia privata e potrebbe in teoria anche preferire una soluzione diversa potenzialmente rischiosa ed a lui più sfavorevole, financo rischiando di perdere tutto il credito, pur di non rinunciare volontariamente nemmeno ad una parte del suo credito a vantaggio del debitore. Senonché così posta tale obiezione non coglie nel segno. Infatti, è previsto che i non aderenti a cui vengono estesi gli effetti dell’accordo non debbano ricevere meno della alternativa della liquidazione giudiziale. In ogni caso, sull’argomento si tornerà in conclusione di questo paragrafo, dopo aver esaminato anche le altre soluzioni negoziali contemplate dal Codice.

Va qui però specificato che il legislatore del 2021, con la procedura di Composizione Negoziata, per rimanere in qualche modo agganciato all’impostazione della L.F., seppur modificandone alcune norme, ha previsto una procedura leggermente difforme, pur essendo poi similari i fini e gli strumenti, ma che potremmo definire in parte ibrida, avendo previsto una disciplina ad hoc sulla gestione dell’impresa in pendenza delle trattative (sia all’art. 9 ma anche all’art. 12 D.L. 118/2021), sulle autorizzazioni da parte del Tribunale su nuovi finanziamenti e sul trasferimento dell’azienda, sulla possibilità di rinegoziare i contratti in corso (ex art. 10 D.L. 118/2021), anche in maniera coercitiva però previo controllo giudiziario, ed infine, cosa più atipica, sulla possibilità all’esito di trattative non andate evidentemente a buon fine di proporre domanda di concordato semplificato liquidatorio, che poi apre tutto un altro scenario para-fallimentare e di cui faremo cenno nel prosieguo.

Altro strumento negoziale, sempre soggetto ad omologazione, è quello del concordato preventivo di cui all’art. 84 e seg. CCII, non applicabile all’imprenditore minore, rimasto astrattamente sostanzialmente immutato, come strumento in sé e pe sé considerato, rispetto all’omologo istituto previsto dall’art. 160 e seg. l.f.69, seppur oggetto di modifica e di riscrittura, soprattutto in funzione di anticipata risoluzione della crisi, che non richiede più uno stato di vera e propria insolvenza, e di conservazione della continuità e degli “asset” aziendali.

Qui l’incisione dell’interesse creditorio appare di più immediata evidenza, considerando la inefficacia di alcuni atti dell’imprenditore, anche immediatamente precedenti la domanda, la indisponibilità sostanziale dell’azienda e la disciplina dei rapporti pendenti.

Nel concreto, come già indicato al paragrafo di apertura, si tratta dello strumento principale con cui l’imprenditore, a mente dell’art. 84 CCII, realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio (ma in tal caso solo con apporto di risorse esterne e con incremento rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale non inferiore al 20%), prima che intervenga o possa intervenire l’apertura della più dolorosa procedura di liquidazione giudiziale.

La procedura e la modalità di redazione del piano restano pressappoco quelle già disciplinate dalla legge fallimentare, come pure la possibilità di prevedere la soddisfazione dei creditori con ogni mezzo, quindi anche con prestazioni non in danaro ed anche con modalità non satisfattive (quale, a titolo esemplificativo, la rinegoziazione degli accordi, utilità diverse, cessione di beni, operazioni straordinarie, ecc.), con o senza assuntore, e comunque con salvaguardia dei creditori privilegiati con trattamento differenziato. Vi sono però varie novità che attengono primieramente ad una spinta rafforzata per la continuazione, diretta o indiretta, dell’attività aziendale, anche tramite affitto di azienda, anche precedente (aspetto che vedremo meglio approfondito nel paragrafo relativo agli interessi del debitore ed in quelli generali e del mercato, di cui infra), che, a mente del comma 2 del citato art. 84, è funzionale però ad assicurare il ripristino dell’equilibrio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori. Ecco quindi che si disvela che, per il legislatore codicistico, l’interesse primario da tutelare, anche attraverso la continuazione è quello creditorio, anche se, inevitabilmente, esso determina l’incisione, o meglio la soddisfazione, anche di interessi ulteriori (su cui infra), ma comunque in via secondaria. Come pure, sempre in chiave di tutela dell’interesse creditorio, si rileva che il comma 3 chiarisce che a ciascun creditore debba essere assicurata un’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, nonché che il comma 2 dell’art. 88 prevede che nell’attestazione debba essere indicata per i crediti tributari e contributivi la convenienza del trattamento proposto (ndr: ai creditori) rispetto alla liquidazione giudiziale.

Ora, al di là dello specifico funzionamento dello strumento in argomento, comprensivo anche degli adempimenti antecedenti, conseguenti e successivi, già noto agli studiosi ed agli operatori pratici, ciò che in questa sede rileva è, come era con la legge fallimentare, il meccanismo di ristrutturazione o rimodulazione dei debiti, anche tributari e contributivi, che, pur avvenendo in sede giurisdizionale, consente, con il voto solo di quei creditori rappresentanti la maggioranza semplice70 del totale dei crediti ammessi71, salvo che il credito maggioritario sia uno solo ed allora è previsto anche il voto della maggioranza per teste, di determinare effetti globali per tutti i creditori per i quali, anche se dissenzienti o astenuti, varranno le regole stabilite dal piano. Ciò ovviamente in funzione della esdebitazione della parte non soddisfatta, quindi con rimodulazione eteronoma del credito dei dissenzienti o astenuti, come espressamente previsto dall’art. 117 CCII (similarmente a quanto regolato dalla l.f.), che chiarisce poi però anche che i creditori, tutti, conservano per intero i loro diritti contro coobbligati o garanti. Ai dissenzienti o astenuti è poi concesso il potere di proporre opposizione all’omologazione, ma ciò riguarderà vizi procedurali o sostanziali della procedura o dello strumento concordatario e non certo per impedire l’estensione a loro degli effetti che comunque si produrranno qualora siano rispettate le prescrizioni legislative per la presentazione, l’approvazione e l’omologazione del concordato.

La posizione dei creditori è poi rafforzata nell’ambito della procedura dalla possibilità, in realtà già prevista seppur in modo parzialmente diverso dalla legge fallimentare, di presentare proposte concorrenti di concordato (cfr: art. 90), seppur da un numero qualificato minimo di creditori e con alcune limitazioni, oppure offerte concorrenti in ordine al trasferimento a titolo oneroso dell’azienda rispetto a quella già effettuata o proposta dal debitore (cfr: art. 91).

Una procedura orientativamente similare a questa appena esaminata, ma rivolta alle imprese cd. sotto soglia, alle imprese agricole ed ai professionisti, è poi il concordato minore del soggetto sovraindebitato, cioè in stato di crisi o di insolvenza, disciplinato dall’art. 74 e seg. CCII. (e già disciplinato, seppur in maniera parzialmente differente, dalla L. 3/2012, ma nominato accordo di ristrutturazione del sovraindebitato e proponibile anche dal consumatore, su cui nel 2020 erano state innestate già alcune norme previste dal Codice, anticipandone così l’entrata in vigore nella vacatio legis).

In tale procedura la domanda però viene obbligatoriamente presentata tramite l’Organismo di composizione (OCC) al Tribunale e non direttamente dall’impresa, che poi svolge anche le funzioni di attestazione, predisposizione e valutazione preliminare del piano. E’ chiara a tal proposito la finalità legislativa di favorire che le imprese minori accedano a tale procedura, sulla considerazione che esse, a differenza di quelle maggiori, possono avere più difficoltà a dotarsi di consulenti e professionisti che possano coadiuvarli in funzione di predisposizione di un piano.

Altra differenza sostanziale tra le due procedure è quella che il voto dei creditori silenti si presume favorevole al piano del concordato72. Qui, allora, la posizione del creditore sembrerebbe depotenziata e pregiudicata da tale possibilità, di silenzio assenso, ma, come evidenziato da attenta dottrina73, ragioni di opportunità, ed in fondo di tutela indiretta del creditore, consigliano la differenza di trattamento tra i due concordati ed il favor in tal caso, valutando che si tratta comunque di imprese minori non fallibili, che determinerebbe in realtà al contrario un pregiudizio alla concreta possibilità di recupero del credito, anche tenuto conto che il piano, come sopra detto, viene predisposto da un Organismo (OCC) terzo ed imparziale che offre, o dovrebbe offrire, garanzie di correttezza ed affidabilità, con verifica della impossibilità di soluzioni migliorative.

Ulteriore differenza e dimostrazione del favor per tale categoria di imprese minori e per i professionisti è poi la previsione di cui all’art. 80, comma 3, CCII, secondo cui il concordato è omologato anche in mancanza di adesione dei creditori tributari e contributivi, quando la loro adesione è determinante per il raggiungimento della maggioranza per l’approvazione del concordato, con la precisazione che in tal caso andrà specificata la convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria. Identica valutazione andrà poi fatta anche laddove un qualsiasi creditore contesti la convenienza del piano.

La motivazione di tutto questo favor74 per l’impresa minore ed i professionisti risiede anche nel fatto che per l’omologazione va valutata la causa dell’indebitamento e la diligenza impiegata dal debitore, proprio sulla considerazione che tali debitori, avendo minore forza nel mercato e non essendo strutturati in maniera idonea per la verifica dei flussi di cassa e dell’equilibrio economico finanziario, spesso non riescono a rendersi conto della loro reale condizione o potenzialità, ed a volte subiscono influenze esterne, per cui viene stabilita in funzione di riequilibrio una procedura facilitata e per certi aspetti accompagnatoria, pur senza pregiudicare la posizione del creditore.

A questo punto, dopo aver parlato dei due concordati previsti per le imprese maggiori e per quelle minori, va fatto un cenno ad un particolare tipo di concordato previsto dalla sola disciplina intertemporale, già sopra indicata, di cui all’art. 18 D.L. 118/2021, applicabile ad entrambe le tipologie di imprese (sia sopra soglia che sotto soglia), per espressa previsione del precedente art. 17, che è il concordato semplificato liquidatorio. Tale previsione appare dirompente, se solo si considerano tutti i riferimenti fatti in questo paragrafo alla spinta legislativa codicistica della continuità aziendale, che anzi relegava l’ipotesi liquidatoria ad una evenienza residuale e solo a certe condizioni. Invece qui addirittura sembra essere favorito l’intento liquidatorio. La spiegazione a parere di chi scrive può risiedere in due ordini di fattori: il primo è che questo particolare concordato è previsto come sbocco possibile, ma non sperato, delle trattative della composizione negoziata laddove non sia possibile accedere a nessuna delle possibilità di recupero e di ripresa, quindi quale ultima spiaggia, ma in un certo senso anche come contraltare o come ancora di salvezza per evitare il fallimento, altrimenti probabilmente inevitabile, considerata la crisi pandemica ed economica da Covid 19, accompagnata dalla previsione di sospensione temporanea delle dichiarazioni di fallimento; il secondo è che tale strumento è destinato quasi sicuramente a durare solo per il tempo di vacatio prorogata del Codice e poi presumibilmente sparirà, quindi può accettarsi come una deroga temporanea destinata ad operare in una situazione emergenziale, tanto che il legislatore non l’ha inserito né nella L.F. né nel CCII, con ciò dando un chiaro segnale al mercato ed agli operatori. Altro aspetto su cui appuntare l’attenzione, questa volta in chiave sistemica e di raccordo tra le legislazioni vecchia e nuova, oltre alla prevista nomina di un ausiliario in luogo del liquidatore, è, non solo la possibilità di proporre in via preventiva la cessione dell’azienda o di specifici beni, ma soprattutto quella della possibilità per il Tribunale di omologare ugualmente tale concordato prescindendo dal voto dei creditori, ovviamente previa valutazione che la proposta non arreca loro pregiudizio rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare, con ciò ricalcando per grandi linee anche per le imprese le disposizioni dettate per il consumatore. Infatti, qui non si tratta di superare l’assenza del voto dei creditori o il voto contrario di particolari categorie di creditori, ma si tratta mutatis mutandis di prescindere totalmente dal voto, applicando i relativi effetti a tutti i creditori, valorizzando l’aspetto di eterodeterminazione ed affievolendo l’aspetto negoziale sotteso alla fattispecie. Ma si ripete, le divergenze da scelte legislative consolidate e da un ordine sistematico si giustificano per l’eccezionalità e per la temporaneità di tale misura.

Procedendo nell’excursus delle fattispecie in esame, anche se riferito al solo consumatore e non alle imprese, bisogna necessariamente fare cenno in questa stessa sede, per i medesimi effetti per tutti i creditori, alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore sovraindebitato, disciplinata dall’art. 67 e seg. CCII. (e già in disciplinato, seppur in maniera parzialmente differente, dalla L. 3/2012, ma nominato piano del consumatore, per il quale nel 2020 è stata adottata la stessa tecnica di innesto di corrispondenti norme del Codice con effetto anticipatorio). In realtà, in tale procedura (che prima di quanto appena detto era l’unica a prevedere tale possibilità) non è proprio previsto il voto dei creditori, da cui si prescinde, essendo solo soggetta a valutazione da parte del Tribunale ed alla successiva omologazione che poi è efficace per tutti i creditori, in maniera similare a quanto visto per i creditori silenti o dissenzienti delle altre due procedure riservate alle imprese ed ai professionisti.

Ovviamente nella valutazione delle attività andrà necessariamente tenuto presente dell’importo occorrente al debitore per mantenere un dignitoso tenore di vita, pari all’assegno sociale parametrato al numero dei componenti del nucleo familiare. Come pure, in contrapposizione al favor concessogli75, andrà valutata da una parte la sua diligenza nella situazione di sovraindebitamento, non essendo possibile accedervi ove l’abbia determinata per colpa grave o malafede o frode, e dall’altra è limitata la possibilità di accedere a tale procedura a non più di due volte, con un intervallo minimo tra loro di cinque anni. Anche in tal caso, dalla proposizione della domanda è possibile ottenere misure protettive e cautelari, compresa l’esecuzione forzata ed il divieto di azioni esecutive o cautelari che potrebbero pregiudicare la fattibilità. Valgono poi regole similari al concordato minore in ordine alle contestazioni dei creditori sulla convenienza del piano.

Al di là delle differenze, procedurali o sostanziali, però, si può scorgere la sostanziale similitudine in ordine alla ristrutturazione dei debiti ed alla limitazione della garanzia patrimoniale del debitore, in funzione della esdebitazione per la parte di crediti non soddisfatta.

In tutti i casi sin qui esaminati (accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, convenzioni di moratoria, concordato preventivo, concordato minore, concordato semplificato e ristrutturazione dei debiti del consumatore) si assiste ad un intervento eteronomo, di matrice giudiziale, che conforma l’interesse del creditore, limitandolo o rimodulandolo, con una rinuncia parziale alla parte di credito non soddisfatta anche in assenza di una volontà negoziale del titolare del diritto di credito. Tale circostanza ha fatto dubitare nel passato sulla legittimità di simili previsioni ed ha fatto domandare se in realtà si compisse in tale maniera una espropriazione parziale del credito76. Infatti, il creditore particolare dissenziente (che in realtà non esiste nemmeno nella procedura per il consumatore e per il concordato semplificato dove la decisione giudiziale tiene luogo del voto dei creditori da cui si prescinde completamente) dovrebbe, come sopra detto, poter conservare l’intangibilità della propria autonomia privata e potrebbe in teoria anche preferire una soluzione diversa potenzialmente rischiosa ed a lui più sfavorevole, financo rischiando di perdere tutto il credito, pur di non rinunciare volontariamente nemmeno ad una parte del suo credito a vantaggio del debitore. Senonché, come già sopra evidenziato, tali obiezioni non colgono nel segno, essendo previsto in tutte le procedure sopra esaminate che venga fatta una valutazione di convenienza del piano e che i non aderenti (e per il solo consumatore tutti i suoi creditori) a cui vengono estesi gli effetti dell’accordo non devono ricevere meno della alternativa della liquidazione giudiziale o esecutiva.

Quindi a ben guardare non vi è in realtà alcuna rinuncia parziale al credito, ma semmai si tratta di valutare una diversa rimodulazione della garanzia patrimoniale in funzione di effettiva possibilità di realizzazione di quello stesso interesse creditorio, a seguito della situazione determinatasi con la crisi e l’insolvenza, che comporta comunque in estrema ratio il concorso e la par condicio dei creditori, anche in ordine alle rispettive cause legittime di prelazione (parità che comunque in tali ipotesi viene garantita), su quanto effettivamente ricavabile con la liquidazione giudiziale o con l’esecuzione. Secondo questo angolo prospettico, quindi, l’interesse creditorio non viene intaccato ed il creditore in realtà non rinuncia ad alcunché poiché la diminuzione patrimoniale è determinata dalla crisi e non dalla rinuncia (e poi le utilità future sono solo eventuali e la presenza di un soggetto in crisi o insolvente o sovraindebitato fa solo presumere l’aumento delle passività nel futuro, eliminando ogni dubbio di sorta ed ogni ipotesi di rinuncia reale e concreta in ordine alla garanzia patrimoniale del debitore e quindi non dall’effetto esdebitativo riveniente dalle procedure in argomento)77. In realtà, portando alle estreme conseguenze il discorso, potrebbe anche azzardarsi che, nell’ambito delle procedure concorsuali, il diritto di credito ed il corrispondente interesse, pur tutelato e valorizzato al massimo possibile della situazione di crisi, viene procedimentalizzato e modificato nei suoi termini essenziali stessi, assurgendo a ruolo di presupposto, ma forse perdendo quel connotato di diritto soggettivo perfetto che si tramuta più in una aspettativa di conseguimento del massimo possibile all’esito del relativo procedimento (come indicato infra in apposito paragrafo).

Dopo aver parlato di tali procedure, non può non farsi un riferimento in questa sede al concordato nella liquidazione giudiziale, di cui all’art. 240 e seg. CCII (già similarmente regolato dall’art. 124 e seg. l.f.), che può essere avanzato dai creditori o da un terzo, mentre il debitore può proporlo solo dopo un anno dall’apertura della procedura (disposizione che evidenzia l’intento del legislatore di favorire per lui il concordato preventivo, proprio per il rischio altrimenti di vedersi sottratta l’azienda, e di ammetterlo solo come “ultima spiaggia” per dare qualche vantaggio ai creditori rispetto ad una inevitabile e probabilmente difficile procedura liquidatoria, tanto che essi non hanno proposto tale strumento fino a quel momento). Vista la differente tempistica, possono essere offerte in cessione come utilità anche le azioni di pertinenza della massa (ovviamente perché risultanti dalla relazione del curatore già effettuata a quella data). La procedura di individuazione dei crediti è in questo caso solitamente semplificata dalla circostanza che già vi sono creditori indicati nello stato passivo, compreso quelli ammessi provvisoriamente e con riserva (ciò per l’evidente rilievo che solitamente si attende la formazione dello stato passivo prima di avanzare una proposta che potrebbe risultare inadeguata). Per l’approvazione è poi richiesta la stessa maggioranza semplice sopra vista per il concordato preventivo.

La differenza più significativa rispetto al concordato preventivo è data dalla circostanza che, per un evidente favor per l’approvazione rispetto alla inesorabile e già decisa liquidazione giudiziale, i creditori silenti vengono considerati come consenzienti, analogamente a quanto avviene per il concordato minore e per quello semplificato intertemporale.

Il funzionamento e l’efficacia del concordato omologato sono poi i medesimi di quelli stabiliti per quello preventivo, salvo il fatto che, per equità evidente, in tal caso, esso è efficace anche verso i creditori che non hanno presentato domanda di ammissione, ma essi non sono assistiti dalle stesse garanzie previste nel concordato che ovviamente non ha tenuto conto di loro.

Per il resto, in punto di interesse e tutela dei creditori, valgono per esso le stesse considerazioni sopra svolte per le similari procedure concordatarie. Anzi in tal caso deve rilevarsi come l’utilità ed il vantaggio per i creditori, silenti o dissenzienti, sia evidente, e che la loro riduzione non consegua minimamente ad alcuna reale rinuncia, data la sicura miglior sorte dei loro crediti rispetto all’alternativa della prosecuzione della liquidazione giudiziale, di cui il Tribunale deve tenere conto ai fini della omologazione. Medesimo favor che si rinviene anche nella possibilità, come in precedenza, di poter avanzare anche un’altra proposta di concordato, in caso di fallimento, di revoca o di risoluzione di questo e di riapertura della procedura di liquidazione giudiziale.

* * *

In chiusura non può non farsi riferimento in questa sede, in chiave di valutazione dell’interesse creditorio, ad una innovazione con carattere dirompente apportata per ora solo dal Codice ed ancora non entrata in vigore in materia di liquidazione controllata del sovraindebitato. Ci si riferisce in particolare alla possibilità, prevista dall’art. 268 CCII (che richiama e raccorda anche quanto previsto agli artt. 73, comma 2, e 83, comma 2), che il creditore (e anche il PM per le imprese sotto soglia) possa domandare al Tribunale la liquidazione controllata dei beni del debitore civile, ma in stato di insolvenza e non solo di crisi (così come ora previsto dopo il correttivo del 2020), salvo che trattandosi di persona fisica non emerga l’assenza di beni utilmente aggredibili (cfr: comma 3).

Si tratta a ben vedere di una rivoluzione copernicana perché in precedenza tale possibilità era prevista solo su domanda del debitore, quindi il creditore poteva solo agire esecutivamente su singoli beni oppure attendere che il debitore formulasse una proposta di accordo o piano di superamento della crisi. Dopo l’entrata in vigore del Codice invece, su iniziativa del creditore può aprirsi una procedura liquidatoria, sicuramente concorsuale, similare a quella prevista per le imprese78. Va ricordato infatti che per tali soggetti, quando svolgono attività di impresa, è anche esclusa la liquidazione giudiziale (cioè la procedura fallimentare), mentre così vi è una sostanziale, anche se non formale, parificazione delle due situazioni, con effetti sui contratti pendenti, deposito delle scritture contabili e fiscali, spossessamento sostanziale del debitore e nomina di un liquidatore ed apertura di una procedura di verifica ed ammissione dei crediti, prodromici agli atti di liquidazione e successiva distribuzione del ricavato. La similitudine poi è anche data dall’aver inserito una soglia minima dei crediti (attualmente di € 20Mila) al di sotto della quale non si può procedere con la liquidazione. L’innovazione poi è anche data dal fatto che, in tale sede, è possibile ricostruire compiutamente le utilità economico patrimoniali del debitore da liquidare, che altrimenti difficilmente sarebbe stato possibile fare da parte di un singolo creditore, in una valutazione preventiva per la scelta del o dei beni da assoggettare ad una esecuzione individuale.

La novità in parola costituisce, a giudizio di chi scrive, un vero contrappeso rispetto al favor sinora concesso al debitore civile, con rivalutazione e rafforzamento dell’interesse creditorio, prima troppo poco considerato in tali circostanze, e può costituire un grande incentivo per l’accesso alle procedure di sovraindebitamento in argomento, sinora scarsamente utilizzate (nella vigenza della L. 3/2012), per la presenza, in virtù di tale previsione, del rischio concreto per il debitore che si apra una procedura concorsuale di spossessamento e liquidazione di tutti i suoi beni.


1.2. Interessi del Debitore Imprenditore, tra aspetti premiali e limitazioni dei diritti di impresa

Correlativamente troviamo l’interesse, non necessariamente opposto e contrario, del Debitore Imprenditore, che trova nel Codice in commento, seppur indirettamente una tutela, mediata dalla salvaguardia di interessi superiori e preminenti, ma di cui comunque egli si giova.

In primo luogo, troviamo all’art. 20 CCII (nominalmente rinviato ma parzialmente replicato nell’art. 6 D.L. 118/2021) la regolamentazione delle misure protettive temporanee, a tutela del patrimonio o dell’impresa, che l’imprenditore può chiedere al Tribunale, quando abbia attivato trattative per la composizione assistita della crisi, necessarie per condurre a termine le stesse e non pregiudicarle (ad es. a seguito di azioni da parte dei creditori). Queste risultano essere innovative, perché sono anticipate alla fase delle trattative, ma dopo la richiesta e la verifica delle condizioni da parte del giudice, mentre con la vecchia l.f. era prevista la loro automatica applicazione solo dopo l’iscrizione dell’accordo al Registro delle Imprese.

Nella medesima direzione, troviamo poi le misure cautelari e protettive, di cui agli artt. 54 e 55 CCII (anch’essi rinviati ma le cui disposizioni sono parzialmente contenute nell’art. 7 D.L. 118/2021), che l’imprenditore, in aggiunta alle precedenti misure, può chiedere ed ottenere dal Tribunale nel corso del procedimento di concordato preventivo o di omologazione di accordi di ristrutturazione o di apertura della liquidazione giudiziale, ivi inclusa la nomina di un custode o il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari, richiedibili anche nel solo corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione di concordato preventivo o accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, purché risulti che vi sono trattative con una maggioranza qualificata dei creditori e sia previsto il pagamento integrale dei non coinvolti o dissenzienti.

Nello stesso solco, troviamo poi le misure premiali di cui agli artt. 24 e 25 CCII (anche in tal caso disposizioni solo nominalmente rinviate ma parzialmente replicate nell’art. 14 D.L. 118/2021) che, in maniera eterogenea e variegata, fungono da stimolo affinché l’imprenditore si attivi prontamente e tempestivamente, secondo le modalità ed i tempi indicati dalla norma, per cercare un risanamento dell’impresa, prima che si aggravi o che si trasformi in insolvenza. Tra esse, pur nella vantaggiosità indiscussa di tutte loro per l’imprenditore, ve ne sono alcune di minor impatto (la riduzione degli interessi e delle sanzioni per i debiti tributari, a certe condizioni ed entro certi limiti, ed il raddoppio dei termini per depositare la proposta di concordato preventivo o accordo di ristrutturazione) ed alcune invece molto importanti che collidono con opposte pretese ed aspettative (la limitazione delle proposte concorrenti nel concordato preventivo, con sola garanzia di soddisfacimento dei chirografari al 20% dell’ammontare complessivo dei debiti, la limitazione della responsabilità penale, con non punibilità in caso di danno di speciale tenuità o con riduzione delle pene fino alla metà in caso di soddisfazione potenziale dei creditori chirografari al 25% e danno non superiore ai 2Milioni di euro). Vi è poi la misura premiale, prevista solo dal rinviato art. 279 CCII, della esdebitazione anticipata nella liquidazione giudiziale (due anni dall’inizio della procedura, invece di tre anni).

In realtà, però, a ben vedere, non può dirsi che vi sia una tutela diretta del debitore, anche perché non si tratterebbe del soggetto da premiare per le sue condotte, anche nel caso in cui fosse un debitore incolpevole e solo sfortunato, ma è chiara la tutela anche attraverso tali strumenti soprattutto dell’interesse del creditore, onde consentire una tempestiva emersione della crisi ed una definizione con strumenti stragiudiziali, in chiave di accelerazione e maggiore soddisfazione dei crediti.

Discorso similare, ma per certi aspetti differenti, va poi fatto rispetto a quella che appare essere la innovazione di maggior rilievo ed importanza rispetto al passato, di cui si è fatto cenno ripetutamente nel paragrafo introduttivo. Ci si riferisce alla continuazione dell’attività aziendale ed alla salvaguardia dei suoi asset, di cui già si è detto essere preordinate alla migliore soddisfazione dei creditori79, che si trovano affermate e regolate in più punti nei vari istituti del Codice ed in realtà anche nel D.L. 118/2021 (ad es. alla lettera a, co. 1, art. 11, dove si prevede espressamente il requisito della continuità aziendale per un periodo non inferiore a due anni).

Tuttavia, dall’analisi delle norme codicistiche che riguardano la continuità, emergono una serie di aspetti peculiari, che dimostrano che il legislatore ha avuto molto a cuore anche la posizione e l’interesse del debitore imprenditore, data la molteplicità di valori, interessi e rapporti che ruotano intorno ad egli80.

La stessa possibilità degli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa” è subordinata ad esempio alla continuazione dell’attività aziendale, in via diretta o indiretta. A tal proposito deve rilevarsi come la novella del 2020 abbia eliminato la precedente previsione secondo cui i creditori dovevano essere soddisfatti in misura significativa o prevalente dal ricavato della continuità, rafforzando così la tutela dell’interesse alla continuazione ed indirettamente anche l’interesse dell’imprenditore.

Nel concordato preventivo la continuazione dell’attività aziendale poi connota e colora proprio il tipo, quello del concordato in continuità che appare favorito rispetto a quello liquidatorio, anche e soprattutto perché per il secondo è richiesto il necessario apporto di risorse esterne che incrementi di almeno il 10% il soddisfacimento dei crediti chirografari, che non può essere inferiore al 20% del loro ammontare complessivo. Anche se, ad onor del vero, va qui ribadito che il legislatore della riforma del 2020 ha lasciato la previsione che nel concordato in continuità i creditori devono essere soddisfatti “in misura prevalente” dal ricavato della continuità, come pure la stessa ratio rafforzativa si ritrova nella previsione che la soddisfazione dei creditori può avvenire in qualsiasi forma, quindi anche con attribuzione di crediti, o azioni o quote, o obbligazioni o anche con la prosecuzione, allungamento e rimodulazione dei relativi accordi, tutte ipotesi che appaiono effettivamente concrete e realizzabili solo in caso di continuazione dell’attività imprenditoriale.

Giusto per un raffronto e per similitudine in ordine alla continuazione, anche se parzialmente esulante dal tema qui trattato, va rilevato per completezza che, quanto invece alla liquidazione giudiziale, come già previsto dall’art. 104 e seg. l.f., il Codice all’art. 211 e seg. dichiara che la procedura non determina la cessazione dell’attività e prevede la possibilità di disporre la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa o di suoi rami, ma diversamente dal passato, con la modifica del 2020, non è più richiesto come requisito che dall’interruzione possa derivare un grave danno ai creditori, ma solo che dalla prosecuzione non deve derivare pregiudizio ai creditori. Successivamente poi l’autorizzazione all’esercizio sarà disposta previo parere favorevole del comitato dei creditori. Tali norme, in combinato disposto con quelle di cui all’art. 189 CCII, in materia di prosecuzione dei rapporti di lavoro, disvelano l’intento del legislatore di favorire la continuazione dell’attività, sicuramente in funzione della realizzazione della migliore soddisfazione dei crediti, ma anche in chiave di normale prosecuzione, che non è vista più, come in passato, come eccezionale e solo eventuale. Nondimeno, è possibile da tale impianto evidenziare la forte tutela, seppur indiretta, degli interessi dell’imprenditore a non veder travolta l’attività creata, anche se foriera di debiti, ma non anche quando sia incapace di creare flussi di cassa idonei all’autosufficienza.

A ben guardare, però, proprio il fatto che la continuazione dell’attività imprenditoriale pur ora considerata normale, ma orientata prevalentemente alla tutela dell’interesse creditorio che, se messo a rischio, può anche paralizzare l’attività, che comunque viene esercitata o controllata da una figura istituzionale nell’ambito di una procedura concorsuale, fa capire che tale procedura determina sempre una limitazione del diritto d’impresa, consentita dall’art. 41 Cost. in ragione degli interessi superiori, in ciò sostanziandosi il fine sociale cui deve essere orientata l’attività, venendo il debitore imprenditore di fatto spossessato dell’esercizio stesso, pur avendo degli effetti benefici indiretti.


1.3. Interessi del Debitore Civile (Imprenditore sotto soglia, Professionista e Consumatore)

Quanto agli interessi del debitore civile, innanzitutto è da esaminare la sfera di imprenditori e professionisti. Ovviamente, non si darà conto di quelle previsioni già sopra esaminate per le procedure a cui possono accedere anche gli imprenditori cd. sotto soglia o agricoli (accordi di composizione della crisi e piani attestati di risanamento, nonché accordi di moratoria e accordi di ristrutturazione dei debiti solo per le imprese agricole, per espresse previsioni delle corrispondenti norme del Codice).

Anche per tali operatori economici, nell’ambito del concordato minore, è prevista in via preferenziale la continuazione dell’attività imprenditoriale o professionale, tuttavia la previsione è meno rafforzata rispetto a quanto visto nel concordato preventivo, posto che in tal caso per il concordato minore liquidatorio, per cui comunque si necessita di risorse esterne, non è prevista alcuna soglia minima di sbarramento, parlando solo di aumento in misura apprezzabile della soddisfazione dei creditori, che pertanto potrebbe essere anche minimo, seppur reale e valutabile.

Si può anzi affermare con certezza che il Codice, nel disegno di ravvicinare la procedura in esame con quelle previste per le imprese non minori, diversificando invece gli strumenti riguardanti il consumatore, ha rivoluzionato il similare istituto di cui alla L. 3/2012, che originariamente non prevedeva quasi la continuazione dell’attività, anche perché riguardava una procedura a cui prima poteva accedere anche il consumatore, e poi, con le modifiche di cui al D.Lgs. 137/2020, l’ha prevista ma solo come possibilità eventuale. Il Codice, invece, come sopra detto, incentiva la continuazione, anzi facendo trasparire, come per il concordato preventivo, seppur nella differente disciplina, che la continuazione rappresenta l’aspetto preferenziale e sotto certi aspetti premiale dell’accordo. Del resto la scelta legislativa di abbandonare il vecchio nome “accordo” in favore del nuovo nome “concordato minore” fa ben comprendere come l’intenzione fosse per un sostanziale ravvicinamento delle discipline, segnando un solco con le procedure riguardanti invece il debitore consumatore.

Ed allora, ci si limiterà a tal proposito a richiamare le considerazioni critiche già avanzate in ordine all’imprenditore non minore, in tema di tutela del suo interesse e limitazione dell’attività di impresa. Qui va però rilevata la particolarità, data dal favor per tali tipi di soggetti rispetto all’impresa non minore, secondo cui l’esdebitazione per la parte non soddisfatta in esito alla procedura di liquidazione controllata o comunque dopo tre anni dal suo inizio, opera di diritto, a differenza di quanto avviene per la liquidazione giudiziale dove l’esdebitazione deve essere concessa a seguito di specifica valutazione da parte dell’autorità giudiziaria.

Per quanto riguarda il consumatore, invece, la tutela del suo interesse appare molto più rilevante. In generale, non trattandosi di impresa, si è trattato di stabilire un punto di equilibrio tra l’interesse dei creditori a conseguire la soddisfazione dei propri crediti e l’interesse del consumatore a riuscire a soddisfarli, seppur in parte, ottenendo la falcidia di questi entro i limiti del suo patrimonio residuo, con esdebitazione per la differenza non soddisfatta. Ed allora, il piano di intervento normativo, onde poter adeguatamente fornire una risposta ai diversi e contrapposti interessi coinvolti è, come non mai in questo caso, quello di verificare la meritevolezza del debitore e dall’altra parte la eventuale colpa del creditore nel determinare o aggravare la situazione di sovraindebitamento.

Nel nuovo Codice il tentativo di equilibrio sembra ben riuscito e congegnato. Il tutto, come in passato, è rimesso alle valutazioni del Tribunale, non essendo nemmeno previsto il voto dei creditori. Mentre il debitore è assistito e coadiuvato dall’Organismo di composizione della crisi (OCC). Un importante passo in avanti da parte del Codice in commento, nella tutela della posizione del consumatore incolpevole, rispetto al passato, è quello della falcidiabilità di tutti i tipi di crediti, comprese cessioni del quinto e prestiti su pegno, oltre alla previsione di una fascia di intangibilità del reddito disponibile, data da una somma occorrente al mantenimento della sua famiglia, in chiara funzione assistenziale. Ciò similarmente a quanto già avveniva in passato relativamente alla franchigia impignorabile di stipendi e pensioni pari alla pensione sociale. Parametro spesso utilizzato dal legislatore in norme assistenziali o previdenziali.

Ma l’aspetto più dirompente rispetto al passato, come già accennato nel paragrafo introduttivo del presente capitolo, è quello della cd. “esdebitazione senza utilità” di cui all’art. 283 CCII. Si tratta in realtà di uno strumento assolutamente nuovo nel panorama del diritto civile italiano. In sostanza è previsto che, seppur per una sola volta, il debitore che non sia in grado di offrire alcuna utilità ai suoi creditori, nemmeno in prospettiva futura, possa essere, per così dire, “esentato” dal pagamento dei suoi debiti, sempre che ricorrano i requisiti di meritevolezza previsti dalla norma, a seguito di uno scrupoloso controllo e valutazione di natura giudiziaria. In tal caso, forse, e solo in questo, rispetto ai casi sinora esaminati, potrebbe parlarsi in termini di una sostanziale espropriazione del credito, che travalica sia gli accordi negoziali sia un semplice potere conformativo del credito, come visto per altre procedure negoziali. Proprio perché in realtà il creditore vede azzerato il suo credito a seguito di un intervento assolutamente e squisitamente eteronomo ed impostogli dall’alto, a seguito di una procedura a cui egli nemmeno partecipa, se non nella forma della possibile opposizione al decreto (in verità, di esito alquanto incerto, salvo violazioni procedurali evidenti). E’ vero che vi è la possibilità di avere una reviviscenza del credito, qualora il debitore riceva utilità nei quattro anni seguenti, che gli consentano, almeno in parte, di far fronte ai suoi debiti, ma questa diventa una eventualità alquanto difficile e forse facilmente aggirabile, non solo perché deve trattarsi di sopravvenienze rilevanti che consentano il pagamento almeno del 10% dei debiti (che non possono consistere in nuovi finanziamenti che non sarebbero utilità), ma anche perché a presidiare tale eventualità non bastano le disposizioni dettate. Invero, se anche il debitore è tenuto periodicamente, a pena di revoca, a depositare le proprie dichiarazioni annuali sotto la vigilanza formale dell’OCC, vista la necessità di delega giudiziale per effettuare verifiche concrete sulle sopravvenienze, questo appare come un presidio troppo blando. Infatti, egli potrebbe occultare sopravvenienze o intestarli fittiziamente ad altri soggetti compiacenti, senza che l’OCC se ne accorga, non essendo prevista una fase di verifica finale. Invece, sarebbe stato forse opportuno prevedere la sola sospensione per quattro anni dell’esigibilità dei crediti e poi un monitoraggio durante tale periodo per poi solo all’esito, magari dopo un’adunanza apposita con i creditori (che potrebbero evidenziare eventuali comportamenti di frode da parte del debitore intervenuti nel corso del quadriennio), emettere dichiarazione di esdebitazione. Ma forse è il prezzo pagato dal legislatore nazionale al legislatore unionale che ha disegnato tali istituti e ne ha preteso il recepimento da parte di tuti gli Stati Membri, benché provenissero dall’esperienza e dalla sensibilità solo di alcuni di essi e non di tutti. In conclusione, quindi, si ritiene che tale strumento, così come è, appare essere troppo sbilanciato a favore dell’interesse del debitore consumatore, con grave sacrificio dell’interesse del creditore.


1.4. Tutela delle attività economiche e dei lavoratori: tra obbligatorietà della continuazione aziendale e libertà di iniziativa economica

La continuazione dell’attività aziendale, sopra vista sia con riferimento all’interesse creditorio sia con riferimento a quella del debitore imprenditore (anche di quello minore e del professionista), come abbiamo accennato, porta con sé una serie di conseguenze, spesso positive, che impattano con interessi diffusi sia dei lavoratori sia più in generale dei vari stakeholders che hanno a che fare con l’impresa stessa o con l’attività professionale81.

Di tali aspetti la Legge Fallimentare si era però parzialmente disinteressata, dando primazia al credito82 mentre il lavoro e l’attività produttiva, pure riconosciuti, non erano i valori di riferimento della disciplina, che sotto questo aspetto appariva non pienamente coerente con il dettato costituzionale che, come noto, ha anteposto, unitamente ad altri ritenuti preminenti, il lavoro83.

Il Codice in commento sembra occuparsi invece anche di tali interessi, non solo in via indiretta ma anche in alcune norme che trasudano questa attenzione del legislatore nel protegge gli interessi quanto più ampi e possibili, messi a repentaglio, a più gradi, dall’insolvenza e dalla crisi.

Innanzitutto, l’esigenza di anticipare gli effetti della crisi e di consentire un tempestivo ed utile risanamento dell’impresa, come pure il varo sin da questa fase di misure di protezione, appare considerare, accanto all’interesse del creditore, anche i detti variegati interessi, in primis quello dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro, non solo formale ma anche sostanziale, come concreta possibilità di continuazione proficua dell’attività, con ricezione delle relative retribuzioni.

Ora, rinviando alle precedenti considerazioni sulla continuazione e sugli incentivi alla stessa nelle varie ipotesi di soluzioni concordate, sovrapponibili per tipologia a quelle per la tematica oggetto del presente esame, va qui evidenziato che la tutela “rafforzata” dei detti interessi appare nettamente da quelle disposizioni, come l’art. 84 CCII, che, al comma 2, prevede per il concordato con continuità il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi precedenti la domanda, con mantenimento dei livelli occupazionali per un anno dall’omologazione; disposizione accompagnata da quella di cui al comma 3, secondo la quale la prevalenza del ricavato dalla continuità si presume sempre quando i ricavi per i primi due anni derivano da un’attività di impresa in cui sono addetti almeno la metà della media dei lavoratori dei due esercizi medesimi.

In tal caso, sembra, a parere di chi scrive, che il legislatore abbia proprio voluto “forzare la mano” inducendo l’imprenditore ed i creditori a scegliere comunque una soluzione di continuità84, imponendo poi non solo la prosecuzione dell’impresa per un anno dall’omologa ma disponendo anche la tutela dei lavoratori e la loro non licenziabilità, per ugual periodo, entro il limite minimo dei mantenimenti in servizio; circostanza che sarà valida anche, ed a maggior ragione, per la continuazione indiretta, quindi nei confronti del nuovo soggetto subentrato all’imprenditore.

Questa appare un’altra vera innovazione del legislatore codicistico, che non era proprio contemplata dalla Legge Fallimentare, e che nemmeno la giurisprudenza aveva tenuto presente, se non forse solo in quelle pronunce che chiarivano e differenziavano i concetti di “continuità aziendale” e di “continuazione dell’attività imprenditoriale”, inteso invece come modo per tenere comunque viva l’impresa85, comprensiva quindi di tutti i suoi beni e del personale, ma che certo non potevano imporre obblighi non previsti normativamente, come invece oggi introdotti.

Le medesime considerazioni sono, a parere di chi scrive, applicabili poi non solo al concordato preventivo ma anche al concordato minore, seppur ivi non se ne faccia alcun cenno testuale. Infatti, non solo una interpretazione analogica e sistematica potrebbe deporre in tal senso, ma al comma 4 dell’art. 74 vi è la previsione espressa dell’applicazione al concordato minore anche delle disposizioni di cui al Capo III del medesimo titolo, cioè di quelle del concordato preventivo, seppur con la salvaguardia della dizione “in quanto compatibili”. Ma nulla sembra far pensare che tali disposizioni in commento non siano compatibili anche ivi in punto di tutela dei livelli occupazionali.

A questo punto, allora, bisogna chiedersi se gli interventi effettuati non spostino troppo, per così dire, l’ago della bilancia, rischiando, pur per fini nobili, di comprimere troppo l’autonomia dell’imprenditore e la libertà di iniziativa economica, pure ugualmente tutelata dalla Costituzione, sembrando scorgere per tale via una velata obbligatorietà della continuazione, che nei casi di continuità indiretta, comporta anche lo spossessamento dell’imprenditore rispetto alla sua impresa.

Cambiando invece per un attimo prospettiva, sotto altra via, va esaminata la posizione degli altri interessi collaterali, diversi da quelli dei lavoratori, pure connessi con la continuazione dell’attività, che vengono espressamente considerati dal Codice.

Anche in tal caso vi è una sostanziale parificazione di disciplina nel concordato preventivo ed in quello minore in ordine alla continuazione, laddove si prevede rispettivamente all’artt. 100 CCII la possibilità di essere autorizzati a pagare i crediti anteriori per beni o servizi essenziali alla prosecuzione dell’attività, oltre che quelli in corso, e di prevedere il pagamento delle rate alle scadenze convenute del mutuo con garanzia reale sui beni strumentali, in entrambi i casi se funzionali alla realizzazione dell’interesse creditorio, oppure, similarmente, all’art. 75 CCII la possibilità di stabilire il rimborso delle rate alle scadenze convenute del contratto di mutuo con garanzia reale sui beni strumentali. Anche tali disposizioni sono state in parte anticipate dal D.L. 118/2021 (cfr. artt. 10 e 12).

Ed allora, da tali norme si comprende la tutela accordata dal legislatore codicistico, seppur solo indiretta e mediata, al mercato ed agli altri operatori economici che hanno a che fare con l’impresa, mediante la tutela specifica di tale particolare tipologia di creditori connessi a beni o servizi o strumenti necessari alla prosecuzione dell’attività.

Una impostazione similare, anche se rispondente ad esigenze completamente differenti, è poi possibile rinvenire, in un ambito diverso da quello dell’impresa, nell’art. 67 CCII in ordine al piano per la ristrutturazione dei debiti del consumatore, dove al comma 5 è prevista la possibilità di prevedere il rimborso alle scadenze convenute delle rate del mutuo con ipoteca sull’abitazione principale del debitore. Orbene, anche se in tal caso non vi è continuazione dell’attività da parte del debitore, perché ontologicamente non è un imprenditore né un professionista, ugualmente si scorge una preferenza per la “continuazione dei rapporti”, con tutela indiretta di tali creditori che poi rappresentano essi stessi il mercato e l’economia che gravita attorno all’impresa o al debitore, come le banche e che, pertanto, è essa stessa impresa da tutelare.


1.5. Procedimentalizzazione ed interessi legittimi di diritto privato

Non resta ora che tirare le fila del discorso e tentare di riannodare le diverse questioni poste sul tavolo rispetto ai vari interessi coinvolti nelle crisi, in primis quello dei creditori, nelle varie vesti86.

Si scorge infatti nel Codice (come pure nel D.L. 118/2021) la tendenza o preferenza per una procedimentalizzazione delle crisi, non solo rispetto allo svolgimento delle procedure, ma soprattutto rispetto alle vare opzioni possibili della loro gestione, sia stragiudiziale che giudiziale, seppur con un rafforzamento di quelle privatistiche.

Nell’ambito di detta procedimentalizzazione confluiscono, si sviluppano e si risolvono i vari interessi in gioco, anche in conflitto tra loro, primo tra tutti quello dei creditori alla migliore soddisfazione del proprio credito, se non a volte in realtà anche alla stessa sorte del proprio credito che potrebbe anche azzerarsi, come sopra veduto, in ordine alla esdebitazione del consumatore senza utilità.

La procedimentalizzazione in parola appare più blanda e facilmente risolvibile in ordine agli strumenti di risoluzione delle crisi totalmente stragiudiziali e fondati sul riassetto e riequilibrio degli interessi in chiave esclusivamente privatistica e senza effetti per i non aderenti87.

Ma tale procedimentalizzazione appare più forte nell’ambito delle soluzioni concordate solo in parte stragiudiziali, ma assoggettate ad omologazione, come pure in quelle totalmente giudiziali, come quelle previste per il debitore civile. La sostanza però, nell’uno o nell’altro caso, non muta. Si assiste ad una rimodulazione della garanzia patrimoniale in funzione del concreto soddisfacimento dei crediti88.

Nell’esaminare la questione, come sopra visto, si è rigettata la teoria della espropriazione del credito, per la parte non soddisfatta, se non solo per l’ipotesi residuale ed eccezionale della esdebitazione del consumatore senza utilità.

Parimenti, si è rigettata la teoria della rinuncia, volontaria o imposta, alla parte del credito non sodisfatta, perché non soddisfabile sulla base del patrimonio disponibile, anche in chiave di sviluppo futuro dell’insolvenza, dovendo ravvisarsi la falcidia nella crisi stessa che ha privato il creditore di quella parte del credito e non invece nel provvedimento di omologa che regola o che estende gli effetti per i creditori silenti o dissenzienti.

In realtà, come sopra si è tentato di fare, la categoria sembra spiegabile solo delineando la posizione soggettiva giuridica del creditore in termini di interesse legittimo di diritto privato89, come affievolimento del suo diritto soggettivo a seguito della crisi o dell’insolvenza90, debitamente accertate, e non invece solo in seguito al provvedimento dell’autorità. Tale provvedimento infatti si atteggia a mera applicazione delle norme e dei principi, che sono poi la soluzione, alternativa alla mera e più sconveniente liquidazione giudiziale, delle crisi.

La procedimentalizzazione, come tutti i similari procedimenti che convogliano interessi molteplici e generalizzati, si pone come lo strumento attraverso il quale i singoli interessi trovano soddisfazione, ma ciò non significa che la trovano in maniera integrale ed alla stessa maniera. Essa invece, proprio perché riguardante una generalità di consociati, in chiave di interessi collettivi (in particolare i creditori, ma anche i lavoratori, il mercato, il debitore stesso e gli altri stakeholders), ed anche perché si esplica attraverso una procedura giudiziale o para-giudiziale, avente natura, connotati e finalità di una gestione amministrativa per pervenire ad un provvedimento regolatorio degli assetti e non di condanna91, similarmente alle procedure di volontaria giurisdizione non contenziosa (se non per certe appendici che ne sono autonomi risvolti in chiave giurisdizionale), inerisce ad una pubblica funzione ed è da considerarsi come una procedura di diritto pubblico. Tanto che, ad esempio, gli organi della procedura sono considerati pubblici ufficiali e ne rispondono secondo le specifiche disposizioni e non come semplici professionisti. Come pure i provvedimenti del Tribunale di disposizione in ordine alla continuazione dell’attività, al pagamento delle spese correnti e delle rate di mutuo, alla gestione dei rapporti di lavoro, poi concretamente svolti dagli altri organi professionali della procedura, si configurano come atti giurisdizionali di natura eminentemente amministrativa.

Tale procedura amministrativa è poi retta, come avviene per tutte le amministrazioni, in chiave di esplicazione dell’art. 97 Cost., dal principio di legalità, formale e sostanziale, che nel caso specifico riguarda la corretta applicazione delle norme e dei principi dettati dal Codice in commento (anche se oggi recepiti dal D.L. 118/2021, dalla L. 3/2012 e dalla L.F.).

A seguito della crisi e della conseguente procedimentalizzazione della stessa, gli interessi privatistici si trasformano92, dal diritto al conseguimento del bene della vita oggetto del negozio giuridico alla aspettativa di diritto al conseguimento del miglior risultato possibile al termine del procedimento, quale serie concatenata di fasi per pervenire al provvedimento conclusivo.

Del resto, tale affievolimento è regolato direttamente per i creditori dalla legge, ed oggi in maniera molto più complessa e completa dal Codice in commento, che prevede la falcidiabilità dei crediti entro alcuni limiti (ad es., 20% o 30%), con ciò sancendo quindi, nei casi esaminati, che il diritto del creditore si è ridotto dal suo originario 100% alla misura minima indicata, mentre si è affievolito in un interesse legittimo di diritto privato per il conseguimento della eventuale misura maggiore spettante a seguito della procedura ed in esito alla stessa. Ciò, poi, anche indipendentemente dal fatto che si pervenga ad una definizione concordata di tipo negoziale, oppure che tale soluzione finale sia poi eteronoma e calata dall’alto, parzialmente (per i creditori assenti o dissenzienti a cui si estendono gli effetti) oppure anche totalmente (nei casi in cui si prescinda anche dal voto dei creditori), perché ciò che importa e che resta è l’effetto di conseguimento del massimo possibile in ragione della crisi.


2. Conflitti nelle soluzioni concordate delle crisi

Dopo questo lungo excursus degli interessi coinvolti dobbiamo ora spostare la nostra attenzione a quelli che sono i conflitti derivanti dalle soluzioni concordate delineate dal Codice in commento, che poi rappresentano, potremmo dire, l’altra faccia della medaglia dei corrispondenti interessi.

E’ chiaro, infatti, che a seguito della crisi, gli opposti interessi che rinveniamo nelle soluzioni concordate si pongono tra loro in conflitto in quella che appare la sede che la legge ha deputato come preferenziale per la loro sintesi e la loro soluzione93.

Innanzitutto, all’art. 4, comma 2, CCII, troviamo tra i principi testualmente citati quello in base al quale il debitore ed i creditori, nell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e anche durante le trattative, devono comportarsi secondo buona fede e correttezza.

Questa che potrebbe sembrare una dichiarazione scontata, potendo rilevarsi gli stessi limiti e la stessa regolamentazione anche nelle norme del Codice Civile in materia di trattative, conclusione, interpretazione ed esecuzione dei negozi giuridici in generale, disvela come il legislatore abbia ben chiara la confliggenza degli interessi tra questi due soggetti, quali principali attori delle crisi, in quella che è una nuova normativa che delinea un diverso assetto rispetto al rapporto originario tra essi, valorizzando anche possibilità per il debitore capaci di influire negativamente sui diritti e sulle prerogative dei creditori, come anche al contrario. E’ quindi necessario un rinnovato impegno ad attenersi ai detti principi di correttezza e buona fede per non sacrificare il tentativo di composizione stragiudiziale della situazione creatasi e le possibilità di un nuovo riequilibrio di quegli stessi interessi.

Del resto, l’esigenza di adoperarsi fattivamente e con un comportamento proattivo, non solo del debitore e del creditore, ma anche degli altri potenziali interessi in conflitto, si rinviene anche nel comma 3 del medesimo articolo, secondo cui i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e di composizione assistita delle crisi, con gli organi delle procedure giudiziali e di rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.


2.1. Conflitti tra debitore e creditori (aderenti e non aderenti)

Il conflitto tra il debitore ed i suoi creditori trova origine nel rapporto giuridico tra essi intercorrente, che vede il primo in posizione di soggezione rispetto ai creditori in chiave di soddisfacimento del loro interesse. Con la crisi, però, si passa da un conflitto di mero fatto e di tipo astratto e potenziale ad un conflitto reale in ragione della scarsezza dei mezzi di soddisfazione e di adempimento94, nonché in ragione degli strumenti e degli equilibri legislativi per la soluzione della crisi. Ora, lasciando da parte le questioni inerenti gli accordi e la possibile falcidia dei crediti, già sopra esaminati nell’ambito della disamina degli interessi, bisogna concentrarsi sugli ulteriori profili di conflitto che emergono nella gestione della crisi e nelle sue soluzioni.

Il Codice in argomento si preoccupa, come già visto in precedenza, di istituire misure protettive e cautelari che consentano al debitore di intavolare e di proseguire trattative con i creditori volti alla definizione della crisi. L’aver anticipato la possibilità di accedere a tali misure anche nella fase di allerta e di trattative completamente stragiudiziali e negoziali, rappresenta un forte incentivo in funzione riequilibrativa degli interessi e delle forze in gioco. Tuttavia fin da queste misure è possibile rinvenire il conflitto sussistente tra la possibilità del debitore di accedervi ed i creditori che si vedono così limitati nella possibilità di agire per il soddisfacimento dei propri interessi o di proseguire le azioni eventualmente già intraprese, anche e soprattutto in executivis, ma anche solo di intraprendere azioni cautelari. Tanto è vero ciò, che per accedervi ed ottenere tali misure protettive da parte del debitore è necessario proporre una apposita domanda al Tribunale, che può rappresentare una tutela al sacrificio imposto all’interesse dei creditori qui compresso, proprio perché con esse si tende a perseguire il superiore bene costituito dall’effettivo approdo ad una soluzione concordata che consenta il miglior soddisfacimento possibile del medesimo interesse creditorio.

Altro aspetto di grande conflittualità a cui il Codice cerca di dare una risposta è quello dell’uso distorsivo delle domande di soluzione delle crisi, presentate non per risolvere effettivamente la questione ma per fini dilatori. Ci si riferisce in particolare alla possibilità di presentare domande di concordato cd. “in bianco” o “prenotativo”, cioè con riserva di presentare il piano, già previste dall’art. 161 l.f., che addirittura da la possibilità al debitore di presentare nel corso del biennio della procedura anche altra proposta concordataria modificativa, anche in bianco, sfiancando i creditori e soprattutto privandoli nelle more della possibilità di agire e soddisfare il proprio credito, con ulteriore rischio di aggravare nel frattempo la posizione e di azioni sperequative e di frode in loro danno, difficilmente recuperabili, stante l’impossibilità nelle more di procedere con la domanda di fallimento (liquidazione giudiziale)95.

Il Codice in commento, all’art. 44, conserva la possibilità per il debitore di proporre domanda riservandosi di presentare il piano, ma agisce proprio su questo elemento di conflitto, riducendo di molto i tempi, prevedendo che ciò debba avvenire entro sessanta giorni prorogabili fino ad ulteriori sessanta. Inoltre, all’art. 47, viene stabilito che la modifica della proposta da parte del debitore possa avvenire solo in presenza di “mutamenti delle circostanze”, che devono essere sussistenti e provati e su cui il Tribunale è chiamato a pronunciarsi.

Altro aspetto conflittuale tra debitore e creditore riguarda poi le “proposte concorrenti” di concordato, già previste nella Legge Fallimentare, che si possono avanzare nel concordato preventivo, come anche nel concordato nella liquidazione giudiziale, e pure possibili (anzi auspicabili), anche nel concordato minore96, anche per il richiamo ivi fatto, in quanto compatibili, alle norme su quello preventivo.

Tale conflitto è così sentito dal legislatore che nel nuovo Codice, all’art. 90, vengono posti dei limiti alla ammissibilità delle stesse. Innanzitutto è prevista una qualificazione soggettiva del creditore che per presentare una proposta concorrente di concordato deve rappresentare almeno il 10% della massa. Tale limite è evidentemente posto a salvaguardia dell’imprenditore rispetto alla possibilità che suoi concorrenti di mercato abbiano interessi a rilevare o estromettere un proprio competitor, anche se i rischi non sono del tutto scongiurati, prevedendo la norma la possibilità che tale percentuale sia raggiunta anche per effetto di cessioni di crediti, anche in corso di procedura. Ancora, va precisato che il legislatore ha previsto anche la impossibilità per il debitore di presentare proposte concorrenti, anche attraverso interposta persona, vietando in automatico l’ammissibilità di proposte provenienti dal coniuge, dalla parte di una unione civile, dal convivente, da parenti o affini e da parti correlate (quindi anche società da questi partecipate o controllate).

Inoltre, è prevista una inammissibilità automatica della proposta concorrente, che non può proprio essere formulata laddove la proposta del debitore assicuri il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare dei crediti chirografari. Percentuale di salvaguardia che si abbassa al 20%, come già detto, come misura premiale ed incentivante, per il debitore “solerte” che abbia tempestivamente richiesto la procedura di allerta o avviato la composizione assistita.

Tuttavia, tale salvaguardia legislativa è in qualche modo mitigata dalla espressa previsione dell’art. 91 CCII, in materia invece di “offerte concorrenti”, riguardanti la cessione dell’azienda o di suoi rami a terzi già individuati nell’ambito della proposta di concordato. In tali casi, il debitore deve riformulare la proposta di concordato rispetto alle maggiori o diverse utilità rivenienti dall’offerta concorrente97. Quindi attraverso una offerta concorrente inerente l’azienda il creditore può di fatto ottenere per tale via una sorta di “modifica concorrente” alla originaria proposta di concordato del debitore, che è in grado così di condizionare, anche pesantemente, pur quando non possa tecnicamente presentare una vera e propria proposta concorrente di concordato.

Ancora, altro aspetto di grave conflitto tra i due soggetti in discussione appare essere quello della “valutazione del merito creditizio” del debitore da parte del creditore finanziatore rispetto alla situazione degenerata poi nel sovraindebitamento, di cui agli artt. 68, comma 3, e 76, comma 3, CCII, rispettivamente in ordine alle procedure di ristrutturazione dei debiti del consumatore e di concordato minore dell’imprenditore sotto soglia e del debitore civile, escluso il consumatore. Norme che, in realtà, sembrano dettate per i soggetti finanziatori professionali, quali banche, istituti di credito, finanziarie ed intermediari98.

In sostanza, ci si è resi conto che, soprattutto rispetto a tali categorie di soggetti debitori, a differenza delle imprese non minori dotate di maggiore forza contrattuale, addirittura il comportamento del creditore può esso stesso aver creato la crisi da sovraindebitamento o averla aggravata quando, concedendo credito senza rispettare le norme in materia di valutazione della situazione del soggetto finanziato, abbia inciso sullo squilibrio inducendolo ad ulteriore indebitamento.

Ed allora nel Codice, all’art 69, comma 2, per i consumatori, come pure all’art. 80, comma 4, per il concordato minore, il legislatore, in maniera similare, si è premurato di stabilire che il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione o il suo aggravamento o che ha violato i principi sulla valutazione del merito creditizio non possa presentare opposizione o reclamo in sede di omologa per contestare la convenienza della proposta99.

Ma in realtà, così posta la questione, il rischio è di generare grandi conflitti con i finanziatori istituzionali che potrebbero in via preventiva innalzare di molto i requisiti di accesso al credito, onde non incorrere in simili problemi, con possibilità di avere per altro verso effetti distorsivi del mercato del credito. Ciò anche tenuto conto che, laddove si sia contribuito a determinare o ad aggravare la situazione di sovraindebitamento, il danno che si crea sarebbe in primis a quello stesso soggetto finanziatore che rischia di perdere concrete possibilità di recuperare il proprio credito. Quindi è auspicabile che poi, nell’interpretazione pratica, gli effetti di tali norme siano mitigati, censurando solo quelle condotte che, valutate rispetto agli altri crediti della massa passiva, si configurino come veri e propri abusi in danno di altri creditori.

In ultimo, sempre con riferimento al debitore civile (consumatore, imprese sotto soglia e professionisti), si evidenzia il potenziale conflitto derivante tra creditori e debitore dalla previsione di una certa soglia minima di intangibilità, sia nel piano di ristrutturazione sia nel concordato minore sia anche nella esdebitazione senza utilità, dato dall’importo necessario al debitore ed alla di lui famiglia per mantenere un dignitoso tenore di vita.

Tale parametro viene specificato solo con riferimento alla esdebitazione del sovraindebitato incapiente, di cui all’art. 283 CCII, che lo commisura all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro dato dal numero dei componenti il suo nucleo familiare, ovviamente tenuto conto degli eventuali apporti reddituali da parte di suoi componenti, mentre nelle altre fattispecie indicate esso risulta sganciato da qualsiasi parametro oggettivo.

In sostanza, anche se non è specificato alcun limite, appare chiaro che anche nelle altre procedure andrà detratta dal reddito/profitto disponibile (per la soddisfazione dei crediti) una quota per i bisogni della famiglia, che poi il giudice dovrà valutare come congrua o meno ai fini della omologazione del relativo piano. Ma allo stesso modo, è chiaro che una simile previsione, così generica, acuisce il conflitto tra il debitore ed i creditori, perché questi ultimi invece tenderanno a limitare le esigenze della famiglia del debitore per avere un importo mensile più elevato su cui contare per il ripianamento dei debiti. Forse una soluzione pratica, nel silenzio della legge, potrebbe essere quella di ritenere come estensibile per analogia il parametro di cui al richiamato art. 283, eliminando in radice ogni contestazione sulla sua quantificazione e ritenendo come canalizzato al piano ed al soddisfacimento della massa ogni altra eventuale entrata eccedente.


2.2. Conflitti tra creditori in generale e tra creditori di diverse classi

La categoria dei creditori, che apparentemente può ritenersi unitaria in rapporto al debitore, può risultare invece nelle crisi estremamente eterogenea e porre in evidenza gravi conflitti tra essi100.

Innanzitutto, ed in via generale, bisogna considerare il conflitto, in realtà più potenziale che reale, tra i creditori coinvolti e quelli non coinvolti nelle trattative stragiudiziali. Inoltre, vi è poi il conflitto, questa volta invece reale, tra creditori aderenti, che decidono di accettare la proposta del debitore, e creditori silenti o dissenzienti, i primi che in realtà scelgono di rimettersi alla maggioranza o alla procedura ed i secondi che invece ritengono la proposta non conveniente. La soluzione di tale conflitto è risolto dalla legge, oggi come allora, rispetto alle procedure necessarie ed alla modalità di espressione del voto.

Tuttavia, vi possono essere dei casi particolari che vale la pena esaminare.

Va infatti considerato, al di là ed al di fuori di eventuali comportamenti distrattivi, dissimulanti o di frode da parte del debitore, che tra i creditori vi possono essere delle realtà riferibili in qualche modo allo stesso debitore o compiacenti con lui, che possono aver acquistato il credito anche dopo la crisi in previsione della procedura, quindi tali da falsare il gioco delle parti e cercare di far “passare” delle proposte in realtà sconvenienti per tutti gli altri creditori. Il Codice in commento, in tutti i procedimenti di soluzioni delle crisi che prevedono il coinvolgimento e la consultazione dei creditori ai fini della successiva omologazione (concordati nelle varie forme, anche minore)101, chiarisce che dalle votazioni sono esclusi tutti quei creditori, che in qualche modo si presume possano essere espressione indiretta del debitore medesimo o sue persone interposte, tali da falsare le votazioni, come il coniuge, la parte di una unione civile, il convivente, i parenti o affini, le società controllate da o controllanti quella del debitore e quelle sottoposte a comune controllo (cfr: rispettivamente, artt. 79, comma 2, 109, comma 5, e 243, comma 5).

Inoltre, vi possono essere creditori genericamente in conflitto di interessi tra loro o con la massa, perché ad esempio coinvolti in particolari rapporti commerciali o professionali con l’attività esercitata dal debitore, oppure per la loro particolare posizione nell’ambito della procedura, ad esempio perché hanno presentato una proposta concorrente di concordato. Ma la casistica a tal proposito potrebbe essere molto ampia. Già in passato, sotto l’egida della vecchia Legge Fallimentare che nulla disponeva in merito, si erano verificati casi simili ed il relativo conflitto di interessi era stato risolto di volta in volta per via giurisprudenziale102, ammettendo ovvero negando al voto il singolo creditore interessato. Con il Codice, invece, negli stessi articoli sopra appena indicati, viene espressamente previsto che dal voto sono esclusi i creditori in conflitto di interessi, con ciò risolvendo in radice la questione. Anche se poi, al di là dei casi sintomatici, resterà da chiarire caso per caso quando un soggetto possa ritenersi in conflitto di interessi, auspicando che la valutazione venga effettuata, come in passato, riguardo ai casi di conflitto concreto e non solo potenziale o eventuale, per non rischiare di cadere in un altro paradosso e per garantire la maggiore partecipazione possibile della comunità dei creditori. Quindi a ben vedere sotto tale aspetto l’innovazione è meno dirompente perché, anche se è stato chiarito che chi è in conflitto di interessi non può votare, resta l’interrogativo di fondo, non risolto, di quando poi effettivamente un creditore debba essere considerato in conflitto di interessi.

Sicuramente non sono esclusi poi dal voto, anche se il Codice si premura di effettuare un riequilibrio di assetti, quei creditori che, per la particolare posizione di forza nell’ambito della massa, per la natura o per l’ammontare del loro credito, possano ritenersi in conflitto potenziale di interessi. Innanzitutto, per il concordato minore, l’art. 79, comma 1, CCII, prevede che, se un solo creditore ha la maggioranza dell’ammontare dei crediti, il voto deve riguardare non solo la percentuale dei crediti ma anche la maggioranza delle teste dei creditori, all’evidente fine di evitare che un solo soggetto sia in grado, accordandosi con il debitore e magari ricevendo un trattamento differenziato, di qualsiasi natura, di orientare la scelta del giudice di omologare il piano concordatario. Analoga previsione non è contemplata nel concordato preventivo ed in quello nella liquidazione, per l’evidente considerazione, già espressa anche in precedenza, secondo la quale le imprese non minori danno (o meglio dovrebbero dare) maggiore garanzia di consapevolezza e capacità di autocontrollo, operando nel mercato con una serie di interlocutori e scongiurando di fatto tale possibilità. Tuttavia, si auspica che nella realtà, qualora si dovesse realizzare una simile ipotesi, il potere di contemperamento del magistrato in fase di omologa o nella successiva fase di opposizione o reclamo, possa costituire un valido riequilibrio perequativo.

Quando invece la natura del credito si pone come elemento di dissonanza e di contrasto, e quindi di potenziale conflitto con gli altri creditori, la soluzione adottata, in linea con l’esperienza passata, è quella della suddivisione in classi, cioè, come noto, la costituzione di gruppi di creditori aventi crediti omogenei o similari, che dovrebbero, almeno in linea teorica, essere portatori di interessi comuni103. Allora, in tali casi, si nota come il conflitto, in realtà, può riguardare le classi dei creditori e più difficilmente i creditori tra loro nell’ambito della stessa classe104, e quindi la disciplina normativa tende a regolamentare i rapporti tra le differenti classi al fine di scongiurare l’ipotesi che una di queste sottocategorie possa rivelarsi “tiranna” rispetto ad altre.

E’ il caso, ad esempio dei crediti degli operatori bancari e finanziari che, avendo spesso garanzie ulteriori, anche da parte di altri soggetti (spesso soci e loro familiari, con i loro eventuali patrimoni) verso cui continuano a conservare le azioni per l’intero ammontante spettante non inciso dall’accordo di soluzione della crisi, potrebbero allora più facilmente accettare (se non spingere per) una soluzione negoziale, avendo spesso anche quote rilevanti della massa dei crediti, per l’ottenimento di una parte in quella sede e la differenza verso i garanti, con buona pace dei creditori del solo debitore in crisi che dovranno accontentarsi della parte non falcidiata.

A fronte di tale eventualità il Codice in commento appresta una serie di soluzioni. Innanzitutto, all’art. 61, per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, al comma 5, come già visto in altro paragrafo precedente, dispone che se un’impresa ha debiti in prevalenza verso banche ed intermediari finanziari, essi vanno collocati in una apposita classe, ai quali poi possono essere estesi gli effetti degli accordi anche senza garantir loro un ricavato analogo a quello della liquidazione giudiziale, quindi con un trattamento potenzialmente deteriore.

Inoltre, il Codice, agli artt. 79, 109 e 243 (già sopra indicati), in materia di concordati (nelle sue varie forme: minore, preventivo e nella liquidazione giudiziale), prevede similarmente, come già fa la l.f. (ma non per quello minore che non è ivi proprio regolato), che i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, per i quali la proposta preveda la loro soddisfazione integrale, non sono computati ai fini del calcolo delle maggioranze, se non rinunciano alle loro garanzie. Con la ulteriore precisazione che tali creditori, quando il piano prevede la loro soddisfazione solo parziale, sono considerati chirografari per la differenza. Anche in tali casi, quindi, il Codice prende atto del conflitto con questi creditori differenziati, che, proprio perché più garantiti, e spesso destinatari di una soddisfazione integrale o quasi integrale, possono spingere per una soluzione concordataria a discapito degli altri meno garantiti e pertanto il loro voto, detto in soldoni, deve necessariamente non pesare o pesare meno.

In conclusione di questo paragrafo, avendo appena parlato di crediti con cause legittime di prelazione, non può non farsi cenno, anche se non rientrerebbe propriamente nel discorso, alla posizione di conflitto dei creditori con i garanti in questione e con i coobbligati in generale. Infatti, come più volte accennato in questo capitolo, i creditori, anche dopo una soluzione della crisi con il debitore principale, conservano intatta la loro posizione nei confronti di questi soggetti (salvo diversi accordi), che hanno in realtà, soprattutto i primi, un interesse uguale e contrario a quello del debitore. Essi cioè in linea teorica dovrebbero essere sempre contrari a definizioni parziali dei crediti, che poi li lascerebbero esposti nei confronti di quegli stessi creditori parzialmente insoddisfatti, senza possibilità di agire in rivalsa essendosi prosciugato nel frattempo il patrimonio del garantito, non potendo essere ritenuti creditori se non dopo aver pagato il creditore. La cosa, che appare a prima vista avere solo un rilievo fattuale, è però di grande rilevanza, poiché non può non segnalarsi il differente trattamento riservato dal legislatore codicistico a tali garanti e coobbligati fondato sulla circostanza che essi siano o meno familiari del debitore, e poi a seconda della qualità soggettiva e dimensionale del debitore, avendo previsto l’art. 66 CCII solo per i sovraindebitati non fallibili (siano essi consumatori, professionisti, imprese minori o agricole) la possibilità che i parenti e gli affini entro un certo grado, oltre che ovviamente i conviventi e le parti di una unione civile, possano presentare un unico progetto di risoluzione della crisi, se conviventi o se il sovraindebitamento ha un’origine comune. Ora, in linea di massima, potrebbe apparentemente sembrare giustificata una differenziazione sul criterio della parentela, tuttavia essa non tiene conto che si tratta comunque di garanti o di coobbligati del debitore, quindi aventi in realtà una posizione omogenea, quando l’indebitamento ha una origine comune, perché in realtà in tal caso il rapporto di parentela assurge a mero presupposto di fatto. Inoltre, la disparità appare maggiormente inspiegabile quando, in caso di garanti o coobbligati parenti del debitore, la disciplina è prevista solo per il debitore civile e non per le imprese non minori, posto che anche queste molto spesso sono di tipo familiare ed accedono al credito sulla base della solidarietà tra parenti. Si spera allora, almeno in tali casi, che i tribunali vogliano sopperire almeno parzialmente a questa che appare una vera e propria disparità, consentendo il conseguimento degli stessi effetti sostanziali della norma riguardante i sovraindebitati, in via indiretta, anche ai familiari degli imprenditori non minori, attraverso lo strumento in sede processuale della riunione delle distinte procedure e la loro trattazione congiunta, anche laddove proposte a differenti tribunali, poiché comunque, come previsto dal Codice nelle procedure familiari regolate, le masse attive e passive rimangono distinte. Quindi si tratta in realtà di connessione oggettiva e solo parzialmente soggettiva, dettata da forti motivi di opportunità e di giustizia.

Ora, il legislatore intertemporale, con l’art. 20 D.L. 118/2021, nelle varie modifiche alla l.f., si è premurato di introdurre l’estensione ai coobbligati ed ai soci illimitatamente responsabili dell’efficacia degli accordi, sotto forma di previsione espressa di applicabilità dell’art. 1239 c.c. (inerente l’estensione delle rimessioni di debito ai fidejussori), ovviamente solo con riferimento ai creditori che hanno concluso gli accordi, mentre quelli ai quali l’accordo è stato solo esteso conservano i loro diritti intangibili verso i coobbligati. Probabilmente tale intervento riformatore potrebbe rappresentare una delle possibili modifiche al Codice da apportare prima della sua definitiva entrata in vigore.

Non vanno invece considerati in questa sede, perché in realtà costituenti meri interessi oppositivi di fatto e non di diritto, tutte quelle altre posizioni di conflitto tra i creditori, ad es. quando si tratta di crediti ipotecari nei 90 giorni precedenti che rischiano di vedere travolta la loro garanzia dall’approvazione della soluzione concordataria (che quindi hanno interesse ad avversarla), oppure al contrario la posizione dei crediti anteriori che nella continuità possono essere soddisfatti in via prioritaria quando sono inerenti a beni e servizi essenziali per l’impresa (che quindi hanno invece interesse alla approvazione), oltre a tutti gli altri innumerevoli casi possibili, la cui soluzione ad essi sarà, di volta in volta, data nelle sedi competenti per la risoluzioni di tali conflitti potenziali, quali la relazione alla proposta, l’espressione del voto contrario, l’opposizione o il reclamo alla omologazione.


2.3. La c.d. privatizzazione del diritto concorsuale ed il principio di economicità delle procedure

In conclusione di questo esame degli interessi confliggenti, non ci si può esimere da qualche breve considerazione sul modello delineato.

Si assiste, infatti, da parte del legislatore codicistico ed a quello intertemporale ad un rafforzamento delle soluzioni concordate a dispetto di quella più invasiva del fallimento (liquidazione giudiziale). Le condizioni sopra viste, in ordine ai vari tipi di debitori e di soluzioni, ai requisiti di ammissibilità, alle modalità di conclusione, al voto ed alle classi dei creditori, ed in generale alle modalità di attuazione e conclusione del relativo procedimento, depongono per un rafforzamento dell’elemento negoziale in chiave però di “provvedimento contrattato”. Infatti, salvo che per le soluzioni esclusivamente stragiudiziali, gli accordi negoziali, in quanto valutati, a volte corretti e approvati in sede giurisdizionale attraverso l’omologazione, indipendentemente dalla vincolatività o meno dei relativi accordi rispetto alle varie procedure, sono trasfusi nel provvedimento conclusivo, che poi si sostituisce all’accordo, divenendo la fonte del rapporto, similarmente a quanto avviene nell’amministrazione contrattata, tipica dell’esperienza amministrativa. In quella sede, già da anni vengono valorizzati i riferimenti normativi di cui all’art. 1, comma 1 bis, L. 241/90, che dispone l’uso di strumenti privatistici quando la PA agisce per l’adozione di atti non autoritativi, e di cui all’art. 11 della stessa legge, che prevede gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, che comunque conservano la loro natura amministrativa, derivando da scelte discrezionali della PA seppur con un atto negoziale che ne è l’antecedente. Tale modalità conclusiva, sembra allora potersi adattare anche al provvedimento giudiziale di omologazione, che, come sopra detto, pur avendo natura formale di atto giudiziario (per previsione espressa con sentenza), appare avere natura sostanziale prevalentemente amministrativa, anche considerando che nell’ambito del procedimento concorsuale i diritti dei creditori sembrano affievolirsi in interessi legittimi di diritto privato, rispetto a scelte discrezionali dell’autorità di gestione e di regolamentazione della procedura concorsuale.

Orbene, fatte queste premesse, deve rivelarsi che la cd. privatizzazione del diritto concorsuale, porta con sé un altro risvolto della medaglia dato dal costo delle procedure, soprattutto per la scelta del legislatore Codicistico e di quello intertemporale di demandare gran parte della fase istruttoria a professionisti o esperti indipendenti o ad Organismi di Composizione delle Crisi (OCRI o OCC), oltre che a tutta l’altra serie di figure professionali, alcuni necessari altri eventuali, che gravitano nell’ambito delle procedure stesse (commissari, liquidatori, ecc.), oltre anche ai professionisti, in primis legali e commercialisti, che assistono il debitore, ma anche spesso i creditori. Bisogna allora vedere se la scelta legislativa si pone in chiave di rispetto del principio di economicità, di cui all’art. 97 Cost., che deve sovraintendere anche alle procedure concorsuali, secondo l’operata ricostruzione ed assimilazione ai procedimenti amministrativi.

In questo, sembra che il nuovo Codice abbia avuto molto di mira l’esistenza di possibili conflitti insiti nelle indicate figure professionali, tentando un attento bilanciamento ed un riequilibrio rispetto al recente passato, dove la medesima spinta privatistica aveva spesso aggravato il bilancio negativo della procedura, prosciugando le poche utilità presenti. Per fare ciò il legislatore ha operato sul piano del contenimento dei costi da una parte e su quello delle prededuzioni dall’altra.

Innanzitutto, è stato previsto all’art. 22 CCII, che, nella liquidazione delle spese per le procedure di composizione assistita delle crisi, il compenso degli Organismi venga preferibilmente concordato preventivamente con il debitore oppure liquidato da giudice, tenendo espressamente conto non solo dell’attività compiuta ma anche dell’impegno in concreto richiesto e degli esiti del procedimento, con chiara finalità incentivante da una parte e limitativa dall’altra.

Inoltre, per il soggetto sovraindebitato sono state dettate una serie di disposizioni. All’art. 71, comma 6, per il consumatore, come pure all’art. 81, comma 6, per l’imprenditore sotto soglia ed il debitore civile, è stato aggiunto per tale categoria di debitori la specificazione che, nel liquidare il compenso, debba tenersi conto della diligenza dell’Organismo, con possibilità forse anche di spingersi fino al punto di valutare i risultati concretamente ottenuti rispetto alla reale situazione di partenza del debitore ed alle scelte operate. Sempre per il consumatore, ma nel caso di esdebitazione senza utilità, l’art. 283, comma 6, prevede che il compenso dell’Organismo viene ridotto della metà, in applicazione del medesimo favor per tale debitore che ispira l’intero istituto in argomento.

Sull’altro versante, l’art. 6 CCII, stabilisce la prededucibilità, quindi la soddisfazione in via anticipata rispetto al riparto, oltre che per tutti i crediti sorti durante le procedure, anche da una parte, alla lettera a), per le spese ed i compensi dell’Organismo al 100%, e dall’altra, alle lettere b) e c), per i crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione e di misure di protezione (a condizione che siano effettivamente omologati) e di concordato preventivo anche solo in funzione della presentazione della proposta (quando la procedura viene effettivamente aperta); entrambi però nel limite del 75%. Si tratta comunque di un passo molto importante, almeno in chiave di eliminazione delle incertezze che in passato erano sorte sul punto (ammettendo ovvero negando la prededuzione anche per tali compensi professionali)105. In linea generale, se pur è vero che nell’intero impianto non si valorizza adeguatamente il ruolo dei liberi professionisti, perché invece si tende ad incentivare il ricorso da parte del debitore agli Organismi ed ai professionisti iscritti nei relativi ruoli speciali, dall’altro almeno si dà certezza sulla prededuzione della quota del 75% degli altri liberi professionisti eventualmente scelti dal debitore, anche solo per affiancarlo nella procedura, con evidente finalità incentivante per una soluzione concordata, posto che al contrario non vi sarebbe possibilità di alcuna prededuzione.

A questo punto, possiamo allora dire che il legislatore è stato attento a tali espetti di economicità, ricavando la giusta esperienza dal passato di cui ha fatto tesoro, ma che poi questo possa bastare per rendere le procedure più fluide e redditizie lo si potrà dire solo dopo il rodaggio della disciplina del nuovo Codice. Ciò che qui rileva è che il legislatore sia stato attento a contemperare e cercare di risolvere i conflitti esistenti nell’ambito delle procedure in argomento, seppur, come visto, con scelte non sempre coerenti, che si è cercato di segnalare. In ultimo, sul punto, si aggiunge che il legislatore intertemporale con il D.L. 118/2021 all’art. 16 si è premurato di stabilire i compensi spettanti all’esperto indipendente nella procedura di Composizione Negoziata; ciò a conferma della lettura sopra fornita dell’intero impianto inerente i costi.


3. Controlli nelle crisi: obblighi organizzativi, responsabilizzazione e verifiche successive sugli organi della procedura

A questo punto, esaminati gli interessi coinvolti ed i conflitti, non resta che fare una panoramica su quelli che sono i controlli.

L’ambito concesso in questa sede esclude ovviamente in radice ogni riferimento ai controlli in sede giurisdizionale, in punto di meritevolezza, di controlli preventivi e successivi e di possibili impugnative.

Un riferimento va sicuramente fatto al tentativo da parte del Codice di imporre controlli preventivi alle imprese, prevalentemente interni ma anche esterni, rispetto alla situazione di crisi, prima che sfoci nell’insolvenza vera e propria, foriera di tanti problemi non solo per il debitore ed i suoi creditori, ma anche per tutti i soggetti che ruotano intorno a tali realtà ed in fondo allo stesso mercato, comprensivo dei lavoratori.

Lo strumento attraverso il quale il Codice opera tale arretramento della soglia, imponendo detti controlli, è la modifica degli articoli del codice civile che, in chiave di responsabilizzazione o meglio di autoresponsabilizzazione dell’imprenditore, prevedono un assetto organizzativo adeguato a rilevare lo squilibrio economico e la crisi nel suo albore.

Senza addentrarci troppo nella relativa disciplina, va però detto subito, in linea con altri commentatori, che il parametro di adeguatezza richiesto dall’art. 2086 c.c., nella nuova formulazione già in vigore dal 2019, non appare ancorato a sicuri indici di valutazione, per cui non resterà che affidarsi poi alla prova di resistenza pratica, potendo al contrario un limite troppo stringente rischiare di vanificare l’essenza stessa dell’impresa che è connotata dal rischio al fine del profitto o comunque dell’efficienza economica.

Tale orientamento dell’impresa, valevole per ogni tipo di imprenditore, al perseguimento del valore della rilevazione della crisi ed alla continuità aziendale viene poi effettuato con interventi mirati di modifica ad alcune corrispondenti norme del codice civile sugli assetti organizzativi delle società e sui sistemi di amministrazione e controllo. Orbene, dall’esame della normativa risultante è possibile scorgere da un lato la modifica profonda della disciplina della società a responsabilità limitata, dall’atra, sempre con riferimento al medesimo tipo, l’introduzione di un nuovo sistema di controllo sull’operato degli amministratori di cui all’art. 2476 c.c.

Il primo intervento sulla disciplina delle società a responsabilità limitata rischia di snaturare la tipologia di tali società, spesso piccole ed a conduzione familiare, mentre sembra oggi netto il solco tra l’assetto proprietario ed il ruolo dell’amministratore nella gestione della società.

In sostanza, con tale intervento di riforma, il legislatore sembra confermare di aver optato, come soluzione da lui ritenuta migliore per la gestione ed il controllo dell’impresa, al modello della società per azioni, conformando non solo la società a responsabilità limitata (con questo intervento normativo) ma anche altre tipologie di assetti organizzativi societari, con ciò sfociando in quello che potrebbe definirsi un vero e proprio “pan-azionariato”, ovvero l’estensione del modello organizzativo di tale tipo a qualunque collettività organizzata, che è evidentemente ritenuta la forma migliore per l’esercizio delle attività economiche, di cui sono testimonianza anche alcuni altri interventi legislativi recenti, come quello in materia di Riforma del Codice del Terzo Settore106.

Il secondo intervento, in chiave forse volutamente dirigistica, introduce all’art. 2476 c.c. una nuova forma di controllo e di sindacato degli amministratori della società a responsabilità limitata, forse dimenticando l’esistenza di uno strumento di controllo quasi analogo previsto dall’art. 2409 c.c. sulla denunzia al Tribunale applicabile ai vari tipi di società, che rischia di porsi come una duplicazione, con effetti di aumento del contenzioso, anche considerando che il primo, a differenza del secondo, sembra rimesso ai soli creditori ed esclude la legittimazione del PM, quindi potrebbe essere utilizzato come strumento ritorsivo o di pressione contro gli amministratori.

Al di là degli indicati rilievi, però le norme in commento hanno il pregio di rafforzare una responsabilizzazione dell’impresa in chiave di tutela dell’interesse creditorio, potendo i creditori esercitare il loro controllo ex post anche sulla adeguatezza degli strumenti di organizzazione e gestione dell’attività.

Ancora, la stessa scelta legislativa di affidare la procedura di allerta (rinviata al 31.12.2022) agli Organismi di composizione della crisi, anziché al Tribunale, evidenzia la scelta del riformatore codicistico di autoresponsabilizzare l’imprenditore e di incentivarlo all’emersione della crisi, ben conscio che, diversamente, il timore di un controllo giudiziario eteronomo, capace di assoggettare l’impresa a liquidazione giudiziale, avrebbe potuto sconsigliare all’imprenditore di effettuare tale tentativo, se non a situazione oramai irrimediabile e quindi ad insolvenza forse già verificatasi, vanificando ogni tentativo.

Dall’altra parte, invece, il Codice ha apprestato nell’allerta una serie di controlli e di obblighi di segnalazione in capo a creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, Agente della Riscossione ed Istituto Previdenziale), sulla base di parametri legislativi predeterminati, in primis all’imprenditore, avvisandolo del superamento del limite di esposizione debitoria, e poi nella fase successiva agli organi di controllo societari ed in ogni caso all’Organismo di composizione. Ciò non solo per il dichiarato fine dell’emersione tempestiva della crisi, ma anche per evitare, come succedeva nel passato, che tali Enti Pubblici diventassero dei creditori inconsapevoli, perché incapaci, in assenza di una puntuale disciplina, oggi esistente, di ritenere quando intervenire perché si era verificata una situazione di squilibrio economico rilevante. Ancora, come già accennato al primo paragrafo del presente lavoro, il legislatore intertemporale, con l’art. 15 D.L. 118/2021 ha, nel periodo di latenza della procedura di allerta rinviata, previsto l’obbligo a carico dell’Organo di controllo societario di segnalazione della sussistenza dei presupposti di squilibrio economico e di rischio di insolvenza, con ciò confermando l’impianto codicistico sull’allerta e sull’autoresponsabilizzazione dell’impresa.

Assolutamente poi non trascurabile in tema di controlli è la previsione nel nuovo Codice, confermata dal legislatore intertemporale, della possibilità, a domanda dei creditori interessati, di ottenere la revoca delle misure di protezione e cautelari, rispondendo così ad un’esigenza sorta nella pratica di vedere molto spesso paralizzata la possibilità di recuperare il proprio credito venendo impantanati in trattative inconcludenti. Sotto tale aspetto, il Codice ha puntualmente risposto ai dettami del legislatore delegante in proposito che si era preoccupato di evitare per il futuro che si verificassero simili episodi (cfr. art. 6, lettere b) e c), della Legge Delega).

Sempre in tema di controlli, poi, vale invece la pena soffermarsi sulle verifiche successive sugli organi della procedura in ordine alla attuazione del piano approvato. Invero, esso appare ancora oggi come uno dei nervi scoperti delle procedure concorsuali, perché, mentre nel corso delle stesse i controlli giudiziari sono stringenti e meticolosi e tali da rendere difficilmente perpetrabili abusi, sempre però possibili, nella fase successiva i controlli sono minori e non sempre adeguati e tali, quindi da mettere a repentaglio la riuscita delle operazioni previste e la tutela in questo caso dei creditori coinvolti.

Infatti, mentre sull’attuazione del piano ad opera del debitore, il legislatore si è premurato di porvi rimedio, apprestando una serie di verifiche e controlli, sia da parte dell’Organismo deputato (rectius: Esperto nel diritto intertemporale) sia da parte del Commissario o Liquidatore nominati (rectius: Ausiliario nel diritto intertemporale, che sostituisce il commissario ed assorbe anche le funzioni del liquidatore) sia anche in sede giurisdizionale nelle relazioni periodiche ed al momento del rendiconto, in funzione di tutela dei creditori, con la possibilità di ottenere la revoca o la risoluzione della omologazione, lo stesso non può dirsi con riferimento agli organi della procedura per gli adempimenti eventualmente a loro demandati, soprattutto quando di attuazione complessa e differita nel tempo, che nella prassi ha dato adito anche ad abusi.

Ci si riferisce in particolare a tutte quelle ipotesi in cui gli organi della procedura, commissario o liquidatore, non si comportino con la necessaria diligenza, ad es. in merito a scelte gestionali o strategiche durante la continuazione dell’attività aziendale ovvero in ordine alla vendita dei beni o di asset aziendali in caso di concordato liquidatorio.

In tali casi, seppur in linea astratta sia sempre possibile fare osservazioni o reclamo al Tribunale, ciò implica dispendio di tempo e di risorse da parte del creditore, speso lasciato solo nella fase successiva, che disincentiva questo tipo di controllo esterno, riducendolo ai casi di macroscopiche violazioni, anche perché si tratta di mettere in discussione l’operato di quelle figure professionali ausiliarie che il Tribunale stesso ha nominato. Tra l’altro, troppo spesso, i giudici, benché preparati da un punto di vista tecnico-giuridico, sono invece sforniti della adeguata competenza, o sarebbe meglio dire della sensibilità, per valutare l’operato degli organi in queste attività di natura economico-gestionale, spesso connesse a scelte di natura discrezionale, più che a questioni giuridiche, molte volte limitandosi a certificare le relazioni a loro trasmesse, salvo che non vi siano vere e proprie violazioni di legge ed in tal caso la risposta è quasi sempre effettiva ed appropriata.

Forse la soluzione, a scapito della snellezza della procedura, ma sicuramente con un rafforzamento in termini di effettività del controllo, poteva essere stabilire un periodico controllo in sede collegiale (intesa come partecipazione di tutti gli attori coinvolti e non come composizione dell’organo giudicante), almeno annuale, con la convocazione dei creditori coinvolti ed ancora insoddisfatti, oltre che del debitore, per poter in tale sede fare le legittime osservazioni, come una sorta di assemblea dei soci, posto che, in tali casi, i creditori che attendono risorse dalla continuità oppure dalla liquidazione dei beni si configurano come dei veri e propri soci indiretti dell’impresa in argomento, sforniti però di una sede non contenziosa per rappresentare le loro opinioni anche solo in termini di opportunità o convenienza delle scelte operate o da operare (non apparendo bastevole in tal senso il comitato dei creditori, spesso tra l’altro esautorato). Si tratta in sostanza di tutelare la loro posizione anche in tali fasi successive per evitare che una primigenia valutazione di convenienza della proposta possa poi rivelarsi nei fatti come assolutamente inidonea ed inappropriata, al punto da configurarsi come una “trappola”. Sotto tale profilo, allora, pare che l’invito del legislatore delegante, in particolare all’art. 6, lettera d), della Legge Delega relativamente ai “poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica” del piano concordatario (ndr: da effettuare non solo a monte ma anche durante il suo svolgimento) sia rimasta inattuato. Ed anche il legislatore intertemporale ha perso l’occasione di mettervi mano in sede di varo del D.L. 118/2021 e delle sue modifiche, ma non si esclude che possa farlo in sede di eventuale ulteriore modifica del Codice subito prima della sua effettiva ultima entrata in vigore.

1 Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine Generali del Diritto Civile, Napoli, 1971, pag. 69, secondo cui “Precisamente, per effetto del rapporto giuridico e della concessione di un potere di volontà al soggetto attivo del rapporto, all’interesse di questo soggetto viene subordinato l’interesse del soggetto o dei soggetti passivi. L’interesse non è il bene, ma il valore relativo che un determinato bene ha per un certo soggetto, si che s’intende, fra l’altro, come in ordine allo stesso bene sia possibile una gradazione degli interessi di più soggetti”.

2 Il Codice, composto di 391 articoli, doveva entrare in vigore il 1° settembre del 2021, fatta eccezione per alcune disposizioni normative in vigore già dal 16 marzo 2019 (trattasi in particolare di: comma primo dell’art. 27, art. 350, art. 356, art. 357, art. 363, art. 364, art. 366, art. 375, art. 377, art. 378, art. 379, art. 385, art. 386, art. 387 e art. 388).

Sull’entrata in vigore del Codice, già prevista in via differita al 16 agosto 2020 (salvo che pe le norme suddette immediatamente entrate in vigore), ha inciso la grave crisi seguita alla pandemia da Covid-19 del 2020 intervenuta in corso di vacatio legis. Infatti, il D.L. 9/2020 dettato in pieno inizio dell’emergenza (poi abrogato dal D.L. 27/2020) aveva differito l’entrata in vigore delle norme riguardanti la sola “allerta” al 15.02.2021. Poi il cd. Decreto Liquidità (D.L. 23/2020), in considerazione degli effetti economici gravissimi provocati a livello mondiale dalla pandemia, ha ritenuto necessaria la proroga della intera riforma ed aveva spostato la data prevista al 1° settembre 2021, recando, al contempo, misure riguardanti la disciplina del fallimento e del concordato preventivo in questa fase emergenziale. In particolare, tali misure sono state volte, per il tempo di durata dell’emergenza, a sottrarre le imprese all'apertura del fallimento e alle altre procedure fondate sullo stato di insolvenza e a sterilizzare il periodo dell'emergenza ai fini della valutazione di opportunità per le azioni a tutela dei creditori (ad esempio l’azione revocatoria). Inoltre, il D.L. 41/2021 aveva da parte sua rinviato di un ulteriore anno le sole segnalazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate all’OCRI (o all’OCC successivamente coinvolto per le imprese minori) in materia di “allerta”, lasciando invariato invece l’inizio per quelle analoghe da parte dell’Inps e dell’Agente della Riscossione.

Da ultimo, il D.L. 118/2021 del 24.08.2021 ha spostato l’entrata in vigore del Codice al 16.05.2022, rinviando poi di oltre un anno le disposizioni in materia di “allerta” e di “composizione assistita della crisi”, di cui agli articoli dal 12 al 25 CCII, cioè al 31.12.2022, ma al contempo varando una serie di modifiche alla L.F. ma anche dettando varie disposizioni nuove, che di fatto anticipano, seppur non proprio pedissequamente, proprio le corrispondenti norme del Codice rinviate, in chiave di diritto intertemporale per raccordare la dismettenda disciplina alla nuova disciplina in arrivo, nel tempo di vacatio prorogata, fino alla sua entrata in vigore.

3 Nell’ambito di tali macro-categorie è poi possibile individuare quali portatori di interessi che ruotano intorno all’impresa in crisi: i conferenti di capitale di rischio (l’imprenditore individuale, gli associati in partecipazione e, nel caso delle imprese collettive, i soci); i lavoratori; i conferenti di capitale di prestito; i fornitori; i clienti (che abbiano maturato uno specifico interesse alla sopravvivenza dell’organizzazione produttiva); lo Stato, la collettività. Cfr. G. AIROLDI, G. BRUNETTI, V. CODA, Corso di economia aziendale, Bologna, 2005.

4 Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

5 Cfr. G. BONELLI, Del fallimento (Commentario al codice di commercio), Vallardi, Milano, 1938 (1923), p. XV.

6 In tal modo, il problema sorto nel mercato era sottratto al mercato e gestito dallo Stato. Si precisa, però, come la Legge Fallimentare, nella versione del 1942, si disinteressasse per lo più all’impresa meramente in crisi: ad essere disciplinati erano unicamente il fallimento e le altre procedure concorsuali delle imprese “insolventi” e dunque versanti in uno stadio più grave rispetto a quello della crisi. Pertanto restavano al di fuori della disciplina legislativa gli accordi sulla crisi d’impresa. In simili condizioni, l'esperienza dei concordati stragiudiziali si è consumata all'ombra delle procedure concorsuali: il negoziato sulla crisi d'impresa è storicamente servito ai creditori “forti” per acquisire posizioni di prevalenza ulteriore, per massimizzare le prospettive di recupero e per conseguire pagamenti in violazione del principio della parità di trattamento. Il debitore era infatti indotto all'accordo anche a condizioni rovinose, prospettandosi tale intesa come l'unica via possibile per scongiurare o ritardare il ricorso alle procedure giudiziarie di trattamento dell'insolvenza.

Si precisa come una definizione dello “stato di crisi” si rinviene, per la prima volta, nell’art. 2 comma 1 lett. a) del Codice in commento, che, a seguito della modifica con D.Lgs. 147/2020, intende come tale «lo stato di squilibrio (ndr: e non più di difficoltà) economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate». La “crisi” è dunque probabilità di futura insolvenza, concetto quest’ultimo che mantiene il significato conferitogli in precedenza dall’art. 5 l.f. Cfr. F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Il nuovo diritto fallimentare e il ruolo del notaio, Atti del Convegno tenutosi a Modena il 19 gennaio 2008 (n. 2/2008); L. PASETTO, Stato di crisi e stato di insolvenza i fondamenti della disciplina concorsuale italiana, 2017; F. FERRARA, Il fallimento, Milano, 1974, pp. 27 e ss.

7 Il tutto in adesione ad un vecchio brocardo attribuito al giurista trecentesco Baldo degli Ubaldi per cui “insolvenza” faceva rima con “fraudolenza”: “decoctor ergo fraudator”. Cfr. R. RORDORF, Prime osservazioni sul codice della crisi e dell’insolvenza, in I Contratti, 2/2019, p. 131 e ss.

La visione del legislatore del 1942 era, dunque, dichiaratamente quella di favorire l’espulsione dell’imprenditore insolvente dal mercato, imprenditore qualificato come un virus infetto in grado, se non emarginato, di diffondersi fra le imprese sane, ma coinvolte nel dissesto. Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

In una prospettiva storica, non manca, tuttavia, chi imputa tale severità anche ad una volontà della stessa “classe mercantile” di un tempo: «La reazione sanzionatoria, a volte addirittura efferata, dell’Ordinamento al fallimento proveniva dalla lungimiranza mercantile che per proteggere il circuito degli affari dal possibile ammutinamento dei finanziatori aveva pensato che tanto rigore avrebbe creato un’aurea di correttezza attorno alla classe stessa». In questo senso cfr. S. PACCHI, La composizione del sovraindebitamento nella L. 3 del 2012, in Studi Senesi, 2013, fasc. 2, 326 ss.

8 Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità aziendale nelle procedure concorsuali in www.questionegiustizia.it.

9 L. PASETTO, Stato di crisi, op. cit.

10 A. GAMBINO, Sull’uso alternativo della procedura di amministrazione controllata, in Giur. comm., 1979, I, pp. 236 ss.; L. LANFRANCHI, Uso “alternativo” delle procedure concorsuali, amministrazione controllata e prededucibilità dei crediti, in Riv. dir. civ., 1985, I, pp. 133 ss. Per un’approfondita lettura del fenomeno, cfr. V. DE SENSI, Il sistema concorsuale italiano tra economia mista e di mercato, in Id., La ristrutturazione della impresa in crisi. Una comparazione tra diritto italiano e statunitense, in Archivio Ceradi, 2006, p. 4-152.

11 L'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è stato introdotto per evitare il fallimento di imprese di rilevante interesse pubblico. Scopo della procedura era quello di evitare le soluzioni liquidatorie (tipiche delle procedure concorsuali tradizionali) che non tenevano conto dei rilevanti interessi - privati e pubblici - alla conservazione e al risanamento dell'impresa.

L’amministrazione straordinaria prevedeva l'intervento di uno o più commissari, sotto la vigilanza dell'allora Ministero dell'industria (ora Ministro dello Sviluppo economico) ed escludeva il fallimento dell'impresa. Nata come strumento temporaneo ed eccezionale, la legge nel corso degli anni è stata oggetto di varie censure da parte degli organi comunitari, i quali in diverse occasioni ne hanno rilevato l'incompatibilità con le disposizioni comunitarie in materia di aiuti di Stato.

Le censure sono state superate nel 1999 con il D.Lgs. n. 270 del 1999 (c.d. legge Prodi-bis), finalizzato a consentire una drastica riduzione della durata della procedura, ad orientare la procedura stessa alla celere individuazione di un nuovo assetto imprenditoriale ed a potenziare gli strumenti di tutela dei creditori.

Sulla disciplina generale dell'amministrazione straordinaria contenuta nella legge "Prodi-bis" si è innestata la procedura speciale di ammissione immediata (cd. accesso diretto) all'amministrazione straordinaria introdotta dalla "Legge Marzano" (decreto-legge n. 347 del 2003, convertito con modificazioni in Legge n. 39/2004).

Nel luglio 2020 è stata emanata una proposta di legge recante delega legislativa al Governo per la riforma organica dell’istituto. Cfr. http://documenti.camera.it/

12 Fenomeno che si inserisce in una più vasta corrente di pensiero secondo cui «l’amministrazione della giustizia non può reggere il peso, assolutamente sproporzionato, di un accesso libero ed incondizionato al processo da parte di chiunque, per qualsiasi tipo di conflitto», ritenendosi, pertanto, che nella materia concorsuale si dovessero introdurre dei filtri «con i quali limitare e regolare l’avvio di procedure giudiziali» e consentire il tentativo di soluzione della crisi nelle mani dei privati. In questi termini, P. SCHLESINGER, Crisi d’impresa e nuove regole: le esigenze dell’economia, in A. JORIO (a cura di), Nuove regole per le crisi d’impresa, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 155 ss.

Più in concreto, l'assetto della Legge Fallimentare - fondato sul controllo pubblico dell'attività d'impresa- entrò presto in contrasto con la cultura del mercato concorrenziale che andava progressivamente maturando non solo nelle coscienze ma anche nei prodotti normativi, specie di matrice comunitaria.

Si realizzò, gradualmente, che le procedure giurisdizionali di composizione della crisi dovessero strutturarsi valorizzando le voci del mercato (e dunque le istanze del debitore e la risposta dei creditori) ed escludere - perché fuori luogo - la valutazione del pubblico potere sulla convenienza e opportunità degli assetti transattivi pattuiti oppure approvati all'esito di una deliberazione a maggioranza. Cfr. F. DI MARZIO, Le soluzioni concordate della crisi d'impresa, in Il nuovo diritto fallimentare e il ruolo del notaio, Atti del Convegno tenutosi a Modena il 19 gennaio 2008 (n. 2/2008).

13 Le ragioni per le quali, nella vigenza della originaria disciplina della Legge Fallimentare, il debitore privilegiava la soluzione stragiudiziale rispetto al concordato preventivo (o all’amministrazione controllata, che non ha mai avuto, in realtà, una grande applicazione) erano costituite: dai rilevanti costi delle procedure concorsuali, dalla rapidità e flessibilità nella gestione dell’attivo, dalla possibilità di fare operazioni di finanza molto problematiche in una procedura d’insolvenza, dalla possibilità di scambi diretti di informazioni rilevanti». Cfr. L. STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, pp. 305-306; M. BELCREDI, Le ristrutturazioni stragiudiziali delle aziende in crisi in Italia nei primi anni ‘90, in L. CAPRIO (a cura di), Gli strumenti per la gestione delle crisi finanziarie in Italia, Milano, 1997, pp. 211 ss.; C. COSTA, La soluzione stragiudiziale delle crisi d’impresa, in Dir. fall., 1998, I, pp. 958-959.

Inoltre, si veda come il ricorso alla soluzione stragiudiziale si presentasse quasi obbligato in tutte le ipotesi nelle quali la crisi coinvolgeva più società tra loro collegate, a fronte della sostanziale indifferenza della legge fallimentare nei confronti dell’insolvenza di gruppo. Cfr. E. BERTACCHINI, Revocatoria fallimentare e stato di insolvenza, Padova, 2001, p. 78, nota 83.

14 Si provvide con la tecnica, alquanto discutibile, della decretazione d'urgenza, con l’emanazione del D.L. n. 35 del 2005, poi convertito nella Legge n. 80 del 2005. Il primo reca le riforme dell’azione revocatoria e del concordato preventivo ed introduce l'istituto dell'accordo di ristrutturazione dei debiti. La seconda, oltre a operare la conversione di tali misure normative in legge, contiene la delega al Governo per l'emanazione della riforma organica delle procedure concorsuali. Le fondamentali acquisizioni contenute nella novella del 2005 vennero implementate nei Decreti Legislativi n. 5 del 2006 e n. 169 del 2007 all'insegna della c.d. privatizzazione della crisi d'impresa.

15 Cfr. la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante: «la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267», dove si afferma espressamente che la nuova disciplina «deve anche ispirarsi ad una nuova prospettiva di recupero delle capacità produttive dell’impresa, nelle quali non è più individuabile un esclusivo interesse dell’imprenditore, secondo la ristretta concezione del legislatore del ´42, ma confluiscono interessi economici e sociali più ampi, che privilegiano il ricorso alla via del risanamento e del superamento della crisi aziendale».

D’altra parte, come sottolinea autorevole dottrina, «la teoria individuante, nel concordato preventivo, la finalità di salvaguardare il valore dell’impresa del debitore mediante una riduzione del passivo non è accoglibile neppure dopo la riforma, in riferimento all’espressa perdurante ammissibilità di un concordato con cessione dei beni […] Basti, a tale fine, rilevare che la cessione dei beni ai creditori per fini liquidatori e satisfattivi, integrante la modalità tipica del concordato preventivo, è altresì modalità implicante, di norma, la disarticolazione dell’azienda nella sua unità patrimoniale e funzionale e, come tale, certamente non diretta a quella finalità di conservazione funzionale dell’impresa» Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

Rappresenta emblematicamente la prospettiva della riforma del 2005-2007, F. D’ALESSANDRO, La crisi delle procedure concorsuali e le linee della riforma: profili generali, in Giust. civ., 2006, II, p. 331.: «Il diritto di garanzia dei creditori sul patrimonio del debitore è assistito da tutela costituzionale, con la conseguenza che esso non può essere espropriato, neppure indirettamente, a vantaggio dell’interesse pubblico al buon andamento dell’economia o alla salvaguardia dei valori aziendali».

16 Nel sistema ante riforma, al contrario, tutta la fase gestoria del procedimento fallimentare era incentrata nella figura del giudice delegato, vero dominus della procedura fallimentare. Il giudice delegato assumeva una rilevanza centrale, nella sua duplice veste di regolatore di conflitti e di motore della procedura ex art. 25 l.fall. Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

17 Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

18 Il commissario giudiziale non è infatti titolare di un interesse pubblico a difesa della massa dei creditori, né li rappresenta come singoli o come massa. In questi termini, Cass., 12 luglio 1991, n. 7790, cit.; Cass., 14 gennaio 1987, n. 178, in Fall., 1987, p. 390. Contra, Cass., 26 marzo 1981, n. 1758, in Giust. civ. mass., 1981, p. 674; Cass. 13 aprile 1977, n. 1379, in Giust. civ., 1977, I, p. 1151.

19 Cfr. G. B. NARDECCHIA, La continuità, op. cit.

20 Cfr. V. DE SENSI, Il sistema concorsuale italiano tra economia mista e di mercato, in Id., La ristrutturazione della impresa in crisi. Una comparazione tra diritto italiano e statunitense, LUISS-Archivio Ceradi, Roma, 2006, pp. 1-64 (Parte I).

21 Emblematicamente P. PAJARDI, Esecuzione concorsuale: unità ed alternatività dei procedimenti, in Giur. comm., 1979, I, pp. 223 ss., affermava: «prevenire comporta una maturità mentale e sociale molto accentuata, vigendo ancora l’abitudine di intervenire per salvare il naufrago soltanto quando si è certi che non può più arrangiarsi da solo, cioè in definitiva quando è troppo tardi, mentre lo stesso naufrago non vuole aiuti condizionanti quando s’illude di poter fare con le proprie forze o con quelle reperite da lui […] In effetti, le procedure concorsuali sono ancora vissute dagli imprenditori come un male in sé, da allontanare nel tempo ad ogni costo, con il risultato che le imprese che depositano domanda di concordato preventivo sono per lo più in condizione di ormai irreversibile decozione».

Del resto questa è stata la medesima ratio che poi ha portato il legislatore dell’emergenza sanitaria nel 2020 a differire ulteriormente l’entrata in vigore del Codice, come sopra detto.

22 La spinta verso una revisione strutturata della disciplina della crisi di impresa è venuta dall’esterno, ossia dall’Unione Europea: tale istituzione ha, nel tempo, intensificato il proprio impegno nella risoluzione delle crisi di carattere c.d. transfrontaliero, nel senso di una armonizzazione delle procedure concorsuali nazionali e avendo di mira, nel tempo, la creazione di unico diritto fallimentare europeo.

Diversi gli interessi che hanno spinto in questa direzione il legislatore unionale.

Un ruolo centrale ha avuto la dimensione transnazionale di alcuni avvenimenti come, tra i più recenti, la crisi dei mutui subprime del 2008 o la crisi del debito sovrano nel 2011: in un panorama come quello europeo, dominato dalle piccole e medie imprese, tali eventi hanno reso necessario un intervento salvifico verso una quantità sempre più ingente di imprese sull’orlo del tracollo.

In secondo luogo, l’armonizzazione della disciplina della crisi di impresa si è resa necessaria al fine di garantire la stessa attuazione delle libertà unionali (circolazione, stabilimento e libera prestazione di servizi), la compatibilità con i divieti relativi agli aiuti di Stato e l’elusione del fenomeno del c.d. forum shopping dei debitori.

Veicoli dell’introduzione dei principi unionali sulla crisi dell’impresa sono stati, in particolare il Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio relativo alle procedure di insolvenza transnazionali, la Raccomandazione n. 2014/135/UE ed il Regolamento (UE) n. 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio. Un grande apporto è stato fornito altresì dai principi della Model law, elaborati in tema d’insolvenza dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL).

Da ultimo si veda la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 novembre 2016.

Cfr. L. PASETTO, Stato di crisi, op. cit. e P. DE CESARI, L’evoluzione della legislazione europea in tema di insolvenza, in Fallimento e concordato fallimentare, (a cura di) A. JORIO, Tomo I, Milano, 2016, pagg. 558 e ss. Cfr. https://www.consilium.europa.eu/it.

23 Il Presidente Commissione per le riforme delle procedure concorsuali, Renato Rordorf, nella Relazione illustrativa al Decreto in commento, ha evidenziato come “un diverso approccio lessicale può meglio esprimere una nuova cultura del superamento dell’insolvenza, vista come evenienza fisiologica nel ciclo vitale di un’impresa, da prevenire ed eventualmente regolare al meglio.”

24 Cfr. per una compiuta analisi degli istituti introdotti dalla legge sul sovraindebitamento e delle relative procedure, lette in chiave critica, A. PISANI MASSAMORMILE (a cura di), La crisi del soggetto non fallibile, Torino, 2016; nonché G. D’AMICO (a cura di), Sovraindebitamento e rapporto obbligatorio, Torino, 2018.

25 Cfr. art. 6 della L. n. 3/2012.

26 Cfr. Corte Cost. Sent. n. 94/1970.

27 Cfr. S. PACCHI, La composizione del sovraindebitamento nella L. 3 del 2012, in Studi Senesi, 2013, fasc. 2, 326 ss.

28Attenta Dottrina evidenziava come l’accesso al credito apparisse al tempo incontrollato e senza limiti per il consumatore che si converte per lo più in soggetto sovraindebitato. Cfr. G. COSI, Il debito: un fenomeno patologico, in Studi senesi, 2013, fasc. 2, p. 228: «Chi si trova in condizione di sovraindebitamento - sembra dire la ratio della norma - non è altro che un soggetto che ha sbagliato, che ha commesso un errore di valutazione nell’applicare la propria buona intenzione di indebitarsi per consumare (e di buone intenzioni, come si dovrebbe sapere, è lastricato l’inferno). Eccolo il nuovo soggetto antropologico che sta al centro delle nostre società a “crescita obbligatoria”; e che non a caso va in depressione - sia economica che psicologica - quando questa crescita viene a mancare: il consumatore».

29 La crisi faceva emergere il default delle piccole imprese e delle imprese agricole abbandonate alle azioni esecutive individuali; l’accesso al credito, incontrollato e senza limiti, da parte del consumatore che si converte per lo più in soggetto sovraindebitato.

30 Già con Ris. CUE 26.11.2001 relativa al credito e al sovraindebitamento dei consumatori, si segnalava che «dieci Stati membri dell’Unione Europea dispongono oggi di una legislazione specifica relativa alla liquidazione collettiva dei debiti per offrire un trattamento sociale, economico e giuridico ai consumatori in situazione di sovraindebitamento eccessivo mentre i restanti Stati membri continuano ad applicare gli ordinari procedimenti». Cfr. http://eur-lex.europa.eu.

31 Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

32 L’esdebitazione è quell’istituto giuridico che permette al debitore, ritornato in bonis, di liberarsi dal pagamento dei debiti rimasti insoddisfatti, limitando gli effetti della liquidazione al patrimonio posseduto al momento dell’escussione.

Al tempo, questo istituto veniva regolamentato dagli articoli 142 - 144 l.f. Successivamente riceverà riconoscimento anche per il debitore civile attraverso l’art. 14 terdecies L. 3/2012, per poi venire riformato nel Codice in commento, nei termini che si illustreranno. Cfr. R. GIACALONE, L’esdebitazione tra vecchia e nuova normativa, 13 Dicembre 2019 in https://www.ecnews.it/. Cfr. anche F. FERRARA jr. - A. BORGIOLI, Il fallimento, V ed., Milano, 1995, p. 47 e da ultimo: M. FABIANI, Diritto fallimentare - Un profilo organico, Bologna, 2011, p. 62; S. PACCHI, Il presupposto soggettivo per la dichiarazione di fallimento, in AA. VV. (a cura di), Manuale di diritto fallimentare, II ed., Milano, 2011, p. 35.

33 Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

34 D. PORRINI, Il sovraindebitamento delle famiglie: il rimedio del fallimento del debitore e l’esperienza spagnola, cit., p. 21: «Il fresh start si sostanzia nella concessione di una sorta di responsabilità limitata alle persone fisiche».

35 I fautori dell’orientamento contrario al riconoscimento dell’istituto della esdebitazione anche per il debitore civile evidenziavano le disparità sussistenti tra le situazioni.

Si rilevava, infatti, come la ragione che giustifica la possibilità per l’imprenditore persona fisica fallibile di liberarsi dai debiti residui è da ricollegarsi alla presenza di un’attività economica (risorta dalle ceneri della procedura concorsuale, o, invece nuova) la cui ripresa è da considerarsi conveniente per il soggetto tornato in bonis e per il mercato.

Nel caso del debitore civile - diversamente per l’imprenditore commerciale non fallibile e per l’imprenditore agricolo - mancando l’impresa - risulterebbe, invece, difficile riconoscere un’esigenza di esdebitazione, costituendo la stessa soltanto uno sgravio da obbligazioni alle quali, per l’art. 2740, cod. civ., appunto, il soggetto è tenuto sine die ad adempiere. Cfr. M. FABIANI, La gestione del sovraindebitamento del debitore “non fallibile” (d.l. 212/2011), (disponibile in: www.ilcaso.it)

36 Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

37 Cfr. J. PULGAR EZQUERRA, Concurso y consumidores en el marco del estado social del bienestar, cit., p. 19-35.

Tale correlazione spingeva alla ricerca di principi e norme che inducessero ad un approccio consapevole al credito e al prestito responsabile: si riteneva, insomma il “perdono” dovesse passare da una correzione e da una rieducazione, non dal lassismo che può ripercuotersi negativamente sui rapporti economici e creditizi.

Cfr sul punto il Diario Oficial de la Unión Europea L-133, 22.4.2008: «L’approccio responsabile al consumo e quindi al credito deve essere improntato a criteri di correttezza e chiarezza, promuovendo una vera e propria cultura finanziaria che sensibilizzi a una maggiore conoscenza dei prodotti del credito e, quindi, all’adozione di atteggiamenti prudenti nell’assunzione di obbligazioni, come già ammonisce il 26° considerando della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa ai contratti di credito al consumo».

Con l’espressione “prestito responsabile” si voleva, invece, richiamare le banche e gli istituti finanziari ad un’analisi accurata delle condizioni economiche del cliente/consumatore ai fini della concessione di credito, se pure tale attività di controllo comportasse il pericolo di un interventismo e di un controllo da parte delle entità finanziarie sulla persona: cfr. M.J. MORILLAS, Sobreendeudamiento y (des) proteccion de los consumidores, p. 7

Così si cominciava a comprendere che, nella considerazione del sovraindebitamento, non dovesse essere sottovalutata la posizione dei creditori al momento della concessione del credito. Cfr. G. FALCONE, Credito “responsabile” e sovraindebitamento del consumatore, in Dir. fall., I, 2010, pp. 642-667; A. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazioni in itinere, in Fallimento, 2012, p. 21.

Autorevole Dottrina, segnala a tale scopo come in altri ordinamenti, che avevano predisposto una disciplina per il sovraindebitamento, i creditori ricevessero trattamenti differenti. Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit., p. 326: «In Francia così la Commissione per il sovraindebitamento non è obbligata a offrire il medesimo trattamento a tutti i creditori, potendo considerare il grado di imprudenza o di negligenza del creditore nella concessione del credito, quando fosse in grado di conoscere la situazione di indebitamento esistente al momento del debitore».

38 Di attuazione della citata Direttiva comunitaria 23 aprile 2008/48/CE.

39L’art. 124 bis del decreto in parola (“Verifica del merito creditizio”), al primo comma, prevede che «Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente […]».

Come è stato efficacemente scritto «[…] il finanziatore viene vincolato al “prestito responsabile”. In virtù di quest’ultimo, il creditore deve stimare preventivamente il merito creditizio e la solvibilità del consumatore, scegliendo l’operazione creditizia conforme alle esigenze ed alla situazione patrimoniale e finanziaria del medesimo: viene così messo in discussione il principio di autoresponsabilità del consumatore. […] In sostanza il principio del prestito responsabile mira ad impedire la concessione del credito al consumatore che, privo della capacità di rimborsare lo stesso, verrebbe di conseguenza ad essere necessariamente posto in una situazione di sovraindebitamento”. Cfr. G. PIEPOLI, Sovraindebitamento e credito responsabile, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, pp. 38 e ss.

40 Qualche tempo prima, con il d.l. 98/2011, il legislatore aveva altresì previsto l’accesso dell’imprenditore agricolo in crisi (di qualsiasi dimensione e senza circoscrivere l’area di applicabilità della disciplina al perimetro delle attività connesse) all’accordo di ristrutturazione regolato dall’art. 182-bis l. fall. e alla transazione fiscale (art. 182-quater l. fall.).

Con riferimento alla disciplina del sovraindebitamento, numerosi sono gli scritti editi poco dopo la novella. Cfr, ex multis: ARMELI, Giustizia digitale e composizione della crisi da sovraindebitamento: una prima lettura, in Fallimentarista, 21.12.2012, pp. 1-68; CECCARINI, L’attività del liquidatore e i controlli del giudice, in DI MARZIO, MACARIO, TERRANOVA (a cura di), La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., pp. 77-80; BATTAGLIA, La composizione delle crisi da sovraindebitamento del debitore non fallibile: alcuni profili problematici, in Dir. fall., 2012, I, pp. 423-453; BOTTAI, La liquidazione del patrimonio del debitore in procedura di sovraindebitamento, in Fallimentarista, 21.12.2012, pp. 1-10; BOTTERO - MAZZI, L’ammissione al procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento: un primo commento, in Fallimentarista, 6.2.2013, pp. 1-9.

41 L’ “Accordo con i creditori” di cui alla Legge n. 3/2012 è diventato, nel Codice in commento, il “Concordato minore”.

42 Il “Piano del consumatore” di cui alla L. n. 3/2012 è diventato, nel Codice in commento, il “Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”.

43 La “Liquidazione del patrimonio” di cui alla L. n. 3/2012 è diventata, nel Codice in commento, la “Liquidazione controllata”.

44 Il consumatore - da intendersi come il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta - aveva, così, a disposizione l’intera gamma degli strumenti: piano, accordo di ristrutturazione e procedura di liquidazione. Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

L’esdebitazione è uno dei principali vantaggi della legge 3/2012 e ottenerla significava liberarsi definitivamente da ogni altro debito residuo e riacquistare la serenità. L’istanza di esdebitazione andava presentata dal debitore entro un anno dalla chiusura della procedura di liquidazione di tutti i beni del debitore.

45 La perduranza dello squilibrio era requisito fondamentale: non si poteva, infatti, beneficiare di tale procedimento per alleggerirsi da debiti che comunque, anche se non alla scadenza, si sarebbero potuti pagare.

46 Come rilevato da attenta Dottrina: «Ad una prima lettura parrebbe che, per accedere ad uno qualsiasi degli strumenti per risolvere la crisi, fosse sufficiente l’esistenza di una massa di debiti, neppure quantificata in un determinato ammontare perché ciò che dovrebbe rilevare sarebbe lo stato di perdurante squilibrio del patrimonio rispetto all’ammontare dei debiti. […] In realtà così non è perché proseguendo nella lettura e passando alla lettera b) dello stesso art. 6, comma 2, ci accorgiamo che la funzionalità delle obbligazioni all’esercizio dell’impresa o della professione circoscrive l’utilizzazione degli strumenti all’accordo di ristrutturazione e alla procedura di liquidazione. Al contrario l’assunzione di obbligazioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale non determina limitazioni». Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

47 Non necessariamente persona fisica se non si presenta come consumatore.

48 A prescindere dal livello di indebitamento e dall’ammontare del patrimonio o reddito utilizzabile per il soddisfacimento dei creditori. Cfr. artt. 6 e 7 della L. n. 3/2012.

Si noti, inoltre, come si riteneva rispettassero il presupposto soggettivo anche i soci illimitatamente responsabili di società fallibili quando avessero debiti personali eccessivi rispetto al proprio patrimonio, mentre la società (il cui fallimento avrebbe fatto scattare in via di estensione quello dei soci) non mostrava segni di crisi. Cfr. GUIOTTO, La nuova procedura per l’insolvenza del soggetto non fallibile: osservazione in itinere», in Fallimento, 2012, p. 23.

49 Il debitore (qualsiasi debitore): 1) non deve aver fatto ricorso nei cinque anni precedenti (anziché nei tre anni precedenti come prevedeva in origine la l. 3/2012) a uno dei procedimenti; 2) non deve aver subito, per cause a lui imputabili, uno dei provvedimenti di cui agli artt. 14 (annullamento o risoluzione dell’accordo) e 14-bis (revoca e cessazione degli effetti dell’omologazione del piano del consumatore); 3) non deve aver fornito una documentazione sostanzialmente irregolare che, in quanto tale, non consenta la ricostruzione “compiuta” della situazione economica e patrimoniale.

50 Tali requisiti riecheggiano quelli previsti un tempo dalla normativa concorsuale nella quale le procedure a sfondo beneficiario (concordato preventivo e amministrazione controllata) erano permeate dalla presenza del requisito di meritevolezza.

51 Cfr. M. FABIANI, Crisi del debitore civile. Crescita economica e sovraindebitamento, p. 5.

52 Cfr. DI MARZIO, La "nuova" composizione della crisi da sovraindebitamento, in www.il.fallallimentarista.it, 20.02.2013.

53 Doveva trattarsi - perché potesse seguire l’esdebitazione - di procedura liquidativa introdotta per iniziativa del debitore e non di procedura aperta in via di conversione. Cfr. A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare., p. 2076.

54 Cfr. L. D’ORAZIO, Le procedure di negoziazione delle crisi dell’impresa, cit., p. 895.

In questi termini anche M.G. SIRNA, L’esdebitazione, in F. DI MARZIO, F. MACARIO, G. TERRANOVA (a cura di), La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, cit., p. 86: «In altri termini, la determinazione del debitore di spogliarsi dei suoi beni in favore del ceto «creditorio ricorrendo alla loro liquidazione non è di per sé titolo per accedere al regime premiale/rieducativo dell’esdebitazione. […] I limiti posti all’esdebitazione […] mostrano con quanta circospezione il legislatore continui a muoversi in una materia dotata di un così grande impatto emotivo».

55 Cfr. S. PACCHI, La composizione, op. cit.

56 Sull’interpretazione e valutazione del soddisfacimento parziale al fine della concessione dell’esdebitazione è indispensabile fare riferimento alla decisione delle Sezioni Unite n. 24214/2011 secondo cui «nel fallimento, il soddisfacimento almeno parziale dei creditori, quale condizione oggettiva di ammissibilità del fallito persona fisica al beneficio dell’esdebitazione e di cui all’art. 142 legge fall., va inteso, con interpretazione costituzionalmente orientata, nel senso più favorevole al debitore stesso, dunque essendo sufficiente che sia pagato, al termine della procedura, anche solo una parte dell’intero ammontare dei crediti ammessi, sebbene in ipotesi alcuni creditori non siano stati soddisfatti per nulla».

57 Erano, altresì, esclusi dall’esdebitazione: 1) i debiti derivanti da obblighi di mantenimento e alimentari; 2) i debiti da risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale e le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti; 3) i debiti fiscali che, pur avendo causa anteriore al decreto di apertura delle procedure di cui alle sezioni prima e seconda del presente capo, sono stati successivamente accertati in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

58 Cfr. L. PANZANI, Il ruolo del giudice e degli organismi di composizione della crisi nelle procedure, in Studi Senesi, 203, fasc. 2, p. 409, e A. MAFFEI ALBERTI, Commentario, op. cit., p. 2075.

59 Nel nuovo CCII, all’esdebitazione viene riservato il Capo X del Titolo V (articolo 278–283 CCI). Alcune delle più importanti novità riguardano: l’introduzione del limite di due esdebitazioni complessive per tutte le categorie di debitori (articolo 280 comma 1 CCII); l’introduzione dell’esdebitazione di diritto (articolo 282, comma 1 CCII), istituto automatico e riservato soltanto al debitore sovraindebitato; l’indicazione del termine massimo per ottenere il beneficio previsto in tre anni dalla data di apertura della liquidazione. Se, però, il debitore manifesta tempestivamente il suo stato di insolvenza (articolo 24 CCII), può accedere alle misure premiali previste dalla norma (articolo 25 CCII) e può ridurre l’arco temporale di accesso al beneficio fino a 2 anni dall’apertura della procedura. Infine, una delle maggiori novità introdotte dal D.L. 14/2019 in tema di esdebitazione, è quella di dare la possibilità di accedere all’istituto anche alle società, sia di persone che di capitali (articolo 278, commi 3-5 CCII). In questo caso, tenendo conto della natura giuridica, i presupposti della meritevolezza vengono valutati dal giudice nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e dei legali rappresentanti, con riguardo agli ultimi tre anni anteriori alla domanda cui sia seguita l’apertura di una procedura liquidatoria. Cfr. R. GIACALONE, L’esdebitazione, op. cit.

60 F. ROSELLI, La salvaguardia delle ragioni del creditore. Bilanciamento di interessi, in Giust. civ.com, 2/2014, par. 3, che parla di “rimodellamento dell'intero rapporto contrattuale, preferibile alla sua risoluzione nel caso di sopravvenienze che ne abbiano notevolmente alterato l'equilibrio originario: l'antico principio del rispetto assoluto dei patti cede all'altro, prima facie contrastante, della relatività del vincolo riferito alle condizioni esistenti al momento della conclusione del contratto. Può aversi così una situazione di soggezione del creditore al diritto potestativo, spettante al debitore, di ottenere dal giudice una modificazione della prestazione, una diminuzione del prezzo, una riconduzione ad equità, ossia e in breve una riduzione autoritativa della pretesa creditoria”. Cfr in tal senso anche F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, p. 251, e R. TOMMASINI, Revisione del rapporto, in Enc. dir., Vol. XL, Milano, 1989, p. 130.

61 A. NERVI, La responsabilità patrimoniale dell’imprenditore. Profili civilistici, Padova, 2001, p. 73 e ss.

62 V. ROPPO, Profili strutturali e funzionali dei contratti “di salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti d’impresa), in Dir. fall. e soc. comm., 2008, 3/4, pp. 375-376; P. PERLINGIERI, “Controllo” e “conformazione” degli atti di autonomia negoziale, in Rass. dir. civ., 2017, 1, p. 207 e ss., nonché Id., La sussidiarietà nel diritto privato, in riv. ult. cit., 2016, 2, p. 668 e s.

63 F. DI MARZIO, Il diritto negoziale della crisi d’impresa, Milano, 2011, passim.

64 V. ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non reticente, nè compiacente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 4, p. 957 e ss.; F. MACARIO, Il contratto e gli “strumenti negoziali stragiudiziali” nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in I Contratti, 4/2019, p. 371; cfr, in giurisprudenza, Trib. Roma, Decr. 16 aprile 2008, in Dir. Fall., 2008, II, p. 551 e ss., con nota di V. PICCININI, che, applica alla fattispecie (ndr: concordato preventivo) il criterio funzionale della verifica sulla consistenza causale dei negozi giuridici.

65 A. CAIAFA - A. PETTERUTI, Lineamenti di diritto della crisi e della insolvenza dell’impresa, Roma, 2020, p. 364.

66 G.F. CAMPOBASSO, Manuale di diritto commerciale, Milano, 2017 (VII Ed. a cura di M. Campobasso), p. 598; I.L. NOCERA, Analisi civilistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2017, p. 80 e ss.

67 Cfr. Cass. Sent. 21 giugno 2018 n. 9087, che, con riferimento alla l.f. riformata, ma applicabile anche al Nuovo Codice crisi, parla di centri concentrici della sfera di concorsualità, rispetto a tutte le soluzioni concordate delle crisi, con progressivo aumento dell’autonomia privata man mano che ci si allontana dal nucleo, fino agli accordi di ristrutturazione dei debiti, restando all’esterno del perimetro gli atti esterni di autonoma organizzazione dell’impresa, come i piani attestati di risanamento e gli accordi di natura esclusivamente stragiudiziale senza intervento giudiziale nemmeno omologatorio (dimenticando però forse di dire la Suprema Corte, in data in cui già era stata emanata la Legge Delega per il varo del Nuovo Codice crisi, che per questi ultimi è prevista la possibilità di chiedere misure protettive all’Autorità Giudiziaria e, quindi, forse andrebbe rimeditato l’inserimento, almeno come ultimo cerchio concentrico più sfumato, anche degli accordi di composizione delle crisi e dei piani attestati di risanamento).

68 A. CAIAFA - A. PETTERUTI, Lineamenti, op. cit., p. 355 e poi p. 359; nonché per le convenzioni di moratoria della disciplina previgente, cfr: I.L. NOCERA, La convenzione di moratoria nella crisi d’impresa: estensione dell’efficacia e abuso dell’opposizione, in Il dir. fall., 2016, 5, p. 1108.

69 G. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2011, passim; A.M. AZZARO, Concordato preventivo e autonomia privata, in Il fall., 2007, 11, p. 1268 e ss.; M. BIANCA, La nuova disciplina del concordato e degli accordi di regolazione delle crisi: accentuazione dei profili negoziali, in Il dir. fall., 2015, 1, p. 532 e ss.; G. JACHIA, Il concordato preventivo e la sua proposta, in AA.VV., Fallimento ed altre procedure concorsuali, Trattato diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Milano, 2009, III, passim.

70 Chiarendo l’art. 109 CCII che i creditori privilegiati che secondo il piano vengono integralmente soddisfatti non vengono computati.

71 A tal proposito, l’art. 108 CCII chiarisce anche la posizione dei crediti contestati, che possono essere ammessi provvisoriamente ai fini del concorso e delle maggioranze.

72 Cosa che in realtà era già prevista in precedenza per il concordato preventivo dalla vecchia l.f., nella sua versione prima della modifica del 2015, che poi ha escluso il sistema del silenzio assenso.

73 A. PISANI MASSAMORMILE, Una legge sfortunata, intempestiva ed affollata, in Id. (a cura di), La crisi del soggetto non fallibile, Torino, 2016, pag. 166.

74 P. RESCIGNO, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, p. 175.

75 P. RESCIGNO, Favor debitoris, ambiguità di una formula antica, in Giur. It., 1994, IV, p. 1 ss.

76 F. CARNELUTTI, Espropriazione del creditore, in Riv. Dir. Comm., 1930, I, p. 676.

77 Cfr: in tal senso, l’illuminante lavoro di M. ONORATO, Gli Accordi Concorsuali. Profili Civilistici, Pisa, 2017, che critica e sconfessa puntualmente le diverse ricostruzioni dottrinali fondate su ipotetici accrescimenti futuri del patrimonio del debitore incapiente.

78 G. D’AMICO, Il sovraindebitamento nel codice della crisi e dell’insolvenza, in I contr., 3/2019, p. 321; S. PAGLIANTINI, L’esdebitazione tra normativa vigente e codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Le nuove leggi civ. comm., 2019, p. 710, che parla di novità “ad alto tasso di vischiosità”.

79 G. MEO, Ristrutturazione mediante circolazione dell’azienda e modelli competitivi, in Giur. comm., 2019, p. 430 e ss.

80 F. MACARIO, Il contratto e gli “strumenti negoziali stragiudiziali”, op. cit., p. 370, che parla di “nuovo rapporto tra l’attività d’impresa … e dall’altra parte la disciplina dell’atto (e/o del negozio) giuridico: la prima non viene più considerata una variabile della seconda … ma diviene criterio di selezione degli interessi da tutelare”.

81 G. D’ATTORRE, Il diritto della crisi tra legislazione emergenziale, sostenibilità ed obiettivi di politica industriale, in Gazz. for., 1/2021, p. 13, che parla di uso delle procedure concorsuali anche per il governo dell’economia nazionale, anche imponendo del caso limiti alla signoria del potere dei creditori nelle procedure concorsuali, in particolare anche in ordine al potere di decidere le forme e le modalità attraverso le quali dovranno essere reperite le risorse per il loro soddisfacimento. Cfr, in tal senso, anche F. DI MARZIO, Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, p. 62 ss.

82 R. MARINO, La responsabilità del professionista attestatore negli accordi di ristrutturazione, in F. PARENTE – L. RUGGERI (a cura di), Attività di liquidazione e tutela dei creditori, Napoli, 2014, che con riferimento proprio alla Vecchia Legge Fallimentare, seppur limitatamente alla esternalizzazione ad esperti privati di attività gravanti sugli organi giudiziari, parla di “operare in maniera più agile nell’interesse del ceto creditorio e, in subordine, del mercato”, proprio a rimarcare la ritenuta quasi scontata dicotomia tra mercato ed interesse creditorio nel dibattito dottrinale dell’epoca.

83 M. ONORATO, Gli Accordi Concorsuali. Profili Civilistici, op. cit., pag. 163.

84 F. FIMMANO’, Resilienza dell’impresa di fronte alla crisi da coronavirus mediante affitto d’azienda alla newco-start up, auto-fallimento e concordato “programmati”, in IlCaso.it, 2020, p. 7, secondo cui “l’interesse dell’economia alla continuità, alla salvaguardia dei valori produttivi e dell’occupazione può armonizzarsi con l’interesse dei creditori”.

85A. CAIAFA - A. PETTERUTI, Lineamenti di diritto della crisi, op. cit., p. 233.

86 D. LENZI, I doveri dei creditori nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in IlCaso.it, 18.08.20, par. 8, secondo cui l’art. 4 CCII implicitamente “sembra riconoscere l’esistenza di più interessi sottesi alle procedure di regolazione della crisi, ma tra questi chiaramente attribuendo rango primario all’interesse dei creditori”.

87 F. MACARIO, Il contratto e gli “strumenti negoziali stragiudiziali”, op. cit., p. 371, che afferma “è proprio la estrema duttilità dello strumento contrattuale che, oggi molto più che in passato, può essere affrontata (e gestita) la crisi dell’impresa, prima che intervenga il momento giurisdizionale”.

88 E. BERTACCHINI, Clausole generali e autonomia negoziale nella crisi d’impresa, in Contr. e Impr., 2011, p. 689, “sin dall’origine il diritto fallimentare ha costituito un punto di incontro tra esigenze privatistiche ed esigenze pubblicistiche”.

89 Cfr: L. BIGLIAZZI GERI, Contributo ad una teoria dell'interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967, come grande intuizione, in chiave di ricostruzione generale dell’istituto; poi letta in termini di interesse del solo debitore nella ristrutturazione da E. PELLECCHIA, Dall’insolvenza al sovraindebitamento. Interesse del debitore alla liberazione e ristrutturazione dei debiti, Torino, 2012, pag. 177.

90 Cfr: Cass. SS.UU. Civ., Sent. 23894 del 24.11.2015, che, seppur in tema di amministrazione straordinaria, sancisce che “le norme procedimentali che disciplinano la liquidazione dei beni tutelano i diritti soggettivi dei creditori accertati in sede di verifica dello stato passivo ove successivamente non degradati ad interessi legittimi a fronte di valutazioni discrezionali delle autorità competenti circa la decisione di vendere i cespiti e la scelta degli acquirenti”; con ragionamento estensibile anche a tutte le altre procedure di soluzione e regolazione delle crisi e dell’insolvenza.

91 I. PAGNI, L’accesso alle procedure di regolazione nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Il fall., 5/2019, p. 553, che afferma che “con l’omologazione non si decide su diritti, ma si verifica la conformità del negozio al parametro di legalità per consentirne la produzione di effetti (sicché le ragioni del singolo creditore a non vedere compromesse le proprie ragioni di credito verranno incise, ma non decise, dal provvedimento di omologa)”.

92 V. G. TERRANOVA, Diritti soggettivi senza sovranità (a proposito di bail-in, cramdown e altro), in Dir. fall., I, 2018, p. 491 ss.

93 F. ROSELLI, La salvaguardia delle ragioni del creditore, op. cit., par. 8, che afferma “ogni scambio [ed ogni iniziativa giuridicamente rilevante] che si sarebbe propensi a considerare isolato è tale solo in apparenza, essendo invece sempre inserito in relazioni più ampie e complesse; l'esistenza stessa di queste relazioni impedisce di considerare l'operatore economico indipendente rispetto agli altri soggetti. Vale il principio della proporzione, contrapposto in questa materia all'universalità della garanzia patrimoniale, ossia della giusta misura di soddisfazione di tutti gli interessi coinvolti”. Nella stessa chiave prospettica anche E. MIGLIACCIO, La responsabilità patrimoniale. Profili di sistema, Napoli, 2012, p. 83-84, che fonda l'osservazione su P. PERLINGIERI, Abuso dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Corr. giur., 2011, p. 1301.

94 Cfr: a tal riguardo, F. SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali, Op. cit., pag. 76, che chiarisce che “il diritto soggettivo è determinato dall’interesse concreto del titolare, nel senso che il potere è attribuito a questo per la tutela di un certo tipo di interesse, ma fin dove con l’interesse astratto coincide l’interesse concreto; nonché dal principio di solidarietà fra i due soggetti del rapporto, come partecipi entrambi della stessa comunità, nel senso che la subordinazione di un interesse all’altro interesse concreto è consentita fin dove essa non urti contro quella solidarietà, che non si realizza nella comunità senza prima realizzarsi nel nucleo costituito dai soggetti del rapporto giuridico”.

95 Cfr: Cass. SS.UU. Civ., Sent. 9935/15, sulla impossibilità di pronunciarsi sulla richiesta di fallimento (liquidazione giudiziale) in pendenza di una procedura di concordato sin dalla presentazione della domanda.

96 Cfr: A. PISANI MASSAMORMILE, Una legge sfortunata, intempestiva ed affollata, in Id. (a cura di), La crisi del soggetto non fallibile, op. cit., p. 170-172, anche se in realtà ipotesi ivi analizzata rispetto alle sole “offerte concorrenti”, con riferimento alla precedente disciplina del sovraindebitamento dell’imprenditore sotto soglia.

97 Cfr. però, M. IRRERA, Le tormentate procedure concorsuali e la nuova legislazione “a gambero” (è giunto il tempo di un recovery plan per le crisi d’impresa?), in IlCaso.it, 04.01.2021, p. 7, che si mostra critico verso le offerte concorrenti perché “spesso rendono impraticabile il risanamento, giacché considerano “sospette” le proposte del debitore” e ne auspica almeno una sospensione temporanea per i primi anni di entrata in vigore del Codice.

98 Cfr: Trib. Napoli, Sent. 27.10.2020, che precisa che “il sovraindebitamento, derivante dalla stipula di un contratto di finanziamento in violazione dell’art. 124-bis T.U.B., è riconducibile eziologicamente proprio e solo all’intermediario finanziario. Dunque, la valutazione del merito creditizio da parte del finanziatore è elemento idoneo a fondare l’esistenza della meritevolezza del debitore ai fini dell’omologa”.

99 Ciò nella versione “ridotta” dopo il correttivo del 2020, poiché in precedenza il Codice prevedeva che non poteva nemmeno far valere cause di inammissibilità che non derivassero da comportamenti dolosi del debitore. Ma evidentemente tale previsione è stata ritenuta eccessiva dallo stesso legislatore.

100 G. D’ATTORRE, Il conflitto di interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, I, p. 392 e ss.

101 Con esclusione quindi delle procedure esclusivamente stragiudiziali e di quella inerente il consumatore, dove si prescinde completamente dal voto dei creditori.

102 In realtà con pronunce di merito spesso altalenanti, e prevalentemente tese ad ammettere al voto la più ampia platea di soggetti in assenza di espressa previsione, fino a Cass. Ord. 2948/21, che, anche alla luce del Codice già approvato ma non ancora entrato in vigore, ha chiarito che il creditore in conflitto di interessi va sempre escluso (fattispecie specifica relativa al voto di una società, controllata da quella che aveva presentato una proposta concorrente di concordato).

103 M. SCIUTO, La classificazione dei creditori nel concordato preventivo (un’analisi empirica), in Giur. comm., 2007, I, p. 566 e ss.

104 M. FABIANI, Brevi riflessioni su omogeneità degli interessi ed obbligatorietà delle classi nei concordati, in Il Fall., 2009, p. 473 e ss.

105 Come noto, la problematica di ritenere o meno i crediti dei professionisti come rientranti nella prededuzione di cui al comma 2 dell’art. 111 l.f., prevista per quelli “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali”, in particolare sull’aspetto della valutazione della utilità per i creditori, era stata superata dalla norma interpretativa di cui all’art. 11, comma 3 quater, D.L. 145/2013, come modificato dalla legge di conversione, che dettava precise indicazioni, salvo poi l’improvviso dietrofront del legislatore che l’aveva abrogato nello stesso anno con D.L. 91/2014. La giurisprudenza maggioritaria era comunque nel senso di ammettere la prededuzione in caso di utilità per i creditori, anche solo rispetto al suo risultato pratico minimo, cfr: Cass., Sent. n. 12934/18, n. 5254/18 e n. 1182/18.

106 Cfr. in tal senso, quasi testualmente, M. PORZIO, in Convegno dell’11.12.2019 su “Controlli sulla gestione societaria e prevenzione della crisi d’impresa” presso l’Università di Napoli Federico II, che ha parlato di “pan-azionarismo” nel senso indicato nel testo.