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Saggio su “vizi della volontà in rete, spunti di riflessione sulla possibile tutela della vulnerabilità da effetti distorsivi di I.A., algoritmi e big data nella società dell’informazione e nella contrattazione telematica”

Scritto da Armando Calogero • nov 2021

Contenuto

1. Introduzione

Negli ultimi tempi, complice anche l’avvento e gli sviluppi della pandemia ancora in corso, è sempre più al centro dell’attenzione il tema dell’innovazione che, se in alcuni settori costituisce un valore, in altri viene guardata con timore.

Da sempre il diritto vive la tensione tra due esigenze fondamentali che andrebbero contemperate: la certezza del diritto e delle situazioni giuridiche e l’aderenza alla realtà dei mutamenti sociali.

Se da una parte, infatti, emerge la tendenza a privilegiare ragioni di certezza, dall’altra, non può negarsi che il diritto stesso costituisca un fenomeno sociale volto a disciplinare altri fenomeni sociali, i quali influiscono a loro volta sul primo1.

L’impatto di Internet sulla realtà giuridica ed economica è stato indubbiamente travolgente2, tanto che taluni l’hanno paragonata perfino all’invenzione della scrittura3; il progressivo sviluppo dell’informatica, della tecnologia digitale e della telematica4 hanno investito i rapporti contrattuali con l’elaborazione di nuovi strumenti di negoziazione, conclusione ed esecuzione del contratto aventi dinamiche operative del tutto peculiari che hanno sollevato questioni giuridiche inedite legate all’applicazione della tecnologia al contratto.

La realtà sociale e individuale è stata modificata sotto il profilo lavorativo, organizzativo, commerciale e, dunque, è inevitabile per l’ordinamento giuridico tenere conto di tali cambiamenti che se, da un lato, portano con loro effetti favorevoli, nuove opportunità e innovazione nelle relazioni socio-economiche che nascono e si sviluppano al di là dei confini territoriali e a prescindere dalla distanza fisica tra i contraenti ponendosi in una dimensione ultra nazionale, dall’altro, inevitabilmente, mettendo a disposizione degli utenti strumenti di regolazione degli interessi più duttili e flessibili rispetto al classico istituto contrattuale, evidenziano ulteriori criticità connesse all’evoluzione del rapporto tra il contratto e la tecnologia.

Mi riferisco alle più recenti acquisizioni capaci di sfruttare le potenzialità delle applicazioni basate sulla I.A., Algoritmi e Big Data o i vantaggi connessi all’utilizzo della tecnologia blockchain, come i contratti intelligenti, o smart contracts (all’estero anche denominati small contracts), che tuttavia pongono problemi di attuazione e di compatibilità (rectius: riconducibilità) agli schemi e alle categorie tradizionali (contratto, consenso, autonomia contrattuale), su cui inevitabilmente si confronta ed impatta al punto da sancirne l’inesorabile declino e di tutela del contraente debole da diversi punti di vista che involgono anche il diritto alla riservatezza e il trattamento dei dati personali.

Indubbiamente, infatti, all’utente che accede ad internet per beneficiare di prestazioni, servizi ed altri vantaggi viene spesso richiesto di fornire i propri dati personali che passeranno da un server all’altro venendo posti a disposizione di siti, social networks, aziende ecc., con la conseguenza che l’immissione dei dati genera diffusione della conoscenza di tutto ciò che interessa e gravita intorno all’utente il quale, pertanto, è naturalmente indotto a limitare i contatti e i rapporti personali e professionali svolgendo la maggior parte delle attività utilizzando il computer o lo smartphone, acquistando beni e servizi grazie a un click.

Sotto tale profilo è evidente come l’equilibrio e la dinamica della contrattazione siano del tutto alterati rispetto al passato. I beni e i servizi desiderati dall’utente non sono individuati fisicamente, ma mediante immagini e i soggetti a cui egli si rivolge sono essenzialmente pagine web e non (almeno non direttamente) persone5. Anche il tipo di contrattazione viene a modificarsi dal momento che i punti del contratto spesso non sono oggetto di trattativa, ma all’utente viene imposto di selezionare (più che scegliere) tra le limitate alternative indicate dal sito.

Da questo punto di vista, particolarmente rilevante ai fini dell’indagine, non vanno affatto sottovalutati i rischi e le insidie connessi alla standardizzazione di moduli unilateralmente predisposti per l’adesione, formattati e personalizzati in base alle esigenze del solo soggetto predisponente e non anche dell’aderente, sul presupposto indimostrato e comunque non condivisibile, dell’autosufficienza del contratto.

Senza sottovalutare, inoltre, gli effetti dell’emergenza sanitaria sulla stipulazione di contratti per l’acquisto di dispositivi di sicurezza o l’acquisizione di servizi di sanificazione degli ambienti a condizioni particolarmente inique per l’acquirente indotto in errore al momento dell’acquisto di mascherine, farmaci, kit anticovid, ecc., in assenza di adeguata informazione sulle caratteristiche del bene, così come sovente avviene nella contrattazione on-line quale espressione più significativa del più ampio fenomeno dell’e-commerce6.

Di fronte a tali cambiamenti l’ordinamento giuridico è chiamato a reagire e, dunque, a ricercare una regolamentazione di un fenomeno multiforme che contempla fattispecie delocalizzate e automatizzate che difficilmente possono essere ricondotte o attratte in categorie e/o istituti tradizionali e sottoposte alla disciplina per essi prevista.

Sul punto, tuttavia, due sono le alternative possibili: accantonare i concetti e le regole consolidate nel sistema, incapaci di rispondere in modo efficace alla suddetta esigenza, per cercare nuovi e più adeguati strumenti e quella, invece, di riutilizzare i principi e i concetti già esistenti, valorizzando la loro elasticità e, dunque, la capacità di conformarsi, adattarsi ai nuovi fenomeni7 estendendone la portata alle fattispecie che siano del pari espressione dell’autonomia negoziale e il corrispondente regime di responsabilità.

Posto infatti che di fronte all’incedere del progresso tecnologico, il legislatore non può limitarsi ad una mera presa d’atto assumendo per questa via un atteggiamento di sostanziale chiusura nei confronti di un fenomeno in fieri che al contrario ora e per il futuro impone il consapevole e costruttivo adattamento del diritto nell’ottica di assicurarne la dialettica da cui dipende la coerenza, l’adeguatezza e l’efficacia dell’ordinamento giuridico, la scelta tra le due possibili soluzioni è il frutto di un’indagine sull’applicabilità degli istituti tipici del contratto e ancor prima del negozio giuridico al contratto telematico.

La presente disamina è volta, in particolare, a verificare l’applicabilità dei vizi della volontà al contratto telematico e, più in generale, a tutte le operazioni in rete, al fine di ricercare soluzioni efficaci anche per tutelare il contraente debole o vulnerabile nell’ambito di un quadro normativo che sia il frutto della sintesi tra regole tecniche e giuridiche coordinate tra loro in un sistema integrato.

Essa, quindi, muovendo dalla constatazione della manipolazione ideologica degli utenti attraverso la rete e della capacità di quest’ultima di influenzarne la volontà senza che essi se ne accorgano raggirandoli e indirizzando le scelte verso il mercato e il consumo di determinati beni o servizi, evidenziare le difficoltà di comunicazione in rete e, quindi, senza alcuna pretesa di esaustività, analizzare in particolare l’adattabilità della disciplina dei vizi del consenso così come è stata elaborata dalla tradizione e positivizzata dal nostro codice al nuovo fenomeno della contrattazione telematica, verificando il possibile annullamento del contratto telematico per errore, violenza o dolo.


2. Un primo approccio al problema: accordi e disaccordi sulla persistente validità delle categorie tradizionali

La rilevanza dell’equilibrio contrattuale dal punto di vista sia economico che normativo assume rilievo centrale ai fini della individuazione della disciplina concretamente applicabile ai contratti connotati da asimmetria informativa (e di conoscenze) e delle garanzie che devono necessariamente assistere la parte debole del rapporto nelle fasi precedenti e successive alla conclusione del contratto. L’asimmetria informativa tra le parti del rapporto espone infatti il contraente debole a rischi che si appuntano sul processo di formazione della volontà da cui dipende la capacità (e piena consapevolezza) di valutare la convenienza dell’affare in base alla rappresentazione delle caratteristiche del prodotto (bene o servizio) che si intende acquistare a mezzo di un contratto vincolante concluso in rete.

E’ evidente, infatti, che l’entità del rischio e del pregiudizio nelle relazioni in internet e, in particolare, nella formazione degli accordi per mezzo delle reti telematiche, in assenza di modelli informativi e documentali adeguati aumenta in misura esponenziale, non limitandosi tra l’altro all’incidenza delle nuove modalità di contrattazione sui vizi del consenso, per estendersi anche ad altre cause concomitanti o concause rappresentate dal malfunzionamento, dall’interruzione, anche parziale, o dall’utilizzo improprio delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici.

Nella casistica, invero piuttosto variegata, spicca l’ipotesi del raggiro attuato mediante l’allegazione alla proposta contrattuale di immagini false non corrispondenti a quelle del bene acquistato dal contraente sulla base di dichiarazioni (confortate dalle immagini) a cui egli ha attribuito un peso decisivo e che l’hanno indotto a concludere il contratto. Nell’esempio considerato, infatti, nonostante “il modesto livello di attendibilità (…) bisognerà considerare che le immagini associate alla proposta contrattuale rappresent(a)no l’unico vero strumento di cognizione dell’oggetto del contratto (con la ovvia conseguenza che) l’intenzionale occultamento nelle immagini allegate alla proposta di elementi essenziali del bene e decisivi ai fini della valutazione dell’affare debba essere considerato quale raggiro capace di incidere nel processo di formazione della volontà”.8

Particolarmente significative, innanzitutto dal punto di vista quantitativo, sono le fattispecie rientranti nell’ampio genus delle pratiche commerciali scorrette che se ed in quanto si sostanziano in comportamenti idonei a condizionare la volontà di uno dei contraenti inducendolo in errore integrano una causa di annullamento del contratto o di risoluzione dello stesso se incidono sulla rappresentazione delle caratteristiche del bene e/o del servizio o sul suo prezzo. In ogni caso, la limitatezza delle informazioni di cui dispone il contraente debole condiziona l’affidabilità commerciale del venditore e aumentano il margine di errore sull’identità e le qualità dell’altro contraente o sulla dichiarazione contrattuale resa inconsapevolmente quando esse incidano sulla convenienza dell’acquisto. Senza dimenticare, inoltre, un’ipotesi altrettanto diffusa nella prassi rappresentata dalla contrattazione cybernetica che demanda al computer programmato dall’uomo la decisione sul se contrattare, quando e come nell’esercizio di un potere suscettibile di tradursi nella fase di contrattazione in una volontà (trasmettendo alla controparte la relativa dichiarazione contrattuale) a volte difforme da quella del programmatore attribuibile a diverse cause, tra cui violenza o dolo che abbiano viziato la volontà dello stesso (se diverso dal venditore) e/o dell’altro contraente consapevoli dei vantaggi, ma anche del rischio informatico di dichiarazioni difformi dalle aspettative (volontà anche potenziale o orientamento)9.

Ciò posto, l’elaborazione dottrinale prevalente esclude in radice l’applicabilità del rimedio dell’annullamento per vizi delle operazioni svolte in rete, rinunciando ad invocare l’errore, la violenza o il dolo (da intendersi come artifizi e raggiri di una macchina) a fronte di un’attività negoziale posta in essere in rete.

Emerge, infatti, la tendenza ad individuare una deviazione dal paradigma del diritto comune in ragione delle diversità presentate dalla contrattazione in rete.

Di certo, non può dirsi presente un’elaborazione ben articolata in argomento, caratterizzato perlopiù da una generale caoticità a partire dalla stessa definizione di contratto telematico10.

C’è, infatti, chi distingue tra contratti digitali (con firma elettronica), telematici (conclusi tramite strumenti telematici tra assenti) e informatici (aventi ad oggetto beni e servizi di natura informatica)11 e chi individua la categoria dei contratti virtuali12, in senso proprio (concluso dall’utente mediante un sito web predisposto dal professionista) e in senso improprio (con riferimento anche alla contrattazione via mail).

Altri, ancora, parlano di contratto digitale13, ma, più in generale, si registra un’attenzione prevalente all’individuazione e all’analisi degli elementi essenziali (volontà, causa, oggetto, forma)14 e all’indagine sull’applicabilità o meno al contratto telematico della disciplina del Consumatore e delle clausole vessatorie15, difettando, invece, del tutto un’elaborazione esauriente e strutturata sull’applicabilità dei vizi del consenso alle operazioni in rete.

Con riguardo all’elemento della volontà e quindi dell’accordo si registra un filone dottrinale tutto orientato a dimostrare la dissolvenza del concetto di contratto come tradizionalmente inteso a causa dell’imperare dell’economia di mercato che privilegia l’efficienza e l’immediatezza degli scambi rispetto alla tutela della volontà dei singoli, i quali, di regola, trovano protezione nella possibilità di negoziare termini e contenuto di un’operazione negoziale e che, viceversa, nel mondo telematico, perdono sempre di più questa opportunità, non conciliandosi con le esigenze delle nuove dinamiche negoziali in rete16.

Vi sono autori che rilevano come vi sia sul terreno della contrattazione telematica una graduale oggettivazione, spersonalizzazione e decontestualizzazione del contratto che diviene «un atto governato da una procedura standardizzata irreversibile», allontanandosi sempre più dal concetto di negozio come costruito dall’elaborazione giuridica17.

Di conseguenza, esso denota la perdita di rilevanza dell’accordo rispetto al significato obiettivo dell’operazione negoziale (c.d. oggettivazione) e la proliferazione della contrattazione di massa (c.d. standardizzazione)18.

Si è annoverato il contratto telematico, accanto ad altre ipotesi, nella categoria dei c.d. scambi senza accordo elaborata da autorevolissima dottrina19 con cui si suole identificare una pluralità di atti volontari unilaterali convergenti sul medesimo oggetto rispetto ai quali è discusso il valore e il significato dell’adesione se, cioè, la fattispecie sia riconducibile alla contrattazione e, quindi, al contratto siglando l’accordo tra le parti, oppure se, come evidenziato da Irti «La parte, che adotta moduli e formulari, rifiuta e nega il dialogo (...)collocando i fenomeni sprovvisti di accordo, fuori dalla categoria del contratto, o (scegliendo) di distaccare il contratto dall’accordo, sicché esso sia in grado di accogliere anche gli atti unilaterali, convergenti sull’identica cosa»20.

Tali posizioni convergono sul fatto che nel nuovo sistema si possa ancora parlare di autonomia privata, ma non di autonomia negoziale, non essendo più garantito lo spontaneo contemperamento degli interessi che la teoria del negozio giuridico mirava a salvaguardare, prestando attenzione agli interessi della singola parte negoziale.

Piuttosto, il nuovo sistema economico tende a guardare ai contraenti come una platea indistinta di consumatori o, in rete, di utenti21.

Nella contrattazione telematica difetta l’elemento dialogico, essenziale nel concetto di accordo come inteso dalla tradizione giusnaturalistica22, ma anche la materialità delle cose su cui convergono le volontà unilaterali delle parti – tipica della contrattazione di massa nei grandi magazzini. Si tratta, piuttosto, di una mera scelta su immagini. Di certo, a tali immagini si affiancano i testi grafici, ma essi hanno una funzione sostanzialmente volta alla presentazione della merce non sembrando assumere il rilievo di elementi essenziali, potendo ben essere sostituiti da altri segni o icone.

L’utente che contratta su un sito web, benchè entri in possesso di una significativa quantità di informazioni, non svolge alcuna trattativa sul contenuto del contratto che sta andando a stipulare, dovendo solo scegliere se aderire o meno a qualcosa che è stato unilateralmente predisposto da altri23.

Ad ulteriore conferma dell’assenza di trattativa si possono richiamare gli scambi conclusi direttamente da elaboratori che, in virtù di programmi inseriti al loro interno, intervengono nel procedimento di formazione della volontà altrui, senza limitarsi ad essere strumenti di trasmissione, rendendo non necessaria la presenza del contraente24.

Nella specie, quindi, si realizza la fattispecie dello scambio senza accordo di cui si è detto, caratterizzato dalla combinazione di due atti unilaterali convergenti su un’immagine.

Una dichiarazione di tal genere avrebbe natura di atto giuridico da ricondurre alla categoria delle variae causarum figurae di Gaiana memoria, oggi indicate come terzo tipo di fonti dall’art.1173 c.c.25, cui applicare in via analogica, e ove compatibile, la disciplina contrattuale.

Ne conseguirebbe, come per tutti gli atti giuridici, la non necessità della capacità di agire, ma della mera capacità di intendere e volere.

In realtà, l’applicazione della teoria degli “scambi senza accordo” a proposito delle operazioni in rete non è scevra da considerazioni critiche e dubbi interpretativi che investono la natura delle negoziazioni e degli scambi che avvengono per via telematica o informatica secondo forme e modalità non facilmente né automaticamente compatibili (rectius: riconducibili) con/al contratto e al consenso in un contesto sempre più globalizzato e caratterizzato dall’incessante evoluzione tecnologica in cui la dematerializzazione dei luoghi e degli spazi della contrattazione rappresenta, a sua volta, un obiettivo strategico importante all’esito di un processo lungo ed inesorabile volto a “destrutturare” il dialogo tra le parti.

Si è osservato26, infatti, che la formula ‹‹scambi senza accordo›› non sia idonea ad esprimere nulla in punto di disciplina, abbandonando una grossa fetta degli scambi che ogni individuo realizza nella vita di tutti i giorni in una sorta di “limbo giuridico” generatore di incertezza27.

Anche il riferimento alla capacità naturale ex art 2046 c.c. ha sollevato alcuni dubbi, non essendo in grado la stessa di fondare l’impegno che comunque si trova alla base dello scambio, malgrado il fatto che le ipotesi generalmente ricondotte dagli autori alla categoria degli scambi senza accordo costituiscano operazioni di modesta portata28.

Altre perplessità sono sorte con riferimento alla visione tradizionale del contratto con cui nel tempo si è identificata una nozione elastica suscettibile, cioè, di inglobare fattispecie eterogenee e di racchiudere in sé una congerie di operazioni molto diverse tra loro29, non riducibili esclusivamente al consenso bilateralmente prestato30, testimoniando così la crisi delle categorie tradizionali e l’esigenza non più procrastinabile di un rivisitazione delle stesse che si attua sfatando dogmi e certezze che ormai non rappresentano punti di riferimento certi per l’interprete.

Un contratto è ravvisabile, quindi, non solo se preceduto da trattative (o se sia stato concluso a seguito di una contrattazione dialogica), ma anche se quest’attività sia flebile o manchi del tutto, come nei contratti per adesione. Ci sarà accordo, infatti, anche ove una parte domandi e l’altra si limiti a rispondere sì31, se ed in quanto ciò sia funzionale al raggiungimento di un determinato obiettivo ed espressione di una scelta e di un interesse individuale che si realizza mediante il ricorso a strumenti tecnologici e in contesti dematerializzati e delocalizzati (ossia, per quanto qui importa, mediante la predisposizione unilaterale di contratti standard di adesione) e secondo modalità (automatica, informatica, telematica e ormai anche tramite smart contracts) affatto scevre da rischi per il contraente debole in assenza di regole ad hoc applicabili ai contratti conclusi on-line o della disciplina dello scambio senza accordo che non possono essere compensati con agevolazioni di altra natura.

A fronte dei problemi definitori confermata dalla sostanziale difficoltà di ricorrere a classificazioni riconducibili a modelli predefiniti e preesistenti, l’individuazione dei tratti comuni e caratterizzanti consente di ritenere che le diverse fattispecie siano sussumibili nell’ambito contrattuale, non ritenendo utile l’elaborazione di una «diversa categoria concettuale dotata di un proprio ed autonomo valore ordinante delle svariate figure contrattuali, (che abbia) la forza di aggiungere un’ulteriore connotazione al tradizionale sistema classificatorio»32, come ad esempio quella degli scambi senza accordo, oppure effettuare una «estensione o riduzione connotativa»33 al sintagma contratto, rientrando il contratto telematico nella nozione individuata dal codice attraverso il ripensamento dello schema legale tipico34.

La medesima analisi realizzata con riguardo all’accordo e alla sua compatibilità con il nuovo fenomeno del contratto telematico è stata posta in essere dalla dottrina anche con riguardo alla funzione perseguita (ossia alla causa), all’assetto degli interessi che intende realizzare, all’oggetto e forma, al fine di valutare se tali elementi, in relazione con la contrattazione telematica, subiscano ontologiche alterazioni, sintomatiche di una propria diversità rispetto ai modelli del diritto contrattuale comune, e normativo, con applicazione di una disciplina specifica di settore, a scapito della normativa generale. Come la prima, anche questa analisi è giunta alla conclusione della tendenziale validità delle categorie generali.

Prescindendosi dalla figura dello scambio senza accordo, come già accennato, la teoria classica, pur senza giungere all’idea dell’assenza totale di volontà, esclude l’applicabilità dei vizi del consenso ai contratti in rete, ma secondo un percorso logico differente.

Pur convenendo sulla presenza dell’accordo e sulla continuità della nozione contrattuale c’è da approfondire l’elemento volontaristico e l’atteggiarsi in seno a quest’ultimo della patologia derivante dalla presenza di vizi del consenso.

Non è revocabile in dubbio che l’accordo nella contrattazione telematica è presente, pur avendo connotazioni in parte differenti rispetto all’accordo tradizionale, in quanto caratterizzato come si è innanzi accennato, dall’accettazione del rischio e dalla configurazione di un vizio della volontà da parte dell’utente che esprime il suo consenso in rete.

L’utente, dunque, è consapevole dei rischi della rete, in particolare che possano verificarsi alterazioni nel procedimento di formazione della volontà per l’intrinseca assenza di materialità tipica del mondo virtuale.

La virtualità di Internet non sta solo nell’essere una simulazione totale della realtà, ma fondamentalmente, nell’essere un sistema che rende possibili soltanto scambi “puri” del tutto autonomizzati rispetto a quelli che il civilista suole definire motivi del contratto e che rappresentano l’insieme dei progetti individuali e dei valori d’uso che muovono il contraente ad accedere al mercato. Logica conseguenza in campo giuridico, è la necessità di formulare una nuova teoria generale del contratto che voglia tener conto di questa fenomenologia degli scambi.

Assumendo la coppia accordo/contenuto quale paradigma sul quale compiere i primi passi verso questa riformulazione, la dottrina di cui ci si occupa registra sulle reti telematiche un processo di allontanamento dell’uno e dell’altro, un processo che produce, pertanto, una inevitabile riduzione della capacità regolativa della disciplina generale dell’uno e dell’altro.

Basti pensare, in proposito, alla disciplina dei vizi della volontà e dell’interpretazione, da una parte, e quella relativa alle clausole di personalizzazione, dall’altra.

Una conferma di tale processo può venire anche dalla disciplina dei contratti conclusi fuori dei locali commerciali, dalla disciplina del documento elettronico e della firma digitale, fino alla disciplina recente dei contratti a distanza e della formazione dei documenti informatici, in cui viene esplicitata la tendenza a confinare la regolamentazione del contratto al piano della procedura telematica, piuttosto che a quello della cooperazione economica e della regolamentazione del rapporto e degli interessi.

Le modalità attraverso le quali è presentata l’offerta di vendita, relativamente al bene o servizio prestato, alle qualità della cosa, al prezzo, alle modalità di pagamento (c.d. vetrine o cartelli virtuali), non consentono all’acquirente se non una valutazione “secca” di tali elementi, precludendogli ogni altra valutazione o interlocuzione di convenienza rapportata a bisogni propri, oltre a limitare fortemente sia la rilevanza di eventuali vizi, sia la possibilità di operazioni ermeneutiche sull’intento comune, ovvero sul significato dell’operazione economica.

In tal senso si è parlato, come visto, di un “rischio informatico” specifico che l’utente si accollerebbe nel momento in cui, edotto o non edotto che sia sul linguaggio informatico, decida di accedere a questo mercato. Si precisa, anzi, che proprio la presunzione di conoscenza della semantica telematica determinerebbe l’insorgere di questo rischio, nonostante gli eventuali reiterati fallimenti di comprensione delle immagini iconemiche35.

Se si pensa alla funzione di soluzione degli attriti comunicazionali fra i contraenti assolta dalle norme codicistiche di cui agli artt. 1362 c.c. appare evidente la tendenziale sospensione di questa funzione dei contratti telematici: il linguaggio tecnico standardizzato operante in rete, infatti, ha un significato unico, e non ammette a priori divergenze interpretative giuridicamente rilevanti sui simboli e sui segni che appaiono sul video computer.

Tale approccio conclude, dunque, che nei settori di mercato le cui operazioni sono suscettibili di essere concluse per via telematica, si è sviluppata ed ha preso corpo una prassi che porta a compimento un processo di oggettivizzazione del contratto.

Ci si intende riferire al processo che parte dalla affermazione del dogma della volontà per rifluire nel principio di tutela dell’affidamento, nell’oggettivazione della causa, nella sanzione della contrattazione standardizzata e del relativo potere normativo dell’impresa, per compiersi oggi nell’affermazione del contratto in sé quale atomo degli scambi telematici.

Da modello neutro disponibile ad accogliere le più semplici come sofisticate operazioni patrimoniali, il contratto telematico appare sempre più come un atto governato da una procedura standardizzata irreversibile, spersonalizzato, decontestualizzato rispetto al tempo e allo spazio. Un atto, non importa se bilaterale o combinazione di due atti unilaterali, ma comunque lontano da quel concetto di negozio che ha fin qui nutrito le riflessioni del civilista e del teorico del diritto.

Tale conclusione pur ove la si consideri valida, ha una portata limitata frutto di una visione parziale.

Emergono, infatti, una serie di aspetti critici dovuti all’alterazione del rapporto contrattuale e del processo formativo della volontà negoziale.

È ormai trascorso quasi un secolo da quando alcuni giuristi36 affrontavano i propri studi sugli allora avveneristici rapporti contrattuali e l’evoluzione tecnologica, quale strumento di regolazione degli interessi alternativo al contratto tradizionale, palesandone la rilevanza sul piano giuridico ed economico e la fenomenologia di comportamenti economici quale termometro del livello di meritevolezza giuridica del contegno assunto dai consociati. Si tratta di relazioni umane intersoggettive nascenti dall’esigenza di soddisfare bisogni definiti autorevolmente come “le incognite più oscure fra tutte le incognite dell’intero sistema di variabili del quale si occupa la scienza economica e suddivisi in primari e secondari”. Ciò però non esulta dalla controanalisi della relazione tra i comportamenti provocati da tali bisogni e i beni suscettibili di appropriazione individuale. Comportamenti che si sdoppiano in quelli necessitati dalla soddisfazione immediata del bisogno (consumo) e quelli propedeutici alla successiva soddisfazione del bisogno (lavoro). L’impulso negoziale, “congegno motore di ogni consapevole regolamento reciproco d’interessi privati”37, in un’accentuata connotazione eterogenea, mette in luce tre elementari tipologie di contrattazione. La prima giustifica l’assenza di trattative, di valutazione, riflessione, con la sua fioritura nelle esigenze della sopravvivenza e della solidarietà. Il secondo modello, risultato di un’attenta ponderazione degli interessi in gioco e retto dal principio della buona fede, si connota come idealtypus della tradizionale teoria generale del contratto. Mentre il terzo archetipo, peculiarizzato dallo scambio diretto e repentino, precorre la standardizzazione di operazioni, riconosciute convenienti per ambedue le parti senza una trasparente meditazione, che rimane concretata nel dispiegarsi della consuetudine comportamentale. La prospettiva, nell’escludere la dignità giuridica a negozi istintivi o necessitati, stimola a valutare quegli scambi che, nati dalla prassi, non sono appunto disciplinati dal legislatore, indirizzando la difesa del singolo non più nell’assenza di leggi, ma proprio nelle leggi regolatrici del mercato. Sicchè un contributo decisivo, in un progressivo ambiente di dissolvimento dello schema volontaristico, proviene dall’attitudine all’accrescimento della possibilità informativa nella negoziazione telematica, che attraverso l’accurata conoscibilità del prodotto tecnologico, stimola il gesto di offerta nell’intento di ricevere effettivamente quello che si vuole. Il postulato della consociabilità sociale si estrinseca nel fatto che ciascun individuo a contatto con l’altro divenga responsabile di ciò che fa e di ciò che dice per il conseguente affidamento che provoca. In tale ottica, la nota distinzione tra significazione per simboli e significazione per segnali urge di una rimeditazione con riferimento al linguaggio dei computers. Infatti, se all’apparenza non poche analogie appaiono tra la “schermata” (ciò che si vede sul video) e il documento cartaceo, tanto da presumerli omogenei, nonché, proprio nella fase della conclusione del meccanismo contrattuale, tra la “cliccata” su un simbolo e i tradizionali momenti finali di esternazione della volontà concludente nella contrattazione di massa (gesto convenzionale, cenno della mano), più arduo è individuare i segnali relativi ad un comportamento concludente. Ciò si verifica sia quando nella schermata si aprono successive “finestre virtuali” che richiedono l’interazione dell’utente, sia quando per di più l’accordo si consacri attraverso l’interrelazione di più media. È poi soprattutto con riguardo alla frequente comunicazione telematica per simboli, che alla luce della sua asserita subalternità alla comprensibilità da parte dell’utente, è necessario discernere l’esistenza o meno di una tacita convenzione, di un’assunzione di rischio o di una presunzione, la quale potrebbe, come di seguito confutato, ipso facto, desumersi dall’utilizzo degli strumenti stipulatori elettronici.

In questa direzione non è fuori luogo parlare di alfabetizzazione elettronica 38o di “phase de domestication” con ciò evidenziando la spaccatura esistente tra gli esperti del mondo informatico e i non esperti, maggioranza degli attuali componenti non solo del mercato della domanda, ma anche dell’offerta. Invece, esula completamente il tema del silenzio. È ipotizzabile una comunicazione silenziosa solo laddove esistano, alla luce del criterio dell’esperienza, dei doveri di attivarsi per manifestare un atteggiamento contrario, situazione questa che manca in un ambito sperimentale, come il presente, potendosi, al più discorrere di comportamenti concludenti, ove una “traditio” reale è necessaria allorquando si mostri difficile l’identificazione del venditore; tale evenienza si verifica nell’esposizione di macchine per la contrattazione automatica, che sono installate in luoghi appartenenti ad altri imprenditori. Tali osservazioni nell’evidente tentativo di palesare come il nodo cruciale del superamento dello schema tradizionale proposta-accettazione spinto sino all’estremo della stipulazione contrattuale “sine consensu” rappresentavano questioni insidiose, spinose e già controverse tra le diverse impostazioni dottrinarie ben prima che facesse capolino il contratto telematico.

Da tali considerazioni deriva che superare le categorie tradizionali non rappresenta necessariamente la soluzione.

È ormai evidente come la diffusione di mercati caratterizzati da automatismi e tecnologie informatiche metta in luce la crisi della parola e del dialogo, da intendersi come mezzi per compiere lo scambio contrattuale, e quindi la decadenza dell’accordo contrattuale, come dialogo linguistico sussistente fra le parti. Altrettanto manifesto e vivace è il dibattito sviluppatosi in argomento, sovente connotato da toni piuttosto critici.

Si può convenire sul fatto che il linguaggio verbale costituisca solo uno degli immaginabili strumenti utilizzabili dall’uomo. È possibile manifestare, infatti, la volontà contrattuale, anche mediante diversi e nuovi mezzi di comunicazione e, dunque, anche mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie e del linguaggio informatico.

Da tale angolo visuale si può concordare sul fatto che accordo e dialogo non sono una “monade”. Ciò è vero non solo nel nostro ordinamento, con riferimento alle previsioni di cui agli artt. 1321,1327 e 1333 c.c., ma anche, nel contesto europeo, con riguardo ai principi di diritto europeo dei contratti (Pecl) che valorizzano la centralità dell’accordo anche in difetto di dialogo.

La problematica relativa alla permanenza delle categorie tradizionali si collega, infatti, con la possibilità di ricorrere a strumenti di tutela a fronte di accordi illegittimi, viziati o comunque iniqui. Ciò conduce a domandarsi della legittimità di un sistema che sottragga a priori la possibilità di utilizzare rimedi correttivi nelle ipotesi di anomalie e alterazioni dell’accordo. L’interrogativo cade, di conseguenza, sul valutare se la radicale diminuzione della possibilità di correttivi e rimedi post-negoziali dell’accordo possa giustificarsi in nome di principi come l’automazione, la prevedibilità e l’efficienza che assurgono a valori di riferimento.

Il tutto in omaggio ad un’esigenza di governabilità e di controllabilità degli accordi conclusi.

L’avvento dei personal computer prima, e di Internet poi, sembrerebbe annoverabile nella seconda categoria dei mutamenti giuridici individuati da Milton Friedman nel volume «Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali»39. In particolare, lo studioso individua quattro forme di mutamento giuridico: 1) esterna al sistema giuridico, ma capace di influenzarlo, e di essere in esso assorbito; 2) esterna al sistema giuridico, ma ove introiettato da questo, capace di incidere sulla società; 3) interna al sistema giuridico e che si esaurisce in esso; 4) interna al sistema giuridico ma incidente fuori da esso.

Il fenomeno iniziato sul piano socio-economico si è poi trasferito sul sistema giuridico, inducendo l’interprete e il legislatore a costatare la sua esistenza ed incidenza e a valutare una possibile rimeditazione delle categorie tradizionali, per vagliarne l’adattabilità, da una parte e, dall’altra, la necessità di intervenire legislativamente in modo specifico, per regolarne determinati profili.

Tali considerazioni spingono così la scienza giuridica a verificare se la classica attrezzatura potesse restare degna di applicazione o, all’opposto, occorresse un drastico ripensamento.

È chiaro ad ogni modo che l’applicazione delle categorie giuridiche tradizionali, presuppone una completa consapevolezza dell’oggetto da analizzare, al fine di evitare una categorizzazione forzata inutile e priva di significato.


3. Vizi della volontà e vulnerabilità in rete

A tal fine può rivelarsi utile procedere, sia pure sinteticamente, ad un esame della varietà delle ipotesi che possono verificarsi in rete.

In relazione ai vizi della volontà una situazione di rilevante interesse, collegata all’iter intrapreso, consiste nella relazione che si pone tra la capacità del soggetto che telematicamente agisce sotto l’altrui identità e la validità dell’accordo contrattuale da questi posto in essere. Com’è noto, nel contratto telematico può accadere che minori di età digitando i numeri della carta di credito dei genitori, compiano acquisti in rete (nel caso rilevante del contratto per accesso ai siti, con spendita della carta di credito, non rilevando altrimenti, l’identità del soggetto pseudo-rappresentato); risolta positivamente la quaestio facti relativa alla colpa dell’interessato che abbia tollerato siffatta immissione del minore ed all’affidamento incolpevole dell’operatore, rimane da valutare la validità dell’atto del minore. Una regola cardine in materia di rappresentanza è quella contenuta nell’art. 1389 c.c. che ritiene sufficiente, laddove vi sia stato conferimento da parte dell’interessato legalmente capace, la sola capacità di intendere e di volere del rappresentante avuto riguardo, altresì, alla natura e al contenuto del contratto.

L’applicazione delle soluzioni, quanto ad effetti contrattuali, praticate per la rappresentanza apparente anche al negozio stipulato dal rappresentante occulto telematico, viene considerata conseguenza diretta ed immediata dei principi di apparenza recepiti dalla nostra giurisprudenza.

Ciò non significa, peraltro, che esiste un costante richiamo alle norme positive stante la forte disomogeneità tra le due ipotesi, motivo per il quale non è ipotizzabile altro se non un’analisi minuziosa e basata sul singolo caso. Con riguardo all’ipotesi dell’incaricato mascherato telematico si pongono distinti problemi: a) se un’analogia consenta l’applicazione di quanto descritto nell’art. 1389, primo comma c.c.; b) se, nell’eventualità positiva dell’estensione della norma anche al caso de quo, il telematico assuma una valenza dirimente quanto a natura e contenuto. Nel caso dell’art. 1389, primo comma, c.c., la ratio della previsione normativa consiste nell’assenza dell’interesse da parte dell’ordinamento nel sanzionare l’invalidità di atti posti in essere da soggetti incapaci ove questi non li pregiudichino e rispondano all’interesse di chi ha voluto per sé gli effetti dei medesimi; si assiste ad un’esplicitazione del principio dell’autoresponsabilità dell’interessato il quale “deve sapere scegliere le persone alle quali affidare la gestione dei suoi interessi”. Gli elementi caratterizzanti la norma sono, in tal senso, un potere rappresentativo in capo al soggetto incapace d’agire, la spendita di tale potere rappresentativo, l’irrilevanza dell’incapacità d’agire del rappresentante. Ora, dei tre elementi, nella sostituzione telematica manca il secondo: non permettendosi un’applicazione analogica pura che pur “impura” sussiste. Quanto alla natura ed al contenuto del contratto, si è constatato che nel telematico ciò che differisce rispetto ai contratti tradizionali è il solo modus operandi dell’accordo, potendosi, invece stipulare astrattamente tutti i contratti omologhi dello scenario tradizionale, con i contenuti più svariati. Rispetto al problema degli ordini con digitazione di carta di credito altrui, inviati dal minore, ove vi sia tolleranza da parte del titolare della carta, può concludersi per l’immediata efficacia dell’acquisto in capo a quest’ultimo, non rilevando, così come avviene nel caso dell’art. 1389 c.c., l’incapacità di agire dell’autore del negozio.

Ciò posto, è ora possibile passare ad analizzare il problema dell'annullabilità per vizi del consenso del contraente debole, nel caso di consenso estorto per errore, violenza o dolo ai danni della platea di soggetti preventivamente selezionata a cui rivolgere un messaggio pubblicitario e/o un’offerta tramite un processo di targetizzazione in grado di individuare il pubblico che potrebbe essere interessato al rispettivo prodotto o servizio tra tutti gli utenti di un sito web e uno strumento per manipolare la volontà del soggetto selezionato e inquadrato, anche solo potenzialmente, come contraente debole del contratto telematico e possono riferirsi ad ogni fase in cui il contratto si forma. Scomponendo la genesi del contratto telematico in tre fasi (programmazione, elaborazione e trasmissione del risultato), in ognuna di queste possono intervenire fattori in grado di tramutare una dichiarazione regolare in una viziata.

Con riguardo all'errore, l'art. 1428 cc. ritiene necessari i caratteri dell'essenzialità e della riconoscibilità ai fini dell’annullabilità. Con specifico riguardo alla riconoscibilità dell’errore, la previsione di cui all’art. 1431 cc. secondo cui “L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto, ovvero alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo” necessità di essere ulteriormente specificata in relazione a ciascuna delle predette fasi.

Giova, in primo luogo, evidenziare che il contraente che riceve la dichiarazione non è di norma a conoscenza dei procedimenti logici che hanno spinto il computer a produrla, essendo per lui impossibile rendersi conto di eventuali errori ostativi nell'elaborazione della stessa, potendo percepire solo gli errori relativi alla fase della trasmissione e al massimo analizzarne le parole, senza poter in alcun modo comprendere se quel messaggio sia viziato o meno da errori nell'elaborazione o, ab origine, nella programmazione.

A ben vedere, tuttavia, se il contraente che riceve il messaggio opera nell'esercizio di un'attività professionale, al fine di analizzare il requisito della riconoscibilità, sarà a lui richiesto uno sforzo maggiore di quello preteso per il comune consumatore. Il contraente “professionale” è infatti in grado di individuare i procedimenti logici che il programma realizza e così discernere i suoi algoritmi “studiando” il suo comportamento40.

Ove, poi, l’errore non sia riconoscibile, il rischio di divergenze tra la volontà originaria e dichiarazione dell'elaboratore graverà sulla persona del dominus del computer, in omaggio al principio dell'affidamento in buona fede e del “cuius comoda, cuius incomoda”.

Con riguardo all’errore di calcolo utile è indagare la possibilità di applicare estensivamente l'art. 1430 c.c. Con il termine “calcolo” infatti si può fare riferimento, non solo agli errori aritmetici, ma anche alle operazioni effettuate dall’elaboratore sulla base delle istruzioni impartite nel programma e, quindi, rettificare il contratto come suggerito dalla disposizione in commento (a differenza dell’ipotesi in cui vi siano del gravi bug rientrando essa nel campo del cd. “rischio informatico”).

I dati introdotti dall'utente possono differire rispetto alla previsione del programmatore, dando vita ad errori o comunque a risultati anomali. E poiché, allo stato, il cd. rischio (informatico) zero resta un obiettivo impossibile da realizzare, il pericolo continua a gravare sull'utente in quanto, vista la possibilità di errore, in caso di programmi particolarmente complessi si ritiene che sul fornitore del software gravi solo un'obbligazione di mezzi e non di risultato.

A ciò si aggiunge che, secondo alcuni, il danno provocato da un uso cibernetico del computer si ritiene commesso nell'esercizio di un'attività pericolosa con il conseguente obbligo di risarcimento da parte di chi ne fa uso, salvo provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno in ossequio a quanto prevede l'art. 2050 c.c.

Non si esclude, grazie alla frammentazione in fasi della formazione del contratto, un possibile concorso di diversi soggetti alle varie fasi con la possibilità per il dichiarante di ottenere il risarcimento dei danni da colui che ha materialmente provocato l'errore non riconoscibile, sia che si tratti di un adempimento di una prestazione contrattuale che per negligenza o imperizia al di fuori del rapporto contrattuale.

Con riguardo alla violenza non si intravedono particolari problemi nell'applicabilità delle norme vigenti in materia.

La violenza morale, con cui si costringe una persona a fare una dichiarazione mettendola di fronte all'alternativa di rifiutare il consenso e subire il male minacciato o acconsentire ed evitare il male minacciato, può colpire sia il programmatore che ha predisposto il software di cui si serve il contraente che il contraente stesso. In quest'ultimo caso sarebbe applicabile la normativa vigente; se, invece, la minaccia riguardasse il programmatore, il contraente non avrebbe possibilità di scegliere consapevolmente sull'opportunità di evitare il male minacciato, non essendo la minaccia rivolta alla sua persona.

A questa ipotesi, non appare, pertanto, applicabile la normativa sull'annullabilità del consenso estorto con violenza. L’ipotesi andrà quindi ricondotta alla disciplina dell'errore, con i relativi presupposti della essenzialità e riconoscibilità. Bisogna, poi, differenziare a seconda dell'identità del soggetto. Se ad esercitare la violenza è la controparte, potrebbe configurarsi il dolo (la minaccia di un male ingiusto al programmatore a servizio dell'altro contraente, ove fosse stata determinante per la conclusione del contratto, costituisce un raggiro ai sensi dell'art. 1439 cc.), con la conseguente irrilevanza dell’essenzialità e riconoscibilità dell'errore. Se, invece, ad esercitare la violenza è un terzo, oltre alla disciplina dell’errore, potrebbe utilizzarsi l'ultimo comma dell'art. 1439 cc. che prevede l'annullabilità del contratto qualora i raggiri posti in essere dal terzo siano conosciuti dal contraente che ne ha tratto vantaggio.

Il dolo rappresenta il nodo più complesso. Si ritiene, in generale, che anche in caso di dolo si possa ricorrere alla disciplina del Codice Civile, essendo il computer semplicemente un mezzo più sofisticato con cui compiere raggiri41.

La parte, infatti, al di là dei casi di frode informatica disciplinati dall'art. 640-ter c.p. che rendono il contratto nullo, potrebbe porre in essere i più bizzarri artifici per ingannare l'altro contraente. Oggi si sta sempre più radicando l’abitudine di alcuni web-master di riempire le pagine web di truffaldini banner che, una volta cliccati, confondono l'utente con varie proposte contrattuali. Tali banner vengono di frequente esposti in modo ingannevole, imitando talora l'aspetto delle comuni finestre di Windows in modo da spingere gli utenti più sprovveduti a selezionarli per accedere ad altre pagine web.

L’indagine va estesa anche all’applicabilità dei vizi del consenso ad altre ipotesi analoghe al contratto telematico come il contratto concluso tramite e-mail oppure il c.d. point and click oppure anche alle aste on line, per i quali si rinvia ai successivi paragrafi.

3.1. Vizi del consenso nel contratto concluso tramite posta elettronica

Nei casi di peculiari forme di contrattazione affiorate nella prassi e generate dall’uso di nuove tecnologie il legislatore è solito dettare discipline particolari per assicurare in modo più severo la consapevolezza dell’impegno.

È il caso delle contrattazioni telefoniche in cui il contraente potrebbe venire indotto in errore sulla natura vincolante della propria dichiarazione di assenso. In tali ipotesi è previsto specificamente che il proponente debba precisare in modo inequivoco la natura commerciale della telefonata. Come visto, nelle ipotesi di contrattazione telematica l’asimmetria di potere contrattuale incide sulla consapevolezza dell’impegno preso.

Non si tratta di una questione circoscritta alle sole informazioni in merito ai caratteri di un bene o al suo prezzo anche perché in molti casi la rete consente anche di rendere agevole l’accertamento delle caratteristiche e il confronto dei prezzi su più motori di ricerca. La sproporzione, dunque, non è generata da una disparità di informazioni o conoscenze derivanti dalla qualità delle parti della contrattazione, ma il dislivello viene fuori dal mezzo tecnico mediante il quale anche il contraente più informato può non essere consapevole della vincolatività dell’impegno assunto. È possibile, infatti, che anche un contraente esperto soggiaccia alle scelte del predisponente che impone i dettami del procedimento formativo. Può, dunque, ritenersi che in tali casi il divario informativo attenga al procedimento formativo del contratto. In questa prospettiva si spiega più agevolmente l’inapplicabilità ai contratti conclusi via mail della disciplina del contratto telematico. Questa forma di conclusione del contratto vede un soggetto (il c.d. consumatore informatico) che fa ingresso in un meccanismo di formazione più semplice rispetto ai vari modi di contrattazione telematica e anche ove lui sopporti l’unilaterale predisposizione del regolamento contrattuale da parte del professionista questo potrebbe non essere problematico dal momento che il legislatore ha già affrontato problemi analoghi in tema di contratti del consumatore o di contratti conclusi fuori dai locali commerciali.

Secondo una certa impostazione, quindi, la distinzione tra questo tipo di contrattazioni e quelle regolate dalla disciplina anzidetta troverebbe fondamento non tanto nella consapevolezza relativa al contenuto del contratto o nella redazione unilaterale dello stesso, quanto piuttosto nella diversa dinamica del procedimento di formazione e nella conoscenza di questo da parte dell’aderente. Chi si è interrogato sulla fonte nonché sulle modalità di utilizzo del potere da parte del predisponente ha trovato ragione del suo comportamento richiamando l’art. 1326 co. 4 c.c. ritenendo che tra i poteri del predisponente vi sia quello di “dettare, con efficacia vincolante per il destinatario, la procedura per la conclusione del contratto”42. Tuttavia, è da precisare che tale procedura, nei casi in cui differisca da quella prevista dal legislatore, è indispensabile che sia portata a conoscenza dell’oblato, cosa che non accade, invece, nelle contrattazioni telematiche in cui l’aderente viene informato in modo esaustivo solo al momento in cui il procedimento è esaurito. Momento in cui l’oblato ha già ormai espresso il proprio assenso.

La soluzione, com’è evidente, è tutt’altro che unanime in dottrina e riguarda il più esteso ambito dei limiti all’autonomia contrattuale.

Vi è un ampio filone dottrinale che nega la disponibilità dei processi formativi43 a fronte di coloro i quali, invece, ritengono trattarsi di una specificazione della procedura e non di una modifica vera e propria del procedimento, ed è, pertanto, disponibile dalle parti, attenendo alla forma della dichiarazione44. In generale, non si ritiene, in ogni caso, accettabile la tesi che accolla all’utente il rischio informatico, rischio che deriverebbe dall’essersi addentrato spontaneamente nel mondo virtuale, nel quale l’interpretazione del comportamento degli attori non deriverebbe dal sentire sociale ma da decisioni del predisponente45. Sarebbe forse il caso di operare una reinterpretazione delle norme in tema di conclusione del contratto per adeguarle al mutato contesto sociale.

Con riguardo alla posta elettronica, quest’ultima è uno strumento particolarmente diffuso che permette di trasmettere messaggi in tutto il mondo in maniera veloce e agevole. La posta elettronica può costituire anche un mezzo attraverso il quale si concludono contratti: il proponente invia un messaggio di posta elettronica contenente la proposta, cui il destinatario risponde, se d’accordo, con un ulteriore messaggio di posta elettronica con il quale accetta la proposta. In tale ipotesi ci si interroga sul momento e sul luogo in cui può intendersi come perfezionato il contratto.

L’accettazione si intende conosciuta nel momento in cui sia arrivata all’indirizzo del proponente, ma, nell’ipotesi in analisi ci si chiede quale sia l’indirizzo del proponente.

Questo momento può coincidere con quello in cui il proponente prende visione del messaggio di posta in concreto (check mail), tuttavia, accantonando le difficoltà sul piano probatorio, non può non rilevarsi come vi è l’ulteriore difficoltà data dalla possibilità per il proponente di scegliere liberamente il luogo e il tempo di conclusione del contratto, semplicemente spostandosi e ‘aprendo’ il messaggio nel luogo e nel momento che lui ritenga più conveniente. L’orientamento classico fa riferimento al server di posta elettronica del proponente: il contratto si intenderebbe concluso nel tempo e nel luogo in cui l’accettazione giunge presso tale server.

Tuttavia, dopo un primo entusiasmo, tale criterio è stato sottoposto a critica essendo la localizzazione dei server concretamente molto mutevole. E’ prevalso, quindi, l’orientamento secondo cui il tempo della conclusione del contratto è quello in cui la comunicazione di posta elettronica contenente l’accettazione della proposta contrattuale perviene all’indirizzo del server di posta elettronica del proponente, mentre il luogo di conclusione è la sede dell’impresa che deve prestare il servizio o la residenza del proponente.

Poco agevole è l’applicazione ai contratti conclusi via e-mail delle regole sulla revocabilità di proposta e accettazione a causa dell’immediatezza quasi simultanea dell’invio e della ricezione.

Una prova delle comunicazioni di posta elettronica, in quanto certifica data e ora dell'invio e della ricezione delle comunicazioni e l'integrità del contenuto delle stesse, è rappresentata dalla posta elettronica certificata (PEC), ai sensi del DL 185/2008 e della Legge 2/2009, di cui obbligatoriamente hanno dovuto dotarsi, in Italia, le società, i professionisti iscritti ad albi e le amministrazioni pubbliche.


3.2. Vizi della volontà nel contratto stipulato mediante c.d. point and click (ed accenno al problema delle aste on line)

Con riguardo alle forme di negoziazione cd. point and click in queste ultime la propagazione della volontà si realizza informaticamente attraverso un’articolata struttura formativa nella quale l’ultimo atto è costituito dalla pigiatura del tasto negoziale virtuale e non mediante il classico scambio di dichiarazioni di volontà. Si modifica, dunque, la modalità di formazione dell’accordo, alterando la relazione di forza tra le parti contrattuali.

Si tratta di una modalità di conclusione dei contratti telematici, che rappresenta una species del genus dei contratti telematici.

Il sistema del point and click consiste nella possibilità per l’utente di acquistare beni e servizi tramite la compilazione di un modulo elettronico e “cliccando” sul c.d. pulsante negoziale virtuale, o semplicemente “carrello”, vale a dire sul tasto di accettazione. Si manifesta in tal modo un comportamento concludente che dà vita ad un incontro delle volontà mediante un semplice “click”, che attribuisce efficacia al contratto stesso.

All’interno del nostro ordinamento giuridico, la validità della tipologia contrattuale del point and click trova fondamento negli artt. 1322 e 1350 c.c. di generale applicazione per tutti i contratti online, oltre alle norme specifiche di cui al D.Lgs. 70/2003 sul commercio elettronico, di derivazione comunitaria di recepimento della Direttiva 2000/31/CE per l’armonizzazione dell’e-commerce nello spazio economico europeo, ed anche di cui al D.Lgs. 206/2005 con specifico riferimento ai contratti del consumatore.

Il comportamento mediante il quale tali norme trovano applicazione nell’ambito dei contratti point and click è dato dal cliccare dell’utente sul tasto o icona di accettazione, generando, come visto, un comportamento concludente, atto ad esprimere in modo inequivoco la volontà della parte di giungere alla conclusione del contratto, accompagnato poi dal pagamento46 del prodotto/servizio e dalla ricezione della conferma d’ordine.

Tralasciando gli aspetti tecnico operativi della procedura negoziale, ci si interroga, con riguardo alla struttura contrattuale, se sia annoverabile nella tipologia dell’offerta al pubblico o se invece si tratti di un semplice “invito a proporre”, la c.d. invitatio ad offerendum (dichiarazione non contenente tutti gli estremi essenziali del contratto).

Nella prima ipotesi chiunque, semplicemente manifestando la propria accettazione, conclude per ciò solo il contratto stesso; diversamente, nella seconda tipologia, è la manifestazione di volontà dell’utente che si qualifica come proposta, quindi, per considerare il contratto come concluso è indispensabile la manifestazione di volontà del venditore.

Nel contratto point and click i prodotti acquistabili vengono esposti su di una pagina che assume la forma di una sorta di “catalogo elettronico”, con le caratteristiche relative ad ogni prodotto. In tal modo il venditore propone all’utente che vi accede di acquistare la merce descritta.

Dal momento che la proposta proviene dal venditore, si tende a considerarla un’offerta al pubblico ex art. 1336 c.c. occorre però in questa forma contrattuale informare parte acquirente delle clausole negoziali e condizioni generali di contratto. In difetto di tali informazioni, si tratterà di un mero invito a proporre, non bastando solo il click a concludere il contratto, richiedendosi l’accettazione del venditore alla proposta ricevuta. È possibile, però, per il venditore non inserire nel contesto contrattuale tali clausole e condizioni contrattuali, potendo queste ultime essere rintracciate anche in altro luogo, come disclaimer o come un apposito sito internet di rimando, purchè sia indicato il collegamento con l’indirizzo e che sia raggiungibile in concreto.

Alla luce delle considerazioni appena svolte può dirsi che il contratto point and click si perfeziona quando, a seguito della compilazione on-line da parte dell’utente del modulo messo a disposizione dal venditore sulla propria pagina web, l’impulso elettronico indicante la ricezione del modulo in questione arriva al calcolatore del venditore.

Dopo aver compilato il modulo solo alcune clausole (come quelle relative alla quantità della prestazione o modalità di pagamento) saranno ancora da determinare.

Resta, in ogni caso, fermo il dovere del venditore di fornire agli utenti i mezzi tecnici opportuni che consentano di identificare e correggere gli eventuali errori di inserimento dei dati prima dell’inoltro dell’ordine. Si tratta dei cc.dd. handlin’errors, le operazioni inavvertite. Questa disposizione è prevista dall’art. 11 paragrafo 2 della indicata Direttiva n. 2000/31/CE, recepita dal D.Lgs. 70/2003, dalla quale emerge la mancata applicabilità in tali ipotesi della disciplina dell’errore cd. ostativo prevista dal codice civile ex art. 1433 c.c. in materia di annullabilità del contratto. In sostanza, il legislatore comunitario esclude in tali ipotesi la necessità della riconoscibilità, colmando così una potenziale lacuna precedente del nostro ordinamento in materia. Certo è che alla data di introduzione della direttiva, l’uso degli strumenti elettronici per la contrattazione telematica era ancora embrionale, avendo poi la direttiva fatto anche da spinta per lo sviluppo dell’e-commerce, quale fenomeno globale, innalzando a tal fine anche la soglia di responsabilità degli intermediari della rete.

Per la violenza ed il dolo, valgono le stesse considerazioni fatte in precedenza, non ravvisandosi particolari peculiarità in tal senso rispetto alle altre forme di contrattazione telematica, salvo considerare che in tale ambito può essere più facile confondere il cliente, non sul messaggio di trasmissione dell’ordine, ma sulla creazione del bisogno. Infatti, l’acquisto di impulso è maggiormente possibile in un ambito in cui, proposto il prodotto/servizio, ovvero facendo capitare davanti all’utente un espresso richiamo a quel prodotto/servizio, lo stesso deve solo clikkare per concludere il negozio. Nel paragrafo che segue, si chiarirà meglio questa moderna fenomenologia intrusiva/distorsiva.

Ulteriore fenomeno autonomo è poi quello rappresentato dalle cd. aste on line, ove il prezzo del contratto viene determinato al termine della gara. Nel nostro ordinamento “le operazioni di vendita all’asta realizzate per mezzo della televisione o di altri mezzi di comunicazione” sono vietate ai dettaglianti (art. 18, c. 5 del D.lgs. 114/1998, Legge Bersani). Ciò al fine di tutelare i consumatori che, tra l’altro, non potrebbero nemmeno esercitare il diritto di recesso (ai sensi dell’art. 51 del D.lgs. 206/2005), in quanto espressamente escluso per vendite all’asta. Tuttavia secondo un’interpretazione corrente (avallata dalla Circolare del Ministero Attività Produttive 3547/C del 17 giugno 2002, che inquadra le aste on line come offerte al pubblico ai sensi dell’art. 1336 Codice civile), le contrattazioni comunemente conosciute come aste on line non rientrerebbero nella fattispecie dell'asta tradizionale, ma rappresenterebbero delle vendite a prezzo dinamico, alle quali è applicabile la disciplina in materia di contratti conclusi a distanza, ivi compreso il diritto di recesso a favore del consumatore47.


4. La Targetizzazione dell'utente ed effetti distorsivi di I.A., Algoritmi, Big Data e Fake News

Come visto, la targetizzazione incide in maniera importante sulla tematica che si sta affrontando: per vendere o comunicare un messaggio generalmente legato alla vendita di beni e servizi è essenziale cercare il pubblico adatto (il targeting consiste, appunto, nella individuazione della scelta strategica finalizzata all’identificazione di un raggruppamento di consumatori da servire ad hoc)48.

Oggi risulta particolarmente agevole manipolare l’opinione pubblica mediante la pubblicità online microtargettizzata grazie alla I.A., ai big data ed agli algoritmi e questo rischia di mettere in crisi i meccanismi di scelta democratica giungendo alla possibilità di passare e veicolare hate speech di propaganda e fake news in grado di alterare e distorcere la percezione della realtà, orientando il consenso a favore di uno schieramento politico o di un altro, oppure più nel dettaglio a determinati prodotti/servizi. A chiunque infatti è capitato che, dopo aver effettuato una ricerca in Internet o aver aperto un messaggio pubblicitario o banner, l’utente viene letteralmente inondato di pagine, proposte commerciali e notizie riguardanti quell’argomento, al fine di indurlo all’acquisto di quello specifico prodotto o servizio. Ciò avviene a volte, in maniera altamente distorsiva, anche mediante il propinamento all’utente di notizie tendenziose o proprio false, cd. Fake News, tali da impattare sulle facoltà di discernimento dell’utente ed ingenerargli il bisogno indotto di prodotti o servizi determinati. In questo, l’utente si trova particolarmente esposto, soprattutto in caso di vulnerabilità dell’utente stesso, per sue qualità soggettive oppure anche per un particolare momento o situazione di vita, anche solo temporaneo ed impensabile, come essere colti di sorpresa mentre si è intenti in altre faccende, come in auto o mentre si effettuano altre faccende domestiche o lavorative.

Il problema della manipolazione della realtà da parte dei mass media caratterizza tutte le democrazie moderne: a destare particolare preoccupazione sono i contesti (social)49 nei quali si concentra una parte sempre più consistente degli scambi informativi e contrattuali ed in cui gli strumenti e i rimedi utilizzati risultano ad oggi poco efficaci, assumendo un valore più formale che sostanziale e laddove, a fronte di iniziative che si sono rivelate inefficaci si era fatta strada l’idea di istituire un’apposita Autorità garante per il digitale in attesa di una normativa ad hoc che potesse scongiurare o, quanto meno, arginare il rischio della manipolazione del consenso favorendo la logica del profitto50. Da questo punto di vista, particolarmente significativa è stata l’introduzione della legge 18 novembre 2019, n. 133 (di conversione del d.l. 21 settembre 2019, n. 105)51 che si propone di assicurare un elevato livello di protezione delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici delle amministrazioni pubbliche, degli enti e degli operatori pubblici e privati aventi una sede nel territorio nazionale, mediante l’individuazione delle misure e degli obblighi gravanti sui soggetti che esercitano una funzione essenziale dello Stato, ovvero assicurano un servizio essenziale per il mantenimento di attività civili, sociali o economiche fondamentali per gli interessi dello Stato. Si specifica, inoltre, che l’individuazione di tali soggetti avviene sulla base di un criterio di gradualità tenendo conto del pregiudizio per la sicurezza nazionale che ... può derivare dal malfunzionamento, dall’interruzione, anche parziale, ovvero dall’utilizzo improprio delle reti, dei sistemi informatici e dei servizi informatici, prevedendosi altresì, la individuazione dei soggetti responsabili della predisposizione e dell’aggiornamento con cadenza almeno annuale dell’elenco delle reti, dei sistemi informatici e dei servizi informatici.

In attesa che il sistema vada a regime, le competenze per affrontare problemi di questo genere sono divise fra tre agenzie, l’AGCOM, l’Autorità Garante della Privacy e l’AGCM che tuttavia, in assenza di competenze ad hoc volte ad assicurare il corretto utilizzo dei social e dei big data e possa impedire abusi, sia nell’utilizzo dei dati personali, sia nella veicolazione di fake news, sia nella concentrazione di potere di mercato dovuto a monopolio informativo, si occupano solo di alcuni profili specifici della vasta materia. Ne consegue, quindi, che il rischio informatico è ancora piuttosto elevato in un contesto che era e resta insidioso per l’utente persistendo la difficoltà di discernere fra verità e inganni, fra notizie vere e notizie false, ponendolo in balia del potere manipolatorio e della forza di persuasione della rete52.

Sul piano contrattuale di stipulazione di operazioni online, tale impostazione portata alle estreme conseguenze, si traduce in un azzeramento totale della libertà di scelta e nella inevitabile alterazione del consenso e, quindi, delle garanzie che assistono la classica negoziazione contrattuale, creandosi un nuovo tipo di asimmetria contrattuale (non solo informativa) che guarda non più e non solo al Consumatore “parte debole”, ma “all’utente debole”.


5. Pratiche commerciali scorrette e ruolo delle Authorities

L’obiettivo, invece, deve essere quello di recuperare i tradizionali strumenti di tutela per conformarli e applicarli alle nuove forme di contrattazione online per non perdere, sia pur progressivamente e impercettibilmente, il bene supremo della libertà di scelta, nel solco tracciato dalla più recente giurisprudenza. A tal fine può essere utile riportare alcuni passaggi e le argomentazioni del TAR Lazio53 che qualificando le informazioni commerciali incomplete come pubblicità ingannevole, con riguardo all’attività svolta dalle Autorità garanti ha chiarito il ruolo che esse giocano nel contesto delle negoziazioni telematiche contribuendo così a delineare le molteplici problematiche che emergono sul tema.

Nel caso riportato, dunque, si controverteva in ordine alla legittimità del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che aveva accertato come i materiali “promo/pubblicitari” relativi allo yogurt “Danaos” risultassero scorretti ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 22, comma 1, del Codice del Consumo, in quanto idonei a falsare in misura apprezzabile le scelte economiche dei consumatori. In particolare, l’Autorità segnalava come tali messaggi contenessero indicazioni idonee a indurre in errore i destinatari degli stessi rispetto alla effettiva necessità di assumere il prodotto reclamizzato, alle caratteristiche dello stesso, nonché rispetto alla natura della “partnership” esistente tra la società ricorrente ed il Policlinico Gemelli di Roma54.

L’Autorità precisava che attraverso l’espressione “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio” è stata diffusa l’idea di una generalizzata carenza di calcio, senza dare adeguate precisazioni sulla reale complessità del tema a cui si riferiva il dato informativo presentato, così che il consumatore non era stato posto nella condizione di percepire e realizzare che il dato pubblicizzato era in realtà riferito a un determinato studio, condotto su un campione di soggetti che avevano necessità estremamente diverse in termini di mg di calcio da assumere giornalmente.

Il “claim” in questione si sostanziava in una informazione che, sebbene risultante da uno studio scientifico, quale lo “studio D’Amicis”, con l’assertività proposta era comunque idonea ad indurre in errore il consumatore medio portandolo a ritenere che vi sia costante e acclarata carenza di calcio su ampia parte della popolazione (2 donne su 3) e che, pertanto, l’assunzione dello yogurt “Danaos” fosse non solo consigliata, ma anche necessaria al fine di raggiungere il corretto apporto del minerale55.
Malgrado, infatti, il corretto contenuto intrinseco delle espressioni utilizzate nel messaggio pubblicitario, questo può essere in concreto percepito in maniera distorta per effetto della contestuale omissione di altre informazioni essenziali, di guisa che l’esattezza delle informazioni somministrate dal professionista non è in sé idonea ad assicurare la chiarezza e completezza del messaggio pubblicitario, che invece è assicurata dalla giusta combinazione delle informazioni (esatte) espressamente fornite nel messaggio e di quelle eventualmente omesse56.

Il messaggio era fuorviante poiché teso, da un lato, a suggerire l’insufficienza di una dieta varia ed equilibrata ai fini di una corretta assunzione di calcio e dall’altro che “Danaos” costituiva l’unico mezzo per integrare e raggiungere il fabbisogno giornaliero di calcio57, con l’effetto di creare un falso convincimento nell’utente condizionando l’assunzione di scelte e comportamenti economici che altrimenti non avrebbe assunto58 o comunque avrebbe assunto in maniera più consapevole se non fosse stato indotto in errore a causa di informazioni insufficienti, inesatte o non veritiere59.

Altro interessante arresto in materia di consenso e di libertà di scelta dell’utente digitale è quello della recentissima Corte di Giustizia dell’Unione Europea (n. C-673/17 del 1° ottobre 2019).

La disciplina europea sul trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche richiede per l’istallazione dei “cookie” il consenso attivo da parte dell’utente di internet. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha ritenuto il consenso non validamente espresso “quando l’archiviazione di informazioni o l’accesso a informazioni già archiviate nell’apparecchiatura terminale dell’utente di un sito internet attraverso cookie sono autorizzati mediante una casella di spunta preselezionata che l’utente deve deselezionare al fine di negare il proprio consenso” La Corte, con riguardo ad una vicenda che vedeva contrapposti un’associazione di consumatori tedesca e un sito di giochi e scommesse online, ha evidenziato l’esigenza di tutela da qualsiasi ingerenza nella vita privata degli utenti di internet. Il consenso, in tali ipotesi, deve essere attivo e specifico, non bastando una casella di spunta preselezionata.

La tematica del consenso al trattamento dei dati e più in generale della tutela della privacy e della protezione dei dati personali è molto articolata e soggetta a molteplici interpretazioni. Viene, in particolare, in rilievo, il comportamento di chi deve effettuare scelte di marketing digitale60 ove l’Autorità indipendente in materia di protezione di dati personali ed il supremo Organo giurisdizionale siano in contrasto.

Il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali n. 679/2016 (Gdpr) al comma 4 dell’articolo 7 stabilisce che: “Nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato, si tiene nella massima considerazione l’eventualità, tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto”. Ancora prima l’art. 23 del D.lgs 196/2003, c.d. Codice privacy, abrogato dal D.lgs 101/2018, stabiliva che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato.

Inoltre, in base al Considerando 32: “il consenso dovrebbe essere espresso mediante un atto positivo inequivocabile con il quale l’interessato manifesta l’intenzione libera, specifica, informata e inequivocabile di accettare il trattamento dei dati personali che lo riguardano, ad esempio mediante dichiarazione scritta, anche attraverso mezzi elettronici, o orale. Ciò potrebbe comprendere la selezione di un’apposita casella in un sito web, la scelta di impostazioni tecniche per servizi della società dell’informazione o qualsiasi altra dichiarazione o qualsiasi altro comportamento che indichi chiaramente in tale contesto che l’interessato accetta il trattamento proposto. Non dovrebbe pertanto configurare consenso il silenzio, l’inattività o la preselezione di caselle. Il consenso dovrebbe applicarsi a tutte le attività di trattamento svolte per la stessa o le stesse finalità. Qualora il trattamento abbia più finalità, il consenso dovrebbe essere prestato per tutte queste. Se il consenso dell’interessato è richiesto attraverso mezzi elettronici, la richiesta deve essere chiara, concisa e non interferire immotivatamente con il servizio per il quale il consenso è espresso”.

In tale contesto normativo si colloca la sentenza n. 17278/2018 della Corte di Cassazione che opera un’interpretazione estensiva del principio della libertà del consenso in quanto pur insistendo nell’idea che il consenso sia validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, ha anche specificato che il gestore di un sito concernente un servizio fungibile e rinunciabile può negare il servizio offerto all’utente che non acconsenta al trattamento dei propri dati per ricevere messaggi promozionali.

Ciò che non gli è consentito sarà comunque utilizzare i dati personali per somministrare o far somministrare informazioni pubblicitarie a colui che non abbia la volontà di riceverli.

Tale interpretazione, tuttavia, si pone in contrasto con quella dell’Autorità Garante della protezione dei dati personali, la quale in un provvedimento del 12 giugno 2019 ha affermato che la libertà del consenso “non è assicurata né quando viene richiesto un unico consenso per più diverse finalità di trattamento, né quando si assoggetta la fruizione di un servizio […] alla previa autorizzazione a trattare i dati conferiti, ai fini di tale servizio, per finalità diverse qual è quella di promozione e quella statistica”.

Ora, coloro che dovranno adottare scelte di digital marketing si trovano in difficoltà, non potendo non rilevare come queste decisioni in contrasto abbiano un impatto strategico ed economico significativo sul campo.

Sono state avanzate alcune ipotesi interpretative delle parole della Corte di Cassazione nel senso di valutare come libero il consenso nei casi in cui l’utente possa scegliere di utilizzare un altro servizio tra quelli disponibili sul web. Ne conseguirebbe che, ove venisse erogato un servizio fungibile e rinunciabile si potrebbe costringere l’utente, sempre preventivamente e regolarmente informato, a ricevere email dal contenuto promozionale negando in caso contrario la fruizione del servizio.

Nonostante l’interpretazione maggiormente garantistica nonché più rispettosa della ratio delle norme in materia sia indubbiamente quella del Garante non può ignorarsi la funzione nomofilattica della Suprema Corte che garantisce l’uniformità dell’interpretazione delle norme, dovendosi ritenere plausibile obbligare l’utente a “subire” email promozionali, pena la negazione del servizio.

È possibile, tuttavia, che il gestore del servizio, nel caso suddetto, sia soggetto a contestazioni e conseguenti eventuali sanzioni da parte del Garante. Il gestore del servizio, però, potrebbe, in tale ipotesi, giustificare la propria condotta esprimendo l’adesione all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione e ciò al fine di escludere la colposità del suo contegno ed evitare sanzioni.

Oltre che però sul piano delle pratiche consentite agli operatori, va poi analizzato il profilo del singolo utente, sia dal punto di vista soggettivo sia dall’angolo visuale dei singoli momenti in cui, magari attraverso lo smartphone o altro device da lui detenuto in mobilità, possa eventualmente clikkare ed autorizzare acquisti o il trattamento dei suoi dati o l’accesso a determinati strumenti del suo telefonino senza avere la piena consapevolezza e senza avere una volontà libera alla manifestazione di quella volontà.

Orbene, posto che anche l’utente va autoresponsabilizzato e non può sempre andare esente da colpe per suoi comportamenti superficiali connessi con un uso improprio del mezzo tecnologico, va detto che l’uso di caratteri piccoli oppure il bloccargli l’accesso a dei servizi in mancanza di rilascio del consenso/autorizzazione, pur se pratiche ritenute astrattamente possibili, possono essere valutate come soggettivamente scorrette e potrebbe in tal caso invocarsi la disciplina dei vizi della volontà onde annullare quel consenso/acquisto viziato. Ciò, pur con le numerose difficoltà in termini di prova, come la prassi giurisprudenziale ci ha insegnato con riferimento al contratto tradizionale, dove i casi di annullamento per vizi della volontà sono stati veramente pochi. Non ammettere proprio tale possibilità di impugnativa in virtù di un rischio telematico o informatico, però, significherebbe evitare all’utente, che non sempre è solo un consumatore, la possibilità di vedere annullato un negozio invalido pur se tecnicamente ineccepibile. Laddove infatti l’induzione in errore oppure il dolo nell’approccio al consumatore sia dipeso da messaggi contenuti nei vari passaggi della struttura informatica dell’operatore oppure dalla grandezza dei caratteri, allora la prova potrebbe anche essere più semplice, manifestandosi con la sola produzione degli screenshot delle pagine in argomento della piattaforma internet o dell’App. Viceversa, se vi sono stati messaggi o disclaimer che hanno indotto il soggetto ad un timore di subire un male ingiusto e notevole e che lo hanno determinato alla manifestazione di volontà viziata, potrà pensarsi di applicare la disciplina della violenza. A meno che, in linea con il pensiero del Prof. Gambino, non voglia pensarsi che l’unica soluzione possibile sia l’istituzione di una apposita Nuova Authority in materia di Internet e di Commercio Elettronico che possa stabilire le linee guida per gli operatori e che possa vigilare sulle relative pratiche, intervenendo anche in caso di segnalazioni dell’utente. Sicuramente in tal caso ci sarebbe il pregio di agire con una autorità in possesso degli strumenti e delle tecnologie, oltre che delle competenze, adeguate a fronteggiare simili casi, in termini di controllo del servizio e contrasto a fenomeni distorsivi. Come pure, vi sarebbe l’indubbio vantaggio di poter con una semplice segnalazione veder intervenire una macchina amministrative a tutela dell’utente, in chiave di regolazione dell’interesse pubblico e perseguimento della pace sociale, senza dover essere il singolo utente costretto ad ingenti spese tecniche e processuali per agire e tutelarsi come privato cittadino; soprattutto perché a volte potrebbe trattarsi di aspetti minimali e di modesto contenuto economico. Tuttavia, si ritiene che le due ipotesi, tutela collettiva tramite una apposita Nuova Authority e tutela individuale tramite il ricorso ai vizi della volontà in rete, possano coesistere ed affiancarsi per un ancora più efficace contrasto delle pratiche scorrette in rete e riequilibrio degli interessi di operatori ed utenti, in forma di valorizzazione della persona umana rispetto alle macchine ed a chi sta dietro ad esse sfruttandone le potenzialità.


6. Conclusioni

L’esposto esame sui vizi del consenso mette in luce l’esigenza di garantire anche alle parti di un negozio o contratto telematico, la medesima tutela che il codice civile riconosce ai contraenti rispetto ai contratti tradizionali. Ciò è possibile mediante l'interpretazione estensiva delle norme codicistiche tale da ricondurre alle fattispecie disciplinate anche questi particolari contratti che, per le modalità di formazione del consenso, sono più difficili da inquadrare nelle categorie negoziali tradizionali.

Di qui la necessità di analizzare il problema da una prospettiva allargata che assicura un’analisi ad ampio spettro delle turbative e vulnerabilità del contraente debole nel procedimento di formazione dei contratti stipulati in rete realizzate attraverso condotte e comportamenti che, disattendendo le aspettative dell’utente consumatore, lo inducono a prestare il consenso all’acquisto di beni o servizi viziato, in quanto frutto di errore, violenza o dolo, o comunque a concludere il contratto a condizioni inique dal punto di vista sia qualitativo (idoneità funzionale all’uso o al vantaggio voluto dall’acquirente) che quantitativo.

Il problema nasce dalla sperequazione delle parti che si traduce in un significativo squilibrio contrattuale e sproporzione soggettiva e oggettiva che caratterizza lo svolgimento del rapporto contrattuale fin dalla sua formazione evidenziando la necessità di individuare tecniche di tutela in attuazione del concetto di giustizia contrattuale verificando la possibilità di invocare l’applicabilità della disciplina generale sui vizi del consenso.

Ferme restando le considerazioni innanzi svolte a proposito dei “criteri di distribuzione” del rischio informatico, tali e tanti sono i pericoli e le insidie della rete che sfuggono al controllo del consumatore-utente che può essere indotto ad esprimere un consenso sulla base di informazioni insufficienti, inesatte o errate sulle caratteristiche del prodotto che intende acquistare o di atti o comportamenti idonei a condizionarne le scelte di acquisto di beni e servizi esercitando una pressione psicologica forte nel processo di formazione della volontà della platea di riferimento (eventualmente “preselezionata”). Il pericolo non altrimenti evitabile di subire una contrattazione iniqua nel senso predetto si traduce nella sostanziale incapacità di autodeterminarsi dissimulata dalla manifestazione di un consenso estorto con violenza o dolo (ad opera del venditore o di un terzo) o inducendo l’acquirente in errore, con modalità lesive, altresì, dell’affidamento del soggetto che diventa vittima di manovre speculative del tutto slegate dalle dinamiche di mercato.

Posto in questi termini il problema può essere affrontato e risolto nel senso di ammettere che l’acquirente di beni e/o servizi on line possa esercitare, ricorrendone i presupposti, l’azione di annullamento del contratto per vizi del consenso ex art. 1427 c.c., a tal fine non ostando, dal punto di vista probatorio, la dimostrazione a carico dell’acquirente della riconoscibilità dell’errore in cui è incorsa la parte che ha prestato il consenso in base ad una falsa rappresentazione della realtà e che questo errore sia stato decisivo (o essenziale) ai fini della formazione e della conclusione del contratto (art. 1429 c.c.) che travolge ab initio la validità dello stesso (Sui rapporti tra azione di annullamento per vizi della volontà per errore sulle qualità della cosa e azione di risoluzione del contratto per difetto di qualità promesse o essenziali, la Suprema Corte ha chiarito, già da tempo, che non è affatto escluso che, ferma restando l’autonomia tra le due azioni, “la falsa rappresentazione della realtà possa esser caduta sull’esistenza semplicemente supposta o anche espressamente promessa, delle qualità anzidette incidendo in modo determinante sulla prestazione del consenso”)61. Anche quando l’errore sia autoindotto, la volontà può essere stata viziata da dolo (da parte del venditore o di un terzo) integrando la conclusione del contratto il reato di truffa (ex art. 640 c.p.) che legittima la parte lesa ad esperire l’azione di annullamento per dolo ex art. 1439 c.c., salva diversa previsione di legge, nella misura in cui gli artifizi o raggiri hanno inciso sulla libera formazione e manifestazione di volontà dell’acquirente.

Nel settore dell’e-commerce i consumatori sono presi di mira dalle imprese che pubblicizzano i loro prodotti con messaggi ingannevoli e scorretti o pratiche commerciali ingannevoli (ai sensi degli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo) o aggressive (ai sensi dell’art. 24) consistenti in azioni, omissioni, condotte, dichiarazioni o comunicazioni commerciali (anche a scopo pubblicitario o di commercializzazione del prodotto), anche attraverso l’uso di I.A., algoritmi, big data e fake news, finalizzate alla promozione, alla vendita o alla fornitura di un bene o di un servizio che siano false o idonee a conformare le scelte economiche del consumatore inducendolo all’acquisto. Trattasi in tutti i casi di pratiche volte a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore, tanto da indurlo a prendere una decisione che altrimenti non avrebbe preso, su cui è attualmente competente l’AGCM (ex art. 27 del Codice), ai soli fini della regolazione delle pratiche commerciali, e nei cui confronti, in seguito all’emanazione della legge 12 aprile 2019, n. 31 che ha introdotto il Titolo VIII – bis, “Dei procedimenti collettivi” nel libro IV del c.p.c., l’azione di classe e l’azione inibitoria collettiva quale strumento di tutela a portata generale è esperibile da parte dei consumatori e dagli utenti. La scelta risponde, evidentemente, all’esigenza di garantire maggiore efficienza alla giustizia e l’accesso alla tutela giurisdizionale da parte delle vittime dei cd. reati o illeciti civili plurioffensivi, a scopo anche di deterrenza dall’assunzione di condotte scorrette e opportunistiche da parte di imprese che sovente si trincerano dietro atteggiamenti dilatori e sfuggenti pur di andare esenti da responsabilità. Tuttavia, l’intervento legislativo in argomento non sembra essere stato sollecitato o accompagnato da un rinnovato atteggiamento sociale al problema, essendo esso dipeso più da scelte di adeguamento dell’ordinamento a spinte unionali di armonizzazione delle legislazioni che non ad esigenze della collettività, mentre in altri Paesi Europei o anche negli USA tali vicende sono maggiormente sentite e tali strumenti sono più di frequente utilizzati. Infatti, lo strumento delle azioni di classe (o come si dice nei paesi di common law: class action) è realmente efficace quando si accompagna a ricerche scientifiche o giuridiche, spesso appannaggio di grandi studi professionali internazionali, in grado di individuare la scorrettezza del comportamento delle imprese o operatori, anche virtuali, spesso di grandi dimensioni; scorrettezza che quasi sempre si nasconde nelle pieghe di un procedimento apparentemente lecito.

Allora, oltre ad ammettere il ricorso da parte del singolo utente/consumatore pregiudicato a strumenti privatistici codicistici, rispolverando categorie tradizionali del negozio giuridico inerenti l’errore, la violenza ed il dolo, quali vizi della volontà, appare opportuno anche pensare alla istituzione di una apposita Nuova Authority che, con una adeguata dotazione strumentale, tecnologica e di competenze, faccia da contrappeso alla forza economica ed organizzativa di grandi gruppi imprenditoriali operanti mediante la rete nella società dell’informazione.

1 P. Perlingieri, Metodo, categorie, sistema nel diritto del commercio elettronico, a cura di S. Sica e P. Stanzione, Commercio elettronico e categorie civilistiche, Milano, 2002, p. 9. L’autore rileva come, non solo rispetto al fenomeno informatico, il giurista non possa rinunziare alla multidisciplinarietà, essendo necessario approcciare la problematica guardando anche ai profili non strettamente legislativi, ‹‹ma sociali, economici tecnici psicologici››.

2 Cfr. C.M. Bianca, I contratti digitali, in Studium Iuris, 1998, p. 1035; P. Gallo, Il contratto telematico, in Trattato del contratto, I, Torino, 2004, p. 841.

3 A.M. Gambino, L’accordo telematico, Milano, 1997, p. 141 ss.; V. Franceshelli, Computer e diritto, Rimini, 1989. R. Clarizia, Commercio elettronico: aspetti generali e problematiche contrattuali, in Riv. not., 1999, p. 1439. S. Giova, La conclusione del contratto via Internet, Napoli, 2000. L. Follieri, Il contratto concluso in Internet, Napoli, 2005; F. Delfini, Contratto telematico e commercio elettronico, Milano, 2002. E. TOSI, Contratto virtuale, in Dig. disc. priv., Torino, 2003; G. Perlingieri, Le nuove tecnologie e il contratto, in D. Valentino (cura di), Manuale di diritto dell’informatica, Napoli, 2004, p. 11. Più di recente, R. Bocchini, Il contratto di accesso a internet, in D. Valentino (a cura di), Manuale di diritto dell’informatica, Napoli, 2016, p. 71 ss. F. Piraino, Il commercio elettronico, in T. Pasquino, A. Rizzo, M. Tescaro (a cura di), Questioni attuali in tema di commercio elettronico, Napoli, 2020, p. 7.

4 Trattasi di una locuzione piuttosto ampia nella quale si iscrivono tutti i fenomeni negoziali accomunati dall’utilizzo di internet quale strumento di comunicazione della volontà dei contraenti, di formazione e conclusione del contratto. La diffusione dell’e-commerce e della contrattazione telematica ha progressivamente messo in crisi i tradizionali schemi contrattuali imponendone il ripensamento e la rimodulazione (dal procedimento di formazione alla conclusione del contratto) al fine di renderli più coerenti e al passo con l’evoluzione tecnologica nell’ambito di un sistema codicistico idoneo ad assicurare una tutela effettiva e capace di «reagire al tecnicismo dei fenomeni globali e alla crisi dell’unità territoriale» (così, E. Tosi, Contratti informatici, telematici e virtuali, Nuove forme e procedimenti formativi, Giuffrè, Milano, 2011, p. 32). Di recente sul tema, A.M. Gambino, A. Stazi, D. Mula, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Giappichelli, Torino, 2019, p. 2 ss.

5 Z. Bauman, Modernità liquida, Bari, 2011, passim.

6 Amplius sul tema, E. Damiani, Le tutele civilistiche per i contratti iniqui stipulati a causa della diffusione del coronavirus, in www.judicium.it; Benedetti – Natoli, Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito, in www.dirittobancario.it (pubblicato il17 marzo 2020). Minnella, Mascherine: dalle manovre speculative sui prezzi e frodi in commercio al decreto “Cura Italia” che consente la produzione senza marchio CE, in www.dirittoegiustizia.it (pubblicato il 28 aprile 2020). Si segnalano, in proposito, l’indagine avviata dalla Procura di Roma per frode in commercio nel settembre 2020 e il provvedimento di convalida del sequestro preventivo, attraverso l’oscuramento, di circa ottanta pagine web, alcune delle quali ospitate da provider quali Amazon, Ebay e Alibaba, su cui erano state pubblicizzate per la vendita mascherine, gel disinfettante, farmaci anticovid non autorizzati e kit per la diagnosi del virus (GIP Milano 2 aprile 2020), ovvero beni di prima necessità venduti a prezzi esorbitanti. Nella specie il GIP ha ravvisato gli estremi del reato di manovre speculative su merci consistite nell’accaparramento delle mascherine e dei gel disinfettanti poco prima (ed in previsione) dello scoppiare dell’emergenza e nella successiva rivendita ad un prezzo superiore del 150%-1000% rispetto a quello di acquisto, nonché l’ipotesi di reato di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 219/2006 che punisce con l’arresto fino a un anno e con l’ammenda da 2000 a 10.000 euro la condotta di chi immette in commercio un medicinale non autorizzato dall’AIFA o in assenza di autorizzazione comunitaria ai sensi del Reg. (CE) n. 726/2004 e inoltre quello di frode nell’esercizio del commercio in relazione alla vendita di kit diagnostici anticovid.

7 P. Rescigno, Categorie, metodo, sistema nel diritto del commercio elettronico, in S. Sica e P. Stanzione, Commercio elettronico e categorie civilistiche, Milano, 2002, p.17 sollecita la riflessione ‹‹sulla persistenza, sulla tenuta delle categorie nelle quali siamo stati allevati e cresciuti››. Cfr., inoltre, R. SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Utet, Torino, 1993, II, p. 450 ss.; P. Rescigno, Contratto I) In generale, in Enc. Giur., vol. IX, Treccani, Roma, 1988, p. 32 ss.; E. Gabrielli, Il contratto e le sue classificazioni, in Riv. dir. civ., 1997, p. 705 ss.; L. Francario, La classificazione dei contratti. Contratti ad effetti reali, contratti reali, in G. Alpa, M. Bessone, (a cura di), I contratti in generale, Utet, Torino, 1991, I, p. 601 ss.

8 M. Montanari, Incapacità e vizi del consenso, in D. Valentino (a cura di), Manuale di diritto dell’informatica, Napoli, 2016, p. 323.

9 P. Franceschetti, Errore contrattuale (Voce), in Altalexpedia, 21.04.2012.

10 L’incerta definizione della nozione fin dall’inizio ha dato adito a problemi interpretativi rendendo non particolarmente chiara e agevole la distinzione con il negozio informatico (cfr., in proposito, L. Albertini, Osservazioni sulla conclusione del contratto tramite computers e sull’accettazione di un’offerta in Internet, in Giust. civ., 1997, p. 21 ss.; V. Franceschelli, Computer e diritto, cit., p. 169 ss.).

11 F. Sguerso, Il contratto telematico. Le moderne tecnologie e il “vecchio” codice civile, in www.aicsweb.it/documenti/2012/, p.1, il quale spiega il fenomeno della contrattazione telematica in chiave di atipicità ex art. 1322 c.c. Tale approccio incontra le critiche di D. Negroni, I contratti conclusi via internet, in www.ud.camcom.it, p.1, la quale esprime perplessità sulla circostanza che la contrattazione telematica individui nuove fattispecie rispetto a quelle esistenti, influenzando solo le modalità di conclusione (e di esecuzione) delle medesime. L’autrice individua anche alcune distinzioni: i) di tipo soggettivo, differenziando i contratti tra imprese e pubblica amministrazioni (B2A); tra imprese (B2B); tra imprese e consumatori (B2C) e tra consumatori (C2C); ii) per tipologia di oggetto: rinvenendo ipotesi di vendita, di utilizzazione di beni o servizi, e di contratti misti.

12 E. Tosi, Il contratto virtuale (parte 1), in Studium Juris, 2008, p. 670, secondo il quale nella categoria del contratto virtuale in senso improprio rientrerebbero i contratti conclusi via mail; viceversa, il contratto virtuale in senso proprio avrebbe alcune caratteristiche quali: a) l’assenza di trattative; b) l’asimmetria informativa; c) sinallagmaticità; d) tendenziale onerosità; e) essere un contratto di status, in quanto il proponente sarebbe di regola un “professionista”; f) la predisposizione unilaterale del contenuto; e infine g) la conclusione nella modalità point & click, la quale rappresenterebbe una modalità atipica di estrinsecazione della volontà; R. Sacco, La conclusione dell’accordo, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, I, in Tratt. dir. civ. diretto da Sacco, Torino, 2004, p.138. In generale, si veda anche M. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, passim, pp. 4-21; 47, nota 100; 216, nota 2.

13 C.M. Bianca, I contratti, cit., p.1035 ss., e più di recente Istituzioni di diritto privato, Milano, 2014, p. 406, il quale, dopo aver escluso la sua classificazione come nuovo tipo, definisce telematico il contratto stipulato con strumenti informatici. Cfr. anche R. Clarizia, Contratto informatico (per l’oggetto e per il mezzo), in Enc. dir., Agg., 1998, p. 246, l’autore precisa che la sola novità significativa della contrattazione telematica è l’utilizzo di un personal computer, e E. Florindi, Il contratto digitale, in Dir. inf., 1999, p.673. Sul punto, l’autore individua altre differenze classificatorie come (p. 682) la distinzione tra contratti ad esecuzione on line e contratti ad esecuzione off line, e (p.686) la tripartizione della nozione di contratto telematico in relazione al tipo di utilizzo che viene fatto del personal computer, differenziando l’ipotesi di uso del pc per comunicare una volontà, dal contratto automatico, al quale si riconduce anche il contratto concluso su un sito web o via mail, e il contratto cibernetico, dove il computer da strumento di trasmissione della volontà si trasforma in mezzo integrativo del procedimento di formazione (passando dalla prospettiva del contratto concluso per mezzo di computer al contratto concluso tra computer; sul punto si veda A. Nervi, L’impiego del computer nel procedimento di formazione del contratto, in Trattato Galgano, cit. p.131, il quale a riguardo discorre di ‹‹scambi senza accordo››).

14 Per la trattazione specifica dei citati profili si rinvia ai contributo di M. De Giorgi, Il perfezionamento e l’oggetto del contratto on-line, in A. Lisi (a cura di), I contratti di internet , Torino, 2006, passim. M. Pennasilico, La conclusione dei contratti on-line tra continuità e innovazione, in Dir. Inf., 2004, n.6, p. 825 ss. E. Battelli, I contratti del commercio online, cit., p. 412; P. Perlingieri, Il contratto telematico, cit., p. 290.

15 A. Addante, Tutela del consumatore nei contratti telematici e nuove frontiere del diritto europeo della vendita, Padova, 2017, p. 9 ss.; E. Battelli, Riflessioni sui procedimenti di formazione dei contratti telematici e sulla sottoscrizione on line delle clausole vessatorie, in Rass. dir. civ., 4, 2014, p. 1068 ss.; R. Alessi, La disciplina generale del contratto, Torino, 2015, p. 262 ss. F. Caringella - L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2018, p. 1106; S. Mazzamuto, Il contratto di diritto europeo, Torino, 2017, p. 257 ss. 1 E. Tosi, Contratti informatici, telematici e virtuali, Milano, 2010, p. 278 ss.

16 Cfr. G. Gilmore, “La morte del contratto”, pubblicata nel 1974, e ristampata in Italia da Giuffrè nel 1989, con traduzione di A. Fusaro; si veda anche L. Cavalaglio, La dottrina americana e la “morte del contratto” in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 443 ss.

17 Così C. Camardi, Contratto e rapporto nelle reti telematiche. Un nuovo modello di scambio, in Trattato dir.comm.dir.pubb.ec. diretto da F. Galgano, cit., p.14.

18 C.M. Bianca, Il contratto, cit., p.34. Cfr. anche C.M. Bianca, Acontrattualità dei contratti di massa?, In Vita not., 2001, passim. (e sugli scambi senza accordo pp. 1123-1128). Di recente sul tema, A. Simonelli, Scambi senza accordo: evoluzione delle invalidità negoziali e ruolo del giudice, in Giuricivile, 2019, 1.

19 N. Irti, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. proc. civ., I/1998, pp. 347 ss. e ora in Id., Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 103 ss.

20 Così, N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, cit., spec. pp. 109 e 125.

21 N. Irti, Il negozio giuridico come categoria storiografica, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 1/1990, pp. 70-72.

22 Savigny definiva il contratto come ‹‹concorso di più persone in una concorde dichiarazione di volontà››. C.F. Savigny, Sistema del diritto romano attuale (trad. cur. V. Scialoja), III, Torino, 1900, p. 406.

23 E. Tosi, Il contratto, cit., p. 669, a ‹‹conclusione atipica››, ovvero mediante il c.d. point&click.

24 A. Gentili, Inefficacia, cit., pp.144-145; A. Nervi, o.c., passim; M. Maggiolo, Il contratto, cit., pp.6; 17-22; E. Florindi, o.c., pp. 690-691.

25 F. Messineo, Il contratto irregolare (di fatto) e ad effetto irregolare, in Enc. dir., Milano, X, 1962, p. 114;

26 C.M. Bianca, Acontrattualità, cit.; p. 1126; G. Oppo, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. dir. civ. 1999, p. 531; F. Gazzoni, Contatto reale e contatto fisico (ovverosia l’accordo contrattuale sui trampoli), in Riv. dir. comm., 2002, pp. 665-666.

27 C.M. Bianca, o.l.u.c.; F. Gazzoni, o.u.c.. p.666. Per gli autori adottare la categoria degli scambi senza accordo priverebbe di regolamentazione la maggior parte delle tipologie di scambio più diffuse sul mercato che, peraltro, sono disciplinate anche da specifiche direttive comunitarie (che a questo punto non avrebbero più un oggetto da regolare).

28 Così G. Oppo, o.l.u.c.; C.M. Bianca, o.l.u.c.

29 Lo fa notare G. Benedetti, o.c., p.1, che rileva che mettere in atto un tentativo di ricondurre ad unità le varie tipologie procedimentali (p.28) appare una forzatura generata da un’indebita generalizzazione del modello “proposta-accettazione”, positivizzato nell’art 1326 c.c.; si veda R. Sacco, Consenso, cit., pp. 958 – 965; G. Gorla, Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in Diritto comparato e europeo, cit., p. 175 ss.

La disciplina positiva mette in discussione tale generalizzazione, prevedendo, infatti, una pluralità di modi di conclusione che non sempre contemplano lo scambio delle due dichiarazioni, individuando ipotesi di contratti conclusi a fronte di comportamenti in cui una dichiarazione è individuabile solo per inferenza, oppure dettando per alcuni contratti la presenza necessaria di un’attività ulteriore all’accordo, o anche prevedendo procedimenti di conclusione nei quali è sufficiente un’unica dichiarazione. Un esempio è dato dall’art. 1327 c.c. (configurando un modello di conclusione: dichiarazione + comportamento); o, quanto al secondo, dalle ipotesi di contratti reali (comodato, mutuo), dove per il perfezionarsi il contratto, oltre all’accordo, necessita della presenza di un ulteriore atto materiale quale è la consegna. Va ulteriormente distinto il contratto-atto dal contratto-rapporto. Mentre il secondo è necessariamente bilaterale, il primo lo è solo nelle ipotesi in cui alla promessa di una parte segua una repromissione dell’altra. È possibile, infatti, che la formazione del contratto possa avere una struttura di tipo unilaterale (ipotesi ex art 1333 c.c., nonché, ma per profili differenti, art. 1395 c.c.). Ne consegue che il parallelismo contratto = consenso bilaterale non può costituire la regola generale, valendo solo per alcuni tipi (G. Gorla, Il dogma, cit., p.212; G. Benedetti, o.l.c.., pp. 40-46). Per un’indagine volta a dimostrare, anche da un punto di vista storico, l’irriducibilità del concetto di contratto al consenso si veda R. Sacco, Scambio, In Dig. Disc.Priv., Sez.Civ., Agg., Torino, 2012, p.896.

30 In questo senso, cfr., R. Sacco, G. De Nova, Il contratto, Utet, Torino, 2016, spec. p. 335 ove si legge «Non sempre ... la dichiarazione bilaterale di consenso è necessaria per la conclusione del contratto. Intanto, in via di massima, si chiede il consenso della sola parte che si impegna. Quanto alla parte che acquista, è sufficiente che essa non rifiuti».

31 Sul punto G.B. Ferri, Il negozio giuridico e la disciplina del mercato, in Anamorfosi del diritto civile attuale, Padova, 1994, p. 281 fa notare come l’autonomia privata negoziale si esplichi anche già solo nella libertà di decidere se concludere o meno un contratto. Inoltre, aggiunge (p.382) che anche chi accetta nelle forme di cui all’art 1326 c.c. non può modificare il contenuto della proposta, salvo che voglia effettuare una controproposta. Anche F. Gazzoni, o.l.c., p. 658 secondo il quale ‹‹è vero che l’uomo che interroga - citando Irti - attende risposta››, ma una risposta è anche quella di colui il quale si limitasse a dire ‹‹un puro e semplice sì›› che varrebbe come ‹‹un’accettazione integrale della proposta››, in nulla diversa dall’adesione ‹‹se non per le modalità in cui tale proposta è avanzata›› (perché contenuta in un modulo o in un formulario). Guarda all’adesione come una ‹‹manifestazione debole del consenso›› E. Tosi, o.u.c., p. 673; inquadra l’adesione come assenza di dialogo C. Camardi, o.c., p. 7.

32 P. Sammarco, I nuovi contratti dell’informatica. Sistema e prassi, p. 190.

33 G. Sartori, Malformazione dei concetti in politica comparata, in Logica, metodo e linguaggio delle scienze sociali, Bologna, 2011, p.27. P. RESCIGNO, Contratto. I) In generale, cit., p. 32, ha, in proposito, osservato che: «La classificazione dei contratti sotto l’aspetto economico non pretende di cogliere con preciso rigore i dati strutturali ed il profilo funzionale, che del resto non sempre corrispondono esattamente, e quindi le affinità e le differenze dei vari contratti».

34 In questo senso, G. Finocchiaro, I contratti ad oggetto informatico, in F. Delfini, G. Finocchiaro (a cura di), Diritto dell’informatica, Utet, Torino, 2014, p. 626 ss.

35 In argomento, cfr., A.M. Gambino, L’accordo Telematico, Milano, 1997, p.167. F. Delfini, Contratto telematico e commercio elettronico, Giuffrè, Milano, 2002; S. Sica, P. Stanzjone (a cura di), Commercio elettronico e categorie civilistiche, Giuffrè, Milano, 2002; V. Ricciuto, N. Zorzi (a cura di), Il contratto telematico, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, diretto da F. Galgano, Cedam, Padova, 2002; P. Sammarco, I nuovi contratti dell’informatica. Sistema e prassi, ivi, 2006; P. Pacileo, Contratti online e pagamenti elettronici, Giappichelli, Torino, 2010.

36 A. Cicu, Gli automi nel diritto privato, in Il Filangieri, 1901, p. 561 ss. e in Scritti Minori, vol. II, Giuffrè, Milano, 1965; A. Scialoja, L’offerta a persona indeterminata ed il contratto concluso mediante automatico, Tipografia S. Lapi, Città di Castello, 1902, p.150 ss.

37 E. Betti, Negozio Giuridico (Voce), in Enc. Ital., 1934.

38 S. Rodota’, La cittadinanza elettronica, in Tèlema, n. 1/1995, evidenzia il legame tra effettiva disponibilità di strumenti informatici e il sistema politico democratico; G. Alpa, Consumatori ed utenti: il problema dell’informazione, in Diritto informatico, 1985, pone in rilievo la progressiva giuridificazione dell’informazione, rileva lo squilibrio culturale, causato da un’accentuata disparità di conoscenze tecniche e di informazione tra le parti.

39 M. Friedman, Il sistema giuridico nella prospettiva delle scienze sociali, Bologna, 1978.

40 L’art. 64 bis della legge 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d'autore, infatti, autorizza l'utente ad “osservare, studiare o sottoporre a prova il funzionamento del programma, allo scopo di determinare le idee ed i princìpi su cui è basato ogni elemento del programma stesso, qualora egli compia tali atti durante operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione o memorizzazione del programma che egli ha il diritto di eseguire”.

41 P. Franceschetti, Dolo contrattuale (Voce), in Altalexpedia, 21.04.2012.

42 F. Rivellini, La conclusione del contratto, in Diritto&Diritti (Diritto.it), 09.07.2004.

43 E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1952, p. 39 e ss.; F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, ESI, 1986, p. 186 e ss.; F. Carresi, Autonomia privata nei contratti e negli altri atti giuridici, in Riv. dir. civ., 1957, I, p. 265 e ss.; R. Sacco, Autonomia nel diritto privato, in Dig. disc. priv., Sezione civile, I, Torino, UTET, 1987, p. 517 e ss.; P. Rescigno, Autonomia privata, in Iustitia, 1967, p. 3; P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giurisprudenza italiana, 1999, n. 1, pp. 229-232.

44 F. Rivellini, Op.loc.cit, che richiama l’autorevole teoria del Di Majo.

45 A.M. Gambino, L’accordo telematico, cit., pp. 82 e ss. e 185 e ss. 93 F. Delfini, Contratto telematico e commercio elettronico, cit., p. 35 e ss.

46 Tanto che, solo per farvi cenno non essendo questa la sede deputata, si è parlato di pagamento on line come elemento integrativo della conclusione del contratto, anziché di semplice modo di adempimento scaturente dalla vendita.

47 Cfr. E. Falletti, La Corte di cassazione alle prese con c.d. 'aste on line': persa la prima occasione per fare chiarezza (nota a Cass.civ., sez. II, 10/10/2005 n. 19668), in Giur. it., 2007, p. 66 ss.

48 Tutto ciò che si decide di esporre sul web deve essere scritto e meditato per il pubblico perciò, a seconda dell’obiettivo, si adoperano toni, modi e temi differenti. Il target viene generalmente individuato sulla base di criteri demografici (sesso, età, stato civile…), criteri sociografici (classe sociale, titolo di studio, professione), criteri geografici (lingua, zona). A questi ultimi si associano ulteriori criteri in base al settore di riferimento, guardando ad esempio al genere (donna o uomo) o alla professione svolta. Tuttavia, il targeting deve andare ancora più a fondo, segmentando in modo analitico il mercato.

49 Lo strumento dei social ha la capacità di moltiplicazione dei messaggi per cui nel giro di poco tempo un semplice messaggio può essere fatto circolare centinaia di miliardi di volte. Il possesso dei dati in questa prospettiva diventa un potere che può essere sfruttato per finalità di speculazione personale.

50 In tal senso, l’intervento di A.M. Gambino al Convegno “Dialoghi sulla privacy a partire dal volume Regolare la tecnologia a cura di D. Polettti e A. Mantelero", 21 maggio 2019, Università L’Orientale di Napoli.

51 Recante “Disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e di disciplina nei settori di rilevanza strategica”, pubblicata in G.U. del 20 novembre 2019 n. 272.

52 Le tecniche di profilazione permettono oggi di bombardare con messaggi mirati, tesi a far cambiare opinione o a rafforzare convincimenti, ogni singolo cittadino. È un meccanismo di persuasione occulta molto efficace e capillare che può alterare e distorcere, se non addirittura determinare il consenso.

53 TAR Lazio, sez. I, 8 maggio - 3 giugno 2019, n. 7123. La sentenza si pronuncia su un ricorso della Danone S.p.A. (“Danone”), società attiva nella produzione, distribuzione e commercio di prodotti alimentari e, in particolare, di prodotti lattiero caseari, che impugnava il provvedimento n. 24027 del 31 ottobre 2012 con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“Autorità” o “AGCM”) accertava che la predetta società ha posto in essere una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, comma 1, lett. b), 22, comma 1, del Codice del Consumo (“Codice”), vietandone l’ulteriore diffusione e irrogando una sanzione pecuniaria pari a € 180.000,00. La condotta sanzionata consisteva nella diffusione di un’ampia campagna pubblicitaria - a mezzo “spot” televisivi, telepromozioni e sul sito internet “www.danaosdanone.it” - finalizzata a promuovere il prodotto “Danaos”, uno yogurt integrato da calcio e vitamina D. L’Autorità rilevava come i materiali promo/pubblicitari relativi allo yogurt “Danaos” fossero idonei ad indurre in errore il consumatore sulla effettiva necessità di assumere il prodotto reclamizzato, sulle reali caratteristiche dello stesso e sulla natura della collaborazione vantata dalla società ricorrente con il “Policlinico Gemelli” di Roma. Più in particolare, l’AGCM riportava il contenuto di quattro “spot” presi in considerazione, descriveva la telepromozione andata in onda all’interno di due note trasmissioni televisive di intrattenimento e indicava il contenuto di alcune pagine del “sito internet” con la descrizione del prodotto in questione. L’AGCM evidenziava che la condotta sanzionata si era incentrata sull’argomento relativo alla modalità con cui era stata illustrata l’assunzione di calcio in larga parte della popolazione femminile italiana e si soffermava sull’ingannevolezza del messaggio laddove evidenziava la prospettata carenza di calcio in “2 donne su 3”, rilevando che in realtà la documentazione acquisita faceva emergere un quadro di assoluta incertezza e di oggettiva difficoltà nel misurare il valore quantitativo di calcio assunto in media dalla popolazione italiana femminile. È evidente, infatti che un unico studio in argomento a cui faceva riferimento Danone non poteva giustificare l’assertività e perentorietà dell’affermazione di cui al suddetto “claim” pubblicitario, da cui il consumatore poteva facilmente desumere che solo dall’assunzione del prodotto reclamizzato la carenza di calcio poteva essere compensata, quando invece tale carenza riguardava una parte marginale della popolazione, per fasce di età e collocazione geografica, e poteva essere colmata anche mediante una sana e regolare alimentazione. Inoltre, lo studio preso in considerazione da Danone era diverso da quello normativamente riconosciuto come “RDA” e la decettività del messaggio pubblicitario era aumentata dall’aver preso a riferimento la fascia di età femminile matura, “over 50/60”. Era poi ritenuto fuorviante altro messaggio pubblicitario, perché idoneo a suggerire l’insufficienza di una dieta equilibrata per assumere la dose necessaria di calcio, così come fuorviante era il richiamo alla collaborazione con il “Policlinico Gemelli”, che induceva a ritenere la sussistenza di una specifica procedura di validazione e controllo del prodotto reclamizzato da parte del nosocomio in questione, quando invece vi era stato solo un mero accordo commerciale orientato a incentivare possibili azioni di educazione e sensibilizzazione alle patologie cardiovascolari, prima, e all’osteoporosi successivamente, senza che di ciò fosse fatta menzione nella pubblicizzazione del prodotto e del c.d. “metodo Danaos”.

54 Il quadro normativo di riferimento, al quale l’Autorità ha fatto riferimento suggerisce un immediato rilievo l’art. 20, comma 2, del Codice del Consumo, secondo cui: “Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”. A sua volta, l’art. 21, comma 1, lett. b), dello stesso Codice considera ingannevole “…una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso…:
b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto; ….”. L’art. 22, comma 1, infine, stabilisce che “E’ considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”.

55 In realtà, come dimostrato da altri studi in materia esaminati dall’Autorità, tale carenza di calcio per alcune fasce di età è solo di portata lieve o lievissima e pacificamente colmabile già con una sana ed equilibrata alimentazione. Al riguardo, occorre rilevare come l’Autorità abbia puntualmente riportato le risultanze degli studi scientifici in materia di assunzione di calcio nella popolazione italiana (studio EPIC; “survey” INRAN-SCAI 2005-2006), i quali confermano che la quantità (giornaliera) necessaria del minerale risulta fortemente variabile in funzione della fascia d’età, oltre che dello stato di salute, dell’alimentazione e della zona geografica considerata, con conseguente ingannevolezza degli “spot Danaos” relativamente alla specifica individuazione del “bisogno di calcio” rappresentato in tutte le telecomunicazioni mediante l’assertivo e generico “claim” “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio”.
Segue da ciò che l’esattezza del dato risultante dallo “studio D’Amicis” (enfatizzata dalla ricorrente e non contestata dall’Autorità) appare comunque irrilevante, essendo dirimente, ai fini della applicazione del Codice del Consumo, l’idoneità del messaggio, così come presentato, a trarre in inganno il consumatore medio, normalmente avveduto.

56 I messaggi pubblicitari in contestazione erano stati strutturati ed elaborati dalla ricorrente in maniera tale da apparire indirizzati ad uno specifico “target di consumatori”, vale a dire le donne over 50/60, le quali, proprio in virtù dell’età anagrafica, venivano individuate come “necessitanti” una maggiore quantità giornaliera di calcio (e, dunque, di “Danaos”). Rilevano, al riguardo, le seguenti circostanze: (i) la ripetuta indicazione dello stato di carenza di calcio nella popolazione femminile attraverso l’affermazione assertiva “2 donne su 3 non assumono abbastanza calcio”; (ii) la scelta di una “testimonial” di età matura e di scene in cui si pone grande enfasi sulla situazione di donne in età matura che si accingono a effettuare azioni e operazioni che possono risultare difficili per tale fascia di età; (iii) il continuo riferimento alla forza e alla debolezza delle ossa; (iv) la predisposizione del “Metodo Danaos” all’interno di una campagna informativa per le malattie delle ossa e l’osteoporosi, patologia, quest’ultima, che risulta essere tipica dei soggetti di età superiore ai 50 anni. Ciò premesso, il corollario è che il “claim” “L’unico yogurt con il 50% del calcio quotidiano raccomandato”, in ragione di un contenuto di calcio nello yogurt “Danaos” pari a 400 mg, risulta ingannevole (poiché non veritiero) non in relazione al contenuto dello yogurt in sé considerato ma in quanto la razione minima di calcio raccomandata per i destinatari “naturali” del materiale pubblicitario (le donne di età matura) può anche essere superiore rispetto agli 800 mg/die sulla cui base il professionista ha accreditato il proprio prodotto. In particolare, gli studi acquisiti agli atti hanno indicato che per le donne di età matura i livelli di assunzione giornalieri raccomandati (c.d. LARN) si attestano tra i 1.200 e i 1.500 mg/die, con l’effetto che un contenuto di calcio pari a 400 mg non rappresenta, quindi, “il 50% del calcio quotidiano raccomandato”. In questi stessi termini, in relazione all’art. 21, comma 1, del Codice del Consumo, cfr., TAR Lazio, Sez. I, 21 gennaio 2019, n. 781.

57 Le medesime valutazioni valgono anche con riguardo al sito internet del professionista il quale era stato “strutturato per veicolare - surrettiziamente - una difficoltà nel raggiungimento della RDA raccomandata. Con riguardo, poi, alla millantata collaborazione con il Policlinico Gemelli l’Autorità ha correttamente evidenziato come la presenza del logo e dell’indicazione “con la collaborazione scientifica del Policlinico Gemelli”, in assenza di puntuali informazioni circa la effettiva natura e portata della collaborazione, poteva indurre il consumatore medio a ritenere (erroneamente) l’esistenza di una specifica procedura di validazione e controllo di “Danaos” svolta dal noto nosocomio romano, procedura che è stata negata dalla stessa società ricorrente.

58 TAR Lazio, Sez. I, 8 gennaio 2013, n. 106.

59 TAR Lazio, Sez. I, 8.1.2013, n. 104.

60 Cfr: I.A. Caggiano, Il consenso al trattamento dei dati personali nel Nuovo Regolamento Europeo. Analisi giuridica e studi comportamentali, in Oss. Dir. Civ. e Comm., 1/2018, passim, in ordine a tutti gli aspetti di tutela della privacy in rete e di uso dei dati a fini di mercato.

61 Cfr. Cass. Civ. Sent. 01.04.1976 n. 1151; ved. inoltre E. Damiani, Le tutele civilistiche per i contratti iniqui stipulati a causa della diffusione del coronavirus, in Judicium, 2/2020.